lunedì 4 gennaio 2010

Recensione: Steamboy

STEAMBOY
Titolo originale: Steamboy
Regia: Katsuhiro Otomo
Soggetto: Katsuhiro Otomo
Sceneggiatura: Katsuhiro Otomo, Sadayuki Murai
Mechanical Design: Makoto Kobayashi
Musiche: Steve Jablonsky
Studio: Studio 4°C
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 122 min. circa)
Anno di uscita: 2004
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Sony

 
Manchester, 1866. Le ricerche scientifiche e tecnologiche mostrano progressi sempre più all’avanguardia e il giovane Ray Steam, piccolo genio meccanico, riceve una misteriosa sfera di metallo dalle qualità tecniche rivoluzionarie. L’oggetto è infatti molto ambito, sia dai ricercatori senza scrupoli che lavorano per Eddy, padre di Ray, che dagli scienziati che lavorano per lo stato. Ray, costretto a fuggire, viene però catturato e imprigionato nella gigantesca fabbrica di suo padre, dove vengono costruite incredibili macchine da guerra, pronte per essere vendute ai maggiori acquirenti di tutto il mondo. Alleatosi con suo nonno, Ray riesce a liberarsi ed è pronto a mettere fine, in un modo o nell’altro, alla follia del genitore.

Calato in un’insolita ambientazione anglosassone, Steamboy (2004), come suggerisce il titolo stesso, è il contributo nipponico, da parte del guru dell'animazione Katsuhiro Otomo, a un genere, lo steampunk, che sa sempre offrire trovate ingegnose e di fresca curiosità. E di intuizioni, Steamboy ne cattura molte, per poi frullarle e rilasciarle in una sensazionale meraviglia visiva, che permette alla tecnica animativa dagli occhi a mandorla di raggiungere uno dei suoi vertici massimi.

Lo stupore di fronte a un simile incanto colorato è continuo, un inarrestabile crescendo di animazioni strepitose che più di una volta sbalordiscono per tecnica, precisione, esuberanza. Sequenze impressionanti come l’inseguimento della motrice, l’assalto degli androidi di latta o ancora la ventata di fumi ghiacciati che ibernano Manchester sono momenti che fanno brillare gli occhi grazie a una resa visiva, e a un vincente connubio di disegni e creatività, che addirittura annichilisce, stordisce, ubriaca. È il risultato di un film che assume, sedici anni dopo Akira (1988), il primato di essere il più costoso kolossal della Storia dell'animazione nipponica, con 180.000 disegni, 440 sequenze in CG e un budget di quasi 2 miliardi e mezzo di yen. Otomo già dai tempi di Memories (1995) comincia a pensare a una storia ambientata nella Londra vittoriana che parli di macchine a vapore, e deve lavorare dieci anni per permettere al sogno di diventare realtà, mettendo insieme uno staff artistico di livello clamoroso (addirittura Steve Jablonsky alle musiche, il pupillo del compositore hollywoodiano Hans Zimmer) e le più avveniristiche tecnologie per riprodurre in modo perfetto gli sbuffi di fumo, veri protagonisti della pellicola nel trionfo tecnico della parte finale. Ma se la straordinaria perfezione visiva è caratteristica fondamentale e, per certi versi, prevedibile in un lavoro cinematografico targato Otomo, è lecito aspettarsi una maggior solidità narrativa, che permetta a Steamboy di garantire incredulità anche laddove l’eccellente animazione deve scansarsi per far posto alla trama. E così, purtroppo, non avviene, ben giustificando all'epoca la tiepida accoglienza di critica e pubblico.


Il lavoro a quattro mani di Otomo e Sadayuki Murai riesce solo in parte, e questo grazie a un soggetto di per sé insolito, che a una riuscita prima metà avventurosa fa seguire un secondo tempo spiazzante dove si ribaltano i ruoli (niente più buoni con cui schierarsi e cattivi da odiare, ma solo due perfide facce della stessa medaglia sociale) e l’azione diventa necessaria per rappresentare una lunghissima battaglia tra androidi di terra, androidi subacquei, aeroplani, navi da guerra, cannoni e molto, molto altro ancora. Ciò che non sempre scorre con la dovuta fluidità è un intreccio che, complice il montaggio terribilmente incerto di Takeshi Seyama, che taglia e incolla scene con imbarazzante dondolio, lascia un leggero amaro in bocca per una certa superficialità nel marchiare i caratteri (impossibile, in questo caso, la coerenza nella progressione intellettiva di Scarlett o nella follia del padre di Ray) e nel mordere laddove la stupore animativo ruba ogni centimetro di pellicola (la macchina da guerra definitiva).

Non che questo aspetto influisca poi molto in un film che, inutile negarlo, punta quasi tutto soltanto sulla resa grafica, e infatti la piacevolezza nel seguire queste due ore abbondanti è sempre garantita, ma dispiace percepire una certa esitazione narrativa, soprattutto perché si tratta di una lacuna che, dati i nomi coinvolti, poteva essere facilmente evitata. Un lungometraggio visivamente magnificente che, però, pur con le sue aspirazioni adulte (con le classiche morale sul potere cinico della scienza che non si pone limiti nello stuprare la natura), paga tutto lo splendore tecnico nei riguardi di una storia che non decolla praticamente mai.

Voto: 6 su 10

3 commenti:

http://www.animefan.it/ ha detto...

D'accordo con la recensione.
Effettivamente la sceneggiatura è un po' lacunosa...

Io perÒ avrei dato 7

PS Ho linkato il vostro blog nella pagina dei links.

Ciao

Jacopo Mistè ha detto...

Come dicono alcuni amici di Roma, Steamboy si può definire un inno alle animazioni del vapore, fatte benissimo. Come storia boh, soggetto carino sviluppato con noia incredibile, con talmente tanti effetti speciali inutili da poter addirittura parlare di filler dentro un film d'animazione O.O
Bah...

Simone Corà ha detto...

Le animazioni sono davvero davvero davvero assurde, cose da bocca aperta per tutto il tempo...

Ma la trama, ehm, la trama, uh...

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