DOSSIER SULL'ANIMAZIONE ROBOTICA: GLI ANNI '90 DI IMAGAWA E ANNO (1990-1999)
Ironicamente, il nuovo titolo di peso dei primi anni '90 non è una produzione animata, bensì videoludica. Esce il 20 aprile 1991 per Gameboy, nel solo Giappone, Super Robot Wars, il primo episodio di una sterminata saga di titoli che andranno a toccare ogni genere di console fino ad oggi, tutti sviluppati dalla software house Banpresto. Si tratta di Strategy-rpg che realizzano i sogni dei robofan, permettendo loro di comandare eserciti formati dai robottoni provenienti da ogni più disparata serie animata, da Toei Animation a Sunrise, da Tatsunoko ad Ashi Productions, nell'ottica di trame che incrociano i svariati universi narrativi e permettono di utilizzare i robottoni più popolari della Storia. È possibile, per un fan, usare in prima linea Super Robot come Mazinger Z, Baldios, Combattler V e Dancouga, insieme a unità come i Gundam, gli Scopedog di Votoms, gli Aura Battler di Dunbine etc: un vero Paese dei Balocchi. Unico smacco, purtroppo, almeno per i fan occidentali, è il suo problema di gestire un pazzesco numero di licenze, vedendo impossibile la distribuzione dei vari titoli in occidente. Bisogna menzionare questi giochi più che altro per i legami che avranno con l'industria animata, ad esempio rielaborando in modo migliore trame o di anime non irresistibili; mostrando per la prima volta mecha importanti che per motivi diversi sono stati scartati dalla loro opera di riferimento (ad esempio il Layzner Mark-II da Blue Comet SPT Layzner); o ancora, creando robottoni nuovi di zecca che, in virtù della loro popolarità tra i videogiocatori, potranno godere successivamente, in senso inverso, di un adattamento animato, ad esempio il super-Mazinga Mazinkaiser che appare nell'episodio F Final (1999) per SEGA Saturn, protagonista di un'omonima serie OVA del 2001, o i robottoni della linea temporale Original Generation, che vedranno svariati adattamenti televisivi nel primo decennio del nuovo millennio. Ma ci arriveremo. Il 22 maggio dello stesso anno è indispensabile aprire una finestra sulla seconda, storica serie OVA di Gundam di 13 episodi, Mobile Suit Gundam 0083: Stardust Memory; prequel di Z Gundam che non brilla tanto per particolari meriti narrativi (che eviterò di citare), quanto per battezzare il talento di due artisti grafici destinati a lasciare il segno. Parlo del chara designer Toshihiro Kawamoto e del mecha designer Hajime Katoki, autori di disegni dal dettaglio assoluto e sofisticatissimo, maestosi nella cura in ombreggiature e ogni genere di tecnicismi. I Gundam e le attrezzature tecnologiche non sono mai sembrati così realistici, sembra quasi di sentirne l'odore dell'olio. I due artisti saranno saranno destinati a carriere esaltanti: il primo a trovare consacrazione nell'aspetto grafico di Cowboy Bebop (1998) e Wolf's Rain (2003), il secondo a divenire star di immensa grandezza nel mondo dell'illustrazione, del toy design (delle numerose linee di plastic kit gundamici) e del mecha design delle serie tv del Mobile Suit bianco, legando presto il suo nome ai robot dal tasso estetico più impressionante di sempre. Entrambi torneranno a lavorare insieme nella terza serie OVA gundamica del 1996.
L'irresistibile, sottovalutatissima saga di Patlabor (1989)
Il 1992 è un anno importantissimo, quello dell'inizio del mito di un nuovo regista imprescindibile, Yasuhiro Imagawa. Incaricato di dirigere, per il mercato OVA da parte di Mu Animation Studio, una trasposizione del manga Giant Robot (ricordate? Il secondo manga robotico della Storia dopo Tetsujin 28, sempre disegnato dallo stesso autore), per problemi di licenza che non è dato sapere finisce col non poterne usare i personaggi, se non il protagonista Daisaku Kurama e il robottone principale, il Giant Robot. Messosi allora in contatto direttamente con l'autore originale Mitsuteru Yokoyama e ottenuta la sua benedizione, Imagawa si guadagna l'insolita possibilità di poter usare, in compenso, tutti i personaggi che vuole delle altre opere del mangaka. Il 22 luglio è il giorno storico in cui esce il primo episodio di Giant Robot: in un futuro parallelo la scoperta dell'energia ecologica Sisma Drive permette alla Terra di vivere in un periodo di splendore. Peccato, però, che la pace sia minacciata da una lotta senza quartiere che avviene tra gli esper e gli esperti di arti marziali del gruppo segreto Big Fire, che anela al dominio del mondo, e dell'Organizzazione di Polizia Internazionale, nella quale milita il giovanissimo protagonista Daisaku Kurama, un ragazzo in grado di pilotare a distanza, con comandi vocali, il gigantesco Giant Robot. Quella di Giant Robot è una intricata avventura che porta Daisaku a maturare velocemente e a scoprire, lungo il suo dipanarsi, quali oscuri segreti risiedono nella scoperta del Sisma Drive. Parliamo di una produzione stellare, forte di un immenso budget che si riversa in animazioni degne di un film cinematografico e una colonna sonora suonata dall'Orchestra Filarmonica di Varsavia; un capolavoro narrativo e visionario (combattimenti e azione pieni di fantasia e ispirati alle coreografie del cinema wuxia) che rivela il talento del regista nel rielaborare completamente soggetti altrui, fondendoli con personaggi e situazioni di altre opere (in questo caso Babil Junior e Mars), mantenendone la fedeltà ai punti chiave e alle caratterizzazioni originarie ma, in compenso, "personalizzandoli" in storie complesse e intricate a livelli quasi inumani, dove mille domande trovano risposte che aprono a nuovi interrogativi, flashback si accavallano dentro altri flashback, viene gestito un numero spropositato di personaggi e la vicenda è narrata da svariati punti di vista... Intrecci fitti come ragnatele che necessiterebbero ipoteticamente di un taccuino su cui scrivere tutto per non perdere il filo del discorso, e abbelliti da chara e mecha design che richiamano il tratto essenziale e caricaturale del fumetto di riferimento, sono i tratti della filosofia che Imagawa erige nel 1992 e che mantiene inalterata in quasi tutte le sue successive rielaborazioni di classici del manga. Serializzato nell'arco di ben sette anni (1992-1998) per un totale di 7 lunghi episodi, Giant Robot è un sontuoso capolavoro oltre che una delle più famose e acclamate serie OVA della Storia.
Un altro capolavoro del genere esce il 7 agosto 1993, anche se la definizione di "robotico" di sicuro non gli rende pienamente giustizia e anzi, gli sta un po' stretta. Trattasi di Patlabor 2: The Movie, fantastico lungometraggio cinematografico che chiude in animazione l'avventura dello staff Headgear, destinato a sciogliersi da lì a breve. Dopo le varie serie televisive e home video realizzate tra l'89 e il '92, Mamoru Oshii e Kazunori Ito decidono di mettere la parola fine al loro slice of life poliziesco e realizzano un film che fa la Storia, rendendoli acclamati ancor prima di Ghost in the Shell (1995). Connaturato da disegni di Akemi Takada abbastanza irriconoscibili, dalle fattezze estremamente adulte e orientali come mai si sono viste dal pennino dell'amata chara designer, e dalla totale assenza di umorismo nella storia, l'opera si configura come un complesso thriller politico, dove inedite atmosfere serissime condiscono un'indagine cervellotica del capitano Goto e della collega Shinobu Nagumo nei confronti di un piano sovversivo dell'ex colonnello Yukihito Tsuge che mira a mettere in ginocchio il Giappone con una ribellione delle forze armate. Posto idealmente in un futuro dove quasi tutti i componenti della Seconda Sezione Veicoli Speciali percorrono la loro strada, il lungometraggio, abbastanza curiosamente, li rende personaggi addirittura secondari, pronti a scendere in campo solo negli ultimi venti minuti di film. Buona parte dell'indagine è appunto affidata ai loro due superiori, gli unici rimasti al loro posto. Al di là di questo e delle atmosfere stravolte (elementi che denotano chiaramente come non si possa parlare di film rappresentativo del mondo di Patlabor), si parla di un'opera di altissimo livello, animata in modo straordinario da Production I.G e con una regia di Oshii che è un'opera d'arte, innamorata di intensi primi piani, sequenze magnetiche e una fotografia magistrale. Un mecha design strabiliante ed estremamente realistico, a opera di Shoji Kawamori e Hajime Katoki, chiude i conti regalando alla saga un finale cult.
Il 1994 si ricorda unicamente per il bizzarro e fracassone Mobile Fighter G Gundam televisivo, nato per avvicinare al marchio gundamico nuove generazioni di spettatori che non hanno preso parte alla lunga continuity dell'Era Spaziale, i cui titoli hanno imperversato per tutti gli Ottanta dimostrando di perdere sempre più ispirazione, riclando all'infinito le idee. A ridosso del 15esimo anniversario del franchise, per l'occasione Sunrise decide di provare nuove strade narrative e, in spregio ai fan tradizionalisti, con G Gundam realizza un assurdo quanto divertente divertissement action, inventando un torneo spaziale di arti marziali - probabilmente debitore del Torneo Tenkaichi di Dragon Ball - dove si affrontano, a rappresentare ogni Paese, i Gundam più improbabili e folkloristici di sempre. Il vincitore del torneo avrà così modo di regnare per quattro anni su tutte le altre colonie, almeno fino al Gundam Fight successivo. Nonostante l'assurda premessa di fondo e un budget inferiore al solito, G Gundam nel suo genere e per le sue mire funziona egregiamente, forte dell'inventiva registica di Yasuhiro Imagawa (assoldato in merito ai fasti del contemporaneo Giant Robot e dietro alla stesura principale del soggetto), di svariati Gundam Fighters carismatici, dell'accostamento tra mazzate robotiche, arti marziali e wuxia e, specialmente, del suo non prendersi minimamente sul serio. Di certo non si può parlare di chissà che pietra miliare del genere, ma non si può neanche negare l'originalità della storia e il gran coraggio della "reinterpretazione" del brand, capace di attirare critiche feroci dagli appassionati ortodossi ma anche di farsi ricordare come un alternate universe vincente e a suo modo di culto, tanto da conoscere svariati remake aprocrifi e con budget maggiori, che si concretizzano nel 2007 con Apo Mekhanes Theos Gigantic Formula e nel 2013 in Gundam Build Fighters.
Il prossimo importantissimo esponente del genere nasce verso la fine del 1995, ma è giusto, prima di lui, fare un rapido accenno a una serie televisiva mediocre ma di grandissimo successo di pubblico come Mobile Suit Gundam Wing, il cui primo episodio è trasmesso il 7 aprile: trattasi del secondo alternate universe della saga, nato come il precedente G Gundam per cercare un nuovo pubblico. Si tratta di una serie abbastanza dimenticabile, rivolta in prevalenza a un target femminile di teenager, che, pur tornando alle atmosfere della saga classica, liquida il suo interessante spunto di partenza (cinque piloti di Gundam sostengono la causa di libertà delle loro colonie muovendo guerra solitaria alla Terra, amministrata con tirannia dal Governo Federale e dall'organizzazione segreta OZ) con caratterizzazioni inverosimili, colpi di scena più orientati allo spettacolo che alla plausibilità, retoriche pretenziose sul pacifismo ed eroi-bellocci plasmati su modelli fisici modaioli, spesso protagonisti di scenette che vorrebbero sottolineare ambigue frecciatine omosessuali. Una serie commerciale nel senso meno nobile del termine, anche per effetto delle due opening cantate dal popolare gruppo j-pop dei Two-Mix, a sottolineare una nuova collaborazione tra industria animata e musicale. Gundam Wing trova un successo modesto in Giappone ma addirittura fantasmagorico in America, il massimo mercato estero mondiale di animazione, rivelandosi uno dei grandi successi del decennio di Sunrise, contribuendo ironicamente, nonostante la sua effettiva qualità, a pubblicizzare e far conoscere la saga gundamica in toto nel mondo. Gundam Wing darà così il via a un merchandise di fumetti, romanzi e OVA collaterali che lo renderanno, fino al 2002, l'alternate universe più redditizio e conosciuto del franchise.
Il prossimo importantissimo esponente del genere nasce verso la fine del 1995, ma è giusto, prima di lui, fare un rapido accenno a una serie televisiva mediocre ma di grandissimo successo di pubblico come Mobile Suit Gundam Wing, il cui primo episodio è trasmesso il 7 aprile: trattasi del secondo alternate universe della saga, nato come il precedente G Gundam per cercare un nuovo pubblico. Si tratta di una serie abbastanza dimenticabile, rivolta in prevalenza a un target femminile di teenager, che, pur tornando alle atmosfere della saga classica, liquida il suo interessante spunto di partenza (cinque piloti di Gundam sostengono la causa di libertà delle loro colonie muovendo guerra solitaria alla Terra, amministrata con tirannia dal Governo Federale e dall'organizzazione segreta OZ) con caratterizzazioni inverosimili, colpi di scena più orientati allo spettacolo che alla plausibilità, retoriche pretenziose sul pacifismo ed eroi-bellocci plasmati su modelli fisici modaioli, spesso protagonisti di scenette che vorrebbero sottolineare ambigue frecciatine omosessuali. Una serie commerciale nel senso meno nobile del termine, anche per effetto delle due opening cantate dal popolare gruppo j-pop dei Two-Mix, a sottolineare una nuova collaborazione tra industria animata e musicale. Gundam Wing trova un successo modesto in Giappone ma addirittura fantasmagorico in America, il massimo mercato estero mondiale di animazione, rivelandosi uno dei grandi successi del decennio di Sunrise, contribuendo ironicamente, nonostante la sua effettiva qualità, a pubblicizzare e far conoscere la saga gundamica in toto nel mondo. Gundam Wing darà così il via a un merchandise di fumetti, romanzi e OVA collaterali che lo renderanno, fino al 2002, l'alternate universe più redditizio e conosciuto del franchise.
Al di là dell'immeritevole Gundam Wing, il 1995 è da ricordare principalmente per Neon Genesis Evangelion che inizia il 4 ottobre, storia di un ragazzo che, inserito nei ranghi militari insieme ad altre coetanee, deve combattere come loro, a bordo di gigantesche creature viventi chiamate Evangelion, dei misteriosi mostri provenienti dal Polo Sud, gli Angeli, che attaccano la Terra senza un apparente motivo. Divenuto un cult in ogni angolo del globo per la regia autoriale (di spiccata estetica cinematografica), le realistiche caratterizzazioni dei personaggi e i temi religiosi di cui è infarcito, il lavoro di Hideaki Anno e GAINAX è in verità, come ammette lo stesso regista, una parabola sul mondo degli otaku, degli hikikomori e dei disadattati schiavi dei propri hobby, rappresentati simbolicamente dall'alienato protagonista Shinji Ikari che, come loro, vive chiuso in se stesso come un riccio, non vuole integrarsi nel mondo adulto perchè non sa comprenderlo e ha paura di qualsiasi rapporto sociale. Si tratta di un'opera sofferta, scritta e diretta da un autore che è stato anche lui otaku-anime in giovinezza, e vorrebbe che la stessa cosa non si ripetesse per le nuove generazioni di spettatori. Creando un minestrone in cui convivono cabala, esoterismo, fantascienza, robot e psicanalisi in ogni dove e quando, nei 26 episodi della sua opera Anno vuole dare una svegliata a una categoria sociale che in Giappone costituisce una triste, concreta realtà, ammonendola nel non stare a perdere tempo a formulare migliaia di teorie e ragionamenti sulle storie di intrattenimento e finzione, dando loro più importanza di quanto dovrebbero, ma di uscire all'aria aperta e di sfruttare le proprie potenzialità intellettuali al servizio della società e di se stessi. Quella di Anno è una morale che è condensata perfettamente nei due celebri episodi conclusivi dell'opera, che a costo di lasciare sospesa la trama "terrena" giungono al nicciolo della questione rappresentando la maturazione di Shinji in un lungo dialogo interiore, al termine del quale riesce finalmente a integrarsi nel mondo. Un percorso di formazione già raccontato anni addietro da Yoshiyuki Tomino con Gundam e Z Gundam nelle vesti di Amuro Ray e Kamille Bidan (giusto per testimoniare la consueta filosofia citazionista/otaku di GAINAX), ma che in questa occasione riscuote interesse sopratutto per il MODO in cui è raccontato, non più esternamente ma interiormente, attraverso lunghe sessioni di dialoghi interiori, ricercate introspezioni psicologiche e allegorie grafiche. È un rivoluzionario modo di intendere le caratterizzazioni e raccontare una storia, il punto di arrivo della "Seconda Generazione di Registi" nata con Macross, che Evangelion e il successivo La rivoluzione di Utena (1997) inaugurano spalancando le porte a un nugolo di futuri registi, soggettisti e sceneggiatori altrettanto "cervellotici" e autoriali come Kunihiko Ikuhara, Yoshitoshi ABe, Chiaki J. Konaka etc. Viene da sè che il messaggio ultimo dell'opera non verrà recepito e, anzi, le pressioni dei fan spazientiti da un finale così "enigmatico" portano GAINAX e Anno a dare una conclusione anche al piano "fisico" della storia. Nascono, negli anni successivi, due film che hanno il compito di chiuderla, di cui il secondo, l'apocalittico The End of Evangelion (1997), altro non è che rielaborazione/remake del lungometraggio Be Invoked (1982) della vecchia serie tv Ideon, solo con una morale diversa. The End diventa così un ennesimo omaggio a Tomino, regista le cui opere hanno influenzato Anno e GAINAX fin dai tempi di GunBuster, e anche una nuova opportunità di incitare gli otaku a uscire dal loro guscio, con le sequenze finali che mostrano, in una originale commistione tra animazione e inserti-live, dei veri spettatori in un cinema che stanno a fantasticare sui risvolti del film: "Il potere dell'immaginazione è l'abilità di crearsi il proprio futuro, di costruirsi la propria crescita. Se le persone non agiranno secondo la propria volontà niente cambierà" (cit.). In un occidente, Italia compresa, dove le produzioni robotiche importanti sono raramente arrivate, e le poche che lo hanno fatto sono quasi sempre titoli degli anni '70, Neon Genesis Evangelion è salutato come il capolavoro rivoluzionario che cambia per sempre le regole dell'animazione robotica, rendendola adulta, matura e dalla continuity serrata: elogi che fanno dimenticare tutti i suoi predecessori che hanno inaugurato queste caratteristiche, ma anche il suo vero, unico messaggio, quello della parabola satirica sui disadattati. Una morale che, condivisibile o meno, non sarà - o non vorrà - mai essere accettata dai fan, significherebbe per loro mandare a monte anni di interpretazioni fantasiose e accettare di essere stati "presi in giro" dal regista. Da ricordare, inoltre, sia come Evangelion simboleggi come l'animazione televisiva inizi a rinnovarsi e a essere più libertaria, permettendo alle storie di abbracciare scene "scomode" o adulte tipiche delle produzioni OVA (assestando perciò al mercato degli anime home video un colpo fortissimo, il presagio a quella che sarà loro una lenta dissoluzione - ora in quei circuiti vengono prodotte solo serie pornografiche), e sia come contribuisca a coniare un nuovo incipit di partenza che verrà spesso ripreso da cloni vari, quello di ragazzi problematici ed emotivamente instabili usati come cavie dall'esercito, pur controvoglia, per affrontare creature provenienti da chissà dove a bordo di avanzati robot. Spesso e volentieri si legge che Evangelion avrebbe anche "battezzato" la nascita dello slot televisivo notturno adibito a trasmettere animazione adulta/impegnata, ma questa è una leggenda metropolitana visto che tali canali nascevano unicamente per pubblicizzare gli OVA (effettivamente rivolti per la maggiore a un pubblico non certo giovane), e nacquero per pura coincidenza dopo la prima trasmissione di Evangelion, quella che fu un iniziale flop che di certo non poteva aver ispirato la cosa.
La serie OVA Mobile Suit Gundam: The 08th MS Team, il cui primo episodio esce il 25 gennaio 1996, si presenta come l'ennesima visione indispensabile della saga gundamica. Anche se questa prosegue con indifferenti serie televisive e mediocri alternate universe, nell'universo home video Sunrise continua a tenere in vita la timeline classica inaugurata da Yoshiyuki Tomino. Come War in the Pocket (1989), anche 08th MS Team (o Ottavo Plotone come viene chiamato in Italia) si configura come side-story della storica Guerra Di Un Anno, e quasi specularmente, invece di raccontare una storia d'amicizia, ne vuole narrare una d'amore, quella che nasce tra un ufficiale federale e una soldatessa nemica, sorella di un ammiraglio zeoniano che sta progettando una nuova, temibile arma capace di cambiare il corso della guerra. La tenera storia tra Shiro e Aina tocca le corde dell'animo grazie a dialoghi sopraffini, iterazioni realistiche e un raffinato gusto cinematografico in regia e inquadrature, per sottolineare magistralmente il loro amore soffocato e maledetto. Dodici episodi splendidamente scritti, toccanti e coinvolgenti, sorretti da un potente comparto tecnico e un memorabile quadro visivo, che vede ripetersi lo spettacolo di 0083 in disegni umani e meccanici splendidi, realistici e dettagliati in modo meticoloso, nuovamente frutto del talento di Toshihiro Kawamoto e Hajime Katoki. La bontà di questa serie, decisamente splendida, è offuscata giusto dalla drammatica morte del suo regista Takuyuki Kanda, a cui subentra, a partire dall'episodio 4, Umanosuke Iida, fatto che mette uno stop temporaneo al progetto ritardandone la conclusione di oltre un anno. Fortunatamente, il risultato è così felice da compensare pienamente il disagio.
The Vision of Escaflowne, nonostante un successo modesto in patria e un'opinione negativa da parte di chi scrive, ha potuto godere, nel mondo, di un'acclamazione, sia da pubblico che dalla critica, troppo forte e unanime per poterlo ignorare, finendo a essere annoverato tra i BIG del decennio. Ideato da Sunrise e Shoji Kawamori, lo studio lo affida a Yasuhiro "Giant Robot" Imagawa per essere sviluppato. Il suo progetto è scartato e poi affidato al regista Kazuki Akane, che decide di trasformare l'opera in una storia per ragazze che si rifaccia all'estetica e agli stilemi dello shoujo manga. Il 2 aprile 1996 esce così il primo episodio di un robotico-fantasy animato con grandissimi mezzi, tratteggiato splendidamente dai colorati disegni di Nobuteru Yuki e forte delle tracce solenni dell'acclamata compositrice Yoko Kanno: Hitomi Kanzaki è una gioviale studentessa delle superiori, con l'hobby della lettura dei tarocchi e dotata di sopite capacità divinatorie. Finisce in una nuova dimensione, Gaia, legandosi al prode principe Van che ha appena conosciuto. Insieme alle sue predizioni, a Van e al gigantesco robot da guerra da lui guidato, Escaflowne, Hitomi vive così una lunga avventura: i due finiscono presto col guidare una ribellione contro il malvagio impero di Zaibach, che anela alla conquista di quelle terre. Difficile prendere sul serio un clone di Dunbine (anche alla luce dei suoi sviluppi, poi rimossi, visibili come extra nei dvd americani), che mescola dentro ogni genere di cose ma il cui vero focus si riconduce alle vicissitudini sentimentali di protagonisti abbastanza inverosimili, come giustamente da regola shoujo - infinite masturbazioni mentali sul chi ama chi, fraintendimenti, addirittura pentagoni (!) sentimentali -, evidentemente Escaflowne è acclamato per la sua caratura tecnica, grafica e musicale, davvero di altissimo livello per una produzione tv, per le fiabesche ambientazioni e gli eleganti robottoni, e per storie d'amore improbabili ma sicuramente apprezzabili dal loro target di riferimento. Il suo è un successone, perlopiù estero, che nel 2000 spiana la strada poi a un film (Escaflowne: The Movie), che rielabora da capo la storia.
Nel 1996 però la palma per la variazione sul tema più originale del genere non può che spettare alla serie di 26 episodi Mobile Battleship Nadesico, ideata dal mangaka Kia Asamiya e realizzata dallo studio XEBEC, che debutta su TV Tokyo l'1 ottobre, una piacevole space opera capace di coniugare comicità e dramma senza scadere nel ridicolo. Nel lontano 2196 la Terra si trova in guerra col popolo extraterrestre delle Lucertole di Giove. Il giovane Akito Tenkawa, sfuggito alla distruzione della sua colonia marziana da parte degli alieni, si ritrova successivamente a lavorare come chef e pilota di Aestevali (unità robotica tipo) nell'equipaggio della ND-001 Nadesico, avveniristica nave da guerra della compagnia privata Nergal, legata al governo terrestre. Una serie televisiva, Nadesico, che offre un mix di generi mai visto prima: spigliata nei suoi elementi di romanticismo harem (l'eroe Akito, unico maschio della nave, è conteso da tutte le belle), comica nei frequentissimi, affettuosi omaggi visivi e concettuali a Corazzata Yamato, Macross, Gundam, al microcosmo otaku/cosplayer e alle produzioni robotiche degli anni '70 (con eroe che non si perde un solo episodio dell'anime immaginario Gekiganger 3, ulteriore reverenza a Getter Robot); addirittura drammatica nelle battaglie robotiche, nelle morti e nelle fasi salienti di storia. Nonostante un finale palesemente incompleto Nadesico è un "esperimento" bizzarro e riuscito, ben animato, splendidamente disegnato e forte anche di un'ottima soundtrack, considerato da molti come una delle grandi serie (non solo robotiche) del decennio. Nel 1998 trova seguito in Mobile Battleship Nadesico The Movie: Il principe delle tenebre, più o meno ingiudicabile vista la storia mancante di antefatto e conclusione, narrati in due videogiochi SEGA mai usciti fuori dal Giappone (meglio limitarsi alla serie tv). Appare curiosa la celebrità ottenuta dal "suo" Gekiganer 3, così elevata da portare addirittura XEBEC a tributargli un OVA celebrativo, sempre nel 1998.
Il 1997 si segnala per un'altra gran bella serie televisiva, King of Braves GaoGaiGar, ultimo esponente della saga Braves, iniziata il 3 febbraio 1990 con Brave Exkaiser e poi proseguita negli anni con altri sei titoli. Si tratta di serie tv, indipendenti l'una dall'altra, che riportano in auge, nei circuiti mainstream, il Super Robot tamarro, "ingenuo" e super-eroistico dei bei tempi che furono, adattandolo ai gusti correnti e, ovviamente, a un pubblico infantile, galvanizzato dai robot massicci ed estremizzati profusi da Kunio Okawara. Sono produzioni che nascono da una collaborazione tra studio Sunrise e l'azienda di giocattoli Takara, dopo che quest'ultima ha terminato la collaborazione internazionale con Hasbro per la prima, redditizia generazione di Transformers, e vuole lanciare una nuova linea di robot. GaoGaiGar, ottava e conclusiva serie che inizia l'1 febbraio, è decisamente uno dei Brave più riusciti, l'unico apprezzabilissimo sia dai piccoli che dai più grandi: ambientato nel 2005, narra delle battaglie tra i malvagi alieni-parassiti zonderian e l'organizzazione governativa GGG (Gutsy Geoid Guard), le cui forze belliche consistono nel protagonista-cyborg Guy Shishiō, il senziente leone meccanico Galeo e il bimbo alieno Mamoru Mamai, in grado di unirsi nel gigantesco, potentissimo robottone GaoGaiGar. Tra disegni che omaggiano il tratto anni '60 di Shotaro Ishinomori, tantissima azione, animazioni vigorose e una filosofia di fondo che fa degli agganciamenti, delle trasformazioni, dei colpi speciali e dell'esagerazione a ogni costo la sua bandiera, i 49 episodi che compongono la serie, scritta ironicamente proprio dal "Sovrano dei Real Robot" Ryousuke Takahashi, sono energici, divertenti e altamente spettacolari, davvero in grado di risvegliare l'animo di bambino di qualsiasi spettatore, compreso quello non avvezzo al genere o legato alla concezione robotica "seriosa" di Gundam e Macross. GaoGaiGar troverà un notevole successo, divenendo a suo modo un'opera cult e aprendo così la strada a uno spin-off televisivo horror, Betterman (1999), al seguito OVA GaoGaiGar FINAL (2005) e, infine, a una versione "riveduta e corretta" di FINAL con nuovi dialoghi, sequenze e inserti vari: Grand Glorious Gathering (2005), composto da 12 episodi televisivi.
Con GaoGaiGar (1997) tornano a splendere gli anni '70
Ci avviciniamo così alla fine del decennio, dove almeno quattro titoli la fanno da padrone e altri due, invece, apportano variazioni significative. Questi ultimi debuttano entrambi nell'aprile 1998, il 6 e l'8, alla distanza di soli due giorni l'uno dall'altro: si tratta delle serie televisive Neoranga - L'arcana divinità del mare del sud, contributo al genere da parte del rinomato Studio Pierrot, re del majokko anni '80, e Brain Powerd, che segna, dopo molto tempo, la prima serie televisiva non-gundamica di Yoshiyuki Tomino. Neoranga ha l'ambizioso obiettivo di calare la realtà del Super Robot in un credibile scenario metropolitano: tre sorelle finiscono, previa eredità del loro fratello maggiore, a divenire regine dell'isola indonesiana di Barou, trovandosi a essere anche proprietarie del gigantesco Ranga, divino robottone senziente che protegge il posto. Decidono però di vivere a Tokyo, col "piccolo" problema che Ranga le segue in volo e si trova, così, a essere conosciuto dalla città. Si tratta di una storia bizzarra, che si regge sulla sola idea del robottone conosciuto dai cittadini e dalla politica, con le conseguenze sociali e militari che si possono intuire. Peccato sia abbastanza mal sviluppato e anche troppo lungo (48 episodi), facendosi ricordare solo come un'idea interessante ma mal resa. Brain Powerd invece è un Tomino elitario al massimo: serie tv di 26 episodi lenta, minimalista ed enigmatica, condita da atmosfere e sonorità new age di Yoko Kanno, con il mecha design "organico" di un ritrovato Mamoru Nagano. Dietro la trama fantascientifica (due organizzazioni si scontrano per il destino di Orphan, gigantesco vascello alieno senziente, inabissatosi e il cui risveglio porterebbe alla distruzione della Terra), l'autore sviluppa più riflessioni, sopratutto la sua più surreale trattazione mai vista sul tema della comunicazione. Brain Powerd avrà un successo ridottissimo, sia per la lentezza che per lo scomodo paragone fatto, spesso a sproposito, con Evangelion, ma, pur presentando difetti non sorvolabili (una certa incompiutezza di fondo), rimane abbastanza interessante, tanto che la sua trama "terrena" influenzerà notevolmente una serie cult del 2005.
Il 25 agosto 1998 esce il primo episodio della serie OVA di 13 puntate Change!! Shin Getter Robot: L'ultimo giorno del mondo, sviluppata dallo studio Brain's Base assoldato da Dynamic Planning, la società che gestisce i diritti di tutte le opere cartacee e animate dell'autore Go Nagai. Si tratta di una rielaborazione, fedele a personaggi e atmosfere, della straordinaria Getter Saga cartacea di Ken Ishikawa, capolavoro del fumetto robotico che fin dagli anni '70 introduce i primi super robottoni componibili e che, nelle sue varie saghe, esplora le potenzialità del genere fino alle sue più estreme conseguenze, mescolando le consuete invasioni extraterrestri e le battaglie di colossi d'acciaio con fantascienza pura, viaggi del tempo, atmosfere apocalittiche, morte e distruzione, Guerre Mondiali tra mecha e il tema dell'evoluzione che raggiunge gli apici più impensabili. È un fumetto esplosivo ed estremamente suggestivo che, nonostante l'argomento teoricamente "infantile", per i suoi protagonisti psicopatici e sanguinari, gli intermezzi horror e la truce violenza non ha mai trovato una trasposizione fedele al suo spirito, giusto abbozzato negli adattamenti super-eroistici televisivi Toei Animation iniziati nel 1974 con Getter Robot. Yasuhiro Imagawa, fresco del grande successo home video di Giant Robot, è pronto a replicarne i fasti, e, scatenato, scrive/dirige tre episodi di impressionante caratura, grondanti uno spropositato numero di colpi di scena, rivelazioni, flashback e azione incessante e indiavolata, nuovamente "incrociando" il fumetto con personaggi provienti da altre opere di Ishikawa (Majuu Sensen e Kyamou Senki). La trama è ardua anche solo da accennare: in un vicino futuro il defunto professor Saotome, scopritore dei raggi Getter che hanno contribuito alla prosperità della Terra e alla nascita del potente Getter Robot, torna in vita completamente impazzito. Alleatosi con una razza aliena viscidiforme, è alla guida di un gigantesco esercito di cloni di Getter Robot e mira, con essi, a distruggere l'umanità, come gesto di vendetta per la morte di sua figlia Michiru, avvenuta anni prima per mano, a suo giudizio, dei suoi ex allievi Ryoma e Hayato. Per distruggere i piani del loro ex amico, questi ultimi tornano alla guida del mecha originale, ma la feroce battaglia porta all'attivazione di potentissime armi di distruzione di massa. Sobillato da invasori alieni infiltrati, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU tenta di annichilirle con una bomba a protoni, ma questo porterà, oltre a milioni di vittime, anche alla dispersione di radiazioni Getter su tutto il pianeta, con conseguente sconvolgimento di buona parte della superficie del pianeta... E si tratta solo del prologo! Cos'altro voglia dire l'autore non si saprà mai, perché, per motivi oscuri, è licenziato, rimosso dai credits e rimpiazzato da un altro staff che riprende in mano la storia. Forte di un budget nuovamente stratosferico, che si esprime in animazioni indelebili dalla fisicità possente e distruttiva, L'ultimo giorno del mondo celebra nel miglior modo il manga di Ishikawa, tributandogli finalmente il giusto riconoscimento, con personaggi violenti e scatenati al limite della pazzia, fiumi di sangue, intermezzi horror e scontri devastanti tra robot grandi quanto pianeti. Peccato solo per un certo caos narrativo: se alla fine, facendo attenzione, è sicuramente possibile dare senso al complicato intreccio dell'opera, dato dalla "fusione" di due sceneggiature diverse - e i successori di Imagawa non ne rinnegano lo stile "caotico", anzi si ingegnano a rendere la storia ulteriormente intricata -, risulta impossibile farlo con i svariati buchi di sceneggiatura lasciati in eredità dall'autore. Sono infatti presenti diversi interrogativi (morti che ritornano in vita, epidemie, dinosauri, tecnologie provienti da chissà dove, esplosioni di pianeti etc.) evocati da Imagawa a cui i vari sceneggiatori non sapranno dare spiegazione, visto che se ne è andato portandosi appresso la sua stessa sceneggiatura. Eppure L'ultimo giorno del mondo rimane, anche coi suoi problemi, una produzione di elevatissima qualità, ricca di grandi momenti e suggestioni registiche indimenticabili. Si tratta di un cult home video del tempo, tanto celebre da spianare la strada, negli anni successivi, ad altre due rielaborazioni OVA della Getter Saga, entrambe, però, deludenti (Shin Getter Robot contro Neo Getter Robot, del 2000, e Getter Robot Re-Model, 2004).
Il 4 ottobre, invece segna il ritorno televisivo di Ryousuke Takahashi nel genere, pronto a proporre una serie tv che raccolga l'eredità dei suoi classici war drama Dougram e Votoms. Il regista è pronto a chiudere il cerchio e, con i 26 episodi di Gasaraki prodotti dal solito Sunrise, adempie parzialmente allo scopo. "Parzialmente" poiché, come si legge nella recensione, il giudizio del recensore sulla qualità intrinseca della serie è tutt'altro che positivo, nonostante nel robotico il titolo è indubbiamente importante per le sue novità concettuali. Si parla di una produzione curata a livelli maniacali, rinomatissima dalla critica di tutto il mondo, ma davvero troppo, troppo "avanti" per far breccia sul grosso pubblico, ieri ma anche oggi. Il lavoro di Takahashi, ambientato nel periodo di un conflitto militare asiatico tra gli USA e il desertico stato del Belgistan, ispirato, come sempre dal regista, dalla Storia contemporanea (la Guerra del Golfo), vede due potenti costruttori d'armi, la famiglia dei Gowa e l'organizzazione Symbol, collaudare in guerra, per mezzo dei due eserciti in lotta, i Tactical Armor, avanzate unità robotiche dalle ampie capacità belliche. Il problema sorge quando i loro uomini, Yushiro e la bella Miharu, finiscono con l'incontrarsi, scoprendo di avere un tragico passato comune legato all'era feudale e al culto del dio Gasaraki: il legame tra ragazzi diverrà sempre più stretto, trovando ripercussioni nella rivalità tra le due fazioni e un tentativo di colpo di stato che sta per avvenire in Giappone. Storia capace di mescolare sapori antichi e moderni, fondendo riti sciamanici, complotti politici, considerazioni filosofiche sul ruolo dei valori nell'era moderna, intermezzi fantastici e puro thriller urbano, Gasaraki segna in animazione il punto di arrivo del Real Robot così tanto esplorato dall'autore, proponendo a tutti gli effetti quelli che si possono definire i robot più verosimili e credibili mai visti, i Tactical Armor. Ovvie evoluzioni dei Scopedog di Votoms, i TA sono armature robotiche bipedi alte due metri e mezzo, equipaggiate con i massimi ritrovati militari (fucili, mitragliatori, missili, radar, occhiali a raggi infrarossi e a rilevazione termica, mirini automatici) e dotate di uno speciale sistema di movimento che permette loro di correre e arrampicarsi. Sono macchine da guerra che vantano un aspetto meccanico dal realismo estremo, merito dell'accuratissimo e meticoloso mecha design del veterano Yutaka Izubuchi, e segnano anche l'apice della concezione del Real Robot, in quanto dopo questa serie sarà impossibile proporre robot e armamenti più credibili di questi. Fedele a questi intenti, Takahashi va però anche oltre: la sua filosofia del realismo estremo va a colpire anche il modo di raccontare la storia, coniando uno stile di direzione tutto suo che non verrà mai replicato da nessuno. Questa e le prossime storie similari del regista, infatti, si contraddistinguono per disegni adulti e verosimili, uno stile di regia secco, aridissimo e distaccato, dialoghi così meticolosi e reali che le divagazioni su terminologie militari o anche solo semplici dialoghi raggiungono una freddezza e un realismo mai replicati. Gasaraki segna non solo il trionfo della filosofia takahashiana, ma anche la sua totale unicità, una sparutissima sottocategoria dell'animazione dove cura estrema in interazioni dialogiche e background politici/militari danno una così fedele rappresentazione della realtà da rendere come lei, freddissima, la storia e i personaggi, spesso mere presenze sullo sfondo. Il realismo sovrasta tutto eliminando - ma questa è un'opinione strettamente personale - del tutto la magia del sense of wonder. Rimane una serie post-moderna e, in questo caso, anche rivoluzionaria, ma a un livello così avanzato che, più di qualsiasi altra produzione di Takahashi, è anche una mattonata memorabile, un lavoro difficilmente digeribile anche per chi aspetta una serie "affine" a Votoms.
Gasaraki (1998), la storica "fine" del Real Robot
Il 1999 è l'ultimo anno da prendere in esame. Il 2 aprile inizia, trasmesso su Fuji TV, quello che si può senz'altro definire l'ultimo lavoro degno di nota della carriera di Yoshiyuki Tomino, un vero trionfo di idee che fornisce una simbolica conclusione a quella lunga saga robotica che, volente o nolente, rappresenta per lui il massimo motivo di popolarità nel mondo. Dopo vent'anni spesi a dirigere controvoglia una serie gundamica dietro l'altra, il regista può finalmente realizzarne una voluta da lui, realizzata come vuole grazie alla carta bianca che gli è concessa da Sunrise per festeggiare il ventesimo anniversario del franchise. ∀ Gundam Called Turn "A" Gundam, o Turn A Gundam com'è comunemente conosciuto, è una serie televisiva di 50 episodi delicata ed estremamente personale, con un mecha design che abbandona del tutto le classiche fisionomie cool, sofisticate e minacciose, per abbracciare uno stile semplicistico, buffo e tondeggiante, a opera del concept artist Syd "Blade Runner" Mead, artifizio voluto dal regista affinché, come ai vecchi tempi, l'attenzione dello spettatore venga rivolta a storia e personaggi e non all'elemento robotico (ad attestare questa dichiarazione d'intenti, infatti, a livello di vendita di modellini, l'opera risulterà un pesante flop). Turn A Gundam è un Gundam che non ci si aspetta, privo dell'epica, persistente drammaticità del passato e molto più solare e positivo, ambientato per la maggior parte della sua durata in ambientazioni montane, con mucche, pascoli, caverne sotterrane e case di contadini. Dopo una lunga Età Oscura che ha distrutto il mondo e che tutti sembrano aver dimenticato, la Terra piomba in uno scenario regredito da ipotetico inizio 1900 (le prime automobili messe in commercio, differenza sociale marcata tra signori e operai, macchinari a vapore). Sottoterra, però, sono ancora custodite le macchine belliche dell'epoca precedente (i robottoni, appunto), strumenti che diventa necessario riesumare e utilizzare ora che il popolo della Luna, tecnologicamente più avanzato, vuole scontrarsi con i pacifici terrestri per emigrare sul pianeta. Protagonista è il lunare Loran Cehak, che si schiera inaspettatamente dalla parte dei terrestri e, forte del buffo ma temibile Turn A Gundam da lui rinvenuto, lotta per poter trovare una soluzione per appacificare le parti. Rielaborando il soggetto del vecchio, divertente Blue Gale Xabungle (1982), e trasformando le ambientazioni da western a montane, il regista e il suo sceneggiatore Ichirou Ohkouchi realizzano un vero concentrato di immaginazione e idee. Il Correct Century, la misteriosa linea temporale in cui è ambientata la storia, diventa un universo in cui fare confluire le timeline passate, presenti e future di tutte le opere gundamiche, compresi gli alternate universe creati da altri autori (∀ è il simbolo del quantificatore universale che indica tutti gli elementi di un insieme); un fantastico mosaico legato, come intuibile, proprio alla misteriosa Età Oscura che solo nel finale è svelata. Si parla di un'opera suggestiva, calata, come d'altronde è giusto, nella classica favola tominiana sulla comprensione tra razze e sui pericoli di un eccessivo progresso tecnologico, dove non mancano, come ai tempi di Z Gundam, un intreccio intricato e per nulla lineare (la vicenda è perennemente vissuta dal punto di vista di numerosi gruppi di personaggi), più e più fazioni in gioco, twist, totali cambi di scenario e un cast, se contiamo oltre ai protagonisti principali anche quelli secondari, immenso (una cinquantina di individui mediamente ben caratterizzati), ma stavolta ben gestito. Una lunga serie televisiva high budget, forte di animazioni cinematografiche e della solenne colonna sonora di Yoko Kanno, che chiude nel miglior modo possibile l'intera saga, il grande lascito da parte di un creatore che si riappacifica con il suo "figlio" tanto odiato. Se è pur vero che studio Sunrise non sarà d'accordo con la sua volontà, continuando a produrre nuove serie animate dell'incazzoso Mobile Suit bianco, bisogna proprio ammettere che l'opera si presta a essere perennemente posizionata, vista la sua filosofia "omnicomprensiva", dopo l'ultimo titolo: è davvero la fine della saga. Con questo lavoro Yoshiyuki Tomino trova l'apice della carriera, un ultimo gioiellino che attesta la sua importanza fondamentale del genere: dopo Turn A sarà destinato a realizzare opere semplici e disimpegnate che, pur simpatiche e talvolta gradevoli, non riusciranno a reggere il confronto con tutti i suoi cult realizzati nell'arco di trent'anni.
Verso la fine di quell'anno si arriva così all'ultimo grande esponente del decennio: il 13 ottobre è trasmesso il primo episodio del bel The Big O, destinato a trovare due stagioni per un totale di 26 episodi, sempre a opera dell'inossidabile Sunrise che in quel periodo è decisamente nel suo apice creativo. Qual è il mistero di Paradigm City? Perché tutti i suoi abitanti non hanno alcun ricordo di quanto accaduto quarant'anni prima? Cosa sono i giganteschi robot che sporadicamente appaiono in città mettendola a ferro e fuoco? Roger Smith, di professione negoziatore, con il suo lavoro si trova presto a indagarci, venendo a contatto con una realtà incredibile che cambierà per sempre la sua vita. Fortunatamente, a proteggerlo da chi intende tappargli la bocca, ci sono alleati fidati: Norman, maggiordomo tuttofare, Dorothy, ragazza cyborg dalla grande agilità, e il gigantesco, potentissimo robot da combattimento Big O. Creata dallo stesso regista Kazuyoshi Katayama, The Big O è un'originale serie televisiva capace di mescolare, in virtù della sua co-produzione internazionale (Sunrise e un colosso dell'intrattenimento americano come Cartoon Network), robottoni giganti e cupe atmosfere noir, mystery story e personalità psicopatiche di matrice nipponica, horror e gadget evveniristici alla 007, con disegni retrò e americanizzati che strizzano l'occhio al Batman animato della Warner Bros. Si parla di un pregevole thriller urbano, dove sono di scena i classici combattimenti robotici ma anche dark ladies, sparatorie, milionari depositari di sconvolgenti segreti, inserti cyberpunk (!) e sopratutto lente, fittissime indagini, pronte a tessere un mosaico estremamente complesso e cervellotico. Si tratta di una produzione autoriale, suggestiva e d'atmosfera, cadenzata da una regia evocativa, musiche epiche, corali e gregoriane e animazioni capaci di esplodere in una qualità cinematografica nei momenti action, ossia quando Roger Smith si mette a combattere in città col suo mastodontico Big O. Di certo stiamo parlando di un'opera non per tutti i gusti, con una vicenda così articolata da poter apparire confusionaria e un ritmo volutamente lentissimo che è apprezzabile come no; ma i grandi momenti di cui vive, sopratutto cinematografici, e la bellezza della storia bastano a renderlo un grande cult che chiude nel migliore dei modi gli anni '90.
Grande post!
RispondiEliminaRinnovo i miei complimenti per il lavoro fatto. Mi trovo d'accordo con l'opinione su Evangelion, che, ho provato a vedere, ma il mio cervello ha detto "NO!". Mi è subito sembrata una sboronata senza capo nè coda. Penso che darò molto volentieri uno sguardo a "Brain Powerd", quando avrò terminato le serie che sto seguendo al momento.Ancora complimenti!
RispondiElimina@ Claudio: visto che il Mistè latita, ti ringrazio anche a suo nome. :)
RispondiElimina@ Sara: mah, sai, è passato tanto tempo e quindi con gli occhi di adesso potrei sbagliarmi, eppure, al di là di tutto quello che si può giustamente dire su Evangelion, e criticarlo sulla sua falsità di fondo e sulla scopiazzatura di Ideon, io lo ricordo ancora, tutto sommato, come una serie di piacevole visione.
Voglio dire, non fraintendetemi, un po' il senso di apocalisse imminente, un po' gli scontri robotici ben fatti, un po' il bollino Anno, ecco, è qualcosa di superficialmente carino, niente più. :)
Non credo però lo consiglieri, e sicuramente hai ragione a concentrarti su Brain Powerd, cosa che dovrei fare al più presto anch'io. :)
Non sono assolutamente d'accordo su Evangelion. Innanzitutto è sbagliato inserire eva in un contesto robotico.Evangelion è altro:è analisi comportamentale, critica sociale e molto altro... Tutte cose che l'animazione giapponese, prima di eva, non ha mai trattato.
RispondiEliminaQuesta si chiama cultura, altro che stronzate !
Sono d'accordo che non è un anime tipicamente robotico, ma è considerato ed etichettato come tale, nella sua trama ha robottoni e reca in sè numerosi riferimenti ad anime di genere mecha (di cui il finale di The End of Evangelion rappresenta solo la punta dell'iceberg).
RispondiEliminaVero che racchiude in sè critica sociale verso otaku (come giustamente evidenziato nel dossier), ma non è stato nè il primo nè l'ultimo ad avere come protagonista un nerd come tu dici, già Gundam e Z Gundam vedevano come protagonisti giovani disadattati.
È uno straordinario esercizio di stile ottimamente diretto, con un messaggio sociale intrigante ("non stare a farti seghe mentali!"). Trovarci dentro altro significa essere appunto caduti nella sua trappola e non averlo compreso.
Ma Gundam, per quanto sia realistico non ha la stessa capacita di analisi di Eva. La matrice è uguale, ma la narrazione è differente.
RispondiEliminaSecondo me il messaggio di Eva è:ogni frammento della tua vita va vissuto, ed è questo che ti rende "umano"; è un po' diverso da "non farti le seghe mentali".
La psicanalisi di Eva è un'allegoria di tutti i mille voli pindarici che fanno gli otaku per spiegare ogni singola cosa.
RispondiEliminaLo stesso Anno ha detto questo in più interviste: son talmente tante, e tradotte un pò ovunque, che ti consiglio solo di farti una rapida ricerca con google sui risultati "Evangelion Ideon" "Evangelion analysis" etc.
La prima cosa che ho trovato, ad esempio su wikipedia alla pagina di Anno, è "[...]Anno respinse lo stile di vita da otaku che stava vivendo, considerandolo una forma di autismo forzato. Per questa e per altre ragioni, la trama di Evangelion divenne sempre più psicologica e introspettiva con il procedere della serie, nonostante fosse mandata in onda in un orario accessibile ai bambini. Anno sentiva che le persone dovevano essere esposte alle realtà della vita il più presto possibile[...]"
Oppure il collaboratore Tsurumaki (fonte, wikipedia alla voce Evangelion) dice "[...]per i non appassionati è inutile guardarlo. Se una persona che è già in grado di vivere e comunicare normalmente lo guarda, non imparerà niente[...]"
And so on...
Infatti.
RispondiEliminaE comunque con quel "superficiale" non intendevo la serie in sé, ma il semplice piacere visivo nel seguirlo (io mi sono anche divertito per via degli elementi che ho citato), o ancora peggio, il lasciarsi andare a esclamazioni tipo capolavoro o meraviglia per il suo "trattare" tanti temi.
Non so se lo consiglierei proprio perché il rischio di essere travisato, di essere appunto visto come qualcosa che non è, di non vedere l'intelligente "disonestà" (leggasi, buttiamoci dentro di tutto e di più senza alcun senso), è altissimo. Cose che, parer mio, danneggiano comunque la serie, perché, per completare il vero messaggio di Anno, spostano continuamente il tiro di Evangelion (vedi i due veri episodi finali, non The End of Evangelion).
@Jacopo:La psicanalisi di Eva non è roba solo per otaku. Se ti fai un giretto su wikipedia alla voce Jung, capirai che analizzare un essere umano, non è proprio una cosetta da fancazzisti.
RispondiEliminaLa bellezza degli esseri umani sta nella loro complessità.
@Simone:Guarda, io con gli otaku non c'entro proprio nulla, eppure considero Eva un capolavoro. Lo stesso pensano persone che conosco e anche loro sono normali.
Certo, non può piacere a tutti, ma dire che Jung, pirandello e Schopenhauer sono cazzate per otaku, è sbagliato.
Evidentemente non mi sono spiegato proprio bene.
RispondiEliminaNessuno ha detto che Eva sia apprezzabile solo per gli otaku, nessuno ha detto che sia brutto, nessuno ha detto che i padri della psicanalisi siano dei coglioni (ma da dove lo hai ricavato questo?).
Hideaki Anno lo ha vissuto e impostato come monito agli otaku, e coerentemente con quest'intenzione lo ha infarcito di ogni genere di elemento religioso e psincanalitico PER FARE FIGO, spiazzando e mandando in tilt la testa dello spettatore per far passare il suo messaggio di presa in giro (e il fatto che a tutt'oggi migliaia di fan ancora discutono sulle interpretazioni di Eva la dice lunga sulle seghe mentali che Anno ha voluto evidenziare). Questa NON E' un'ipotesi, sono FATTI, basati sulle interviste e sui commenti fatti da Anno e dai suoi collaboratori. Se poi non ci vuoi credere questa è un'altra cosa...
@Jacopo:guarda, io rispetto il tuo punto di vista, però secondo me stai facendo confusione. devi distinguere tra elementi religiosi (che sono solo una sovrastruttura) e psicoanalisi, che rappresenta il fulcro narrativo di Eva.
RispondiEliminaIl fatto che Anno abbia dichiarato di aver voluto prendere in giro gli i otaku, non significa che tutto quello contenuto in Eva sia buttato a caso, ma che ha creato qualcosa dove, loro sono protagonisti, ma in un contesto che non possono comprendere.
Grazie per la bella discussione...
Ciao
Grazie anche a te :)
RispondiEliminaCmq chiaro, il rispetto per le opinioni è assolutamente condiviso.