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lunedì 3 settembre 2012

Recensione: Red Garden

RED GARDEN
Titolo originale: Red Garden
Regia: Kou Matsuo
Soggetto & sceneggiatura: Tomohiro Yamashita
Character Design: Fujijun (originale), Kumi Ishii
Musiche: Akira Senju
Studio: GONZO
Formato: serie televisiva di 22 episodi (durata ep. 23 min. circa)
Anni di trasmissione: 2006 - 2007


Fare ricorso a un genere per parlare di tutt’altro è usanza comune nell’animazione nipponica, sul versante fantascientifico ci sono infatti enormi esempi di opere che sfruttano il contorno per immergersi in drammi psicologici, elaborazioni di concetti, profonde filosofie di vita – si tratta quindi di prodotti permeati di una certa, sentita eleganza, spesso realizzati da chi il genere lo ha amato e continua ad amarlo ma cerca quel quid in più, quella sostanza che stimoli una riflessione, che porti a sviluppare un pensiero, e non serve in fondo neanche citare Neon Genesis Evangelion (1995) per avere un’idea della materia trattata -. Con Red Garden (2006) ci si sposta in territori horror, che come certa tradizione vuole vengono in qualche modo appena citati, lasciati sullo sfondo per immergersi invece nelle vite scolastiche di quattro ragazze.

Si potrebbe pensare a un eccessivo taglio femminile e avvicinarsi sospettosi all’opera, d’altronde l’adolescenza ha in qualche modo paletti precisi da toccare e Red Garden parla di amicizie che si trasformano in storie d’amore, compagne di banco invidiose, difficoltà nel gestire scuola e lavoro, turbolenti rapporti con i genitori e insidiose rivali in amore, ma Tomohiro Yamashita, già sceneggiatore de Il conte di Montecristo (2004) e Afro Samurai (2007) per GONZO, è bravo a dare valore, forma e spessore alle vicende delle quattro protagoniste. Niente leggerezze o superficialità, quindi, ogni aspetto dell’avere sedici anni viene sviscerato con molta attenzione, prendendosi lunghissimi, lunghissimi momenti per far dialogare i personaggi e conferire un notevole realismo al tutto, senza mai asservirsi di gag o situazioni sempliciotte ma preferendo una certa cappa drammatica che dia consistenza alle caratterizzazioni (la timida e studiosa, la vamp, l’alternativa e l’infantile, quattro stereotipi tipo dell’adolescenza) e alle problematiche affrontate (una famiglia senza padre a cui dover badare, un lavoro insopportabile a cui si preferisce la disoccupazione e l’affitto da pagare, un suicidio in famiglia…). Interessante la scelta di un’ambientazione statunitense, opzione che permette a Fujijun e Kumi Ishii di spaziare in lungo e in largo con un chara assai singolare e piuttosto lontano dagli standard nipponici – un disegno, il loro, morbido, coloratissimo e particolareggiato, che pone grande importanza nel look e nel vestiario, che cambiano di episodio in episodio, se non addirittura più volte in un episodio soltanto -.

 

La trama portante rimane comunque ancorata all’horror, e per quanto sia semplice e scolpita in pochi elementi che compaiono versa la fine della serie, si compone di uno spunto decisamente bizzarro che vede due famiglie darsi battaglia da generazioni per il possesso di due libri dagli strani poteri occulti che continuano a rubarsi a vicenda. Ancora più assurdo è il destino delle quattro protagoniste, uccise e poi fatte risorgere per poter prendere parte allo scontro affrontando uomini-cane vestiti in giacca e cravatta (!). La gestione soprannaturale della vicenda non è di certo delle più complete e solide, gli avversari simil-canini acquisiscono un che di ridicolo quando si intuisce la loro genesi e il mantenere tutto avvolto nel mistero per farlo esplodere nelle ultime puntate impedisce di dare piena tridimensionalità alla vicenda, ma ci sono tanti, tanti episodi di notevole ispirazione (la sorte della sorella di Hervè, gli esperimenti, le bambole, i poteri che pian piano acquisiscono Kate e amiche), senza contare il pregio probabilmente maggiore dell’opera, ovvero la ricaduta psicologica che la guerra comporta alle quattro protagoniste, facendo affiorare in loro sentimenti ed emozioni contrapposti che continuano a rimetterle in gioco.

Dal punto di vista tecnico Red Garden si avvale di una sincronizzazione vocale tra doppiatori e i movimenti delle labbra dei personaggi, scelta vincente e piacevole soprattutto data l’importanza rivolta ai dialoghi – le animazioni per il resto rimangono in una norma accettabile, per lo stesso motivo, essendoci poca azione, non si richiede chissà quale qualità nei movimenti. Piacevole lo score, intenso e drammatico nel suo susseguirsi di arpeggi di pianoforte e orchestrazioni, e piuttosto insolito l’inserimento di una manciata di insert song, nei primi episodi, cantate direttamente dai personaggi in una sorta di momento-musical.


Red Garden richiede una certa pazienza per essere compreso e seguito: la stravaganza della trama ricompensa, per certi versi, del suo essere in secondo piano, con i vari combattimenti relegati negli ultimi secondi a fine episodio, mentre l’accurata introspezione psicologica può appagare chi cerca una maggiore dose di realismo. Potrebbe, insomma, annoiare a morte per la lentezza o esaltare per la ricchezza dei particolari – io voto per la seconda, voi fate un po’ quattro conti prima di iniziare.

Voto: 8,5 su 10

SEQUEL
Red Garden: Dead Girls (2007; OVA)

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