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giovedì 13 settembre 2012

Recensione: Texhnolyze

TEXHNOLYZE
Titolo originale:  téknolàiz
Regia: Hiroshi Hamasaki
Soggetto & sceneggiatura: Chiaki J. Konaka
Character Design: Yoshitoshi ABe (originale), Shigeo Akahori
Mechanical Design: Morifumi Naka, Toshihiro Nakajima
Musiche: Hajime Mizoguchi, Keishi Urata
Studio: Mad House
Formato: serie televisiva di 22 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2003

 

Texhnolyze (2003) inizia con ventiquattro minuti di puro astrattismo visivo, un intero episodio dove si susseguono immagini distorte, silenzi abissali, minimalismi sonori, un trip onirico dove personaggi e ambienti si fondono in un decadentismo oppressivo e straniante del tutto indecifrabile, un vero e proprio tour de force privo di storia e dialoghi con cui il regista Hiroshi Hamasaki prova già a scremare il suo pubblico, allontanando di botto i semplici curiosi e stuzzicando, forse, chi dall’animazione, e in generale dalla fantascienza, richiede qualcosa in più. Ma Texhnolyze è ben lungi dall’accontentare ed è avaro di leccornie anche per i più pazienti, perché poco o nulla accade nei successivi 3-4 episodi, focalizzati a dipingere ombre e malesseri della città sotterranea di Lux, atmosfere fumose e cariche di dolore che nascondo il minimo accenno narrativo sotto personaggi dall’agire misterioso e nebbiosi dialoghi centellinati. Bisogna quindi aspettare che i meccanismi narrativi entrino in azione, svelando lentamente le fondamenta che strutturano Lux e i suoi abitanti, Lux e le sue tre fazioni coinvolte in una perenne lotta per il potere (o libertà), Lux e la sua tecnologia avanzata mentre sullo sfondo la gente muore di fame, Lux e le sue classi sociali, Lux la sua corruzione, Lux e i suoi combattimenti clandestini… Un universo fatto di sospetti e parole sussurrate, un clima noir sottolineato da interventi musicali nerissimi, una realistica crudezza con cui mostrare la sofferenza e il disagio di Ichise, il centro della storia, il combattente che monta un arto texhnolyze (tecnologia di un livello talmente avanzato da avvicinarsi alla magia) e aspira, o meglio, gli altri aspirano per lui, povero burattino che non può reagire, il raggiungimento di un gradino superiore, di un’agiatezza disponibile, forse, soltanto in superficie.

 

Difficile parlare di ciò che Texhnolyze racconta, quest’intreccio politico dove gli appartenenti alle varie classi sociali della città si muovono guerra per ragioni giuste ed errate allo stesso tempo, dove ognuno sfoggia motivi validi ed egoismi aberranti, dove il marcio è l’unica possibilità per raggiungere il bello – forse è meno complesso parlare di come Texhnolyze racconta la sua trama, abbracciando dilatazioni temporali e immagini oblique (la sequenza del treno che continua ad apparire), tralasciando spiegazioni e negando allo spettatore dialoghi chiarificatori, concentrandosi su un aspetto esteriore/emotivo con cui trasmettere le atmosfere evocate, sensazioni di rabbia e dolore, di tristezza e apatia, di incomunicabilità e dipendenza, di sottomissione e ribellione. Ma Texhnolyze è un’opera da vedere proprio per questa caratteristica che la rende prodotto piuttosto unico nel panorama dell’animazione nipponica, simile per certi versi soltanto a quanto realizzato da Ryutaro Nakamura (Serial Experiments Lain, Ghost Hound). Non è tanto la trama scritta da Chiaki J. Konaka (anche lui dietro i deliri visivi di Lain), che comunque si sviluppa con soluzioni originali e spaventosa attenzione psicologica sia nel susseguirsi di eventi che nell’interazione tra personaggi, bensì l’inquietante messa in scena, la raggelante esposizione che colpisce e dà profondità ancora maggiore ai dialoghi interiori di Ichise, alla sua feroce ma controllata ricerca di vendetta, al suo indigesto asservimento. E a poco serve la raccomandazione di provare, tentare curiosamente con un paio di puntate: Texhnolyze va assorbito dall’inizio alla fine senza indecisioni, sarebbe impossibile altrimenti dare senso completo a una delle opere più potenti, visionarie e complesse mai viste in animazione.

Voto: 8,5 su 10

3 commenti:

  1. Un pugno allo stomaco e al cervello: un'opera complessa nei contenuti, eppure semplicissima nel racconto; ai lunghissimi silenzi dei primi episodi si alterna un didascalismo essenziale (in tutti i sensi) negli ultimi; il distacco raggelante e a tratti sconcertante con cui tutto viene narrato altro non è che il contoaltare di quello che è l'unico vero tema portante: il caos, l'evoluzione umana come finto progresso che porta unicamente all'inferno sulla terra e quindi all'estinzione. Non solo uno degli anime più anticonvenzionali mai visti, ma anche uno dei più crudi.

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  2. Vero, sicuramente un'opera difficile da digerire, in tutti i sensi (non solo visivamente, ma anche a livello di sensazioni ed emozioni, dato il suo essere particolarmente disturbante nel sonoro e nelle immagini).

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  3. Il miglior anime degli ultimi 17 anni.

    Coloro che adesso si stracciano le vesti da groupie tsundere di Urobuchi dovrebbero togliersi il cappello di fronte al signore che dieci anni fa portava il nichilismo della narrativa d'animazione a livelli mai più raggiunti (e mai più raggiungibili da qualunque sano di mente).

    Suggerisco fra i buoni propositi per il 2013 il recupero di Haibane renmei, che personalmente considero la faccia opposta della stessa medaglia.

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