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lunedì 21 novembre 2016

Recensione: Piano Forest

PIANO FOREST
Titolo originale: Piano no Mori
Regia: Masayuki Kojima
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Makoto Isshiki)
Sceneggiatura: Ryuta Hourai
Character Design: Shigeru Fujita
Musiche: Keisuke Shinohara
Studio: Mad House
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 101 min. circa)
Anno di uscita: 2007
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Kaze


Non è certo facile scrivere una bella storia su un argomento così di nicchia come la musica classica, eppure, ogni tanto, qualcuno riesce nell'impresa: qualche anno prima del Nodame Cantabile (2001) della Tomoko Ninomiya, è la mangaka Makoto Isshiki a farcela, col suo apprezzato e premiato Piano Forest (1998), recentemente conclusosi nel 2015 col 26esimo volume. Ispirata dalla visione di un documentario visto nel 1985 che mostrava il sovietico Stanislav Stanislavovich Bunin vincere il Concorso Pianistico Internazionale Frédéric Chopin di Varsavia (almeno così si legge ovunque in giro, ma la fonte ufficiale primaria, ossia una pagina web del sito ufficiale del Japan Media Arts Festival,  è purtroppo spirata rendendo impossibile confermare), la Isshiki ne trae spunto per raccontare una storia di crescita e di competizioni pianistiche tra due ragazzini delle elementari che diventano amici e rivali, Shuhei Amamiya e Kai Ichinose. Non sono in grado di fornire più contesto al manga, inedito in Italia e su cui è difficile reperire chissà che informazioni, ma è facile credere che condivida più di un'affinità col film cinematografico celebrativo che esce nel 2007 per Mad House (a opera ovviamente ancora in corso), lungometraggio che ottiene un ottimo risultato al box office giapponese finendo al 119esimo posto per incassi totali nel suo anno di uscita1 ed è pure selezionato in diversi festival del cinema, vincendo nel 2009 quello belga dell'Anima (Brussels Animation Film Festival) come miglior lungometraggio animato per ragazzi2. Non dev'essere assolutamente male il manga originale per aver portato al cinema così tante persone nonostante non sia mai stato trasposto in una serie TV, ed è forse anche per la mancata pubblicazione del fumetto in Italia che il film, arrivato anche da noi (direttamente in home video), troverà una totale indifferenza, venendo sistematicamente ignorato. Un brutto fato per quella che è sicuramente una piacevolissima pellicola.

Sia chiaro: la storia non è nulla di rivoluzionario. Piano Forest è una classicissima storia di formazione, incarnata, come nel fumetto, nell'amicizia/rivalità tra i due piccoli protagonisti Shuhei e Kai, profondamente divisi dall'approccio verso la vita e verso lo stesso strumento musicale. Shuhei, di famiglia agiata, vive la sua bravura con frustrazione in quanto essa è data da snervanti lezioni di pianoforte a cui lo hanno costretto fin dalla tenerissima età i ricchi genitori che immancabilmente lo hanno caricato di enormi aspettative. A causa della musica, il ragazzo non ha mai potuto avere una vita spensierata come i suoi coetanei e il suo rapporto con lo strumento tende quasi all'odio: può dare un senso alla sua esistenza piena di privazioni solo suonando. Kai, invece, vive nella povertà, non ha un padre ed è figlio di una prostituta, ma è felice, spensierato e soprattutto è l'unica persona al mondo in grado di tirare fuori il suono da un vecchio pianoforte abbandonato nella foresta (da qui il titolo della storia) in virtù di un talento innato e prodigioso. Frequentando la stessa scuola pubblica, i due finiscono sotto l'ala protettiva del maestro di musica Sosuke Ajino, geniale pianista decaduto (suo è il pianoforte nel bosco), che farà in modo si incontrino nel concorso pianistico nazionale. Rivedendo in Kai il sé stesso giovane, Ajino deciderà di insegnargli tutti i fondamenti che servono per imparare a leggere uno spartito. Abbiamo quindi una vicenda scheletricamente molto lineare e semplicistica, volendo anche essenziale, ma che, come tutte le buone storie, sfrutta il suo argomento per parlare di qualcos'altro, ben più interessante: l'esecuzione musicale come riflesso della personalità e del proprio background sociale, tra chi suona per dovere, corrispondondendo ad aspettative altrui e creandosi un futuro certo rinunciando all'innocenza fanciullesca, e chi lo fa per il gusto di farlo, per puro divertimento. Precisione e preparazione contro la passione: due mondi e concezioni a confronto che la Seconda Arte salderà in una bella amicizia.


Azzeccata l'idea di raccontare la vicenda dal curioso punto di vista di Shuhei, il ragazzo ricco, trattato in modo tale da diventare, paradossalmente (viste le premesse, in molti potrebbero erroneamente pensare che sia inquadrato come il classico archetipo dell'antagonista snob, freddo e arrogante), decisamente più simpatico dell'energico Kai. Si empatizza e si prova dispiacere per il suo brutto background familiare e si apprezzano le qualità e i difetti estremamente umani di questo fanciullo, sempre eccessivamente serioso ma di buon cuore, onesto, limpido, che vuole bene a Kai e ne ammira il talento sovrumano ma al contempo ne disprezza la propensione ad affrontare la musica e la vita come fossero un gioco. Kai, d'altro canto, è spensierato e rapprenta perfettamente la classica equazione povero = libero e felice, ma è decisamente più antipatico  in quanto sempre polemico, capriccioso e disinteressato a fare qualcosa per cambiare la sua vita. Abbiamo dunque una sorta di rovesciamento di stereotipi che rende più interessante del previsto la storia. Nel cast azzeccato va aggiunto anche il carismatico sensei Ajino, che convince pienamente nel ruolo di disilluso dalla vita a cui viene offerta l'occasione di tornare nel mondo della musica da cui si era ritirato.

Bella storia davvero, quindi, ben veicolata, nei suoi messaggi, da una bella analisi comportamentale del cast e dialoghi spontanei. I due bambini parlano proprio come dovrebbero parlare, litigano come dovrebbero litigare: si comportano, insomma, come farebbero due ragazzini della loro età, urlando spesso a pieni polmoni, reagendo ai bulletti della classe con pugni e battute di scherno, sprigionando quell'energia, tipica dell'infanzia, che porta a empatizzare con loro grandi e piccini. Ci si affeziona un po' a tutti in questa pellicola, insomma, apprezzando come lo sceneggiatore Ryuta Hourai abbia scritto dialoghi perfetti che ben rendono i modi di fare e intendere dei personaggi di qualsiasi età, condendo tutto con una ironia generale e posata (i rapporti tra Kai e gli altri ragazzini-prodigio che partecipano al concorso, o gli spiriti dei grandi compositori del passato che assistono il ragazzino) che rende la visione allegra. Le musiche, poi, sono fantastiche: le composizioni di Mozart e Chopin sono eseguite nella realtà dal grande pianista e direttore d'orchestra russo Vladimir Davidovich Ashkenazy3, ingaggiato per l'occasione da Mad House: la sua è una prova eccellente (non per nulla l'edizione del film in DVD, arrivata in Italia, è uscita in bundle con il CD della colonna sonora) che dà ulteriore fama e risalto a una bella storia celebrativa sulla musica.

Tuttavia, il film non è perfetto ed è a mio modo di vedere abbastanza penalizzato da due grossi difetti, il più grande dei quali consiste in una cornice tecnica semplicemente inadatta a un film cinematografico, che malauguratamente ben spiega perché il regista, Masayuki Kojima, intervistato sull'opera, dirà che non trova grandi differenze nel dirigere una serie animata o un film per il cinema4 (purtroppo per noi, si vede!). Con i suoi fondali sufficienti e la regia incolore, piatta e simil-televisiva, Piano Forest sembra uno Special TV maggiormente animato del solito, fallisce sistematicamente nel caricare di pathos le scene più significative impoverendo drasticamente quelli che dovrebbero essere i grandi momenti. Non è assolutamente un difetto da poco, in quella che dovrebbe essere una commovente vicenda di formazione elegantemente frammentata da epiche composizioni pianeristiche. Com'è reso il tutto, è grande la sensazione di un risultato che poteva essere sontuoso e raffinato e invece si rivela modesto e trascurabile. Secondo: il character design. Sarà fedele a quello del manga, ma a mio modo di vedere è sprecato in una storia simile. Così essenziale e minimalista, seppur colorato e abbastanza espressivo, sembra proprio il prodotto di un lavoro fatto con pochi mezzi e poca ispirazione, come fosse di serie B, e contribuisce ancora di più a inquadrare il film come un'opera a medio/basso budget. Peccato.


La modestia tecnica pregiudica sensibilmente il risultato finale ma non al punto da rovinarlo irrimediabilmente. Piano Forest rimane, anche coi suoi difetti, un lungometraggio molto piacevole e narrativamente ispirato, capace, nonostante l'argomento, di farsi apprezzare da qualsiasi genere di pubblico, grandi e piccoli, amanti della musica e non, e per questo non posso che consigliarne comunque la visione. In Italia, la casa distributrice Kaze gli ha addirittura (contando certi spettacolari orrori di doppiaggio di cui si renderà colpevole qualche periodo dopo, con altri titoli) regalato un ottimo doppiaggio, in cui Stefano Pozzi e Patrizia Mottola valorizzano con grande intensità recitativa l'energia di Shuhei e Kai.

Voto: 7 su 10


FONTI
1 Sito internet "Box Office Mojo", incassi giapponesi 2007, alla pagina web http://www.boxofficemojo.com/intl/japan/yearly/?yr=2007&sort=gross&order=DESC&pagenum=2&p=.htm
2 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 474
3 Come sopra
4 Intervista a Masayuki Kojima e Masao Maruyama, regista e produttore del film. Pubblicata alla pagina web http://movieplayer.it/articoli/l-animazione-secondo-madhouse-intervista-a-kojima-e-maruyama_5078/

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