mercoledì 1 febbraio 2012

Recensioni: Goshu, il violoncellista

GOSHU, IL VIOLONCELLISTA
Titolo originale: Cello hiki no Goshu
Regia: Isao Takahata
Soggetto: (basato sul romanzo originale di Kenji Miyazawa)
Sceneggiatura: Isao Takahata
Character Design: Toshitsugu Saida
Musiche: Yoshio Mamiya
Studio: Oh! Production
Formato: mediometraggio cinematografico (durata 59 min. circa)
Anno di uscita: 1982

 
In un paesino giapponese degli anni '30 del Novecento, Goshu è un ragazzo che fa il violoncellista nell'orchestra locale. Nonostante il talento, però, il ragazzo soffre di serie difficoltà a eseguire la sesta sinfonia di Beethoven che gli chiede, disperato, il suo direttore d'orchestra: iniziano quindi un po' tutti a preoccuparsi che possa rovinare il concerto previsto a giorni. Fortunatamente per Goshu, ogni sera inizierà a conoscere degli animali parlanti che verranno a trovarlo dentro la sua casa, chiedendogli di suonare per loro determinati pezzi che lo aiuteranno a migliorare le sue capacità.

Si sa che il famosissimo scrittore e poeta Kenji Miyazawa, alla cui poesia Isao Takahata attinge per dirigere Goshu, il violoncellista, scrive storie principalmente rivolte a un pubblico di bambini (tanto che, non a sproposito, viene spesso definito il Carlo Collodi del Giappone), ma anche sapendo questo è comunque difficile cogliere pienamente la grandezza di suddetto film. Lavoro che, nonostante la caratura del regista, la mole sperticata di lodi che continua a ricevere ancora oggi dalla critica e gli addirittura otto anni di realizzazione1 originari (girato da Takahata nella varie pause di lavoro dalle serie meisaku2 di Nippon Animation), continua a spaccare il pubblico, tra chi riesce ad apprezzare le sue atmosfere fiabesche, cogliendo l'intimo poetico, e chi no annoiandosi mortalmente.

Goshu esce esce nei cinema nipponici il 23 gennaio 1982, segnalandosi per l'autore come un grande ritorno alla regia in un lungometraggio personale e intellettuale, a ben quattordici anni dal disastroso flop del bel Hols - Prince of the Sun (1968): il suo è un sincero atto di amore verso la musica classica e, in secondo luogo, il tentativo di riavvicinare i gusti del pubblico alla letteratura e ai luoghi del loro Paese3, visto il grande fascino esercitato ai loro occhi dalle ambientazioni europee che sempre più capolino facevano in anime e film cinematografici. Per la sua durata, il film vede il protagonista esercitarsi a suonare pezzi di Beethoven, aiutato, notte per notte, da animali parlanti, il cui contributo simboleggia volta per volta la crescita artistica del ragazzo (il gatto la dedizione, il cuculo l'esercizio, il tanuki la passione e i due topolini il rigore) e il suo cogliere l'essenza della musica, pronti a esplodere, finalmente, nel concerto che chiude la storia.


Dal punto di vista squisitamente tecnico, Goshu è una pietra miliare: il lunghissimo tempo di sviluppo è servito ad animare in modo impressionante le movenze di mani e arti dei musicisti, e questo si riflette in frequenti momenti di grande impatto visivo, dove Takahata trasmette con grande efficacia l'epica magnificenza dell'esecuzione orchestrale e la simbiosi musica-immagini (pensiamo all'evocativa d'apertura, dove il brano musicale fonde metaforicamente i membri dell'orchestra con gli elementi della natura, o alle movenze del gatto durante l'interpretazione di Goshu de Caccia alla tigre indiana). Anche i fondali meritano un plauso: a opera del pittore Mukuo Takamura (che addirittura era disposto a pagare di tasca sua pur di partecipare al progetto4), riproducono con grande realismo i paesaggi rurali e le strutture urbanistiche degli anni '30 del Giappone, senza disdegnare comunque, nei momenti magici della storia, scenografie astratte e dai colori acquarellosi, vicini alla pittura cinese, che ricordano lo spettacolo di Taro the Dragon Boy (1979) e ben esemplificano i colori sognanti evocati da Miyazawa nel suo scritto. Resta tuttavia difficile, nonostante  meriti tecnici e artistici, indovinare quante persone potrebbero apprezzare un film simile, a meno che non siano già musicisti e sappiano immedesimarsi in Goshu e nelle sue difficoltà a suonare: in caso contrario, la storia difficilmente potrà emozionare, visto che si vede solo un ragazzo che si esercita, si esercita e ancora si esercita per prepararsi allo spettacolo che lo vede protagonista.

La breve durata della pellicola, la morale sull'impegno e sulla costanza e l'idea di rendere protagonista un giovane  insicuro con cui i timidi adolescenti dell'epoca potessero empatizzare5 sono elementi positivi che spiccano, ma, al di là di questo, chi scrive trova difficile giudicare un lavoro che a molti spettatori lascerà freddi, probabilmente rapiti dall'estetica dell'opera ma tediati dai contenuti (e infatti questo sarà il destino della pellicola, realizzata più come uno "svago d'autore" dal suo staff che come un'opera dalle forti mire commerciali, tant'è che Oh! Production non lo passerà ai grandi distributori e si accontenterà di coprirne le sole spese di produzione6). Molti vedono Goshu, il violoncellista come la più grande trasposizione animata mai operata alla letteratura di Kenji Miyazawa: è possibile, ma a mio parere, tra tutti i suoi scritti a cui potevano ispirarsi, Takahata e lo staff Oh! Productions hanno ripiegato, infelicemente, su quello più difficile, apprezzabile solo da una ristrettissima cerchia di spettatori. Certamente è un adattamento che non sfigura nella cinematografia del grande regista, ma, se non fosse per il nome di quest'ultimo e per la cifra stilistica/poetica che gli imprime con le atmosfere delicate e le dense colorazioni, ritengo che Goshu sarebbe facilmente caduto nel dimenticatoio della Storia.

Più interessante inquadrare l'opera nel contesto della storia personale di Kazuo Komatsubara, il grande chara designer della Toei Animation e fondatore dello studio Oh! Production che ha prodotto e animato l'opera: Goshu, da lui progettato, supervisionato e amato in ogni aspetto, simboleggerà il suo "avvicinamento" a Takahata e di riflesso a Miyazaki, tanto che sarà quest'ultimo a volerlo poi dietro ai disegni del primo, storico film prodotto dallo Studio Ghibli, Nausicaä della Valle del Vento (1984).


Nota: nonostante i pochi dialoghi, Goshu non ha avuto particolare fortuna in Italia, distribuito in VHS da ITB con doppiaggio/adattamento mediocri e mai riversato in DVD.

Voto: 7 su 10


FONTI
1 Mangazine n. 19, Granata Press, 1992, pag. 49-50
2 Mario A. Rumor, "The Art of Emotion: Il cinema d'animazione di Isao Takahata", Cartoon Club, 2007, pag. 190
3 Come sopra, a pag. 187
4 Come sopra, a pag. 191
5 Come sopra, a pag. 189
6 Vedere punto 1, a pag. 50

1 commento:

Gautier ha detto...

Io l'ho trovato misteriosamente poetico, cioè... Di una tale delicatezza.... Cioè: Sembra che non succeda niente, che nemmeno esista - il film - eppure ti rimane un impressione come se ti fosse sfuggito qualcosa, che sia sfuggito al ciò di cui hai coscienza, ma non al tuo inconscio, alla tua coscienza.

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