Pagine

mercoledì 1 dicembre 2010

Recensione: Hungry Heart - Wild Striker (La squadra del cuore)

HUNGRY HEART: WILD STRIKER
Titolo originale: Hungry Heart - Wild Striker
Regia: Satoshi Saga
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Yoichi Takahashi)
Sceneggiatura: Yoshiyuki Suga
Character Design: Kenichi Imaizumi
Musiche: Noboyuki Nakamura
Produzione: Nippon Animation
Formato: serie televisiva di 52 episodi (durata ep. 23 min. circa)
Anni di trasmissione: 2002 - 2003

 
Fratello di Seisuke Kano, talentuoso centrocampista nipponico recentemente acquistato dal Milan, il teppista Kyosuke ha smesso da anni a giocare a calcio, stanco di venire paragonato a lui. È la sua compagna di classe Miki Tsujiwaki a fargli riaffiorare la sopita fame di gol, dopo averlo obbligato a fare da CT alla squadra di calcio femminile per una settimana. Attaccante nato, Kyosuke si unisce quindi alla squadra della sua scuola superiore, Joyo Akanegaoka, e con l'aiuto di altre due talentuose matricole (il centrocampista brasiliano Rodrigo e il portiere di origini inglesi Koji Sakai Jefferson) trascina il gruppo fino ad ambire a qualificarsi al campionato nazionale...

Sono curiosi i casi della vita. Può accadere che in tempi quasi contemporanei un affermato autore manga crei non uno ma ben due lavori premiati con una trasposizione animata: ma se quello migliore, ben più famoso (Captain Tsubasa: Road to 2002) è devastato da un adattamento animato orribile (Road to Dream), il fratellino minore, disegnato svogliatamente nei ritagli di tempo e fin troppo palesemente ispirato a Slam Dunk, dà origine a uno dei migliori anime sportivi del nuovo secolo. Mi sto riferendo alla controparte animata di Hungry Heart, Wild Striker, serie nè matura nè profonda, neanche una storia calcistica reale viste le regole di fisica e gioco chiaramente "tsubasiane", ma intrattenimento genuino, di quelli che ti fanno volare 50 e più episodi in pochi giorni. Un'opera che appassiona come non mai, grazie a tanti piccoli accorgimenti che riescono a mascherare l'estrema povertà del suo comparto tecnico da classico prodotto medio-low budget. La sola sigla d'apertura, 2nd Stage dei KIDS ALIVE, è d'antologia e meriterebbe di essere annoverata come esempio di opening ideale: non solo musicalmente potente (gasante brano hard rock), ma capace di ispirare qualsiasi tipologia di spettatore a dare un'occhiata anche solo al primo episodio. Il character design, d'altro canto, è coloratissimo, accattivante e moderno, rappresentando un ottimo upgrade dell'originale tratto spoglio, sproporzionato e senza varietà di Yoichi Takahashi.

La storia segue abbastanza fedelmente il breve (6 volumi) manga, salvo poi prenderne totalmente le distante spingendosi molto, molto più avanti coi fatti temporali, presentando nuovi personaggi e situazioni e rivelando appieno la potenza del suo soggetto, che non è la solita storia dei debuttanti che vincono il torneo nazionale. Nell'arco di 52 episodi, infatti, la squadra dell'Akanegaoka arriva a perdere un numero elevatissimo di partite importanti, ritrovandosi per anni a seguire il sogno di accedere al torneo nazionale. Incivile rivelare altro, ma bisogna dare atto al regista di aver privilegiato un approccio reale (almeno in questo!) al calcio, perché una volta tanto non c'è più la squadra invincibile che vince sempre (rispetto a quelle di Captain Tsubasa), ma semplicemente un team dal gran potenziale che, per pura sfortuna o anche, perché no, per manifesta inferiorità, spesso finisce con l'affogare nelle lacrime il dolore di aver perso le classiche "partite della vita". E così, tra partite, storie d'amore e racconti di formazione si continua così fino alla fine: 52 episodi che si suddividono tra match e vita privata, con una grande enfasi posta sulle love stories e sul rapporto fraterno tra Kyosuke e Seisuke, più approfondito che nel manga.

 

Inevitabili comunque ingenuità di sceneggiatura, che spesso si perde nei più banali e inverosimili clichè da shoujo per illustrare gli intermezzi sentimentali. Stesso discorso va rivolto all'approccio scelto nell'affrontare le partite di calcio con un piglio un pelo più realistico rispetto a Captain Tsubasa per quel che riguarda le capacità di gioco dei calciatori, che cozza paurosamente con strategie del tutto inverosimili del livello di "passate a Kyosuke e sperate che segni". Pur importanti all'economia della vicenda, le storie sentimentali e la parte sportiva sono però solo una delle tanti componenti di Wild Striker, che trova vera linfa sopratutto sulla celebrazione, un po' datata ma sempre attuale ed educativa, dei principi di amicizia e impegno che contraddistinguono chi gioca uno sport in una squadra. Ci si affeziona molto a ogni singolo giocatore del Joyo, non ce ne è uno che non sia caratterizzato quel tanto che basta per ispirare simpatia, e il cameratismo che lega tutti i giocatori risulta in più punti davvero epico, superando di diverse grandezze quello retorico e idealizzato di Captain Tsubasa (dove, per quanto se ne dica, sono sempre le azioni dei singoli a decidere le partite - qui nessuno, protagonista compreso, dimostra mai di essere determinante se non coadiuvato dall'impegno degli altri componenti della squadra -). Il cast si può così vantare di essere, oltre che numeroso, anche ben variegato. Non solo i personaggi principali, ma anche quelli secondari godono di una buona caratterizzazione che porta lo spettatore a volergli bene.

Se sotto il profilo di storia e personaggi Wild Striker splende, in termini tecnici si avvicina di molto alla versione animata del suo triste fratello maggiore. È vero che non è comune in anime odierni trovare animazioni di una qualità eccezionale, ma passati vent'anni da Captain Tsubasa si sperava che i campi di calcio lunghi chilometri fossero solo un ricordo. Le partite, fortunatamente, si snodano per un massimo di due episodi, ma rappresentano un susseguirsi ininterrotto di immagini statiche, animazioni legnose, rallenty esasperati, sequenze di gioco riciclate e movenze dei giocatori improbabili (con una fisica della palla fuori da ogni realtà). Non è il massimo, sopratutto se tutto questo è condito da una colonna sonora generale infima, lontana anni luce dai motivetti accattivanti di Captain Tsubasa. Nonostante i numerosi difetti di natura tecnica (anche il chara design, grande punto di forza della serie, meraviglioso nei primi piani scema paurosamente nelle inquadrature da lontano), e di una forte accellerazione degli eventi presenti nell'ultimo arco narrativo (l'opera non conosce il successo auspicato ed è costretta così a chiudere prematuramente), per decretare la caratura di Wild Striker basta soffermarsi sull'ultimo episodio, davvero commovente e trasportato dalle dolci note della toccante Song for Lover. E qualsiasi opera animata riesca a colpire lo spettatore in modo tale da lasciargli dentro una forte nostalgia per i personaggi che non rivedrà più... potrà essere tecnicamente scarso quanto si vuole, ma una sua dignità da rivendicare ce l'ha.


Rispetto ai mille altri anime calcistici Hungry Heart: Wild Striker a mio parere si aggiudica, senza particolari sforzi, lo scettro di migliore della categoria. Una visione che va consigliata sia agli appassionati di sudetto sport che a quelli occasionali. Da non farsi spaventare dall'accennata chiusura anticipata, visto che il finale, pur giunto in anticipo, non è per nulla nè tronco nè aperto.

Voto: 7,5 su 10

Nessun commento:

Posta un commento