Pagine

lunedì 9 settembre 2013

Recensione: Highlander - Vendetta immortale

HIGHLANDER: VENDETTA IMMORTALE
Titolo originale: Highlander - Vengeance
Regia: Yoshiaki Kawajiri
Soggetto: (basato sul film originale di Russell Mulcahy)
Sceneggiatura: David Abramowitz
Character Design: Hisashi Abe
Musiche: Jussi Tegelman, Nathan Wang
Studio: Mad House
Formato: film cinematografico (durata 80 min. circa)
Anno di uscita: 2007
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Dall'Angelo Pictures


Colin MacLeod è uno spadaccino Highlander e come tutti gli appartenenti alla sua specie è immortale, a patto non gli venga tagliata la testa. La sua nemesi è Marcus Octavius, anch'egli un Highlander, e la loro rivalità ha origine dai tempi dell'antica Roma, quando quest'ultimo uccise la donna dell'eroe. Duemila anni dopo, il loro conflitto prosegue in un futuro post-apocalittico dove New York è ridotta a macerie e governata con pugno di ferro proprio da Marcus...

Non è un mistero che i valori culturali e la sensibilità giapponese siano distanti anni luce da quelli occidentali. Pensiamo alla saga cinematografica Resident Evil di Paul W. Anderson, che ha trasformato in una cafonata action le inquietanti atmosfere del videogioco, o all'ormai abusato vizio hollywoodiano di realizzare remake di horror asiatici perché gli originali sono "troppo lenti". Le rare, felici contaminazioni sono rappresentate, inversamente, dalla rilettura made in Japan di pellicole americane che già di loro strizzano l'occhio a estetica o idee dell'immaginario dagli occhi a mandorla: opere come Animatrix o, appunto, questo Highlander: Vendetta immortale, curiosamente entrambi realizzati, a pochi anni di distanza, dall'acclamato regista action Yoshiaki Kawajiri, dietro una co-produzione americana. Rielaborazione 100% nipponica del cult movie di Russell Mulcahy, Vendetta immortale si configura come il classico film di virtuosismi registici del regista; quasi un clone, per design e contenuti, dell'ugualmente noto Bloodlust da lui realizzato sette anni prima.

La trama non può che essere, come da tradizione, puramente accessoria, storia di vendetta ordinaria fino al midollo, dove il protagonista figo di turno avanza verso la sala del trono del nemico affettando e distruggendo tutto quello che incontra, con l'aiuto di una ragazza discinta e armata, appena conosciuta, e un ragazzino che come come da regola è petulante e inopportuno. Nulla che non sia ampiamente scontato e stereotipato, come prevedibile è ovvamente il registro linguistico da B movie. Fortunamente Vendetta immortale è uno di quei film facilmente godibili a cervello spento, che anche per effetto della loro breve durata fanno il loro lavoro senza annoiare. Compiace notare come il lungometraggio di culto di Russell Mulcahy, già di suo debitore, coscientemente o meno, dell'immaginario collettivo nipponico (nel soggetto, nei costumi, nelle atmosfere da thriller urbano e nei frequenti, indiavolati duelli di katana), si presta non solo idealmente, ma perfettamente a venire riletto dalla sensibilità di Kawajiri_ pur scritto, musicato e anche doppiato da americani, l'opera sembra spartire ben poco con loro, dall'alto di tutte quelle caratteristiche estetiche e coreografiche (i vestiari kitsch, i look bizzarri, fantasiose danze di morte con la spada) che rimandano al mondo di manga e animazione.


Kawajiri si sbizzarrisce ancora una volta in quello che gli riesce meglio, filmando sequenze adrenaliniche che avrebbero molto da insegnare a molti registi d'azione occidentali. Uno di quei film dove ad assurgere ad arte non sono i contenuti, ma la forma. Un giro su un ottovolante di animazioni stratosferiche, intuizioni visive, pieghe dei vestiti che si flettono realisticamente a seconda dei movimenti, disegni post-moderni e CG di alto livello, dove l'occhio è perennemente rapito da combattimenti frenetici gestiti con una regia e una fotografia di incredibile raffinatezza (perse del tutto, però, le tinte unite che caratterizzano la totalità dei lavori di Kawajiri). L'ennesimo capolavoro tecnico del regista.

Buona, almeno, la caratterizzazione del villain: Marcus è effettivamente carismatico nella sua descrizione, questo gelido, crudele e intellettuale legionario che combatte, lungo ben duemila anni di Storia, in ogni regime politico che gli ricorda la "bellezza, eleganza e senso dell'ordine" della sua adorata Roma imperiale. Decisamente piacevoli, in questo senso, i numerosi flashback che costellano il racconto, atti a mostrare i combattimenti tra Colin e Marcus durante le svariate guerre che li vedono protagonisti nel lungo flusso della Storia. Non c'è altro da dire su un lungometraggio che ha una storia di incredibile banalità ma che, dall'alto della sua regia suprema, riesce a farla digerire come fosse la cosa più trascurabile del mondo. Un'opera che, giustamente, piacerà a critica a pubblico, rappresentando forse l'unico, degno episodio di Highlander accostabile al capostipite. Da guardare una volta tanto con doppiaggio italiano, vista l'atrocità di quello originale inglese.

Voto: 7,5 su 10

1 commento:

  1. La storia è puramente accessoria, però mi è piaciuta molto l'idea che lega il protagonista alla donna di turno, che è poi il fulcro del soggetto.

    RispondiElimina