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lunedì 29 settembre 2014

Recensione: Aldnoah.Zero

ALDNOAH.ZERO
Titolo originale: Aldnoah.Zero
Regia: Ei Aoki
Soggetto: Gen Urobuchi
Sceneggiatura: Katsuhiko Takayama
Character Design: Masako Matsumoto
Mechanical Design: Kenji Teraoka, I-IV
 Musiche: Hiroyuki Sawano
Studio: A-1 Pictures, TROYCA
Formato: serie televisiva di 12 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2014


Il lavoro in ambito televisivo deve sottostare a determinate regole non dette ma che tutti sanno, è difficile sgarrare ed è molto più facile che, a osare troppo, corrisponda un rifiuto o una mancata comprensione che rovina qualsiasi buon proposito. Pur con un immaginario vastissimo e apparentemente senza limiti di sorta (impossibile non pensare allo sfruttamento erotico dell’immagine femminile), sempre di televisione si tratta, e censura e correttori indicano vie narrative più strette ma sicure da percorrere. Chiaro quindi che diventi sempre più faticoso incastrare storie nuove in dettami comunque rigorosi, appare infatti pesante e scettico il sudore di un autore nel tentare, se non una strada del tutto nuova, almeno un innesto di varianti per uscire dai tunnel pre-impostati. Gen Urobuchi ci prova da tempo, critica e pubblico lo apprezzano e ciò significa che sta facendo un buon lavoro anche se, ovviamente, allontanarsi da certi vincoli non gli è permesso e mamma TV è sempre lì a ricordargli che non può ancora dare vita al suo vero capolavoro. Tra la violenza scioccante di un Puella Magi Madoka Magica (2011), le morti inusuali di Psycho Pass (2012) e la metafora sul mondo del lavoro di Gargantia on the Verdurous Planet (2013), Urobuchi si destreggia bene con la penna e anche con lodevole coraggio inventivo, eppure continua a sfuggirgli l’occasione di un’opera matura e finemente strutturata secondo voleri e capacità che visibilmente bollono nelle sue sceneggiature ma che per il momento non sono esplose.

Anche Aldnoah.Zero (che si farà ricordare, assieme a Silver Will Argevollen dello stesso anno, per uno dei titoli più strani e impronunciabili nella Storia, già bella fornita, del robotico) è il solito buono lavoro ma, allo stesso tempo, un’opera che non mostra tutte le sue potenzialità e si limita, al di là del suo prevedibile frazionamento in due stagioni, a fare un compitino e a rimangiarsi tutto il fuoco che poteva esprimere.


Per quanto si dedichi alla stesura del soggetto e alla scrittura dei soli primi tre episodi, lasciando il resto all’esperto Katsuhiko Takayama, la penna di Urobuchi è ben visibile in quello che la maggior parte dei suoi colleghi sceneggiatori non sa fare o sa fare male: il disegno dei personaggi e di uno scenario che, pur partendo da modelli di certo non nuovi, trasudano robustezza e attenzione, sono creati con intelligenza e, nonostante difettino in sorprese o invenzioni, possiedono quella solidità narrativa necessaria per sopravvivere nel mondo dell’animazione. Un protagonista come Inaho, freddo e calcolatore, al limite del genio, è il prototipo dell’eroe, si è visto in decine e decine di opere, eppure il suo parlare piano e la pacata risolutezza con cui guida i compagni lo distingue quanto basta. E lo stesso teorema è applicabile all’intero cast, dal nemico/amico Slaine al carattere forte e sincero della principessa Asseylum, ogni personaggio è una configurazione piacevole e avvincente di un cliché, a volte  riuscito altri meno: scelta perfetta, piace al pubblico perché ritrova i modelli che conosce, piace alla critica perché trova quel dettaglio e quel riguardo non disponibili altrove.

Mi piace pensare che, una volta costruito dei bei personaggi, il difficile sia fatto, e che muoverli in uno scenario diventi quasi automatico: l’intreccio di Aldnoah.Zero è infatti classico e, come buona parte dell’animazione robotica, pesca un po’ qua e un po’ là (in particolare dall’onnipresente e saccheggiatissimo Mobile Suit Gundam del 1979), mettendo insieme una rivalità tra terrestri e coloni marziani che culmina in un attentato di questi ultimi ai danni della loro principessa, scesa sulla Terra per un’importante manifestazione. La guerra che ne consegue, in un panorama così affollato, non avrebbe niente da offrire, ma Urobuchi lavora ancora di dettagli, e il gioco funziona: non è l’originalità di una storia a colpire, ma come la si racconta, la narrazione è elemento fondamentale e il papà di Madoka sa cosa mostrare e cosa no, sa quando è il momento di far parlare i personaggi e quando servono le mazzate robotiche.

In una trama quindi già vista e prevedibile, dove comunque la moltitudine di caratteri opera felicemente forgiando una bella varietà psicologica (in un genere come il robotico dove tutto sembra già detto e sia impossibile, dopo un’ultima traccia di vita come Gurren Lagann (2007), aggiungere qualcosa di ancora valido), Urobuchi opta di nuovo per compiacere pubblico e critica con un mecha design, a cura del bravo Kenji Taraoka, fresco e vario e che, pur nella sua infelice realizzazione in un 3D che pare ahimè ormai inevitabile, diventa vero e proprio traino della serie. I castelli orbitali del popolo nobiliare di Marte sono robot colossali e pachidermici, ognuno si distingue dall’altro per fattezze morbide, armi a disposizioni e meccaniche segrete: si va da un dispositivo che annulla, cancellandola, qualsiasi cosa tocchi l’armatura a una molteplicità di arti che combaciano in una serie di trasformazioni rapidissime e maestose, ed è talmente ampio e interessante l’esercito di Marte, pur non disponendo che di una mezza dozzina di robot, che anche la semplicità delle macchine usate dai fuggitivi terrestri (i Kataphrakt terrestri sono assimilabili ai Tactical Armor di Gasaraki nella loro serialità e intercambiabilità), con un disegno scheletrico e molto rigido che può ricordare i primi Knighmareframe di Code Geass: Lelouch of the Rebellion (2006), è così fresca e funzionale da apparire perfetta in una battaglia come quella inscenata e ben diretta, con giusto dispiego di pause e accelerazioni, da Ei Aoki.


Il resto, come detto, non si discosta da certi prototipi ormai consolidati, Aldnoah.Zero non riserva grosse sorprese e, quando potrebbe sferrare qualche pugno ai reni (una certa uccisione, alcuni litigi tra i ragazzi, alcune decisioni nei vertici della nobiltà marziana), i paletti televisivi lo bacchettano negandogli l’azzardo e obbligandolo a binari ben più rodati. Piace comunque un protagonista che non è unico pilota dei Kataphrakt né tanto meno, per quanto audace e intelligente, esempio assoluto da seguire per via dell’inesperienza sul campo di battaglia. Sono solo dettagli, come dicevo più su, ma sono i dettagli a fare la differenza.

Voto: 7 su 10

SEQUEL
Aldnoah.Zero 2 (2015; TV)

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