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giovedì 19 aprile 2012

Recensione: Il castello nel cielo (Laputa)

IL CASTELLO NEL CIELO
Titolo originale: Tenkū no Shiro Laputa
Regia: Hayao Miyazaki
Soggetto & sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Character Design: Hayao Miyazaki, Tsukasa Tannai
Mechanical Design: Hayao Miyazaki
Musiche: Joe Hisaishi
Studio: Studio Ghibli
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 119 min. circa)
Anno di uscita: 1986
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Lucky Red


Braccata da un gruppo di pirati dell'aria, interessati all'Aeropietra che porta al collo, e dal governo mondiale che comanda su tutto il globo, deciso a sfruttare alcuni suoi misteriosi poteri, la bella Sheeta cerca di fuggire dall'aeronave in cui è prigioniera, ma scivola e precipita nel vuoto da un’altezza vertiginosa. Prima di schiantarsi al suolo, però, la sua pietra, dono dei suoi defunti genitori, si illumina e con poteri soprannaturali ne interrompe la caduta, adagiando la ragazza, svenuta, tra le braccia del minatore Pazu, bravo e onesto, che la porta a casa sua per accudirla. Quando Sheeta riprende conoscenza, il giovane scopre che la ragazza è una discendente del leggendario popolo del castello di Laputa, unica fortezza volante sopravvissuta al cataclisma che, millenni prima, ha distrutto le civiltà del cielo, costringendo l'umanità a vivere sulla terra: decide non solo di aiutarla a fuggire da tutti quelli che le danno la caccia, ma anche di farla tornare nel mitico regno, nascosto nei cieli e dalle tempeste, da dove provengono i suoi antenati...

Il parere del Corà

Nel 1985, forte del grande successo di Nausicaä della Valle del Vento (1984), il team-up tra Hayao Miyazaki e Isao Takahata dà vita allo Studio Ghibli, che partorisce la sua prima opera l’anno successivo. Ed è proprio l’isola di Laputa, inventata da Jonatthan Swift, la protagonista dell’omonima pellicola che Miyazaki, avvalorato dalla produzione di Takahata, crea, disegna, scrive, e dirige, curando personalmente ogni minimo particolare. L’accoglienza di pubblico e critica è ottima, Laputa: Il castello nel cielo vince più di un premio come miglior film d’animazione e si rivelerà il primo di una sterminata serie di successi per lo studio Ghibli.

Ispirato a due precedenti opere dello stesso Miyazaki, il già citato Nausicaä e il bellissimo
Conan il ragazzo del futuro (1978), dalle quali ne riprende gli scenari steamfantasy e i temi principali come l’antimilitarismo e l’ecologia, in realtà Laputa fatica anche solo ad accostarsi a tali masterpiece, mostrandosi progressivamente come una pellicola dal potenziale smisurato ma superficialmente sfruttato.

È proprio superficialità il termine ideale per descrivere sommariamente Laputa: personaggi, vicende e scenari, ogni cosa viene tratteggiata con pochi cenni, evitando sin da subito ogni minimo approfondimento in favore di uno stordimento visivo che colpisce indubbiamente lo spettatore attraverso inseguimenti impossibili e combattimenti nei cieli. Aereonavi dettagliatissime, impressionanti mezzi da guerra che solcano i cieli, colossali mecha in grado di volare, e ancora meccanismi antichi ed enigmatici e motori che funzionano grazie a una spinta magica, la forza grafica e immaginifica di Laputa è infatti indiscutibile, e anche se le animazioni non raggiungono l’eccellenza che garantirà lo studio Ghibli nel giro di poco tempo, assistere a momenti di pura adrenalina come l’inseguimento sulle rotaie tra un treno e un’automobile scassata, lo scontro a fuoco nel castello tra un robot indistruttibile e decine di soldati e la grande battaglia finale con catastrofismi assortiti tra le nuvole, lascia semplicemente di stucco, perché lo stile unico di Miyazaki nel dare quel tocco buffo alle fisionomie dei personaggi e alle loro movenze rende irresistibile ogni istante d’azione.



Al di là di tanto sbrodolamento, però, Laputa non riesce mai a coinvolgere pienamente, a causa di un soggetto estremamente banale che manca di forza e mordente per tenere incollati i quasi 120 minuti di durata. I classici protagonisti miyazakiani, come Sheeta e Pazu, sono scolpiti frettolosamente in una brutta, brutta copia di Conan e Lana (sovrumanamente forzuto lui e tenera ma decisa lei), il villain di turno, il colonnello Muska, soffre di una personalità bidimensionale che lo rende piatto e incolore come antagonista, e il resto della ciurma si adagia sullo sfondo, senza più di tanto interferire (il Generale). A livello di personaggi si salvano soltanto i pirati, simpatici combinaguai protagonisti di alcune gag piuttosto riuscite.

Il resto viaggia sulla stessa, costante mediocrità, con uno scenario a malapena bozzato, dove nulla si sa di quest’isola misteriosa, della sua storia e delle leggende che nasconde, che si limita a contenere una storia esageratamente lineare e didascalica, priva di qualsiasi crescendo soprattutto nella lunga apocalisse conclusiva, dove tutto sembra seguire uno schema vuoto e povero. Anche sul versante dialogico si sbatte la testa contro momenti di sgangherata solennità (i vari sermoni di Muska, poco credibili da un punto di vista discorsivo) alternati ad altri di grigiore colloquiale.

Laputa: Il castello nel cielo fa parte quindi dei film minori di Miyazaki, quelli dove lo sfarzo grafico supera ampiamente la genuinità della storia: una visione comunque piacevole, ma date le simili atmosfere e contenuti, meglio tornare a gustarsi la bontà di un Conan e la potenza di un Nausic
.

Voto: 6 su 10

Il parere del Mistè

Il castello di Laputa appare per la prima volta nel romanzo I viaggi di Gulliver (1726) di Jonathan Swift, quando l'eroe, dopo i lillipuziani e i giganti, s’imbatte in quest’isola volante manovrata da matematici e astronomi per mezzo di un potente magnete. Salto in avanti. Nel 1985, grazie all'ottimo successo commerciale di Nausicaä della Valle del Vento (1984), Hayao Miyazaki e Isao Takahata realizzano incassi sufficienti a coronare il loro sogno di dirigere uno studio d'animazione tutto loro: danno vita allo Studio Ghibli, che finalmente gli permette di autofinanziare le proprie visioni senza scendere a compromessi con nessuno. Nel 1986, proprio l'isola volante di Laputa diventa, così, protagonista e titolo (ritradotto in Italia come Il castello nel cielo) del loro secondo lungometraggio cinematografico, nuovamente prodotto da Takahata e curato in ogni singolo dettaglio da Miyazaki - quest'ultimo restituirà il favore producendo a sua volta, l'anno successivo e sempre con Studio Ghibli, il film-documentario Storia dei canali di Yanagawa del suo collega, che però qui non sarà trattato non essendo un anime. Al box office, l’accoglienza di pubblico è buona (seppur al di sotto delle aspettative, un incasso di 150 milioni di yen in meno di Nausicaä1), la critica è entusiasta (il film vince decine di premi, di cui almeno la metà come miglior film d’animazione dell'anno), e gli introiti danno ulteriore stabilità economica a Ghibli. Il risultato è insomma, soddisfacente, e ha inoltre il "merito" di "consolare" Miyazaki, che con questa storia può, al costo di qualche cambiamento per evitare problemi di copyright (dalle ambientazioni e tecnologie dei romanzi di Jules Verne si passa a quelle di Swift), sviluppare in essa quel suo vecchio, rimpianto e abbandonato progetto Kaitei Sekai Isshû, depositato alla TOHO e di cui ha perso i diritti, che già a sua volta aveva saccheggiato in passato per trasporne molte idee in Conan il ragazzo del futuro (1978)2. Prendendo spunto da lui, da Conan e da Nausicaä, Miyazaki ripete quindi in Laputa gli stessi temi (gli scenari steampunk e una visione ecologica che rifiuta il progresso smisurato dell'industria e della tecnologia) e li rivitalizza con il suo amore per le macchine volanti, traducendo il tutto in un filmone d'avventura pirotecnico e spensierato in cui scatenarsi con gioia in azione, inseguimenti e battaglie aeree.

Con questo grande, davvero grande film, il regista realizza il primo manifesto davvero compiuto della sua visione poetica e artistica, in cui concentrare buona parte delle caratteristiche del suo stile: personaggi, vicende e scenari spesso (come in questo caso) puramente asserviti a uno stordimento visivo che possa meravigliare lo spettatore, che lo cali dentro una fiaba traboccante di sense of wonder. Dettagliate aeronavi che solcano i cieli, scenari ancestrali, città industriali dalla meticolosa resa architettonica (ispirate alle campagne e alle zone minerarie del Galles3), meccanismi misteriosi e motori che funzionano grazie a una spinta magica attestano l'immaginifica forza grafica di Laputa, con animazioni che già nel 1986 sono ancora una volta così avveniristiche da bastare da sole a creare un immenso senso di meraviglia e a enunciare la filosofia miyazakiana del mostrare più che raccontare. Assistere a momenti di pura suggestione, come il divertente inseguimento sulle rotaie tra un treno e un’automobile scassata, lo scontro tra un robot indistruttibile e decine di soldati in cima a un castello, la grande battaglia finale con catastrofismi assortiti, o anche solo alla fotografia strabiliante che mostra, con paesaggi da cartolina, la bellezza eterea e solitaria delle rovine di Laputa, lascia semplicemente di stucco, perché lo stile "magico" di Miyazaki nel dare quel tocco buffo alle fisionomie dei personaggi, alle loro gestualità e ai luoghi in cui si muovono, creando un'estetica ipnotica, rende il tutto irresistibile.

Si potrà, certo, concordare che Sheeta e Pazu sono molto derivativi, scolpiti in una copia meno incisiva di Conan e Lana, e che lo stesso destino è toccato al colonnello Muska, clone di Lepka; ma d'altro canto il film si regge pienamente su sé stesso, è indipendente, ed è inutile stare a fare paragoni con la serie televisiva del 1978 che, oltretutto, proveniva dallo stesso soggetto. Se proprio si vuole continuare su questa strada allora bisognerà ammettere che, rispetto al capitano Dyce del passato, sono molto, molto più spassosi i pirati del lungometraggio, combinaguai protagonisti di gag che più di una volta strappano una risata, grazie alla loro umanità e alla caratterizzazione del simpaticissimo capo Dora. Altro neo rinfacciato a Laputa da parte del pubblico concerne la mancanza di background sulle origini del castello volante, ma questo è un difetto di narrazione solo per il pubblico occidentale, visto che la cosa non ha alcuna ripercussione e anzi, rende ancora più evocativa e aperta alle interpretazioni la genesi della civiltà che lo abitava e il mistero sulla sua bizzarra struttura - la prerogativa del pretendere spiegazioni su tutto non appartiene alla sensibilità orientale, che ha sempre preferito di buon grado l'intuibile all'esplicito. Si può giusto ammettere che la durata del girato è forse un po' eccessiva, con qualche lungaggine - lo scontro finale di Pazu e Sheeta contro Muskache - che, se si fosse evitata, avrebbe portato a un risultato più felice, ma si tratta di un peccato veniale che nulla toglie all'esperienza generale ben più che solo positiva.


Con la trama linearissima che ha inventato, Miyazaki vuole raccontare una favola avventurosa per i piccoli, che permetta loro, come ai gloriosi tempi di Conan, di sognare mondi lontani e ancestrali e li renda ben propensi a essere continuamente sbalorditi da riprese aeree, panorami mozzafiato, fondali così ricchi di particolari da sembrare dei quadri e tanta, tanta avventura. Parte del leone alla riuscita dell'opera la fa anche la bella colonna sonora di Joe Hisaishi, alla seconda collaborazione con il regista, che incanta nuovamente con un brano portante solenne, di grande intensità e che sottolinea nel miglior modo i momenti più evocativi della pellicola, quelli in cui il senso di meraviglia buca davvero lo schermo. Inutile e quasi irrispettoso pretendere caratterizzazioni epocali, una trama complessa o altro ancora da un prodotto riservato ai bambini giapponesi di quarta elementare4 e che ufficialmente voleva trasmettere loro, in un periodo in cui prendevano consapevolezza di essere piccoli granelli di sabbia nel mondo, di quante possibilità avevano di fare la loro parte in esso da protagonisti5. Quando uscì nelle sale, Laputa meritò pienamente il suo successo, ammaliando le platee con uno stupefacente spettacolo visivo che in pochissimi, in quegli anni, avrebbero potuto eguagliare, e ancora oggi fa un figurone e si fa amare, una gemma che piacerà a ogni possibile età grazie alla sua felice spensieratezza. Questo lavoro appartiene indubbiamente al novero degli apici del regista, una delle sue creazioni più belle e rappresentative, e riscatta pienamente un film brutto ma di successo come Nausicaä.

Nota: uscito in Italia in DVD nel 2004, distribuito da Buena Vista con dialoghi molto rimaneggiati, Laputa è stato inspiegabilmente ritirato dal mercato nostrano meno di un anno dopo, senza che il distributore abbia mai fornito spiegazioni per tale gesto. Fino a ieri, dunque, non esistevano più versioni casalinghe di Laputa, se non quelle in vendite a prezzi folli su eBay. Oggi, fortunatamente, Lucky Red prosegue la sua opera di distribuzione dei classici Ghibli riproponendolo al cinema e in DVD/Blu-ray con un nuovo doppiaggio fedelissimo all'originale e splendidamente recitato.

Voto: 8,5 su 10


FONTI
1 Francesco Prandoni, "Anime al cinema", Yamato Video, 1999, pag. 139. Confermato anche da pag. 185 di "Storia dell'animazione giapponese" (Guido Tavassi, Tunuè, 2012)
2 Pagina web (in lingua francese) http://mobilismobile.free.fr/oeuvres/fiche.php?id=157, che rievoca con dovizia di particolari la storia del progetto Kaitei Sekai Isshû. La cosa è confermata da Shito (Gualtiero Cannarsi, traduttore ufficiale Lucky Red di tutti i film Ghibli) in un post apparso nel forum Pluschan, dopo che ha conversato con il chara designer Yoshiyuki Sadamoto, nonostante confonda la TOHO con la TV di stato NHK (che effettivamente, anni dopo, rileverà i diritti di Kaitei Sekai Isshû). http://www.pluschan.com/index.php?/topic/717-shingeki-no-bancio-attack-on-bancio/page-32#entry186174. Infine, terza e ultima conferma deriva da pag. 572 di "The Anime Encyclopedia: Revised & Expanded Edition" (Jonathan Clements & Helen McCarthy, Stone Bridge Press, 2012)
3 Maria Roberta Novielli, "Animerama", 2015, Marsilio, pag. 192
4 La cosa è riportata nel progetto originale di "Laputa". Riportato da Shito in un post apparso nel forum The First Place (http://www.tfpforum.it/index.php?topic=4662.1175;wap2)
5 Intervista ad Hayao Miyazaki pubblicata su "Anime Interviews: The First Five Years of Animerica Anime & Manga Monthly (1992-1997)" (Cadence Books, 1997, pag. 33)

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