lunedì 22 marzo 2010

Recensione: Brain Powerd

BRAIN POWERD
Titolo originale: Brain Powerd
Regia: Yoshiyuki Tomino
Soggetto: Hajime Yatate, Yoshiyuki Tomino
Sceneggiatura: Yoshiyuki Tomino, Akemi Omode, Katsuyuki Sumizawa, Miya Asakawa, Tetsuko Takahashi
Character Design: Mutsumi Inomata
Mechanical Design: Mamoru Nagano, Takumi Sakura
Musiche: Yoko Kanno
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep. 25 min. circa)
Anno di trasmissione: 1998
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Dynit


Un gigantesco organismo vivente extraterrestre chiamato Orphan riposa da millenni nella Terra, adagiato sul fondo dell'Oceano Pacifico. Arriva il giorno in cui gradualmente inizia a ridestarsi per poter tornare a navigare nell'universo, minacciando però, in questo modo, di distruggere il pianeta col suo risveglio, visto che che provocherebbe inondazioni  distruttive. L'ONU finanzia quindi la costruzione di una potente nave da guerra, la Novice Noah, per cercare di distruggerlo prima del tempo, ma diversi fazioni interessate a usare Orphan per i loro scopi, tra cui la famiglia Isami, cercheranno di impedirglielo. La guerra tra le parti sarà condotta attraverso i Grandchild, creature volanti nate da Orphan e utilizzate come armi di battaglia.

Brain Powerd, con i suoi temi di trattazione delle dinamiche familiari e l'irrisolvibile conflitto tra Uomo e Natura, è stato sentitissimo da parte di Yoshiyuki Tomino, tanto che l'autore lo ha ideato già nel 1983, immaginandolo come lungometraggio cinematografico. Sunrise all'epoca non era però convinta dal progetto e l'infinita saga di Gundam ha fatto il resto, distogliendo l'autore dal suo progetto (si lamenterà che Neon Genesis Evangelion e Principessa Mononoke, usciti rispettivamente nel 1995 e nel 1997, hanno rubato il tempo alle sue idee) e portandolo a realizzarlo solo quindici anni dopo, nella forma di serie televisiva, dopo che è riuscito a staccarsi dal fluviale franchise gundamico con il fallimentare Mobile Suit Victory Gundam (1993)1. I tempi sono però cambiati, il regista ha accumulato molta esperienza e soprattutto è cambiata la sua visione del mondo: non è più depresso e carico di odio per il suo lavoro, e arriva addirittura a dichiarare pubblicamente di essersi pentito di aver girato Victory Gundam per la sua efferata misoginia. Il Brain Powerd che scrive e dirige nel 1998 non può, per forza di cose, essere lo stesso che avrebbe realizzato nel 1983, e a riprova di questo, oltre ai temi già citati, l'autore fa confluire in esso un terzo tema ancora: una seconda, originale disamina della donna, ma da intendersi stavolta in modo assolutamente positivo, proprio per "rinnegare" quanto detto precedentemente. È pacifico che inserire tutte queste tematiche in una serie di soli 26 episodi non sarebbe stato facile: Tomino riscrive addirittura 10 volte la storia2 prima di darle la sua fisionomia finale, ma il risultato, pur con tutti questi accorgimenti, denoterà tanto l'impegno dell'autore quanto l'impossibilità, per le ambizioni eccessive della trama, i palesi limiti di durata della serie e problemi di realizzazione vari, di tirare fuori quel prodotto memorabile così tanto ricercato.

"Mi sento troppo vecchio per potermi ancora occupare di cartoni robotici vicini ai gusti del pubblico", dice il regista nel 19943, a 53 anni, e queste parole suonano quasi profetiche nei riguardi di Brain Powerd. Si sa bene che, da Space Runaway Ideon (1980) in poi, le sue opere iniziano ad abbandonare i tratti del più facile intrattenimento: un po' per evidenziare i problemi di comunicazione dei personaggi (tema fondamentale della sua poetica), un po' per una ricerca di verosimiglianza, Tomino fa parlare  i suoi attori in modo estremamente schietto e secco, in modo da ben rappresentare il punto di vista del singolo individuo e il suo ruolo in quel mondo fittizio. Il regista non sente il bisogno di "raccontare" il background dei suoi mondi (come fa invece il 99% degli anime), quanto quello di farlo recepire, e lo fa grazie a personaggi che conversano esattamente come farebbero nella vita reale, in modo naturale e senza velleità "spiegazioniste", e questo presuppone quindi che sia lo spettatore ad ambientarsi gradualmente al setting e a "capirlo", assimilando le informazioni e tenendo conto del fatto che quello che dicono gli attori è solo la loro versione della verità. Per lo stesso motivo, quando spesso nelle sue storie il regista fa riferimento a qualche fatto (può essere un elemento del background politico o tecnologico, ma anche un qualche avvenimento importante), non è mai detto che poi ci tornerà sopra o lo sottolineerà più avanti: più che volentieri darà per scontato che ci si ricordi di esso per fare collegamenti mentali dopo, proprio perché nella realtà non esiste una furba voce narrante che riepiloga quanto detto prima, o qualche provvidenziale flashback. È da questo stile di racconto celebrale che i lavori del regista tendono a diventare più dei monologhi che delle serie da guardare a cervello spento, e da questa lunga premessa si giunge a una considerazione importante: il grande ruolo svolto dagli sceneggiatori scelti da Tomino per le sue produzioni, in grado di interpretare e mettere per iscritto i salti logici delle sue storie o dei suoi script. Sceneggiatori evidentemente scelti bene in buona parte delle sue visioni, ma decisamente male in Brain Powerd, l'opera che più di qualsiasi altra rende vistoso e ben tangibile il problema di un Tomino non affiancato dal giusto staff. Brain Powerd si rivela, per questo motivo, uno dei più criptici, complessi ed elitari lavori dell'autore, dove troviamo elevati all'ennesima potenza sia i suoi punti di forza che quelli deboli, risultato della decisione di dargli "eccessiva libertà" e troppi pochi paletti nel progetto.


Come in quasi tutte le sue opere, anche in Brain Powerd è ben sentito il tema della difficoltà di comprensione, filtrata dai più svariati punti di vista. In quest'occasione si va ben oltre, focalizzando la trama su una surreale, letterale incapacità di comunicare, come se i personaggi parlassero tutti una lingua diversa. Questo si traduce in una storia corale di individui perennemente introversi e alienati, quasi fuori dal mondo, incapaci di spiegare i loro comportamenti, divisi da lunghi silenzi e ostilità e costantemente decisi a non aprirsi col prossimo, parlando solo attraverso il loro punto di vista che vede tutto in bianco e nero. Emblematica a questo riguardo è la storia del gruppo principale di personaggi, i componenti della famiglia Isami, divisi tra chi ha abbracciato la scienza schierandosi dalla parte di Orphan, chi dalla parte dell'umanità, e chi prima dall'una e poi dall'altra parte per mancanza di affetto e comunicazione coi propri familiari, dovuta alla voglia di un po' tutti loro di chiudersi a riccio e perseguire i propri interessi dopo errori vari commessi nella loro vita. I lunghi processi di introspezione riguardano gli Isami come l'ampio cast che ci gravita attorno, composto da donne e ragazze (principalmente tecnici, piloti e comandanti della Novice Noah o di Orphan) analizzate sotto ogni punto di vista (sorelle, madri, amiche, nonne, etc), coerentemente col proposito di Tomino di far dimenticare Victory Gundam cambiando l'equazione "istinto femminile/bagno di sangue" in "istinto femminile/effetti benefici sull'uomo". Sicuramente il passare da un estremo all'altro anche questa volta non sottintende un'analisi necessariamente realistica, ma è di sicuro, ancora una volta, una trovata d'autore che contribuisce a rendere originale la serie. Per tutte queste tematiche intellettuali Brain Powerd ha un appeal quasi nullo su chi si aspetta una storia lineare e semplice da seguire, o anche solo appassionante, e anche chi ha seguito molte delle opere del regista potrebbe trovarsi spiazzato dall'enfasi assoluta sull'argomento, dalla lentezza espositiva, dagli enigmatici dialoghi e dall'artifizio narrativo, ripreso ancora una volta da Victory Gundam, di buttare lo spettatore dentro la storia senza spiegarne minimamente l'antefatto fantascientifico (Orphan, i Reclaimer, la Novice Noah, le mire della famiglia Isami, le Plate e B-Plate, la differenza tra le tipologie di Antibody), lasciando a lui il compito di arrivarci da solo.

Potrebbero spiazzare anche le animazioni, volutamente minimali (nonostante il budget affatto basso), ma soprattutto il glabro approccio registico scelto per il comparto action del titolo, risultante in barocchi e fivestoriani mecha organici e senzienti (di Mamoru Nagano, collaboratore di Tomino dai tempi di Heavy Metal L-Gaim, ironicamente l'ultima serie televisiva non gundamica da lui diretta prima di 14 anni ininterrotti di Mobile Suit, il cerchio si chiude) che si combattono in scontri aerei aridamente e impersonalmente coreografati, privi di fanservice spettacoloso e condotti sulle note eteree e celtiche (più sofisticate che belle a sentirsi) di Yoko Kanno, scopiazzate da Blade Runner (1982). Chi avrà modo di andare oltre tanto minimalismo troverà in compenso una storia interessante, che affascina nel lento dipanarsi di un intreccio complesso e intrigante, seppur austeramente narrato. L'opera, pur lenta, incuriosisce con il suo soggetto e i suoi personaggi da scoprire poco a poco; grazia l'occhio con un chara design bellissimo, colorato e definito tipico da J-RPG a cura della eccellente Mutsumi "Tales Of..." Inomata; può vantarsi di un buon numero di protagonisti molto ben delinati come da tradizione e di un finale molto poetico che chiude in modo abbastanza soddisfacente la trama. Il problema vero e proprio risiede nel suo script, farraginoso per larghi strati di durata, delineato in modo tale da far sembrare il tutto sconclusionato, con personaggi dalle potenzialità inespresse e nodi che, sparsi per la serie, paiono lasciati a sé stessi e mai sbrogliati (e invece questa sensazione deriva solo, come si vedrà, dal modo in cui Tomino e gli sceneggiatori non sono riusciti a rendere chiare le sue idee).

Ogni scena data per chiarissima dal regista rimane enigmatica per lo spettatore: la sua analisi della donna e dei rapporti di famiglia si perde in comportamenti esageratamente surreali (un bacio rubato nel secondo episodio, un certo monologo shakespeariano di Yuu, gli assurdi comportamenti della sua psicolabile sorella Queency Ittor, etc.), in dialoghi enigmatici che non si sa dove vogliano andare a parare (quando Kant Kestner discute con l'equipaggio della Novice Noah del mondo degli adulti), in metafore sulla maternità date dagli Antibody che sono a loro volta bambini di Orphan e a loro volta sembrerebbero fungere allegoricamente da genitori ai loro piloti, che li guidano da dentro un cockpit-genitale (invenzione di Nagano per sopperire al divieto di Sunrise di far guidare, come voleva Tomino e come viene mostrato nella bellissima e bizzarra sigla di apertura, In My Dreams, completamente nudi i piloti, come fossero un feto4). Che dire, poi, di una misteriosa immagine di donna che appare sullo stomaco di Orphan? O degli effetti benefici delle radiazioni del gigantesco organismo sull'ecosistema, o dal fatto che la presenza di bambini a bordo della Novice Noah serva a calmare Orphan (idea già vista ai tempi di Ideon)? Sono tutti spunti buttati alla rinfusa e mai più ripresi e neppure citati, praticamente dimenticati per strada o introdotti così male che ci si dimentica immediatamente di essi, ignorandone il ruolo-chiave (chiaro solo alla contorta mente del regista) nella risoluzione finale. Come se gli ingredienti già non fossero eccessivi e mal amalgamati, Tomino è ispirato anche da tematiche new age, e non gli pare vero di poterne inserire frammenti nel suo giocattolo generando altri interrogativi: anche se lui li mette "per fare figo", è inevitabile che possano venire fraintesi da qualcuno, come la fonte dei poteri degli Antibody (che permette gli attacchi Chakra Extension) o i mistici nodi di energia, tanto cari a religioni esoteriche e libri mysteriosi, che formano una "ragnatela spirituale" (qui chiamata Vital Net) che collega ogni angolo del mondo permettendo ai mecha di spostarsi da un luogo all'altro. Il cast nella sua interezza è, poi, davvero enorme, e considerando che molti suoi elementi non hanno quasi nessuna ripercussione narrativa, se non di venire psicanalizzati nel loro ruolo (e neanche in modo approfondito, visto il poco spazio concesso), viene davvero da domandarsi il senso di gente come Nacky Guys, Nanga Silverly, Higgins Saz, Komodo Mahama, Shiela Glass o la scienziata che studia le Plate e che appare nell'episodio 2. Fino alla fine si ha davvero l'impressione di assistere a un potenziale capolavoro ma di essere troppo limitati per capirlo. Non è così.

Come si saprà successivamente, Tomino aveva deciso tutto con chiarezza, aveva le idee ben chiare su come risolvere i misteri "terreni" della trama, quelli legati a Orphan e agli Antibody. Dovendo fare però i conti con "solo" 26 episodi, il regista sceglie volontariamente (e sciaguratamente) di focalizzare quasi tutta la narrazione sui temi che reputa più interessanti, quelli della famiglia e della donna, tralasciando di spiegare meglio il background fantascientifico e di fornire le necessarie spiegazioni per capire nella sua interezza la storia5. Anche se in questo caso la trama "terrena" viene conclusa, sembra quasi di assistere a un rifacimento dei due famosi episodi conclusivi di Evangelion: a un certo punto Tomino si disinteressa quasi completamente delle questioni principali della vicenda, e porta avanti quest'ultima per "sole immagini", mostrando tanto ma fornendo pochissimi input per decifrarlo (qualche frase-chiave buttata lì senza convinzione e mai più ripresa, persa in mezzo a battaglie e introspezioni), immagini che portano direttamente a una conclusione che, in un modo o nell'altro, "suona" comprensibile e gode anche di un certo pathos, ma lascia aperte un sacco di perplessità, alla stregua di un "penso sia così ma non ne sono del tutto sicuro". Questa sensazione di caos non è, una volta tanto, colpa dello spettatore non abbastanza intelligente, ma proprio di autore e sceneggiatori che non sono riusciti a esprimere chiaramente quello che volevano dire. Del resto, è del tutto impossibile, guardando il solo anime e contando sui suoi pochissimi "indizi" disseminati qua e là, arrivare a capire (non è un'anticipazione, a questa "rivelazione" non ci si arriva con la semplice visione della serie) tipo che l'inabissamento di Orphan deriva da un suo fallito accoppiamento spaziale con un altro esemplare, e che questa cosa si collega al significato ultimo della serie, del fatto che la femmina è la fonte della vita e che, se smette di interessarsi a procreare, rappresenterà la fine del genere umano6. Lo spettatore medio vedrà in Brain Powerd solo una confusa analisi - con molti buoni momenti ma altrettanti interrogativi - del rapporto madre-figli con una spruzzata di ecologismo e new age.


La cosa divertente è che, sotto un'altra prospettiva, Brain Powerd si può definire, a testimonianza della sua assoluta originalità, anche una sorniona presa per i fondelli, visto che mentre ci interroghiamo sulle complesse e seriose sfaccettature della storia conosceremo personaggi ridicoli come un assurdo Darth Vader che cavalca un surf aereo, lo stesso protagonista che indaga su una inquietante apparizione nella Novice Noah indossando un demenziale pigiama rosa, o la bizzarra esaltazione della coltivazione dei pomodori (della scorzonera nelle intenzioni originali di Tomino, ma anche questo non gli è stato accettato7!)! L'opera, per riallacciarci all'apertura, inaugura ufficialmente quella che verrà definita la "Terza fase artistica" del suo creatore, quella solare (in contrapposizione con la Seconda, contraddistinta dai bagni di sangue a cui dà inizio Ideon), colorata e, perché no, anche allegra, che rappresenta bene la guarigione dalla depressione del regista, che ora vede il mondo molto meno tetro e deprimente e lo dimostra trattando temi seri senza più atmosfere nichiliste e immagini crude, riducendo al minimo indispensabile il numero dei morti. Tutto questo è, in definitiva, Brain Powerd: una serie robotica carichissima di ambizioni e ricca contenutisticamente, ma scritta in un modo così particolare da sembrare quasi sperimentale, per numerosi versi rivoluzionaria ma, vuoi per lo scomodo paragone con Evangelion, a esso sempre stupidamente accostato come "brutta copia", vuoi per le sue carenze oggettive nello script, non conoscerà il successo auspicato in madrepatria8 e verrà dimenticata quasi subito. È, al di là di tutto, un buon prodotto: carismatico per le sue mire, intrigante nella sua osticità e per l'impegno intellettuale che richiede, e tutto sommato comunque valido e compiuto almeno nelle sue ambizioni sociali, pur con problemi in altri aspetti che gli fanno assumere i contorni di un'opera riuscita solo a metà.

Nota a parte per l'edizione italiana in DVD a cura di Dynit, che gode di un ottimo adattamento dei dialoghi (nonostante qualche frasetta aggiunta qua e là dal direttore del doppiaggio) ma di un doppiaggio mediocre, penalizzato dalla recitazione svogliata. I problemi proseguono poi col mixaggio audio sbagliato dei primi tre dischi: la colonna sonora e gli effetti sonori sono registrati a volume altissimo, mentre i dialoghi risultano talmente bassi da essere difficili da sentire. Lascio perciò immaginare l'entusiasmo di prepararsi alla visione tenendo a portata di mano il telecomando, per abbassare o alzare continuamente il volume (il problema non si pone con l'audio originale e i sottotitoli italiani). Infine, vista la complessità della trama, è certo una delusione constatare la totale mancanza di extra, come ad esempio qualche bella intervista a Tomino o analisi dell'opera che avrebbero permesso di sviscerare meglio la complessità di Brain Powerd.

Voto: 7 su 10


FONTI
1 Questi numerosi retroscena provengono dal databook "Brain Powerd Spiral Book" (Gakken, 1999), che mi sono stati gentilmente tradotti da Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)
2 Come sopra
3 Mangazine n. 34, Granata Press, 1994, pag. 11
4 Vedere punto 1
5 Come sopra
6 Come sopra
7 Come sopra
8 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 281

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Il più bistrattato, ignorato, dimenticato, recuperato, insomma il più -ato tra tutti i figli di Tomino, nonchè mia personalissima fonte di WTF insieme con Blame!(l'anime è di una complicatezza indigeribile) e Lain. XD Paragoni impropri a parte rimane una grandissima serie, sicuramente meritevole di un elogio per l'originalità più di Evangelion.
ILCARCIOFOROSSO

Jacopo Mistè ha detto...

Tu ne sai :)
Anche a me piace molto come serie, l'unica critica che posso comprendere è che forse è un pochino troppo minimalista come animazioni. La storia in compenso m'ha catturato dall'inizio fino alla fine.

Anonimo ha detto...

Un'opera minimalista, massima espressione del talento di Tomino, con l'unica pecca dei personaggi che, per parlare, devono aprire per forza le cabine di pilotaggio.
Secondo me, sarebbe stato meglio in versione fansub, perchè sarebbe stato di maggiore impatto

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