mercoledì 25 gennaio 2012

Recensione: Chie the Brat (Jarinko Chie)

CHIE THE BRAT
Titolo originale: Jarinko Chie
Regia: Isao Takahata
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Etsumi Haruki)
Sceneggiatura: Isao Takahata, Noboru Shiroyama
Character Design: Yasuo Otsuka, Yoichi Kotabe
Musiche: Masaru Hoshi
Studio: Tokyo Movie Shinsha
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 110 min. circa)
Anno di uscita: 1981


La piccola Chie Takemoto è sfortunata: in un quartiere povero di Osaka gestisce quasi da sola un piccolo ristorante, sopperendo con grande forza e vitalità alla mancanza di un nucleo familiare, distrutto dalla separazione dei suoi genitori per colpa dello stile di vita fracassone e infantile del padre Tetsu. Un insieme di vicende fortuite porterà, forse, i suoi genitori a un timido, lento processo di rinconciliazione...

È impossibile parlare davvero male di un film di Isao Takahata: potrà essere lento (anche MOLTO lento), magari senza un apparente senso e privo di un filo conduttore nella trama, ma non gli mancherà mai di trovare momenti ispirati, poetici o intellettuali, che gli donano quella dignità dei Grandi che rifugge da qualsiasi stroncatura. Troppo facile, per il pubblico occidentale, ricondurre il nome dell'artista ai suoi soliti capolavori Ghibli, è un atteggiamento che ha la colpa di oscurare gli altri lavori di gran classe, pre-1985, che lo hanno visto apporre la sua firma come regista: un lungometraggio epocale e politico come Hols: Prince of the Sun (1968), la brilante prima serie televisiva di Lupin the 3rd (1971), tre capolavori del meisaku del calibro di Heidi (1974), Marco: Dagli Appennini alle Ande (1976) e Anna dai capelli rossi (1979), e magari un Jarinko Chie qualsiasi (Chie la monella), film commedia/slice of life del 1981 di grande spessore nonostante il modesto successo ai box office1.

Chie
si basa sul lungo, popolarissimo e vendutissimo (67 volumi per un totale di 30 milioni di copie vendute in Giappone2) di Etsumi Haruki, che Takahata rielabora, con grande reverenza, in un lungo e delizioso film di quasi due ore raccontando, senza apparente organicità, della vita della giovanissima protagonista, alle prese con i guai lavorativi e quelli in cui finisce l'immaturo padre, inadatto a integrarsi in una normale vita di famiglia e quotidianamente dietro a gioco d'azzardo, debiti e risse. Si tratta del primo degli svariati film che il regista realizzerà sulle dinamiche della vita, imprimendo, in questo caso, su pellicola le persone, le atmosfere e il senso di familiarità che ha personalmente riscontrato3 nei tipici bassifondi popolari di Osaka, dove tutti si sentono parte di una grande comunità e dove vivono i membri della famiglia della piccola Chie, in un microcosmo nel quale tutti sono amici di tutti e si sostengono a vicenda (dal gestore della casa di gioco al poliziotto di quartiere). Pur con elementi surreali, Chie si configura come una commedia intimista sulla quotidianità: il padre della bambina, pur volendole bene, è un simpatico mascalzone che più volte la mette in imbarazzo a scuola e a lavoro, con azioni paradossali, rozze e incivili che riflettono la sua bassa preparazione culturale e rappresentano l'aspetto umoristico e al contempo realistico della storia. Chie e il babbo sono protagonisti di siparietti comici che concernono liti con yakuza del quartiere, notti in cella, duelli tra felini, figuracce varie e demenzialità assortite: quello che è brillante è come, in una storia molto umoristica, Takahata racconta con grande sensibilità le loro dinamiche famigliari, rendendo commovente il processo di riavvicinamento dei genitori di Chie.


I disegni dell'immancabile Yasuo Otsuka saranno più infantili che mai (uomini e donne si ritrovano dotati di favolose orecchie a sventola!) e, complici i colori caldi e saturissimi, quasi cartooneschi, ma contraddistinguono un chara design di classe e dall'enorme espressività, adeguato a risaltare la poesia evocata da Takahata in vari momenti di intimismo assoluto, dati da dialoghi spontanei, credibili reazioni psicologiche (Chie che, pur sforzandosi in ogni modo, non riesce a chiamare "papà" il genitore), scene commoventi (la piccola che si mette a cantare rumorosamente in treno per rompere il ghiaccio tra i tesi parenti, che non hanno voglia di parlarsi) e momenti di grande classe registica. Si tratta di segmenti - legati al problema molto giapponese e sentito della scarsa comunicazione familiare -  integrati ad arte, che non stonano affatto nel contesto, evocando sentimenti di tenerezza, tra un sorriso e l'altro, senza mai ricorrere, non in un solo momento, a retorica, inserti strappa-lacrime o scene facilmente irreali o sensazionalistiche. Takahata riversa nel suo lavoro quella sua leggerezza poetica e intellettuale che rende uniche tutte le sue opere, facendo ridere e commuovere allo stesso tempo e regalando personaggi che, nonostante disegni e atmosfere leggere, sono ben tratteggiati e trasudano umanità da tutti i pori coi loro comportamenti e modi di agire.

Si dovesse giudicare il film per la sola classe del regista, non si potrebbe far altro che applaudire. Peccato, quindi, come nella sua interezza Chie non possa dirsi del tutto riuscito: la comicità è preponderante ma non sempre graffia a fondo, alternando momenti di reale divertimento (perlopiù i comportamenti spontanei dei personaggi) ad altri davvero troppo bambineschi (ovviamente quelli estremizzati o del tutto implausibili), riflettendosi in una certa pesantezza generale, ravvisabile nelle fasi più avanzate del racconto, che poi prosegue fino alla conclusione. Il film è già di suo parecchio lungo e lento, e la mezz'ora finale di girato, poi, basata su un lungo e ridicolo scontro tra gatti abbastanza slegato dalle vicende di Chie, se nelle intenzioni vorrebbe far ridere, si può dire tranquillamente che manchi il bersaglio. Niente di trascendentale neppure le animazioni, anche se è indubbio che in un'opera di questo genere non ci si aspetti chissà che meraviglia tecnica. Tuttavia, Chie compensa i suoi problemi con fondali curatissimi che ricostruiscono una Osaka pulsante vita: un vero valore aggiunto alla produzione, che di questa città ne restituisce al pubblico i colori, gli odori e i luoghi, rendendo tangibile anche il calore della gente. È assai probabile, quindi, che nonostante il poco successo ai box office, questo film e, più avanti, le successive serie TV dedicate al manga di Etsumi Haruki (tutte inedite e neanche reperibili col fansub, purtroppo, soprattutto la prima, diretta ancora da Isao Takahata) siano state molto apprezzate in quei lidi: non è un caso che la seconda, del 1991, sarà trasmessa unicamente in una piccola televisione locale nell'area del Kansai4.


Chie la monella forse non appartiene alle visioni davvero imprescindibili di Isao Takahata, ma di sicuro è un riuscito film d'autore, per buona parte della sua durata davvero riuscito e meritevole di venire accostato ai lavori più altisonanti del regista. Curiosamente poco conosciuto anche tra i suoi stessi fan, Chie di sicuro ha le sue falle, ma rimane un esempio eclatante della genialità di un autore che può parlare di qualsiasi argomento, fosse anche il più ridicolo del mondo, non facendo mai venire meno grandi introspezioni psicologiche, dialoghi sopraffini e poesia: uno dei migliori registi contemporanei, e non solo in ambito di animazione.

Voto: 7,5 su 10


FONTI
1 Mario A. Rumor, "The Art of Emotion: Il cinema d'animazione di Isao Takahata", Cartoon Club, 2007, pag. 221
2 Sito web (giapponese), "Mangazenkan", http://www.mangazenkan.com/ranking/books-circulation.html
3 Vedere punto 1, a pag. 210
4 Saburo Murakami, "Anime in TV", Yamato Video, 1998, pag. 138

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