KNIGHTS OF SIDONIA: BATTLE FOR PLANET NINE
Titolo originale: Sidonia no Kishi - Dai-kyū Wakusei Seneki
Regia: Hiroyuki Seshita
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Tsutomu Nihei)
Sceneggiatura: Sadayuki Murai
Character Design: Yuki Moriyama
Musiche: Noriyuki Asakura
Studio: POLYGON PICTURES
Formato: serie televisiva di 12 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2015
Era lecito temere molti fattori, in fondo
erano altissime le probabilità che la trasposizione di Knights of Sidonia (2009) affondasse a causa di un
male a caso che solitamente affligge qualsiasi trasposizione animata di una
manga ancora in corso, ma che fosse proprio la sceneggiatura a distruggere
quanto di buono era stato costruito nella prima stagione del 2014 era cosa abbastanza imprevedibile:
solo si fosse potuto scommettere su un elemento che avrebbe resistito alle
pressioni e ai delicati equilibri tra qualità e istruzioni produttive, la penna
di Sadayuki Murai sarebbe stata indiscussa gemma e garanzia di sicurezza di un’opera
già di suo di grande fascino, in grado di coniugare fantascienza robotica e
horror come raramente si è visto in animazione. Eppure, sono proprio le enormi mazzate
narrative a frantumare di episodio in episodio quel godibilissimo meccanismo fatto
di battaglie tra giganti robotici e alieni lovecraftiani, avvicinando quindi la
versione animata a certa pochezza dialogica e psicologica di cui già soffiva la
versione cartacea.
È un notevole punto interrogativo che pesa
disgraziatamente su tutto quanto, Murai preferisce spingere sulla direzione
harem e slice of life, argomenti che in precedenza erano stati solo accennati o
sfruttati intelligentemente per giustificare certe peculiarità dello scenario apocalittico
creato da Tsutomu Nihei, abbandona quasi interamente i combattimenti spaziali
relegandoli a poche parentesi di inutile e sbrigativa fattura per concentrarsi
sulla noiosa vita di tutti i giorni di un personaggio come Tanikaze Nagate, che
già in partenza appariva zoppo e poco interessante nella spiccia
caratterizzazione sfigata attribuitagli. Poteva essere un’intrusione o un
diverso insolito e dal grande potenziale, si potevano sviscerare le difficoltà giornaliere
di una vita vissuta con una costante minaccia annichilente, ma gli standard
narrativi su cui poggia le quotidianità del protagonista sono scarsi e
ripetitivi, basati esclusivamente su un triangolo (o meglio, un rettangolo)
amoroso i cui vertici rimangono costantemente fissi e immutabili, rendendo di
fatto nulle e dall’importanza prossima alla zero tutte le puntate dedicate a
lui, Izana, Yuata e l’ibrido Tsumugi.
Le atmosfere opprimenti e disperate della
stagione uno vengono quindi sostituite da una solarità sciocca e bambinesca
fatta di gag che non fanno ridere, malintesi che non producono imbarazzo,
atteggiamenti provocatori che generano solo fastidioso fanservice, e in
generale tutto viene appiattito da una mancanza di idee anche nella costruzione
stessa di queste (lunghe, lunghissime, infinite) intromissioni personali:
nessuna traccia stuzzicante con cui poter ridere degli equivoci, nessun accenno
che porti a simpatizzare con personaggi che non si smuovono di una virgola
dalle loro postazioni rigide e frigide, e soprattutto nessuna relazione con le
tragedie che comunque continuano ad accadere nello spazio, nonostante la
presenza sulla carta singolare di Tsumugi e del suo essere allo stesso tempo
alieno, umano e mecha, e pertanto curiosissima di scoprire come funziona la
normale realtà. L’ansia, l’attesa, lo sconforto, il dolore per un body count
senza eguali sono ora temi lontani, accessori, di nessuna importanza, in quanto
prevalgono i sorrisi, le faccette arrabbiate, le smorfie di dispiacere e i
tratti kawaii: ciò infatti che più innervosisce è la scomposizione brusca e inverosimile
tra la violenza tragica e colma di morti della lotto contro i Gauna, stilizzata
in un’ormai semplice quotidianità, e l’insulsa leggerezza dei problemi
casalinghi di Tanikaze fatta di piatti da lavare, letti da spartire e vestiti
da scegliere. E di conseguenza anche la trama orizzontale si sfilaccia e perde
di consistenza, scolorendo in maniera approssimativa e di vaga pericolosità la
minaccia iniziale, lasciata poi a se stessa, e arrancando, quasi come fosse un
lotto di episodi interlocutori creati per riempire il tempo, verso una parte
finale ancora una volta aperta a una (probabile dato l’annuncio della
conclusione del manga) terza stagione dove poter tirare tutti i fili.
Siamo oltre la decenza, interi episodi
gettati via e che vanificano la presenza, a questo punto occasionale e
fortunata, di grandi combattimenti spaziali (addirittura stupefacente la quarta
puntata, interamente dedicata a uno scontro con un colossale Gauna, gestito con
gran dispendio di strategie militari e proiettili laser) e abissali scenari d’orrore
purtroppo sprecati perché economicamente secondari alla vera natura di questa
seconda serie. Non serve quindi che il neoentrato regista Hiroyuki Seshita tenti nuove strade, agevolato
anche da una più malleabile CG, creando eleganti piano sequenza o furiose
dribblate durante le sparatorie, occupando lo schermo intero con Gauna sempre
più tentacolari e deformi e frustandolo con la feroce bellezza della Tsumugi
guerriera: ogni sforzo visivo e atmosferico soccombe alla mortificante lentezza
del plot sentimentale, tanto che non vale neanche la pena apprezzare il
miglioramento delle animazioni e la glaciale attrattiva dei volti lunghi e
pallidi dei personaggi.
Il peggior ritorno possibile per una delle
più belle sorprese della primavera 2014.
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