COLORFUL
Titolo originale: Colorful
Regia: Keiichi Hara
Soggetto: (basato sul romanzo originale di Eto Mori)
Sceneggiatura: Miho Maruo
Character Design: Atsushi Yamagata
Musiche: Kô Ôtani
Studio: Ascension
Formato: film cinematografico (durata 126 min. circa)
Anno di uscita: 2010
Ad un'anima appena giunta nell'aldilà è concessa l'occasione di rinascere a nuova vita. Per farlo deve superare una prova: tornare nel passato e prendere il posto, per sei mesi, dello spirito di un ragazzino delle medie che si suiciderà poco tempo dopo, Makoto Kobayashi, e capire per quale motivo questi ha commesso l'atto. Sopratutto, condizione irrinunciabile per il ritorno completo alla vita dello spirito, è capire quale è stato il suo peccato maggiore commesso nella vita.
Tre anni dopo Un'estate con Coo il regista Keiichi Hara torna a parlare, con poesia, dell'animo umano. Il suo nuovo lavoro è Colorful, basato sull'omonimo romanzo della scrittrice Eto Mori, trovando in esso un risultato di gran lunga superiore al pur gradevole predecessore, tanto che il film è immediatamente acclamato dalla critica all'uscita nei cinema nipponici.
Colorful è la storia di un ragazzo appena tornato in vita, Makoto, che filtrando, ovviamente, la realtà dal suo punto di vista giovanile, che vede bianco e nero, non può perdonare la falsa felicità della famiglia, martoriata dal rapporto conflittuale col fratello e un passato, mai scoperto tradimento della madre. Incapace di perdonare le persone che gli stanno intorno, privo di amici, il ragazzo si chiude in se stesso, nell'ostilità, trovando piacere sadico e ingenuo nel far soffrire le persone che gli vogliono bene. Tema del film, come da evocativo titolo, non può che essere quello del saper accettare le varie sfumature che compongono l'animo umano, sempre privo di un colore predominante. Metafora che si sposa idealmente con l'abilità nella pittura di Makoto, la sua tavolozza di colori e la difficoltà a dare interpretazione univoca al quadro che ha realizzato. Colorful è il lento processo di realizzazione di questo da parte del ragazzo, una storia di formazione, che comporta, come nei migliori lavori di Isao Takahata, una splendida analisi comportamentale dell'individuo.
Dal regista del Kansai Keiichi Hara e la sceneggiatrice Miho Maruo
ereditano la capacità di tratteggiare personalità di tutti i giorni,
vere e genuine, con dialoghi perfetti, spontanei, realistici. Narrano
una storia matura con semplicità invidiabile, facendo affezionare lo
spettatore a normali ragazzi delle medie e portandolo così a covare
forti speranze che Makoto possa finalmente riappacificarsi con la sua
famiglia e trovare un posto nel mondo. E la conclusione, fortunatamente,
è pienamente all'altezza delle premesse, commovente come auspicato. Una gran cura nel comparto dialogico, pieno superamento dei problemi del registro linguistico di Coo, che trova corrispettivo anche nella splendida cornice tecnica e grafica, altro passo in avanti rispetto all'altalenante chara del predecessore. Il design quasi essenziale dei personaggi e l'assenza di scene d'azione non devono trarre in inganno, perché è presente una cura oserei dire spettacolare quanto nelle animazioni che nei fondali: fluide e realistiche le movenze di personaggi, mezzi di trasporto etc; maniacali, al limite della fotografia gli sfondi. Una colonna sonora misurata, quasi inesistente ma che esplode nei momenti clou, contribuendo all'emozione, chiude un film di grande sensibilità che vale certo la visione, non per nulla facendo vincere al lungometraggio anche il premio dell'animazione dell'anno al 34esimo Japan Academy Prize. Caldamente consigliato, e Keiichi Hara, dopo quest'opera, è sicuramente un nome da tenere d'occhio.
Voto: 8,5 su 10
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