lunedì 25 maggio 2015

Recensione: Green Legend Ran

GREEN LEGEND RAN
Titolo originale: Green Legend Ran
Regia: Satoshi Saga
Soggetto & sceneggiatura: Yu Yamamoto
Character Design: Yoshimitsu Ohashi
Musiche: Yoichiro Yoshikawa
Studio: AIC
Formato: serie OVA di 3 episodi (durata ep. 50 min. circa)
Anni di uscita: 1992 - 1993



È difficile capire quanto sia realmente forte il messaggio ecologico che ha motivato alcune opere a cavallo tra gli anni Ottanta e i Novanta, è molto più credibile che si sia trattato di un mezzo come un altro per cercare di sedurre un certo pubblico ancora affamato di quegli argomenti su cui Miyazaki in primis, a partire proprio dal seminale Conan il ragazzo del futuro (1978), avrebbe anche costruito la propria carriera. Siamo nel 1992, i maggiori successi sci-fi dal taglio ambientale hanno già lasciato il segno e Hideaki Anno, reduce da un tassello importante come Nadia: Il mistero della Pietra Azzurra (1990), sta probabilmente già pianificando Neon Genesis Evangelion (1995). Green Legend Ran arriva forse un po’ tardi (ma non sarà l’ultimo, nel 1999 uscirà Now and Then, Here and There) che rielabora ancora gli stessi temi), ma il fascino che trabocca dalla produzione OAV di quegli anni è sempre aggancio sufficiente per rispolverare una piccola opera per lo più sconosciuta e purtroppo non abbastanza forte per imprimersi come avrebbe potuto.

La storia è quella, in una sorta di adozione di un determinato script i cliché sono religiosamente adottati: un futuro apocalittico, un ragazzo carismatico e dall’impeto selvaggio, una ragazza dal passato misterioso rapita da un’organizzazione segreta, un gruppo di mercenari che combatte clandestinamente per liberare il popolo dalla tirannia, la lunga e impegnativa ricerca che coincide con la scoperta di segreti ancestrali che regolano il mondo, and go on. A conti fatti dispiace dire che, pur con una dignitosa narrazione, è proprio la storia ad appesantire l’opera: la sua semplicità e la classica schematicità impediscono un giusto evolversi della situazione, tutto è grossomodo prevedibile sin dai primi momenti e per quanto gradevole e disimpegnato non c’è molto spazio per sorprese o scossoni che rivitalizzino la visione.

Questo non significa che Green Legend Ran manchi di coinvolgimento, l’intreccio è studiato e la penna non manca di professionalità, il tratteggio dei personaggi è preciso e servono poche battute e gesti per sintonizzarsi su sentimenti, motivazioni e caratteri. Ma ciò che funziona meglio e su cui sembrano essere stati spesi i migliori sforzi creativi è la definizione visiva/narrativa dello scenario: per quanto non si esca troppo da confini ben precisi e la linearità strutturale conduca a vie piuttosto facili, la massiccia presenza dei monoliti consente di respirare l’antichità e la maestosità della cultura coltura aliena insediatasi nel pianeta all’alba dei tempi, la gerarchia religiosa in cui si è tramutata l’invasione extraterrestre affascina in pochi accenni grazie alla fisicità degli esseri venerati e alle loro metamorfosi, e il contesto bellico appare tragico e pessimista tramite enormi macchinari che si danno eterna battaglia e non poche morti sanguinarie che ridipingono i terreni. Ne consegue che ogni elemento riconducibile all’espressione ambientale e alle ovvie critiche al progresso e alla tecnologia (le scarse quantità d’acqua, i terreni desertici che avanzano, la povertà della colossale città-fabbrica, ecc) possa meglio incastrarsi nel quadro generale senza forzare eccessivamente il messaggio: gli accenni magici e lo scopo del popolo alieno fluiscono adeguatamente e con la giusta illuminazione, senza sbilanciarsi per un mero sottotesto biodegradabile. 


Ma più che per merito di un lavoro narrativo, è nei disegni che si può trovare il vero motore di Green Legend Ran: se la sceneggiatura di Yu Yamamoto e la regia di Satoshi Saga faticano a emergere, stritolate dall’ordinarietà delle situazioni trattate, è lo splendido chara di Yoshimitsu Ohashi a fare molto del lavoro. Le sue linee essenziali e semplicistiche, unite a un bell’uso di colori tra il grigio e il bianco contrastate a tinte più forti come il rosso, riescono paradossalmente a comunicare la rabbia, la paura e il coraggio di queste ennesime incarnazioni di Conan e Lana, disperse in una lotta tra navi da guerra che solcano i mari di sabbia bombardandosi senza pietà. E non è poco lo sforzo produttivo di AIC, le animazioni sono di gran qualità e, pur in una minor esagerazione visiva tipica dell’espressione OVA, in quest’occasione non così importante, brillano sempre per fluidità e ricchezza di dettagli, rivelandosi un ottimo spettacolo.

Tre episodi per un totale di circa 150 minuti, il ritmo è buono e il grafico esponenziale mostra comunque un discreto crescendo, in fondo è evidente che Yamamoto e Saga si sono limitati a rispettare bene le regole e poco altro perché tutti pagano le bollette e anche scrivere, dopotutto, è un lavoro. È il classico 6- tutto sommato, un bel recupero per gli archeologi dell’era d’oro dell’animazione ma trascurabile per tutti gli altri.

Voto: 6 su 10

6 commenti:

Rocket-Buddha ha detto...

L'unica cosa che ricordo bene di questo OAV è il buon lavoro di stilizzazione grafica e design, il resto l'ho scordato (giusto nel finale quando il protagonista trova la via di fuga grazie ai foglietti appiccicati da un alleato).

Dalle mie parti aveva il sapore del prodotto alternativo rispetto al mainstream della fine anni '90, ma era perlopiù un'illusione condizionata dall'uscita italiana, che avvenne tra il '95 e il '99.

Simone Corà ha detto...

Ah, mi è sfuggito fosse uscito in italiano, ma per il resto sì, vale la pena quasi esclusivamente per l'enorme qualità grafica e le scelte cromatiche, storia e personaggi sono appena sufficienti e banali :)

Giulio "Radical Dreamer" Palermo ha detto...

Non solo è uscito in Italia, ma faceva parte del lotto di titoli AIC/Pioneer anni '90 che Dynamic Italia spingeva come se non ci fosse un domani, anche grazie ad Animania, che in quei tempi era diventata il loro house organ. Hakkenden, Tenchi Muyo, Armitage III, El-Hazard... Poi non so perché non hanno importato anche Now And Then, Here And There; forse per le loro annose pastoie interne, forse per evitare polemiche, dato che la serie non si risparmiava in quanto a violenza e crudeltà.
Peccato, perché a mio avviso era una serie assai meritevole: tra un Gundam e l'altro, potreste provare a recensirla. :)

Jacopo Mistè ha detto...

Now And Then, Here And There mi ha sempre ispirato tantissimo. Sicuramente arriverà anche il suo turno, dopo che avrò finito di revisionare tutti i Gundam.

Rocket-Buddha ha detto...

Da che ricordo "Now and..." lo recensirono gli ex redattori di "Animania" su "Benkyo".
Immagino non abbiano importato pure quello perché quando distribuirono il lotto della Pioneer manco esisteva questo anime, che è del 1999. Tutto quel pacchetto di anime uscì tra il '95 e il '97 in Italia, quando si andava avanti a VHS da 39,000 lire!

Simone Corà ha detto...

Sarà sicuramente nelle nostre prossime visioni :)

(madò, Benkyo, che ricordi...)

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