lunedì 24 gennaio 2011

Recensione: Memories

MEMORIES
Titolo originale: Memories
Regia: Koji Morimoto, Tensai Okamura, Katsuhiro Otomo
Soggetto : Katsuhiro Otomo (basato sul suo fumetto originale)
Sceneggiatura: Satoshi Kon, Katsuhiro Otomo
Character Design: Katsuhiro Otomo
Musiche: Yoko Kanno, Jun Miyaki, Hiroyuki Nagashima
Studio: Studio 4°C, Mad House
Formato: lungometraggio cinematografico (durata ep. 30 min. circa)
Anno di uscita: 1995
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Columbia Tristar


Progetto sentito e messo in piedi da Katsuhiro Otomo che nel 1995 lo cura meticolosamente in ogni aspetto, Memories è un prodotto di strabiliante qualità grafica ma tutt’altro che perfetto da un punto di vista squisitamente narrativo, nonostante veda coinvolti nomi altisonanti dell’animazione come lui, Satoshi Kon, Yoko Kanno e Yoshiaki Kawajiri. A meno che non ci sia una precisa costruzione portante, un’attenta e significativa configurazione, trovo ahimè abbastanza insipido il concetto di un film a episodi: in questo insieme di mini-storie a sé stanti, mancanti di un ordine generale, di collegamenti strutturali e, come in questo caso, anche di un tema comune nonostante il titolo indicasse tale direzione, fatico a vederci un nesso, a ravvisare un’idea vincente. Memories presenta infatti tre episodi, ma nonostante la comunque piacevole visione complessiva, dovuta forse più che altro alle straordinarie, straordinarie animazioni, resta più che altro un certo amaro in bocca nel vedere, soprattutto nelle prime due parti, buone idee sacrificate sull’altare di un basso minutaggio quando, da sole, avrebbero potuto reggere un intero film.

In La rosa magnetica, tratto dal breve e omonimo fumetto dello stesso Otomo (pubblicato in Italia da Star Comics nell'antologia Memorie), un’astronave addetta al recupero dei detriti spaziali riceve un disperato segnale d’aiuto. L’equipaggio, un po’ sospettoso, si reca alla sorgente del messaggio, uno stranissimo ammasso di frammenti metallici: una volta entrati, vengono catturati da una continua serie di visioni che alterano l’ambiente, mentre la voce di una famosa cantante lirica sembra piangere un amore perduto e allo stesso tempo guidarli da un incubo all’altro… Scritto da Satoshi Kon per la regia di Koji Marimoto, delle tre parti del progetto è indubbiamente la più ambiziosa e altrettanto indubbiamente quella che necessitava di più spazio e minor compressione per esprimere in pieno le proprie potenzialità. Ispirato alla straziante storia d’amore vissuta da Maria Callas, da fantascienza pura, ricca di inaspettate suggestioni horror (l’esplorazione iniziale), La rosa magnetica diventa presto un lungo, straniante, obliquo trip onirico. Lo spettatore rimbalza infatti da uno scenario inspiegabile a un altro (un rigoglioso giardino, un sala settecentesca, l’abitazione di uno degli astronauti) e, così come i poveri protagonisti, prima della giusta svolta finale non riesce mai ad afferrare le redini della situazione, ritrovandosi spaesato, ubriacato da flashback improvvisi e bruschi ribaltamenti. Se l’idea è notevole e il fascino onirico crea una perfetta atmosfera di mistero e inquietudine, manca tuttavia un certo mordente narrativo: troppo elevata la velocità di narrazione, troppo aspri i cambiamenti visivi, e ciò comporta una sorta di caos sì voluto ma non perfettamente controllato, elemento che lascia in parte insoddisfatti.


Si cambia registro con La bomba puzzolente: venuto accidentalmente in contatto con un virus letale, al quale è immune grazie a un raffreddore, un giovane chimico tontolone si aggira per Tokyo ignaro di stare sterminando migliaia di persone. Governo ed esercito intervengono al più presto, ma nessuno sembra in grado di fermare l’ingenuo ragazzo, all’oscuro di tutto... Dopo la tragica teatralità dell’episodio iniziale Otomo scrive, sotto la supervisione di Yoshiaki "Ninja Scroll" Kawajiri, questa gustosa, catastrofica commedia nera, e serve a Tensai Okamura un assist magnifico per imbastire un impatto grafico da bava alla bocca. Dal punto di vista visivo, infatti, La bomba pubbolente è un meraviglioso, frenetico, incontenibile susseguirsi di esplosioni, invenzioni registiche, apocalittica comicità, un fragoroso vortice di azione e colori. Dopo i primi simpaticamente amari minuti, dove il nostro povero protagonista inizia involontariamente a decimare la città con il fetore mortale che emana, quando entra in gioco l’esercito il nostro povero protagonista fugge, senza saperne il perché, da stormi di soldati agguerriti, colonne di carro armati, missili intelligenti e addirittura militari protetti da fantascientifici esoscheletri meccanici, continuando assurdamente a sfangarla. Si gioca sull’assurdità e sull’esasperazione di una situazione drammatica, la regia pirotecnica e roboante dà il giusto tono esaltato e inverosimile all’episodio, le animazioni da infarto completano un quadro molto divertente e, sebbene una maggior densità alla base narrativa non avrebbe affatto guastato, risulta tutto sommato riuscito.

Termina il trittico Carne da cannone: in una città-fortezza votata alla guerra, dove ogni abitazione dispone di armi e artiglieria pesante, dove tutti gli abitanti lavorano al fine di far funzionare il meccanismo bellico, e dove chiunque odia un fantomatico nemico invisibile a cui danno continuamente battaglia, un bimbo cresce con il mito del Generale, colui che, a capo dei combattenti, preme ogni giorno il pulsante che aziona un immenso cannone… Ispirato all’immortale 1984 di George Orwell, con Carne da cannone Otomo scrive e dirige un interessantissimo esperimento che non riesce a scintillare, né a convincere pienamente, ma che gratifica per inventiva e professionalità. Strutturato in un solo, lungo piano sequenza, e disegnato e animato con uno stile volutamente grottesco e spiazzante che richiama scenari sovietici e universi grafici di un’era perduta, in Carne da cannone assistiamo alla giornata tipo del piccolo protagonista, il cui desiderio più grande è di diventare, un giorno, il Generale in persona, e non, come il padre, un semplice, tormentato operaio che lavora nel gigantesco meccanismo necessario a mettere in funzione il super cannone. Evidente il messaggio antimilitarista e il ripudio della guerra, Otomo crea una magnifica, dettagliatissima ambientazione e opera bene nel rendere tanto altisonante e credibile la lotta verso questo nemico che mai si vede né, probabilmente, esiste. Carne da cannone sembra però più che altro un abbozzo, uno sfizio personale, un divertissment per testare determinate idee registiche e animative forse impossibili da mettere in pratica in altri progetti.


Riassumendo, abbiamo a che fare con tre mediometraggi ricchi di ottimi spunti, che piacciono però fino a un certo punto, colpa di una certa rapidità narrativa e di una sorta di mancanza di scopo che, in fondo, lascia indifferenti.

Voto: 6 su 10

2 commenti:

ron70 ha detto...

Un misero 6 mi sembra poco per un'ottimo film come questo.Tre episodi diversissimi per tematiche affrontati e tutti (volutamente)col finale aperto,senza morale o lieto fine.Non esente da superficialità ma molto affascinante.Lo rivedo spesso.

Simone Corà ha detto...

Affascinante lo è di sicuro, su tutti il primo episodio, che però risulta essere il peggiore perché troppo superficiale e sbrigativo nel trattare tanto materiale in troppi pochi minuti. Al contrario, l'episodio di Otomo l'ho trovato soltanto un esperimento, a cui mancava qualcosa (uno spunto più forte e strutturato) per renderlo pienamente soddisfacente. Con Stink Bomb mi sono divertito molto, però, anche quello come Carne da cannone, è un esercizio fine a se stesso... da lì il 6 generale. :)

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