lunedì 28 giugno 2010

Annunciato Shin Mazinger Impact! da Yamato Video

Recensione: Overman King Gainer

OVERMAN KING GAINER
Titolo originale: Overman King Gainer
Regia: Yoshiyuki Tomino
Soggetto: Hajime Yatate, Yoshiyuki Tomino
Sceneggiatura: Ichirou Ohkouchi
Character Design: Kenichi Yoshida, Kinu Nishimura, Yoshihiro Nakamura
Mechanical Design: Akira Yasuda, Kenichi Yoshida, Kimitoshi Yamane
Musiche: Kouhei Tanaka
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep. 25 min. circa)
Anni di trasmissione: 2002 - 2003


Una serie di sconvolgimenti climatici porta un periodo di quasi eterna glaciazione sulla Terra, distruggendo le città e costringendo quello che resta della razza umana a cercare rifugio nei più disabitati luoghi del pianeta, ove sono costruite aree urbane chiamate Domepoli amministrate dall'ultima autorità rimasta, la London International Management Authority. La nostra storia inizia in Siberia, dove un gruppo di ribelli capitanato dal rivoluzionario Gain Bijou decide di tentare, trasportando le Domepoli con delle potenti macchine, un vero e proprio esodo verso l'antica terra di Yapan, dalle migliori condizioni climatiche. Questo significherà però dichiarare guerra alla compagnia privata Siberian Railroad Company, alle dipendenze della London IMA e dotata di un proprio esercito di mercenari. Ad aiutare Gain e i suoi compagni nel lungo viaggio, irto di combattimenti con gli Overman (mecha da guerra dotati di incredibili poteri speciali, reliquie di un lontano passato) del nemico, ci penserà il giovane Gainer Sanga, ragazzino campione di videogiochi che si ritrova, fortuitamente, a guidare il potentissimo e bizzarro Overman King Gainer.

Nonostante la fredda accoglienza tributatagli dal pubblico giapponese, che forse ne spiega lo scarso successo1, la breve durata (26 episodi) e il finale abbastanza aperto, non vi è dubbio che Overman King Gainer sia stato un titolo estremamente ambizioso per Yoshiyuki Tomino: anche se per molti potrebbe facilmente venire liquidata come una serie molto leggera, cosa non distantissima, del resto, dalla realtà, questo titolo rappresentò per il suo creatore un'opera di una certa importanza, un tentativo di aggiornare il setting fantascientifico di Gundam a cui non credeva più dopo venti e passa anni di sequel, ideandone uno più coerente e verosimile, quasi una sorta di "nuova rivincita" verso una saga con cui aveva un rapporto davvero contraddittorio.

Anche se è vero che l'eccentrico regista ha "fatto pace" con la sua creazione più rappresentativa con ∀ Gundam Called Turn "A" Gundam (1999), questo non significa che abbia improvvisamente iniziato a condividere anche le sue idee più importanti. Come sappiamo, il "merito" di aver creato il Robot Realistico lui non lo ha mai gradito, reputando sempre ridicola e per niente verosimile l'idea dei combattimenti spaziali tra robottoni umanoidi; ma specialmente, in tutto questo tempo, Tomino provava sempre più frustrazione nel ricevere complimenti per il realismo dell'Era Spaziale, quando lui per primo trovava il suo setting di partenza fortemente datato, irrealistico e assurdo, soprattutto nell'idea delle colonie spaziali orbitanti, presupposto su cui si basava addirittura il primissimo Mobile Suit Gundam (1979) e da cui si sarebbe originata l'intera saga2 (se questo presupposto era inverosimile, inverosimile diventava quindi tutto il resto). Nel 1979 la cosa aveva un senso perché erano molto sentiti il problema del sovrappopolamento del pianeta e la fiducia nell'esplorazione spaziale, ma col passare del tempo l'interesse si attenuava così come l'entusiasmo, e soprattutto Tomino si rendeva conto sempre più che l'idea alla base di Gundam era impossibile, perché non si sarebbero mai trovate le risorse per costruire cilindri artificiali lunghi km da mandare nello spazio e in cui inserire mari, montagne, flora e fauna per "inscenare" una Terra fittizia3. Si può quindi intuire, fino al 1999, quanto fosse stato "felice" il regista non solo di non venire accreditato come "creatore" di Gundam nei copyright delle opere, ma anche di venire obbligato controvoglia a dirigerne seguiti su seguiti in cui doveva rendere sempre più complesso un mondo immaginario che lui stesso reputava non credibile.

Dopo la pace fatta, l'autore ha finalmente modo di togliersi anche questo sassolino dalla scarpa: sul finire del 2000, nel mezzo della scrittura degli storyboard di ∀ Gundam I: Earth Light (2002), mette giù le prime bozze del progetto Overman King Gainer4 (originariamente Gain Gainer, nome dell'omonimo eroe che avrebbe dovuto raccogliere in sé la personalità di quelli che saranno invece i due protagonisti principali, Gain Bijou e Gainer Sanga5) da intendersi come mediometraggio avventuroso di 30/40 minuti6 con cui dare una sua nuova risposta alla ricerca dell'umanità di nuovi territori abitabili: dalla costruzione dei Side si passa all'insediamento dell'essere umano negli incontaminati, enormi spazi desolati del pianeta. Se all'inizio si pensa di far partire l'esodo da un Giappone morente verso la Siberia, poi un suggerimento del produttore fa optare Tomino per il rovesciamento della cosa: l'avventura parte dalla tundra siberiana, e destinazione finale sarà un utopistico Paese del Sol Levante dai terreni ancora fertili7. Sparisce il progetto del mediometraggio (storia troppo ambiziosa per essere ridotta a un così esile minutaggio) in virtù di una serie televisiva, e infine Tomino viaggia, nel 2001, per alcuni giorni in Siberia, per ricavare materiale da usare sia per le ambientazioni paesaggistiche della storia, sia per farsi un'idea di che tipo di ritratto umano dare agli abitanti delle zone8. Il meticoloso lavoro si concretizza infine il 7 settembre 2002, quando King Gainer fa il suo debutto nel canale a pagamento WOWOW.


A dispetto, come già anticipato, dell'idea di una drammatica odissea di una nuova White Base (o meglio di tante piccole Domepoli) alla ricerca di terre fertili dove sopravvivere, il prodotto finale non rappresenterà una storia seriosa. A chi si aspetta, erroneamente, un titolo, se non cupo, almeno epico, il regista risponde con uno sberleffo (come da locandina della pubblicità originale giapponese della vendita in DVD della serie, da cercare, ammirare e riammirare!). Se già Brain Powerd (1998) e Turn A Gundam raccontavano storie "serie" con fare solare, King Gainer va oltre e ingigantisce al massimo le atmosfere allegre fino a raggiungere la comicità (addirittura l'eyecatch fatto col pongo!), riprendendola da Blue Gale Xabungle (1982) e Heavy Metal L-Gaim (1984) (soprattutto dal primo, col suo cast di personaggi burloni e mecha buffi). Addirittura, l'approccio ilare è stato difeso coi denti dal creatore, che ha dovuto imporsi sullo sceneggiatore principale della storia, Ichirou Ohkouchi, che voleva scrivere una storia drammaticissima e sanguinaria, per costringerlo a più miti consigli ("Guarda che il rivale di questo anime è Crayon Shin-chan!", gli dirà)9. Questo comunque nulla toglie alla riuscita dell'opera, che diverte e  funziona pur senza rappresentare nulla di "importante", rivelandosi alla fine uno "scherzo d'autore" con cui un regista che ha ormai raggiunto la pace dei sensi può improvvisare un giocattolo giocoso e divertente, pur curato con tutti i crismi. Preannunciato da una opening sconvolgente che è entrata nella leggenda degli animefan (personaggi e robot che ballano la Monkey Dance!), King Gainer è, essenzialmente, uno degli ultimi, piacevoli contributi di Tomino al genere. Cosa si nasconde dietro ai rasta di King Gainer, il robottone più ridicolo della Storia del robotico?

Come sempre la prima impressione non basta affatto a giudicare: buttato nel bel mezzo della vicenda con un timido tentativo di immedesimazione nell'eroe principale (l'insignificante e ben poco eroico Gainer, otaku campione di videogiochi e, tra parentesi, il primo pilota di robot che porta gli occhiali da vista!), lo spettatore solamente con una visione attenta e lucida può capire cosa sta succedendo nel serrato susseguirsi di avvenimenti, nelle milioni di relazioni interpersonali del cast, che ruolo hanno i numerosi personaggi e che significato hanno i paroloni della vasta terminologia del mondo fittizio (Yapan, Exodus, Domepoli, Overman, Overskill, etc). Vane le speranze di chi, vista la trama leggera, si attende magari una narrazione semplice e immediata: anche se allegro, Tomino è sempre Tomino, e il suo stile di racconto consiste nell'usuale sequela di fitti dialoghi-chiave che fanno recepire storia, avvenimenti, background e attori. La visione dovrà perciò essere fatta a mente pienamente attiva come al solito, pena il non capirci pressoché nulla, ma fortunatamente numerose saranno le ricompense per chi adempierà a tale sfida. L'umorismo che permea la serie è sicuramente la principale.

In King Gainer ci si diverte: in esso vanno ricordati i più assurdi mecha mai visti in animazione (all'ordine del giorno robot dalla forma di monaci, rospi, gelatine e altre fantastiche deformità, senza dimenticare il già citato King Gainer, rasta equipaggiato con una pistola-sega elettrica!), la cui demenza è superata solo dal cast di piloti: omosessuali repressi, soldati frustrati, ninja (?!), cretini dall'acconciatura improbabile... Parliamo di un cast delirante, asservito a una storia impregnata di gag e dialoghi e situazioni surreali. Sono da menzionare anche le incredibili Overskill, i poteri speciali posseduti da ogni Overman, che tra il trasmettere depressione agli avversari, rendere udibili i pensieri delle persone (con prevedibili, imbarazzanti risultati per chi è innamorato e non si dichiara, chi vuole fregare il prossimo, etc.) e moltissime altre capacità, rappresentano una fucina di idee non indifferente per combattimenti sempre creativi (che tecnologie permettono il loro funzionamento? Tomino dice di non farsi troppe domande!10). Che la filosofia del "puro scazzo" non suoni però come discriminante: a dispetto delle apparenze e delle risate, come Xabungle, anche King Gainer ha una trama da raccontare e anche piuttosto articolata, toccando, oltre all'esodo, anche tematiche molto serie e suggestive (civiltà estinte ed extraterrestri, Colpi di Stato, faide familiari e possessioni mostruose): "solo", è improntato su un forte aspetto umoristico di fondo che non viene mai meno. Di "autorale", oltre allo stile di racconto, poi, va infine citato un ultimo tratto tipico della poetica tominiana: l'analisi dei ruoli di maschio e femmina. Volendo prendere le distanze fino in fondo da Gundam, Tomino, disgustato dalla sua società dove il maschio "ideale" è sempre più effeminato (pensiamo al fenomeno del bishounen e dei tanti idol maschili) e la donna sempre più mascolina, sceglie deliberatamente di reinterpretare quest'inversione di ruoli tornando un po' alle origini, rinnegando così buona parte dei suoi attori maschili tipicamente complessati (e ben poco virili) e delle sue donne d'acciaio11. Per la parte maschile sceglie uomini passionali in amore e bravissimi nel loro lavoro (come il co-protagonista Gain, maestro e "faro" dell'insicuro Gainer, o il militare "tutto d'un pezzo" Jassaba Jin), e per quello che riguarda le donne, ispirato da quelle siberiane (di cui ha riempito di annotazioni i suoi appunti nel viaggio in Russia12), individua nella femminilità non più grazia e dolcezza, ma soprattutto orgoglio e fiducia nelle proprie capacità, risultato della consapevolezza del proprio fascino erotico, e queste caratteristiche ben le sposa nell'esuberante Adette Kistler e in buona parte delle altre componenti del gruppo. Fa ridere pensare che nel 2005 il regista, con la consueta, eccentrica raffinatezza, lamenterà in una trasmissione televisiva giapponese che "negli anime odierni non ci sono più personaggi femminili che facciano venire voglia di leccargli la figa"13.

I punti deboli della produzione consistono, in generale, sul cast più bizarro che davvero spassoso, retto su personalità abbastanza deboli (splendono solo Gain, la citata Adette, la bella Sara Kodama e il biondo antagonista Asuham Boone, di contraltro è addirittura inguardabile Gainer), e nella persistenza di gag numerose anche in quelle 2/3 occasioni in cui la storia di tinge veramente di drammatico, dando quasi l'impressione che il tutto sia solo una presa in giro (ma forse è davvero proprio così!). Chiaramente prendersela troppo con l'umorismo sarebbe assurdo visto che l'opera nasce con questa finalità, ma forse Tomino e Ohkouchi si lasciano prendere un po' troppo la mano con scherzi e battutine, se arrivano a ridimensionare l'atmosfera apocalittica di quei 5/6 episodi "seri" così malamente - ma la critica giapponese non la penserà così e Ohkouchi vincerà, nel 2003, il prestigioso premio di miglior sceneggiatura al Tokyo International Anime Fair proprio per King Gainer. Fortunatamente, le puntate conclusive sono così eccellenti da far dimenticare i passi falsi precedenti. Anche dal punto di vista estetico e tecnico la serie mischia esaltazione e dubbi: il chara design, delizioso, pittorico e che sembra uscito da un libro di favole, frutto del lavoro di ben tre chara designer e superbamente reso (in animazione) da uno di loro, Kenichi Yoshida, sembra essere inizialmente coadiuvato da un comparto tecnico straordinario, quasi da lungometraggio, ma tale cura non sarà affatto mantenuta a lungo. Il prosieguo evidenzia incessantemente sbalzi tra animazioni ottime e sottotono e tra disegni curati e altri meno particolareggiati. Quantomeno, i fondali continuano a essere curatissimi ed estremamente suggestivi, ben evidenziando, con le immense distese di neve, pini e betulle, lo scrupoloso lavoro di documentazione in fatto di flora e fauna dei luoghi. Poco più che sufficiente, infine, la colonna sonora, dotata di soli 2/3 brani veramente coinvolgenti.



King Gainer è un'opera a suo modo originale e interessante, ma non per tutti, e soprattutto, per quanto molto buona, non memorabile. Raccontarne la trama è semplice, apprezzarla meno poiché necessita di pazienza per capirla e sopportazione per reggerne un ritmo attento ma lento, come da prassi delle opere del regista. Per questo la visione dell'ultimo lavoro degno di nota di Tomino, per quanto d'autore e consigliato, non può definirsi imprescindibile. Rappresenta una visione d'obbligo però per chi, avendo amato Eureka Seven (2005) dello studio BONES, vuole sapere da dove è stato ripreso il personaggio di Anemone (praticamente una copia sputata di Cynthia Lane, ne riveste lo stesso identico ruolo e ha addirittura il medesimo colore di capelli) e da dove proviene quel talentuoso staff di animatori, chara designer e sceneggiatori.

Voto: 7,5 su 10


FONTI
1 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giappponese", Tunuè, 2012, pag. 376
2 Questo e i successivi retroscena provengono dal volume 3 di "Overman King Gainer" ("Yoshiyuki Tomino e King Gainer: Un nuovo eroe nato per superare i limiti di Gundam", d/visual, 2008)
3 Come sopra
4 Come sopra
5 Come sopra
6 Come sopra
7 Come sopra
8 Come sopra
9 Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)
10 Come sopra
11 Questo retroscena proviene dal volume 4 di "Overman King Gainer" ("Yoshiyuki Tomino e King Gainer: Un nuovo eroe nato per superare i limiti di Gundam -  Seconda parte", d/visual, 2008)
12 Come sopra
13 Vedere punto 9

venerdì 25 giugno 2010

Recensione: Appleseed (1988)

APPLESEED
Titolo originale: Appleseed
Regia: Kazuyoshi Katayama
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Masamune Shirow)
Sceneggiatura: Kazuyoshi Katayama
Character Design: Yumiko Horasawa
Mechanical Design: Takahiro Kishida
Musiche: Norimasa Yamanaka
Studio: GAINAX
Formato: OVA (durata 70 min. circa)
Anno di uscita: 1988
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Yamato Video


Dopo l’ennesimo conflitto mondiale, il pianeta Terra è un pallido deserto irto di macerie, ultimi ricordi del mondo prima delle guerra. In questo scenario postapocalittico, devastato dalla stupidità degli uomini, Deunan e il cyborg Briareos vagano di rovina in rovina, sopravvivendo come riescono. Un giorno giungono a Olympus, un’avveniristica città dove l’ordine sembra essere stato ristabilito con grande sforzi, luogo dove la razza umana vive in pace e tranquillità. Ma una volta arruolatisi in polizia, una serie di attacchi terroristici mina la quiete utopica della supercittà…

Da un manga di culto, scritto e disegnato da quel Masamune Shirow che, con la saga di Ghost in the Shell, ha creato archetipi fantascientifici ben noti a tutti, la versione animata di Appleseed, vero e proprio prequel cartaceo di Ghost in the Shell (1991), pur disponendo di una trama a tratti eccellente risulta essere un semplice OVA che nemmeno raggiunge la sufficienza. Siamo nel 1986, e nonostante l’animazione nipponica abbia già visto prodotti animati in maniera stellare, non è tanto nella qualità delle animazioni non sempre ottime, né, come già detto, in un soggetto esemplare in ambito sci-fi, ma nella decisione della produzione di limitare il minutaggio a soli 70 minuti scarsi che risiede il vero problema di Appleseed. L’insoddisfazione che nasce per un eccessivo lavoro riassuntivo è palese, e dispiace vedere le personalità dei protagonisti spesso sacrificate in favore di un ritmo narrativo esageratamente rapido.

La versione animata non è tuttavia un breve compendio del manga, bensì una spenta storia originale che prende spunto dallo scenario creato da Shirow, conservando alcuni personaggi principali e togliendone molti altri, una storia che impallidisce di fronte al contorsionismo narrativo in cui ci si può perdere leggendo i quattro volumi dell’opera originaria, dove Deunan e Briareos combattono minacce ben più suggestive, tanto invidiabili strutturalmente quanto ardue da comprendere per lo spaventoso livello di complessità. Nessuna lacuna organizzativa o crateri di sceneggiatura, né fastidiose leggerezze, sia chiaro, anzi: discreta strutturazione, sia nello svolgimento della trama che nella costruzione dei personaggi, per non parlare dell’affascinante terminologia tecnologica, abbondando in tutti i settanta minuti dell’OVA. Però, in questa maniera, Appleseed appare freddo, distaccato, addirittura troppo lineare e superficiale per il potenziale che possiede e che dovrebbe esprimere, e non c’è soddisfazione, nella visione, né brillante appagamento una volta che vengono tirati i fili e ci si avvia verso la conclusione.


Discreti i disegni, molto godibili le animazioni nelle scene di battaglie e scontri tra mecha, ma poco piacevole il chara design: l’impronta certamente riconoscibile di Shirow è ben impressa in ogni personaggio e in ogni robot, ma la corporatura eccessivamente tozza di ogni figura umana (o semi-umana) appare spesso troppo buffa, così come i volti, tutti mediamente brutti, tolgono ogni elemento fascinoso ai due agguerriti protagonisti. Musiche low-fi terribili, prettamente anni ’80, sovrabbondano in maniera irritante per tutta la durata dell'opera, e non bastano le scene di combattimento ben dirette, al contrario degli standardizzati momenti di pausa, per dimenticarsene o digerirle. Altrettanto “low-fi” è il doppiaggio italiano, che passa da momenti discreti ad altri di terribile imbarazzo. Basterebbe ascoltare la voce narrante mentre legge – tagliando inspiegabilmente molte frasi! – il testo iniziale che introduce al film per farsi un’idea.

Applessed è un’opera trascurabile e il consiglio, rivolto più che altro a completisti e collezionisti, è quindi di vederla solo ed esclusivamente se si ha apprezzato il manga, pur sapendo che le due storie poco o nulla hanno in comune, se non una manciata di protagonisti. Gli altri lascino pure perdere e si orientino magari verso i recenti film in CG, opere sicuramente più complete e fascinose di questo povero OVA.

Voto: 5 su 10

lunedì 21 giugno 2010

Recensione: Zegapain

ZEGAPAIN
Titolo originale: Zegapain
Regia: Masami Shimoda
Soggetto: Hajime Yatate, Takehiko Ito
Sceneggiatura: Mayori Sekijima
Character Design: Hiroyuki Hataike (originale), Akihiko Yamashita
Mechanical Design: Noriyuki Jinguji, Rei Nakahara, Takayuki Yanase
Musiche: Ayako Otsuka
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2006



Kyo Sogoru è un giovane scavezzacollo che, insieme all'amica d'infanzia Ryoko Kaminagi, cerca di riportare in auge il club di nuoto della scuola. Incontra un giorno una misteriosa ragazza, Misaki Shizuno, che cambierà per sempre la sua vita: il ragazzo viene portato da lei in un'altra dimensione ritrovandosi a bordo di un robot da combattimento chiamato Zegapain. Quella in cui si trova è una realtà apocalittica, dove la Terra è ridotta in rovine e gli ultimi avamposti dell'umanità sono quotidianamente messi in pericolo da una razza di extraterrestri chiamati Gards-orm. Pensando di partecipare a una sorta di "videogioco" immaginario, Kyo si unisce assieme a Misaki ai Celebrant, élite di piloti terrestri anche loro alla guida di robot da combattimento, ma non immagina quale sia la verità dietro a questo mondo di distruzione, e quanto questo avrà ripercussioni sulla vita sua e di Ryoko...

Inevitabile che, un giorno, il grande solco cinematografico lasciato da Matrix finisce con l'influenzare anche il campo dell'animazione nipponica (per quanto lo stesso cult dei Wachowsky debba ben più di un'ispirazione a certa tipologia di cyberpunk orientale, in primis Masamune Shirow e la trilogia di Megazone 23). Il parto migliore in questo campo lo fornisce Sunrise nel 2006 con Zegapain, bella serie TV che, passata in sordina quell'anno e tutt'ora bellamente ignorata dagli animefan di tutto il mondo, rimane una delle migliori incursioni animate a memoria d'uomo in mondi fittizi creati da macchine per addomesticare l'umanità, per più di qualcuno una delle ultime, grandi produzioni del rinomato studio prima di un lungo periodo di lavori modesti o dimenticabili.

Indubbiamente, la prima impressione di vedere Matrix con robottoni al posto di bullet time e kung-fu è tangibile, viste le basi di partenza sostanzialmente identiche (se Kyo e compagni si vestissero di nero, saremmo al plagio vero e proprio). L'eroe vive felicemente la vita nella sua realtà, salvo sporadicamente entrare in quella fittizia per affrontare missioni contro gli alieni a bordo del suo Zegapain, insieme ad altri Celebrant. Di sottofondo, immancabili, misteri legati a cos'è veramente il mondo distrutto, a perché Misaki sembra tanto legata a Kyo, e immancabili parentesi sentimentali, per offrire tutto quello che può compiacere un pubblico più variegato possibile. Meno male, però, che non serve aspettare molto affinché l'opera inizi a dimostrare i suoi grandi attributi. Fin dal primo episodio si nota la cura profusa nel raccontare un'avventura fortemente character driven: Zegapain prende per mano lo spettatore in modo semplice e accattivante, narrando la trama in modo impeccabile, le cui basi di partenza non saranno originalissime ma si sviluppano in modo imprevedibile, con una fortissima enfasi nella caratterizzazione del cast di protagonisti.


Se nella trilogia di Matrix in più tratti la storia è puramente asservita all'azione, Zegapain si può tranquillamente definirne l'antitesi, con le scene di combattimento tra robottoni ridotte ai minimi termini e questi ultimi realizzati in una CG innaturale e inverosimile, quasi a farli sembrare davvero dei videogiochi come inizialmente ipotizzato da Kyo. È un artifizio, come Tomino insegna, per far sì che l'attenzione generale non venga posta sul contorno action. Lo spazio principale dell'intreccio è inteso a sfruttare le intriganti capacità di storytelling dello sceneggiatore  Mayori Sekijima, bravissimo nel rendere partecipe lo spettatore delle contrastanti emozioni di Kyo e degli altri Celebrant che spesso, in guerra, si trovano a fare i conti con la morte dei loro compagni. Bello scoprire che quello che sembra banale clone di Matrix si distingua da lui proprio per personalità così piacevoli, delineate e approfondite, al punto che i loro drammi, le storie sentimentali e la crescita del protagonista tengono l'attenzione sempre desta e appassionata convincendo a divorare più e più episodi.

Dal punto di vista della sceneggiatura, infatti, Zegapain è una delle produzioni meglio scritte del decennio. Non solo riesce nell'impresa di essere perennemente coinvolgente pur basato su 26 episodi perlopiù di iterazioni dialogiche, ma sa divertire, incuriosire nei suoi misteri, spiazzare con i colpi di scena, commuovere con riusciti momenti drammatici o di pathos che tengono inchiodati alla visione. Sopratutto, non scade neppure una volta nell'artifizio degli episodi riempitivi: ognuno apporta sempre qualcosa di significativo all'economia della trama, che pur apparentemente complessa da seguire per il gran numero di terminologie tecniche è raccontata benissimo, non annoia mai, è priva di punti morti. Non viene mai meno un ritmo trascinante che si esplica nella genuina curiosità di seguire l'evoluzione di storia, personaggi e rapporti amorosi. Non c'è un solo individuo, nel massiccio cast, che non è adeguatamente approfondito, e questo vale per gli eroi tanto quanto per i numerosissimi comprimari, ad esempio i compagni di scuola di Kyo.


Elementi di forza che fanno rimanere impressa Zegapain come una gran bella serie, criminalmente quasi dimenticata dal mondo fansub a discapito di essere così riuscita e intelligente. Non un capolavoro che farà la storia (regia funzionale e finale un po' criptico e che necessita di guida esterna per essere pienamente recepito), ma un prodotto di qualità, la cui visione è decisamente consigliata per godere di momenti di intenso coinvolgimento emotivo.

Voto: 8 su 10

giovedì 17 giugno 2010

Recensione: Mazinger Edition Z! The Impact

MAZINGER EDITION Z! THE IMPACT
Titolo originale: Shin Majinga Shōgeki! Z-Hen
Regia: Yasuhiro Imagawa
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Go Nagai)
Sceneggiatura: Yasuhiro Imagawa
Character Design: Shinji Takeuchi
Mechanical Design: Tsuyoshi Nonaka
Musiche: Akira Miyagawa
Studio: BEE Media
Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2009
Disponibilità: edizione italiana in dvd & blu-ray a cura di Yamato Video
 

Passato: nei sotterranei del monte Fuji viene scoperto un nuovo tipo di minerale, il Japanium, che opportunamente lavorato può generare sia un'energia fotonica dalle immense potenzialità che una indistruttibile lega d'acciaio, la Lega Z. Presente: Dottor Hell, uno degli scienziati che ha scoperto il Japanium, cerca di impossessarsi di grandi quantità di energia fotonica per scopi non meglio dichiarati, lanciando nel frattempo contro i suoi colleghi che potrebbero fermarlo una gigantesca armata di robot assassini, legata all'antica civilità micenea. Il folle dottore non ha però fatto i conti né con il collega Juzo Kabuto, che prima di morire affida il gigantesco robot da battaglia Mazinger Z, realizzato in Lega Z, a suo nipote Koji, né con la famiglia aristocratica dei Kurogane, presieduta dalla bella e misteriosa Tsubasa Nishikiori. Quale motivo porta Hell a scatenare una guerra in Giappone per avere quell'energia? Qual è il segreto di Tsubasa? Che ne è stato della civiltà micenea? In che modo è legato Mazinger Z a Zeus, sovrano degli dei?

Il 2009 sarà ricordato come un anno straordinario per gli appassionati di anime e manga: non solo Suzue Miuchi dice di essere pronta per la parte finale dell'interminabile manga Il grande sogno di Maya, non solo a Odaiba viene costruita una gigantesca statua di Gundam per commemorare i 30 anni del franchise, ma sopratutto quell'anno vede tornare nuovamente Yasuhiro Imagawa dietro a sceneggiatura e regia di una serie televisiva, addirittura con un budget accettabile.

Si dovesse, in effetti, guardare la lista dei suoi lavori più famosi, ci si accorgerebbe di come buona parte delle sue opere, anche le più rinomate, siano state costellate da licenziamenti in tronco in corso di serie (Getter Robot: The Last Day), budget mediocri/inesistenti (G Gundam/Violinista di Hamelin) o addirittura finali aperti perché non si sono prodotti i seguiti previsti (il rinomatissimo Giant Robot). Un sacco di problemi che comunque non hanno impedito loro di farsi ricordare per quelle sceneggiature intricatissime che hanno costituito il marchio di fabbrica del regista. Dopo l'annuncio di un nuovo retelling del franchise Mazinger, questa volta però ispirato al mediocre manga Z Mazinger (remake a tema mitologico a opera di un Go Nagai senza più nulla da dire), a inizio dell'anno un sacco di rumor di sono susseguiti sullo staff dell'opera, ora smentendo, ora confermando, la presenza di Imagawa alla regia. Quando, dopo l'ennesimo annuncio semi-ufficiale che dava al suo posto Jun Kawagoe, la cosa è stata ancora una volta rinnegata, in molti hanno iniziato a vedere malissimo una produzione nata apparentemente senza né capo né coda, che fin dalle premesse produttive non sembra avere idee certe su nulla. Eppure Imagawa alla fine è arrivato e, come nelle più rosee previsioni crea, con un budget accettabile, un prodotto eccezionale: Mazinger Edition Z è, senza preamboli, l'anime del 2009 e una delle migliori produzioni in assoluto legate al nome di Go Nagai.


La prima puntata è già leggenda: prendendo tutti alla sprovvista, con quel solito gusto nello spiazzare lo spettatore, Imagawa filma un episodio riassuntivo che sintetizza l'intera storia poco prima dello scontro finale, con un clipshow di immagini e fotogrammi che sottolineano lo spirito della storia. E così, mentre dagli spettatori occasionali partono maledizioni e i fan del regista, memori di The Last Day, se la ridono pensando all'idea come una manovra per non farsi licenziare dallo studio ("se mi licenzi continui te la serie, ma non saprai mai come collegare tutte le scene che ho mostrato"), i fan di Nagai si commuovono vedendo in una stessa serie animata personaggi provenienti dagli universi dei Mazinger, Mao Dante, Violence Jack, Gloizer X... alle prese con divinità della mitologia greca, morte, distruzioni di massa, atmosfere apocalittiche. Quella che ufficialmente nasce come riscrittura di Z Mazinger si rivela un rifacimento, invece, dell'originale Mazinger Z cartaceo di Nagai, quello dei primi anni 70 che ha ispirato le infantili serie tv Toei Animation, che Imagawa rilegge con la sua solita modalità: inserendo al suo interno personaggi provenienti da un po' tutte le opere dell'autore, anche le più disparate. Il trionfo, come ovvio, del ritmo indiavolato tanto caro al regista, con milioni di eventi che si susseguono a ogni episodio, ma anche delle citazioni e delle reinterpretazioni. Mazinger Edition Z è la versione animata definitiva del manga storico Mazinger Z, che pur "fondendolo" col suo remake Z Mazinger per offrire una storia nuova di zecca (per sfruttarne da quest'ultimo il background "mitologico" di Zeus e altre divinità dell'Olimpo), lo celebra in ogni occasione, riprendendone per larghi strati dialoghi, situazioni, avvenimenti, vignette e anche le caratterizzazioni storiche dei personaggi, ampliandone forse il ruolo ma rispettandone il grottesco spirito originale. Ciliegina sulla torta, ancora una volta, un chara design rispettoso e reverenziale verso il tratto sporco, semplicistico e caricaturale del Go Nagai prima maniera, fedelmente rispettato per offrire un fantastico look retrò che aumenta se possibile ancor più il carisma della produzione.

E dove termina l'influenza di un genio, inizia quella di un altro: la storia, completo parto di Imagawa nonostante le influenze del manga è, come prospettato, meravigliosamente appassionante. I twist a ogni episodio sono la norma, così come personaggi che fanno il doppio, triplo o quadruplo gioco, rovesciamenti di posizione, complotti divini, flashback, flashback ALL'INTERNO di altri flashback e un infinito numero di grandi misteri che vengono periodicamente snocciolati e rimpiazzati da altri. Mazinger Edition Z è un tour de force di domande, risposte, numerosissimi personaggi grotteschi, gratificazioni ai fan di Nagai (bisogna ribadirlo: solo chi ha letto la maggior parte dei fumetti del mangaka potrà cogliere tutte le infinite citazioni, che abbracciano davvero ogni campo e opera) e colpi di scena, così volutamente esagerati, frenetici e teatrali da diventare quasi parossistici, ma che in linea con l'atmosfera misteriosa sono pura meraviglia. È la classica sceneggiatura "a bomba di orologeria" di Imagawa, intricata a livelli talmente inumani che serve un taccuino per annotarsi tutto, ma che si chiude perfettamente nella conclusione facendo combaciare tutti i tasselli. Una conclusione con un tale concentrato di rivelazioni da essere strabiliante, celebrando nel migliore dei modi l'arte di Imagawa.


Un capolavoro di ingegno che, paradossalmente, può infastidire giusto i fan più oltranzisti delle "classiche" serie Super Robot di un tempo, per l'assenza di un intreccio lineare e di grandi combattimenti: non solo gli scontri si rivelano molto sintetici (forse anche colpa del budget, accettabile ma non di più), ma la stessa concezione "cazzara" delle serie robotiche "old style" viene a mancare. Le mazzate tra robot sono decisamente l'elemento secondario dello spettacolo, che gioca le frecce del suo arco nel contortissimo intreccio e nei fantastici personaggi. Curioso e spiazzante, anche perché le due opening, cantate dagli "storici" JAM Project (caldo nome nell'ambito delle sigle di serie Super Robot), sono invece ancorate alla tradizione: potenti, gasanti, accompagnate da un gran numero di immagini che risaltano un lato distruttivo/action della serie che, alla fine dei conti, non c'è. Delusioni a parte, in questo senso, sarebbe comunque indecoroso imputare all'opera di non essere riuscita, perché lo è, molto. Il nuovo gioiello di Imagawa deve solo essere inquadrato come giustamente gli compete, ossia come una storia robotica dalle sfaccettature inquietanti e mitologiche, incredibilmente complessa e con un accettabile contorno di azione robotica. Inquadrata come si deve si rivela una grande serie animata, sceneggiata benissimo e rappresenta sicuramente uno dei migliori prodotti animati, se non IL migliore, dedicati ai personaggi e alle creature di Go Nagai. Peccato unicamente per un finale aperto, che, come Giant Robot prima di lui, attende inutilmente un finale che non arriverà mai visto il modesto successo della serie in madrepatria.

Voto: 8,5 su 10

lunedì 14 giugno 2010

Recensione: Change!! Shin Getter Robot - L'ultimo giorno del mondo (Getter Robot: The Last Day)

CHANGE!! SHIN GETTER ROBOT: L'ULTIMO GIORNO DEL MONDO
Titolo originale: Change!! Shin Getter Robo - Sekai Saishuu no Hi
Regia: Yasuhiro Imagawa (non accreditato, ep.1-3), Jun Kawagoe (ep.4-13)
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Ken Ishikawa & Go Nagai)
Sceneggiatura: Yasuhiro Imagawa (non accreditato, ep.1-3), Keitaro Motonaga, Masahiko Murata, Tomio Yamauchi, Shinzo Fujita
Character Design: Kenji Hayama
Mechanical Design: Tatsuo Yamada
Musiche: Yasunori Iwasaki
Studio: Brain's Base
Formato: serie OVA di 13 episodi (durata ep. 30 min. circa)
Anni di uscita: 1998 - 1999
Disponibilità: edizione italiana in dvd & blu-ray a cura di Yamato Video

 

In un vicino futuro il defunto professor Saotome, scopritore dei raggi Getter che hanno contribuito alla prosperità della Terra, torna misteriosamente in vita, completamente impazzito. Alleato con una razza aliena viscidiforme, è alla guida di un gigantesco esercito di cloni di Getter Robot, potente mecha alimentato a raggi Getter, e mira con essi a distruggere l'umanità come gesto di vendetta per la morte di sua figlia Michiru, avvenuta anni prima per mano, a suo giudizio, dei suoi ex allievi Ryoma e Hayato. Per distruggere i piani del loro ex amico questi ultimi tornano alla guida del Getter Robot originale, ma la feroce battaglia porta all'attivazione di potentissime armi di distruzione di massa. Sobillato da invasori alieni infiltrati, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU tenta di annichilirle con una bomba a protoni, ma questo porterà, oltre a milioni di vittime, anche alla dispersione di radiazioni Getter su tutto il pianeta, con conseguente cancellazione di buona parte dell'umanità...

Provare a descrivere un'opera sconfinata come L'ultimo giorno del mondo sarebbe audace quanto cercare di analizzare l'intero 2001: Odissea nello spazio, in primis per la sua incredibile complessità narrativa, risultante dal mix di due sceneggiature diverse amalgamate insieme. La trama sopracitata, per dire, è giusto il prologo della vicenda narrato nei primi tre episodi (!). Andiamo con ordine. L'ultimo giorno del mondo è la prima delle tre interpretazioni animate, realizzate da Dynamic Planning a cavallo tra il 1998 e il 2004 (le altre due sono Shin Getter Robot contro Neo Getter Robot e Getter Robot Re-Model), della Getter Saga. Getter Saga, ovvero la raccolta dei manga Getter Robot, Getter Robot G, Getter Robot GO e Shin Getter Robot, scritti e disegnati in oltre trent'anni dal mangaka Ken Ishikawa con contributi al mecha e chara design da parte dell'acclamato Go Nagai: il compendio definitivo del genere Super Robotico, sintesi di viaggi nel tempo, nemici sanguinari e spaventosi, horror, splatter/gore a iosa, eroi violentissimi e psicopatici (uno di essi, Hayato, è un brigatista rosso!) e scontri devastanti tra colossi di metallo ed entità nemiche grandi quanto pianeti, che si squartano a vicenda con tomahawk e artigli affilatissimi. È anche la prima, storica opera a inventare il concetto di robottoni componibili, che si uniscono tra di loro creando tre versioni diverse del mecha protagonista. In altre parole, la Bibba robotica di Ishikawa esplora fino al limite estremo le potenzialità del genere, rappresentando una bomba, in ambito cartaceo, che da troppo tempo necessita di una versione animata, dopo le infantili trasposizioni Toei degli anni 70. Dynamic Planning e Bandai Visual si ritrovano così insieme, nel 1998, a produrre e animare una serie OVA stellare che, usufruendo di un budget gigantesco, tenta, riutilizzandone il regista/sceneggiatore Yasuhiro Imagawa, di replicare i fasti dell'immortale Giant Robot appena concluso. Shin Getter Robot - L'ultimo giorno del mondo è il parto finale: capolavoro dell'animazione robotica, seppur funestato da scandalose incomprensioni produttive.

I primi tre episodi, il prologo appunto, mostrano a sceneggiatura e regia un Imagawa scatenato. Fedele ai dettami di Giant Robot il regista riscrive, cambiando ruolo a situazioni, personaggi e legami, l'intera Getter Saga, inserendo nuovamente in essa creature e idee provenienti da altri manga dell'autore originale Ken Ishikawa (ad esempio gli alieni di Majuu Sensen e Kyamou Senki). Un numero spropositato di avvenimenti e rivelazioni tengono sulle spine lo spettatore fin dal primo secondo, bombardandolo di azione incessante, esplosioni, riferimenti a fatti e flashback del passato e tutto narrato dal punto di vista di mille personaggi, gettando di peso lo stranulato spettatore in una storia contorta e tesissima come la corda di un arco.  Il ritmo è frenetico e indiavolato, l'azione sembra sfondare lo schermo, e un nugolo di misteri che si esprimono attraverso mille domande fanno presagire un nuovo capolavoro, a prescindere dalla differenza totale della storia col manga di riferimento (di cui mantiene solo le basi di partenza, il tema dell'evoluzione e le folli caratterizzazioni dei protagonisti Ryoma e Hayato). Sembra, però, che ai capoccia di Dynamic Planning quest'esagerazione non sia piaciuta.


Nulla è dato sapere, se non che Imagawa viene presto allontanato e il suo nome ufficialmente rimosso dai credits. Simbolicamente profetizzato dalla nuova opening dell'episodio 4, il cambio di rotta si avverte sensibilmente con un ritmo narrativo più blando. Andandosene via Imagawa porta con sé anche il suo script - su cui tutt'ora si fanno mille speculazioni - così che Dynamic Planning incarica altri sceneggiatori di riprendere in mano la storia per continuarla, con risultati immaginabili. Già spaventosamente intricata, la storia diventa presto ancora più caotica, sia per l'ovvio rimaneggiamento della sceneggiatura iniziale a opera di esterni, sia perché si arriva al punto di capirci poco senza avere in mente le minime basi del manga originario (edito in Italia dalla defunta d/visual). Oltre alla follia precedente si aggiungono ulteriori invasioni aliene, svariate fazioni in gioco (difficile da capire quali alleate e quali no), numerosi flashback, viaggi spazio-temporali, perdite di memoria,  rivelazioni sulla nascita dell'umanità e lo scopo della vita nell'universo, personaggi doppio o triplogiochisti e dalla doppia sessualità, incontri nello spazio con creature provenienti da futuri apocalittici, citazioni del manga così vistose e contemporaneamente incomprensibili (per chi non sa afferrarle) da mandare in tilt. A tutto questo va aggiunto il ritmo narrativo che, seppur rallentato, rimane comunque serrato nel suo continuo snocciolare ulteriori tasselli di una storia sempre più cervellotica.

Sicuramente in molti penserebbero a L'ultimo giorno del mondo come una visione passiva visto il suo genere: non lo è. Però, con dello sforzo è possibile capire il senso della trama senza perderne di vista troppe sfumature, facendo attenzione al legame tra i personaggi e focalizzandosi sulle loro azioni. Anche se a volte sembra davvero che l'opera si diverta a rendere impossibile la comprensione globale, con un pò di sforzo si saprà dare un senso quasi a tutto (il "quasi" è d'obbligo e si riferisce a quei pochi misteri, avanzati nei primi tre episodi, che non troveranno mai soluzione visto che i nuovi sceneggiatori non riescono a mettere i puntini sulle i a tutti i quesiti sollevati da Imagawa). Riuscire nell'impresa significa rendersi conto di avere tra le mani un gioiello. L'ultimo giorno del mondo è infatti un lavoro sontuoso, un Super Robot così cupo, epico e disumanamente intricato da potersi fregiare tranquillamente del titolo Armageddon rimediato negli USA, perfetta sintesi delle sue atmosfere apocalittiche immerse nel sangue e nell'horror. Tutto diretto in modo spettacolare e adrenalinico, con animazioni incredibili degne di Giant Robot e un ritmo indiavolato che tiene sempre desta l'attenzione stupendo con suggestioni visive e registiche indelebili.

 

Ad altissimi livelli chara e mecha design, spettacolari aggiornamenti del tratto oscuro e grottesco del compianto Ishikawa. Stesso dicasi per la colonna sonora di Yasunori Iwasaki, puro, trascinante e gasante hard-rock, e per le due potentissime opening, la marziale Imaga no Tokida! e la trascinante Heats, entrambe a cura degli immortali JAM Project. Dalla Getter Saga era doveroso aspettarsi un prodotto animato maggiormente affine ai suoi temi seriosi rispetto alle bambinesche trasposizioni del passato (di cui L'ultimo giorno del mondo si pone ovviamente come universo alternativo): il risultato è quello che ci si aspettava da tempo ed è, ovviamente, visione imprescindibile.

Un capolavoro mancato l'adattamento originale italiano, risalente ai tempi della defunta Dynamic Italia. Grandissima enfasi interpretativa e dialoghi abbastanza fedeli, se non fosse per alcuni sporadici errori di traduzione che rendono incomprensibili alcune frasi determinanti, e in una storia dove sono loro a fare la differenza questo significa aver minato gravemente la comprensione di porzioni di storia, già di suo estremamente complessa. Per questo è doveroso rivolgersi ai dvd/BD Yamato Video, che per una volta tanto degna il pubblico nostrano di sottotitoli davvero fedeli ai dialoghi originali.

Voto: 8,5 su 10

venerdì 11 giugno 2010

Recensione: Gin Rei - The Animation

GIN REI: THE ANIMATION
Titolo originale: Gin Rei - The Animation
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Mitsuteru Yokoyama)
Sceneggiatura: Hiroshi Ueda, Yuu Sugitani, Michiko Yokote
Character Design: Toshiyuki Kubota
Mechanical Design: Takashi Watabe
Musiche: Masamichi Amano
Studio: Mu Animation Studio
Formato: serie OVA di 3 episodi (durata ep. 40 min. circa)
Anni di uscita: 1994 - 1995


Progetto insolito questo Gin Rei: The Animation (1994), che sfrutta l’amabile, deliziosa eroina omonima, tanto idolatrata in Giappone per indubbie qualità fisiche e non solo, per spogliarla il più possibile rendendola protagonista di tre episodi demenziali legati all’universo di Giant Robot (1992), l’inarrivabile serie OVA scritta e diretta da Yasuhiro Imagawa. Spin-off da intendersi come storia alternativa rispetto a quello raccontata in Giant Robot, e non quindi un approfondimento, Gin Rei, oltre ovviamente alla ragazza, cala i protagonisti dell’anime di Imagawa, da Daisaku a Lord Albert, da Tetsugyu a Taiso, e via via tutti gli altri, in tre mini storie spiritose e pungenti, slegate tra loro, che giocano le carte di un erotismo patinato, quasi ecchi, e di una comicità fracassona e demente che strappa ben più di una risata. Complice il conturbante, svestito corpo della carismatica ragazza, Gin Rei è un susseguirsi ininterrotto di chiare allusioni sessuali, buffe depravazioni e ironiche scostumatezze, senza mai esagerare, senza mai superare un certo limite che snaturerebbe la natura seducente del personaggio, ma donando invece un’oretta e venti di risate, anche a voce alta.

È nei primi due episodi che dà il meglio di sé, racchiudendo in cinquanta minuti scarsi una manciata di idee esilaranti, merito di una sceneggiatura spigliata, condita da dialoghi frizzanti e divertenti, che ben inscenano, nella puntata iniziale, Barefoot Gin Rei, il rapimento della ragazza a opera dei Big Fire e la tortura ad alto tasso erotico che subisce. Ancora più esplosiva la seconda, The Mighty Gin Rei, che presenta una trama più complessa e meglio costruita, sgancia una bomba comica incontenibile con protagonista Daisaku, e fa scontrare il Giant Robot contro la sua versione in gonnella, una Gin Rei Robot a cui non bisogna letteralmente guardare sotto le gonne, pena una colossale scarica di missili. Il più fiacco e meno convincente è invece il terzo, Gin Rei's Blue Eyes, totalmente slacciato dagli altri due e dal concept più affine a Giant Robot, se non per Gin Rei, Tetsugyu e alcuni comprimari. Ambientato in uno strampalato scenario che mescola selvaggio west, suggestioni desertiche orientali e pura avventura archeologica, l’episodio si risolve in una svogliata battaglia contro un mad doctor, senza però l’incisività spassosa delle prime due puntate. Manca infatti quel taglio demenziale, quelle tentazioni autoironiche, e Gin Rei si conclude un po’ così, perdendo l’effervescenza dalla parte iniziale.


Resta comunque un simpatico OVA, impreziosito da quel chara design tipicamente old style e da discrete animazioni, per quanto lontane dal capostipite: visione imprescindibile per chi ha amato Giant Robot (alcuni siparietti sulle vite private dei protagonisti sono comicamente geniali), opera invece sorvolabile per tutti gli altri, che capirebbero poco o nulla di tutte le citazioni, i rimandi e gli ammiccamenti al capolavoro di Imagawa.

Voto: 6,5 su 10

RIFERIMENTO
Giant Robot (1992-1998; serie OVA)

mercoledì 9 giugno 2010

Recensione: Giant Robot

GIANT ROBOT
Titolo originale: Giant Robo The Animation - Chikyū ga Seishisuru Hi
Regia: Yasuhiro Imagawa
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Mitsuteru Yokoyama)
Sceneggiatura: Yasuhiro Imagawa, Yasuto Yamaki, Eiichi Matsuyama
Character Design: Toshiyuki Kubooka, Mari Mizuta
Mechanical Design: Takashi Watabe, Makoyo Kobayashi
Musiche: Masamichi Amano
Studio: Mu Animation Studio
Formato: serie OVA di 7 episodi (durata ep. 40 min. circa)
Anni di uscita: 1992 - 1998

 
La scoperta della nuova fonte di energia Sisma Drive, resa possibile da un team di grandi scienziati capitanato dal dottor Shizuma, ha radicalmente cambiato l’umanità. Tuttavia quest’energia è altamente instabile, e un uso scorretto potrebbe portare a catastrofi immani. È proprio con questo progetto che il perfido gruppo criminale Big Fire vuole impossessarsi del Shizuma Drive, contenitore di sisma drive dalle potenzialità ancora sconosciute. Contro di lui si schiererà l'Organizzazione di Polizia Internazionale, formata da uomini dotati di super poteri e che può contare sul potentissimo, colossale mecha Giant Robot, indistruttibile macchina di guerra votata al Bene.

Yasuhiro Imagawa è un pazzo. Sarebbe alquanto difficile scovare altre definizioni per un regista che ha fatto dell’estrema originalità, pur partendo solitamente da basi piuttosto standard e conosciute, il suo marchio di fabbrica. Un’originalità che nasce dalla voglia non solo di stupire graficamente, come fanno comunque tutti i suoi lavori e sulla quale tornerò fra qualche riga, ma dalla sbalorditiva capacità di prendere in mano manga storici di successo e trasformarli, mutarli, riadattarli fondendoli con elementi tratti da altre opere dello stesso autore, dando vita a imprevedibili, esaltanti, sorprendenti remake che con storie nuovissime non abbandonano comunque il senso e le atmosfere dell'originale. È il caso del recente Mazinger Edition Z! (2009), di cui parleremo a breve, attraverso il quale Imagawa realizza una nuova versione del leggendario manga Mazinger Z (1972) inserendo però, in un calderone in cui bollono horror e fantascienza, un numero incalcolabile di citazioni, richiami e parti mentali relativi all’intera carriera di Go Nagai. E con questo Giant Robot, OVA di lusso, realizzato in ben sette anni (tra il 1992 e il '98) con budget stratosferico e addirittura l'orchestra filarmonica di Varsavia, il talentuoso regista/sceneggiatore si appropria, oltre che dell’omonima opera originale di Mitsuteru Yokoyama, anche di altre sue creazioni nate tra la fine degli anni Sessanta e i primi Ottanta, da Sally la maga (1966) a Babil Junior (1971), da Mars (1976) a opere ancora inedite quali Kamen no Ninja Akakage (1966), Sangokushi (1974) e Suikoden (1967), rubando personaggi e situazioni da questa o da quella e mescolandole, aggrovigliandole, attorcigliandole poi tutte assieme in un prodotto finale per certi versi stupefacente. Il motivo? Un’assurda imposizione di produzione, che gli vietava di utilizzare i personaggi originali all’infuori del protagonista Daisaku e dell’immenso Giant Robot, abilmente raggirata interpellando direttamente il maestro Yokoama e ottenendo la geniale autorizzazione di utilizzare le sue creazioni più famose eccetto quelle di Giant Robot stesso.

 
Giant Robot vive infatti di una trama molto, molto contorta, ai limiti dell’umana comprensione, narrata in una maniera altrettanto complessa e arzigolata, priva di vincoli strutturali. “Linearità” e “semplicità” sono termini che non esistono nel vocabolario di Imagawa, né avrebbero un senso, e così Giant Robot si struttura in sette lunghi episodi nei quali i flashback sembrano rincorrersi per creare ulteriori flashback con cui spiegare altri flashback ancora. È un gorgo di colpi di scena e rivelazioni, un sistema narrativo di certo furbo ma non per questo disonesto, perché ogni puntata è così densa di avvenimenti e pregna di ribaltamenti che si viene letteralmente travolti da un’intricatissima follia esplicativa.

Ciò che piace maggiormente, e che rende ancora più distinguibile l’operato di Imagawa, è l’amore per un certa componente grottesca tipicamente Seventies, che potrebbe anche trarre in inganno circa l’estrema serietà complessiva dell’OVA. In realtà si tratta di un godibilissimo stratagemma visivo con cui celebrare una delle ere d’oro dell’animazione nipponica (bellissimo, a tal proposito, il chara design buffo e stralunato di Toshiyuki Kubooka) e per mezzo del quale giustificare un’imbattibile tamaraggine senza precedenti: ogni personaggio di Giant Robot, che possieda o meno poteri sovrumani, può compiere azioni che nulla hanno a che fare con il realismo, neanche quello meno fiscale e attento. Tra balzi chilometrici e scontri impossibili, basterebbe la lunga sequenza d’apertura, dove Tetsugju distrugge un elicottero a mani nude correndo sopra un treno lanciato a folle velocità, per farsi un’idea della pazzia visionaria e virtuosistica di Imagawa, tanto eccessiva quanto fenomenale.


Con Giant Robot Yasuhiro Imagawa firma un capolavoro dell’animazione, un superlativo frullato di esagerazioni e invenzioni, sempre coadiuvate e legittimate da dialoghi eccellenti, capaci di tenere in piedi un’impalcatura mostruosa e imprevedibile. Un unico appunto potrebbe andare verso la troppa, davvero troppa carne al fuoco di una parte conclusiva che addirittura annichilisce per quantità di informazioni e rivelazioni, tanto che il finale aperto potrebbe smarrire più di uno spettatore, ma è cosa che si sbriciola dinnanzi alla potente, potentissima architettura narrativa generale. Irrinunciabile.

Voto: 9 su 10

ALTRO
Gin Rei: The Animation (1994-1995; serie OVA)

lunedì 7 giugno 2010

Recensione: Mobile Fighter G Gundam

MOBILE FIGHTER G GUNDAM
Titolo originale: Kidō Butōden G Gundam
Regia: Yasuhiro Imagawa
Soggetto: Hajime Yatate, Yasuhiro Imagawa (non accreditato)
Sceneggiatura: Yoshitake Suzuki
Character Design: Hiroshi Osaka, Kazuhiko Shimamoto
Mechanical Design: Hajime Katoki, Kimitoshi Yamane, Kunio Okawara
Musiche: Kouhei Tanaka
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 49 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 1994 - 1995


Secolo Futuro, anno 060. Come ogni quattro anni, è giunto il momento del Gundam Fight, il torneo di arti marziali fra Gundam che determinerà quale colonia spaziale ha il diritto di governare su tutte le altre fino alla prossima manifestazione. Questa ricorrenza è nata oltre mezzo secolo prima, per impedire una volta per tutte l'insorgere di nuove guerre che già hanno distrutto il pianeta Terra. Prima che l'evento abbia inizio, Domon Kasshu, rappresentante di Neo Japan e pilota dello GF13-017NJ Shining Gundam, insieme al suo meccanico di fiducia, la bella Rain Mikamura, viaggia da un luogo all'altro della Terra, affrontando tutti i Gundam Fighter in via preliminare, chiedendo a ciascuno di loro se hanno visto da qualche parte suo fratello Kyoji, verso cui nutre un odio smisurato. Quali sono i motivi di questo risentimento? Che ruolo ha, in questo, il minaccioso, demoniaco Devil Gundam? Chi vincerà il prossimo Gundam Fight?

Il 1994 è stato, per la fluviale saga di Gundam, un anno spartiacque per più di un motivo. Mobile Suit Victory Gundam (1993) si conclude nell'indifferenza generale del pubblico e degli acquirenti di Gunpla, rivelandosi, insieme alla serie originale del 1979, il secondo, storico fallimento totale del brand - addirittura il peggiore, vista la mancata "riabilitazione" con un qualche film riassuntivo. In secondo luogo, Bandai, storico, instancabile sponsor di Sunrise, si fonde con quest'ultima1, diventando a tutti gli effetti il nuovo "capo" che detta legge in merito al coniugare il business di giocattoli e modellini con l'animazione. La combinazione delle due cose vede, in piena trasmissione della serie, Bandai incerta sul da farsi, non sapendo se valga ancora la pena investire su una saga che ha perso sempre più pubblico, sia in TV che al cinema, e che col suo ultimo titolo non ha convinto neppure nella vendita del merchandising allegato, e per questo arriva alla conclusione che o ci si reinventa tutto, percorrendo nuove strade narrative, o tanto vale chiudere bottega2: un mese dopo la conclusione di Victory Gundam, quindi, in concomitanza col quindicesimo anniversario della saga, nel 1994 il brand trova una nuova serie televisiva, che dovrà ben rispondere a questa filosofia. Per fare questo, si decide che l'ultimo titolo sarà stato quello definitivo ambientato nella storica Era Spaziale che ha fatto da culla alla saga. Dal nuovo lavoro in poi, tenuto conto della volontà di rivolgere Gundam alle nuove generazioni di telespettatori e di dargli nuova linfa, si varieranno scenari e temi, ambientando le storie in linee temporali nuove di zecca e del tutto autonome. Nasce dunque il primo, storico Universo Alternativo del brand, e Yoshiyuki Tomino, dopo il flop di Victory Gundam, può, con somma gioia, finalmente chiudere  l'esperienza in animazione con l'odiato Mobile Suit bianco (si dedicherà, tuttavia, per tre anni, al manga Mobile Suit Crossbone Gundam) e lavorare su progetti che reputa più interessanti e personali.

Per concepire G Gundam (questo il nome scelto per la nuova opera, rivolta, nelle intenzioni a un pubblico molto giovane3), Bandai e Sunrise, dietro consiglio di Tomino4 che propone per loro una serie "molto strana e bizzarra" (alcune indiscrezioni riferiscono che abbia pure fornito le stesse basi del soggetto, ma in mancanza di conferme autorevoli...), si ispirano palesemente all'epocale videogioco Street Fighter II (1991), amatissimo dai ragazzi dell'epoca, e scrivono il soggetto di un un dissacrante, incredibile picchiaduro interpretato dai Gundam, un eclatante rinnegamento delle classiche storie di dramma e guerra viste fino a quel momento. Similarmente al capolavoro CAPCOM, nella storia l'eroe Domon Kasshu, giapponese, deve affrontare i rappresentanti degli altri Stati del globo, ognuno plasmato sugli stereotipi fisici e caratteriali del proprio Paese (il francese tombeur des femmes, l'americano tamarro ed esaltato, il canadese "uomo dei boschi", l'italiano mafioso, etc.), e ciascuno alla guida del proprio Gundam, anch'esso ben riconoscibile e che esteticamente richiama costumi e armi caratteristici. I Gundam Fighter si affrontano quindi nel Gundam Fight, un torneo mondiale creato per l'occasione. Sempre sotto consiglio del creatore di Gundam5, alla direzione è scelto Yasuhiro Imagawa, animatore veterano dello studio e soprattutto acclamato regista e sceneggiatore del bellissimo Giant Robot (1992) che in quegli anni faceva impazzire gli otaku, forse proprio per il suo amore viscerale per il wuxia e i film di arti marziali. Il risultato di questo spiazzante e parodistico Gundam Super Robot, disegnato con stile fighetto e spigoloso e presentato al pubblico, in un intervento dello stesso Imagawa nella rivista Animage, come un (sintetizzando con parole diverse) "ritorno alle origini del concetto di intrattenimento divertente, appassionante e disimpegnato, con quel sense of wonder andato un po' perduto col realismo gundamico"6, sarà estremamente curioso: a dispetto del basso share (4.11%7) conoscerà una buona popolarità presso il pubblico generale e venderà bene nel mercato dei modellini8, ma al costo di spaccare completamente in due sia il pubblico giapponese (quasi tutti i fan storici della saga lo odieranno a morte per il "tradimento" alla saga e i buffi Gundam9), che il suo stesso staff, con moltissimi animatori e collaboratori che se ne andranno durante le prime fasi della storia perché in disaccordo totale con una Bandai mai così "intrusiva" (prima di quel momento) nella stesura della storia, che metteva diktat ovunque per imporre una trama più tendente al contorno "giocattoloso" (per ovvie ragioni) che ai contenuti10.


Nonostante tutto, la serie, per la felicità di Imagawa (che ancora oggi ne è giustamente orgoglioso11), è davvero grandiosa, una delle migliori in assoluto nel panorama gundamico pur con tutte queste polemiche e alcuni difetti oggettivi. Il più eclatante di questi consiste nella ripetitività delle situazioni, data dallo schematismo esasperato delle vicissitudini di Domon, sia durante la preparazione al Gundam Fight sia nel torneo vero e proprio: nella quasi totalità delle puntate che compongono la serie, l'eroe e Rain sono protagonisti di una mini avventura -  nella quale spesso conoscono il prossimo Gundam Fighter da affrontare e le sue motivazioni (il nemico ha quasi sempre qualche dramma personale a cui bisogna porre soluzione) - che culmina, quindi, nel combattimento finale. Conclusione, quindi, molte volte coronata dalla nascita di una nuova amicizia, dopo un processo di comprensione dato dal virile linguaggio dei pugni. Tutto questo per 30/40 puntate buone, infarcite di lungaggini, immancabili power up e match evitabili ai fini di trama. Aggiungiamoci un'immancabile buonismo di fondo nelle singole avventure (tutto si risolve sempre nel migliore dei modi per il Gundam Fighter di turno) e, soprattutto, scontri corti o addirittura cortissimi, due o tre minuti scarsi medi, che vedono i due Gundam attaccarsi con un paio di mosse veloci e poi lo Shining Gundam di Domon chiudere immediatamente la sfida col suo attacco imbattibile, le Shining Finger. Questi schemi risultano alla lunga fastidiosi, e in particolar modo è fastidiosa la brevissima durata dei match, ulteriormente penalizzati dal budget medio/basso stanziato da Bandai che si contraddistingue nell'intenso sfruttamento di disegni statici per sopperire alle mediocri animazioni. Fosse stato prodotto con molti più soldi, ed eliminando dalla trama i combattimenti più futili per dare più spazio e minutaggio a quelli importanti e ricchi di pathos, non c'è dubbio che G Gundam sarebbe uscito addirittura un capolavoro, specialmente per le ambizioni del suo genere di riferimento.

È, in ogni caso, un Gundam indimenticabile e graffiante, specialmente per la sua sbandierata e orgogliosa carica "eretica" e la sua volontà di sputare in faccia a chi all'epoca amava visceralmente la saga per il suo realismo e le tematiche di guerra (e, vedendo come sia in Giappone che in Italia l'opera sarà ancora oggi sepolta da tonnellate di fango spalategli contro dagli appassionati "talebani" del franchise, incapaci di farsi una ragione di una storia priva di conflitti e Newtype, si può ben dire che abbia colpito e affondato il suo bersaglio!). Nella serie, Imagawa si sbizzarrisce in combattimenti estremamente creativi: uomo contro uomo, mecha contro mecha, addirittura uomo contro mecha. Dando libero sfogo alla fantasia, il regista inventa stili di combattimento e di arti marziali (praticati sia dai lottatori che dalle loro unità) tanto impossibili quanto geniali: raffiche di pugni infuocati, fasci di seta serpentiformi, trottole umane, salti lunghi km, calci in grado di spostare grattacieli e acrobazie allucinanti sono punti di forza di una serie leggera che non si vuole minimamente prendere sul serio, estremamente compiaciuta com'è nel suo parodiare Gundam nell'ottica di una storia d'azione grondante stile e potenza, configurandosi come un inno allo sfogo di aggressività, alla sboroneria (onde energetiche infuocate, fortissimi ninja mascherati, Gundam che cavalcano cavalli meccanici, e la modalità Super Mode che dona ai Gundam un'aura dorata simile a un'armatura gialla che richiama volutamente i Gold Saint di Saint Seiya12) e al cameratismo virile tra lottatori. "I don't care", risponde divertito Imagawa13 a chi si lamenta dell'assenza di realismo, delle colonie spaziali dalle forme ridicole, delle migliaia di superficiali leggerezze e ingenuità che costellano la stessa storia,  del mitico Master Asia (uno dei personaggi gundamici più popolari di sempre) che abbatte da solo - e senza guidare la sua unità - centinaia di robottoni alti dieci metri, del fatto che a Domon basti schioccare le dita per far materializzare all'istante la sua unità in qualunque posto si trovi, e di ogni altro genere di assurdità volute appositamente per un titolo orgogliosamente sopra le righe ed esagerato oltre ogni limite. Memorabile e criticatissimo dai fan "ortodossi", poi, è l'allucinante mecha design dei Gundam, comprensivo di Gundam-tori di Neo Spain, Gundam-Joker di Neo Portugal, Gundam-sirene da Neo Denmark, e tantissime altre follie meccaniche (vampiri, mulini a vento, surfisti, addirittura emuli di Sailor Moon...!!). Questa strabiliante varietà, che tanto mal di stomaco ha causato ai puristi dell'Era Spaziale (Okawara dirà che Imagawa gli ha chiesto un design à la Yatterman!14), è ancora oggi il punto davvero forte della produzione, capace di partorire sia i fenomeni da baraccone sopra citati, sia alcuni Gundam tra i più spettacolari e indimenticabili di sempre (il GF13-001NHII Master Gundam, il  GF13-002NGR Zeus Gundam, il GF13-017NJII God Gundam che dà il titolo alla serie, o il terrificante Devil Gundam che è tutt'ora il più potente Gundam che si sia mai visto nell'intera saga, capace di mangiarsi letteralmente la Terra!). Privi dell'obbligo di rifarsi al solito realismo della saga, i mecha designer Sunrise si sbizzarriscono e danno vita a uno sterminato esercito di ben 48 unità gundamiche, pronte a fare la felicità di chi adora il caratteristico look del più famoso e incazzato robot bianco nelle sue più incredibili varianti.

Varietà, fantasia, divertimento: queste le parole chiave che determinano il "percorrere nuove strade" ordinato dai vertici Bandai, e non si può negare che non manchino in una serie fracassona e così amorevolmente, commoventemente eccessiva come G Gundam. Se ancora non bastasse tutto questo, si può citare come il carisma del lavoro si esprima anche in irresistibili ed esaltanti motivetti musicali durante gli scontri, in un cast di protagonisti e comprimari ispirati a livello di design, costumi e personalità (pur con caratterizzazioni ovviamente basiche, da tipico Battle Shounen), in una grande prova vocale da parte dei seiyuu, o nella spettacolare idea che i Gundam replichino le mosse di arti marziali dei loro piloti (sullo stile di Reideen il coraggioso del 1975). Per tutte le numerose ambientazioni della storia, poi, Imagawa sottopone il suo staff a una prova titanica: lo costringe a guardarsi innumerevoli film e telefilm e sfogliare un'infinità di guide turistiche, riviste e libri, per cercare fotografie e descrizioni da cui prendere spunto per illustrare i fondali di ogni singola città ricostruita in animazione, episodio dopo episodio15, caratterizzando con una certa cura e rigore le scenografie (al punto che la famosa, lunga parentesi dell'allenamento di Domon nelle foreste della Guyana è stata, in realtà, un regalo del regista ai suoi uomini per permettere loro di tirare il fiato per oltre un mese di trasmissione, con un'ambientazione unica e tutta uguale e quindi facile da disegnare16).

Vale, infine, la pena spiegare in cosa consiste l'apporto maggiore di Imagawa a questa serie. Appena chiamato da Sunrise, si aspetta, entusiasta, di poter dirigere una serie vicina a Mobile Suit Z Gundam (1985) o Victory Gundam, da lui molti amati, e per questo grande è la sua sorpresa nell'apprendere di dover lavorare invece su un simile picchiaduro17. Proprio per renderlo meno banale e scontato di quello che sarebbe stato, si imporrà a suoi datori di lavoro spingendo per costruirvi sopra una trama che dia più spessore alla semplicistica idea del torneo di arti marziali, e così sarà: è farina del suo sacco l'oscura e drammatica storia che lega le peregrinazioni di Domon18 (la vicenda del Devil Gundam e di suo fratello, gli ambigui Master Asia e Schwarz Bruder e i grandi poteri che cospirano dietro il Gundam Fight), sottotrama che presto arriva a sovrastare e prendere il posto di quella principale, leggera e sopra le righe voluta da Sunrise. A lui, quindi, va il merito di aver sfruttato il contesto di robottoni e mazzate virili per raccontare - coronando il suo sogno di farlo almeno una volta nella sua carriera19 - quella che è, spogliata dagli orpelli robotici, una tenebrosa, apocalittica e riuscitissima storia d'amore (ovviamente fra Domon e l'inseparabile Rain).


G Gundam fa proprio di tutto per rivendicare la sua indipendenza dalla serie madre e in questo risiede la sua bontà: si rivela uno "shounen" ignorante, avvincente e divertente che sa anche trovare momenti d'autore, quasi un trash pirotecnico ed esagerato che si compiace di questo e non ha remore a osare sempre di più, superando ogni volta i livelli dissacratori e infischiandosene delle fortissime polemiche in madrepatria. L'energico eroe Domon (fisicamente plasmato sul mangaka Kazuhiko Shimamoto20, a sua volta tra i chara designer dell'opera, conosciuto dal pubblico italiano per il fumetto Manga Bomber del 2001) è simpatico quanto basta per attirare subito interesse, e le sue avventure, per quanto scontate, sanno ben intrattenere grazie alla cura negli elementi di contorno. È merito anche della sceneggiatura del veterano Yoshitake Suzuki, che, seppur pecchi di fin troppi riempitivi nella prima metà della serie,  nella sua estrema linearità (nulla di accostabile agli ingarbugliatissimi script di Imagawa, se questo poteva fungere da "spauracchio" a chi non sopporta le sue storie cervellotiche) costruisce con cura, episodio dopo episodio, una grande curiosità verso i misteri della storia. Nodi che vengono puntualmente al pettine nell'ultimo arco narrativo della serie, quello migliore (rispetto alla prima parte che è solo un preambolo al Gundam Fight), contraddistinto da un paio di colpi di scena spiazzanti che rovesciano tutte le convinzioni accumulate fino a quel momento, e un'ultima decina di episodi di livello eccelso, che confluiscono in climax magistrali, commoventi ed esaltanti. Un ispirato Imagawa dirige con la sua classe registica di alto livello, sopperendo in parte ai vistosi limiti del budget e arrivando a regalare, all'apice della storia, numerose sequenze di forte impatto scenico ed emotivo.

Indubbiamente una buona ventina di episodi riempitivi si potevano evitare senza ripercussioni sulla storia e questo è un dato di fatto, ma nel complesso G Gundam funziona ugualmente benissimo: la sua natura spiccatamente "ignorante" palesa subito le ambizioni del prodotto, che va inteso unicamente come divertissement di gran classe, nato con l'unico scopo dichiarato, e riuscito, di commemorare il marchio tirandone fuori un esponente originale e creativo per rilanciare il franchise. Nel suo genere parliamo davvero di una grande opera, coronata, come merita, da un finale perfetto. Non sarà proprio un caso, quindi, se l'idea di un torneo mondiale di combattimento tra robot farà una certa scuola, ispirando due remake nell'arco di vent'anni, entrambi high budget: Apo Mekhanes Theos Gigantic Formula (2007, Brain's Base) e specialmente, in tempi più recenti, Gundam Build Fighters (2013) sempre di Sunrise, paradossalmente amatissimo dagli stessi fan che hanno sempre osteggiato G Gundam.

Voto: 8,5 su 10

ALTRO
Gundam Evolve../ 03 GF13-017NJII God Gundam (2001; OVA)


FONTI
1 Conferenza del 2002 di Yasuhiro Imagawa all'Università Internazionale della Florida. La sintesi dei suoi interventi è raccolta in un topic del forum Neo Seeker (http://www.neoseeker.com/forums/42/t110743-yasuhiro-imagawa-speaks-so-does-yoshiyuki-tomino-yoko-kanno-tashihiro-kawamotu/#pagetop)
2 Come sopra
3 Come sopra
4 Stessa conferenza di cui sopra, riepilogata in modo più approfondito nel sito Mecha Anime Headquarters. http://www.mahq.net/rants/cons/imagawa/imagawa.htm
5 Come sopra
6 Mangazine n. 37, Granata Press, 1994, pag. 6
7 Sito web (in giapponese), http://toro.2ch.net/test/read.cgi/shar/1336141685/. I bassi ascolti sono confermati anche dal saggio di Guido Tavassi "Storia dell'animazione giapponese" (Tunuè, 2012, pag. 250)
8 Vedere punto 1
9 Come sopra. Riguardo alle ferocissime critiche dei "puristi" di Gundam, la cosa è confermata anche da un'altra intervista a Imagawa rintracciabile sul defunto blog Gunota Headlines (http://aeug.blogspot.it/2006_09_01_archive.html#115846513271697487), da pag. 7 di Mangazine n. 44 (Granata Press, 1995), e da un'intervista a Kunio Okawara pubblicata nel quotidiano "Senkei" nell'agosto 2015, tradotta e pubblicata nella pagina web https://vanishingtrooper.wordpress.com/2015/08/20/interview-with-kunio-okawara-from-the-sankei-newspaper/
10 Vedere punto 1
11 Intervista a Imagawa rintracciabile sul defunto blog Gunota Headlines (http://aeug.blogspot.it/2006_09_01_archive.html#115846513271697487)
12 Intervista a Imagawa presente tra gli extra dei DVD americani della serie (distribuiti da Bandai). In questo caso, vedere File 6 (DVD 6)
13 Intervista a  Imagawa presente tra gli extra dei DVD americani della serie. In questo caso, vedere File 1 (DVD 1) e File 4 (DVD 4)
14 Intervista a Kunio Okawara pubblicata nel quotidiano "Senkei" nell'agosto 2015, tradotta e pubblicata nella pagina web https://vanishingtrooper.wordpress.com/2015/08/20/interview-with-kunio-okawara-from-the-sankei-newspaper/
15 Intervista a  Imagawa presente tra gli extra dei DVD americani della serie. In questo caso, vedere File 1 (DVD 1), File 2 (DVD 2), File 3 (DVD 3) e File 4 (DVD 4)
16 Intervista a  Imagawa presente tra gli extra dei DVD americani della serie. In questo caso, vedere File 5 (DVD 5)
17 Vedere punto 1
18 Come sopra
19 Vedere punto 12
20 Mangazine n. 35, Granata Press, 1994, pag. 9

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