mercoledì 28 settembre 2011

Recensione: Moryo's Box

MORYO'S BOX
Titolo originale: Mouryou no Hako
Regia: Ryousuke Nakamura
Soggetto: (basato sul romanzo originale di Natsuhiko Kyogoku)
Sceneggiatura: Sadayuki Murai
Character Design: CLAMP (originale), Asako Nishida
Musiche: Shusei Miurai
Studio: Mad House
Formato: serie televisiva di di 13 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di uscita: 2008

 
L’agente Kiba è incaricato di indagare su uno strano caso: una ragazza è morta investita da un treno, e l’assassino gira a piede libero. Unico indizio per incastrarlo, un paio di guanti neri. Nient’altro. Nessuna motivazione sembra infatti esserci dietro alla spinta fatale con cui la giovane ha perso la vita. Allo stesso tempo, in città iniziano ad apparire arti mutilati, ricomposti in bizzarre statue di carne. Cosa collega i due crimini? E perché tutto sembra ricondurre a un immenso ospedale/laboratorio a forma di cubo costruito nel mezzo di un bosco?

Sadayuki Murai era il maggior sceneggiatore di Boogiepop Phantom (2000), serie minore e con ben più di una pecca, ma ricca di inquietudine e bizzarro fascino nel suo saltellare tra i generi con una gestione niente male del carico d’orrore. Già al lavoro con boss dell’animazione come Satoshi Kon e Katsuhiro Otomo, lo ritroviamo anni dopo a capo del progetto Moryo's Box (2008), ambizioso e intricatissimo giallo-horror tratto dal romanzo omonimo di Natsuhiko Kyogoku (Star Comics ha pubblicato in Italia l'adattamento manga in 5 volumi): stessa produzione Mad House, stessa tortuosa non linearità nella progressione della trama e stesse atmosfere di Boogiepop Phantom, fatte di silenzi sinistri, tenebrosi rintocchi di campane e una cappa di tetra oscurità a soffocare ogni cosa, ma tutto acquista un nuovo valore, tutto risulta scritto meglio, disegnato meglio, diretto meglio: libero di agire come gli pare, Murai ha un controllo ben definito anche sul più piccolo dei dettagli, e crea un piccolo capolavoro.

Grazie a una maggior compattezza nel pescare da un’infinità di generi, Moryo's Box riesce a evitare meravigliosamente le tipiche imperfezioni di certa animazione nipponica, quella dettata da una facile voglia di strafare nella creazione di colpi di scena e cliffhanger (che tanto bene si prestano alla serializzazione episodica) per poi rovinare tutto con una brusca accelerazione nella parte finale per tirare, spesso malamente e con qualche toppa di troppo, tutti i fili intrecciati: dal suicidio iniziale della giovane e viziata ragazza scaturisce un’imprevedibile vicenda che sbanda gustosamente ovunque toccando una moltitudine impressionante di elementi (oltre ai generi madre come noir, horror e sci-fi, troviamo occultismo, religione, spiritismo e ingegneria genetica), e che raggiunge una perfetta, perfetta conclusione dando una risposta precisa e completa alle tonnellate di interrogativi sollevati. Chiaro dunque che, a visione ultimata, è facile provare un senso di estrema soddisfazione nel riconoscere a Murai di aver tracciato uno script magistrale, capace di mutare forma e genere, rivoltandosi su se stesso e rincorrendosi con flashback splendidamente aggrovigliati, salti temporali spiazzanti, pazzie narrative, clamorosi duelli verbali, miscugli impossibili eppure favolosamente efficaci.


L’inizio è dei più pacati e disorientanti, con un intero episodio sul versante drammatico-romantico al quale segue un’equilibrata doppia indagine: entrambe sature di visioni cupe e angoscianti, morti inaspettate e misteri di hitchcockiana risoluzione, la differenza sta sostanzialmente nei metodi d’indagine. La prima si ancora a una strutturazione più classica, con la componente thriller che si fonde all’horror per mezzo di omicidi inspiegabili e sparizioni incomprensibili (e dove il poliziotto Kiba cerca i sospetti, li interroga e formula ipotesi), mentre la seconda si sgancia dalle tradizionali osservazioni per fornire, sullo sfondo di un pazzo che dissemina la città di arti mutilati, un’appassionante analisi, in larga parte dialogica, di modus operandi criminali e relative spiegazioni. È qui che Moryo's Box acquista allo stesso tempo originalità e criptica comprensione, in quanto se da una parte si rimane stregati dal carisma del medium/investigatore e dal modo in cui collega certi aspetti soprannaturali all’indagine, dall’altra diventa difficile seguire le sue arzigolate elucubrazioni basate quasi interamente su religioni orientali, folklore locale, geometria mistica, metodi per evocare gli spiriti e complicate ricette per scacciarli. Dialoghi d’acciaio, ragionamenti verosimili, credibili false piste inseguite e altrettanto credibili baratri che costringono a ricominciare da zero, e poi tanti, tanti personaggi coinvolti e caratterizzati con una delicata sensibilità, oppure con una fascinosa supponenza, inseriti perfettamente nel contesto del dopoguerra in cui si svolge la vicenda, sapientemente rievocato grazie agli ambienti e ai costumi (tanto che anche gli innesti proto-fantascientifici come l’immenso cubo-ospedale paiono naturali e possibili), e ben ombreggiato da una fotografia che risalta il presente e dona spessore simbolico ai numerosi flashback.

Un’opera che si basa su una tale possanza dialogica, costringendosi spesso a un’immobilità necessaria a rilasciare le complesse informazioni concepite, avrebbe ingiustamente perso l’incanto narrativo se non fosse stata supportata dalla sorprendente regia dell’esordiente Ryousuke Nakamura, abilissimo nel dare dinamismo alla generale calma per mezzo di inquadrature ispirate, andamenti schizoidi, infiltrazioni disturbanti, improvvise accelerazioni, tagli strategici e maestose trovate visive per sottolineare i flashback (dalle semplici differenze di colorazione all’uso di filtri danneggiati e insolite soluzioni visive). Eccellente oltre ogni aspettativa, inoltre, il reparto tecnico, con animazioni fluide e ricche di dettagli (soprattutto durante i lunghi scambi di battute, nei quali i personaggi compiono piccoli movimenti aumentando la componente realistica) e alcuni interventi di CG, per automobili e in generale i mezzi di trasporto, tutto sommato ben amalgamati con il resto.


Impossibile consigliare pienamente l'opera, servono pazienza necessaria per assimilare concetti estranei alla cultura europea ed estrema attenzione per cogliere dettagli e seguire i tortuosi ragionamenti in scambi dialogici lunghissimi (in un caso durano addirittura un intero episodio!). La bontà dell’intreccio e l’ottima dose di inquietudine sono stati però per me stimolo a divorare la serie: concedetevi magari un paio di episodi, se possibile con il funsub in italiano se non masticate adeguatamente l’inglese.

Voto: 8,5 su 10

4 commenti:

http://occhiliquidi.wordpress.com/ ha detto...

Questo mi manca... In effetti Nakamura è un grosso sceneggiatore, anche se troppo di genere.

Simone Corà ha detto...

Recuperalo, è molto cerebrale, con trama e personaggi belli densi.

OMEGA_BAHAMUT ha detto...

Devo dire che le premesse della recensione mi hanno molto incruosito, ergo provvederò senz'altro a recuperare la serie al più presto (l'ho messo già in down XD).
Vi farò sapere appena la finirò ^^

Simone Corà ha detto...

Bravo! (Rileggendo la rece mi è quasi venuta voglia di rivederlo, da tanto erano belle e riuscite le atmosfere...)

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