giovedì 27 ottobre 2011

Recensione: Ponyo sulla scogliera

PONYO SULLA SCOGLIERA
Titolo originale: Gake no Ue no Ponyo
Regia: Hayao Miyazaki
Soggetto & sceneggiatura: Hayao Miyazaki
Character Design: Katsuya Kondo
Musiche: Joe Hisaishi
Studio: Studio Ghibli
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 101 min. circa)
Anno di uscita: 2008
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Lucky Red


Il parere del Dio Giorgio

La pesciolina Ponyo, sbalzata lontano dal suo regno sottomarino, viene trovata sulla spiaggia dal piccolo Sōsuke, che stringe con lei una sincera amicizia. Dopo aver ingerito il sangue da una ferita del ragazzo la piccola acquisisce forma umana, decidendo di rimanere a vivere con l'amico. Questo non piace per niente a suo padre, lo stregone Fujimoto, che nel contempo cova progetti distruttivi verso l'umanità, di cui lui stesso faceva parte, rea di inquinare i mari e di non conoscere rispetto per le diversità...

Si può affermare che Ponyo sulla scogliera (presentato in anteprima e in concorso alla Mostra di Venezia 2008) sta al precedente Il castello errante di Howl (2004) come La città incantata (2001) stava a Principessa Mononoke (1997): in entrambi i casi, infatti, si respira una libertà d’azione che pervade l’animo di Hayao Miyazaki, tipica di chi, liberatosi del fardello di un’operazione intellettualmente, emotivamente e contenutisticamente più onerosa, si abbandona infine al piacere della creazione pura e semplice. In questo senso Ponyo sulla scogliera è un’opera solare e pervasa da un piacere per l’animazione e il racconto che conquista immediatamente il cuore.

Una storia “semplice”, sicuramente caratterizzata da molti tratti distintivi e tematici cari al Maestro giapponese, ma ugualmente spiazzante perché oltre: oltre la cupezza e lo scontro fra civiltà del già citato Howl, oltre il proliferare delle strabilianti visioni della Città incantata e ovviamente oltre gli artifici tecnologici di Mononoke. Prova ne sia prima di tutto la tecnica, che nell’affidarsi totalmente all’animazione tradizionale abbandona quella tensione idealmente fotorealistica tipica delle precedenti opere. Sebbene il cinema miyazakiano, infatti, sia da sempre proteso alla rappresentazione di racconti fantastici, è pur vero che la perfezione tecnica tende a iscrivere la fantasia all’interno di universi che, per quanto disegnati, sono in sé credibili ed estremamente reali nella cura del dettaglio. In Ponyo invece questo non avviene: il disegno si palesa per ciò che è e rimanda ai primi lavori con Isao Takahata, attraverso personaggi dal design immediato e fondali dove è possibile distinguere il singolo tratto di colore, tanto da giungere a una straordinaria economia espressiva, fonte anche di inusitata bellezza, tanto da rendere Ponyo sulla scogliera una magnifica esperienza visiva, di quelle che permettono di reimparare a vedere il mondo.

Il progetto in fondo è quello giusto, se consideriamo come la favola del bambino e della pesciolina che assume forma umana sia in sé un inno alle stagioni primarie della vita, ovvero la fanciullezza e la vecchiaia, che Miyazaki unisce attraverso l’interazione fra i due protagonisti e il gruppo delle anziane donne gestite dalla madre in un ospizio (e che si rivelano ben presto parte attiva nella vicenda). D’altronde già nel precedente Howl la protagonista era una ragazzina invecchiata, simbolo di una volontà che vede l’autore ormai consapevole di essere giunto alla maturità artistica, e che perciò anela a esplorare i legami che la terza età stabilisce naturalmente con l’infanzia, spingendo il pubblico a riflettere sulla bellezza dei sentimenti più immediati: la meraviglia, l’entusiasmo e, soprattutto, l’amore, come è in fondo quello che lega Ponyo a Sōsuke. Ecco dunque che Ponyo diventa anche un’operazione di sintesi e può permettersi di unire la fine con il principio anche riscrivendo quella che è una delle figure retoriche meno esplorate del cinema di Miyazaki: la catastrofe. Che ora non è più l’atto fondativo di una civiltà terminale (Nausicaä della Valle del Vento, 1984) o l’atto catartico di una storia ormai destinata a vincere sul potere vivificatore della natura (Princess Mononoke), ma uno stadio dell’essere che non viene caricato di nessuna valenza distruttrice, ma anzi quasi anela a essere un passaggio vivificatore: ecco quindi che gli tsunami affrontati da Ponyo e Sōsuke non recano con sé alcuna drammaticità, ma anzi sono anch’essi parte della natura e affrontati pertanto con sentimento quasi virtuoso, non rassegnato, ma certamente propositivo, fonte di avventura e senso del meraviglioso che escludono la catastrofe e si concentrano sui sentimenti dei singoli.


D’altronde la posta in gioco è ancora una vola l’avvicinamento di opposti, e il viaggio di Ponyo e Sōsuke l’una verso l’altro diventa quindi un progressivo sfiorarsi fra una realtà che deve ritrovare la magia e una fantasia che deve essere capace di immergersi nel mondo, in un abbraccio che ha la stessa delicata intensità della fiaba per bambini che riesce a parlare anche agli adulti.

Voto: 8 su 10

Il parere del Mistè

Brunhilde è un piccolo pesciolino rosso che un giorno decide di lasciare il proprio rifugio marino per vedere coi propri occhi il mondo al di fuori dell'acqua. Viene trovata da Sōsuke, un bambino di cinque anni che subito le si affeziona, ribattezzandola Ponyo. Tra i due nasce subito amicizia e forse qualcosa di più, anche in virtù del sangue umano del ragazzino che a un certo punto il pesce lecca dal suo dito, scombinandole il DNA. Riportata in mare da suo padre, il mago/stregone Fujimoto che disprezza gli umani che inquinano l'ecosistema ed è molto protettivo nei suoi confronti, Ponyo si ribella al genitore e con la forza di volontà muta in essere umano, fuggendo poi via e tornando a casa dell'amico. La loro convivenza metterà a rischio l'intera umanità e solo una magica prova permetterà ai due bimbi di vivere insieme...

È un film speciale, Ponyo sulla scogliera: nel 2008, il ritorno nei cinema giapponesi di Hayao Miyazaki, in barba all'annuncio di ritiro dopo Il castello errante di Howl (2004), si rivela un evento carico di gioia, uno di quegli avvenimenti che riavvicinano fan e profani all'amore per l'animazione artigianale "di una volta", senza uno straccio di Computer Grafica per precisa volontà artistica1, che in quest'epoca (come asserisce Mamoru Oshii2) solo Studio Ghibli è ancora in grado di fare. Anche se gli incassi non fossero eccellenti (cosa comunque non vera, infatti Ponyo incassa nei soli botteghini nipponici 15 miliardi di yen e 200 milioni di dollari nel resto del mondo3, insomma le "solite" cifre spaventose, senza contare la consueta pletora di riconoscimenti dalla critica, tra cui l'Ofuji-sho e il premio come miglior regista e miglior soggetto al Tokyo International Anime Fair 20094), saremmo comunque di fronte a un lungometraggio memorabile e altamente simbolico, poiché ritengo anch'io, unendomi alla maggioranza, che quest'opera segni di gran lunga il traguardo definitivo della mai troppo compianta cel animation pura (l'ultima volta che il regista l'aveva usata era stato con Principessa Mononoke), forse il più grande capolavoro grafico e tecnico di tutti i tempi mai prodotto in Giappone (forse anche nel mondo?) insieme al "solito" Akira (1988) di Katsuhiro Otomo. Gran cosa che oltre a essere una meraviglia estetica, Ponyo si riveli anche una grandiosa pellicola degna di splendere tra le più felici ispirazioni miyazakiane.

È nel 2006 che l'artista 65enne, dopo aver scritto e diretto due cortometraggi proiettati in esclusiva al Ghibli Museum (Cercando casa e Il ragno d'acqua Monmon), riscopre di avere la voglia e la forza fisica necessari per realizzare un lungometraggio d'animazione "vecchio stile"5. La sua nuova musa è stavolta la nota autrice di letteratura per l'infanzia Rieko Nakagawa, che il regista aveva voluto ne Il mio vicino Totoro (1988) a prestare la voce alla canzone d'apertura Sanpo ("Passeggiata") e di cui già aveva adattato, nel 2002 e sempre per il Ghibli Museum, Caccia alla balena, un racconto del suo più celebre libro di favole, L'asilo no-no (1962)6. Di lei Miyazaki e Toshio Suzuki sono indecisi se provare a trasporre Elta la rana (1964), ma alla fine si opterà per un'opera originale interamente ideata e scritta da Miyazaki, che comunque ben richiama lo spirito degli scritti della Nakagawa, sia a livello di citazione (l'omaggio di un personaggio che canticchia proprio Sanpo7) che di contenuti. Da sempre convinto che i bambini piccoli fino ai cinque anni abbiano la capacità di discernere e capire il mondo molto meglio degli adulti, con una percezione che irrimediabilmente perdono crescendo8, Miyazaki imposta un film dedicato espressamente a loro, ai piccoli di 5 anni9, dandogli volutamente (riprendendo lo stile di narrazione della Nakagawa10, più vicino all'apprendimento dell'infanzia) una struttura narrativa non-sequenziale basata sul non detto, sul "non finalizzato" e sul suggerito, che parli per sentimenti e immagini lasciando l'eventuale comprensione degli avvenimenti all'intuito11. La molla primaria che fa scattare la scelta di fare il film è l'ambizione di farlo vedere e apprezzare a Fuki Kondo, figlia appena nata del character designer e direttore dell'animazione della pellicola, Katsuya Kondo12 (la piccola Ponyo è plasmata sulle sue fattezze13, mentre quelle del mago Fujimoto e di Sōsuke derivano da suo padre e da Goro Miyazaki quando aveva 5 anni14), per dare a lei e a tutti gli altri fanciulli un senso di speranza verso il futuro e, soprattutto (come dice lo slogan del film in giapponese), di gioia di essere nati15.


Già queste dichiarazioni d'intenti spiegano perché sarebbe del tutto pretestuoso criticare il film - e non sono pochi quelli che l'hanno fatto -  per piccole ingenuità (Sōsuke è esageratamente intelligente per la sua tenera età), dialoghi e analisi comportamentali tipici da favola (persone comuni che accettano subito la doppia natura di Ponyo senza farsi domande, o la famiglia di Sōsuke che la accoglie subito in casa propria) e la sua particolare impalcatura narrativa, che rilascia spunti e indizi per capire uno svolgersi degli avvenimenti o un setting per nulla chiari o ben spiegati, che parlano della Luna che si sta riavvicinando alla Terra per qualche strano motivo (legato alla convivenza tra Sōsuke e Ponyo nel mondo degli umani) minacciando il pianeta, di uno tsunami che sommerge letteralmente la città portuale teatro della vicenda ripopolando il mare di creature del periodo devoniano e cambriano, di una enigmatica prova da superare per permettere a Ponyo di rimanere umana, del passato di Fujimoto, del ruolo della di lui moglie, la dea degli abissi Granmammare, e del senso nella vicenda delle vecchiette dell'ospizio in cui lavora Risa, madre di Sōsuke. Questi interrogativi poco chiari, è bene ribadirlo, non sono figli di una sceneggiatura mediocre come può esserlo quella di Howl (o peggio, de I racconti di Terramare), bensì di una precisa scelta operata nei riguardi del giovanissimo pubblico di riferimento, per permettergli di focalizzare l'attenzione, mediante metafore e parole-chiave,  sui messaggi davvero fondamentali della storia trascurando il resto. Questi temi riguardano la famiglia16 (l'illuminante sequenza, di cui pure in molti non hanno capito le finalità, di Sōsuke e Ponyo che incontrano una coppia di sposi che aspettano un bambino, momento in cui Ponyo scopre l'idea della maternità e diventa simbolicamente la moglie di Sōsuke) e, specialmente - questo è il tema più importante di tutti - l'idea che (usando le parole di Gualtiero Cannarsi17) "nell'affetto e nella responsabilità di un bimbo maschio per una bimba femmina si trova la naturalezza della crescita e della vita". L'onestà dei bambini, disinteressata ai problemi del mondo e della vita, è molto ben rappresentata dal concetto idealizzato di famiglia incarnato da Sōsuke e Ponyo, che scintilla per purezza dinanzi a quella pragmatica e piena di compromessi del mondo adulto, simboleggiata dal nucleo familiare del ragazzo (la madre dalla vita frenetica e il padre marinaio che si assenta a lungo da casa) e dai suoi genitori che chiama per nome, come se faticasse a riconoscerne l'autorità (per fugare ogni dubbio: è così anche in giapponese). A lavoro finito Miyazaki ammetterà le somiglianze di Ponyo con la favola originale de La Sirenetta, confermando in un qualche modo che il film nasca anche da una sua sorta di reinterpretazione, priva dei messaggi cristiani che ha detestato (non accetta, dello scritto di Hans Christian Andereon, l'assunto che le sirene e i pesci non avessero un'anima)18.

Se la narrazione può dunque lasciare adito a qualche perplessità (ma solo agli adulti), bisogna dire che alla lunga qualunque dubbio in proposito è facilmente spazzato via dalla magnificenza grafica di una pellicola tecnicamente maestosa che tiene inchiodata l'attenzione, più di qualunque altra di Miyazaki, sullo sbrodolamento visivo. Ponyo è estremamente colorato e nitido (una meraviglia, la visione in Blu-ray), con fondali pastellosi e disegnati volutamente in modo infantile ma strabordanti di dettagli, cui vengono applicate figure umane dal design minimale ma di un'espressività straordinaria.  La resa della città portuale in cui è ambientato (quanto bella è la casa sulla scogliera in cui vivono Sōsuke e madre?), ispirata dalla cittadina turistica di Tomonora (Hiroshima)19, è fantastica per design e armonia estetica. L'animazione raggiunge in generale livelli monolitici, con una enorme quantità di soggetti in movimento contemporaneamente (cult la sequenza marina d'apertura) che non stanno mai fermi, anche quando non sono in primo piano. Alcune scene, poi, sono di un'artisticità straordinaria: basti pensare alle onde d'acqua "antropomorfe" durante l'uragano, all'esplosione di pesci nella base di Fujimoto (mi ha ricordato certe note composizioni a tema di Maurits Cornelis Escher) o alla lunga, spettacolare navigazione di Sōsuke e Ponyo sulla città sommersa, con numerose vedute di suggestivi e vertiginosi fondali marini grazie all'acqua trasparente (sembra un aggiornamento di una sequenza simile vista nell' "antico" Panda! Go, Panda! Il circo sotto la pioggia, scritto da Miyazaki nel 1973). Ponyo è straripante di disegni, animazioni e colori di una bellezza incomparabile, traboccanti di senso di meraviglia: si può quasi definirlo un'enorme, lunghissima illustrazione "viva" e "pulsante" che traghetta lo spettatore di peso dentro una fiaba. Basta anche solo questo, per me, a rendere un trionfo indimenticabile il film, a prescindere dalla sua particolare fabula non meccanicistica e da certe pesantezze e lungaggini della parte centrale. Ritengo deludente giusto la colonna sonora di Joe Hisaishi, il cui unico brano epico e degno di nota, utilizzato nelle scene più spettacolari, si rifà un po' troppo a La Cavalcata delle Valchirie.

Un'efficace, crepuscolare aria malinconica, che tocca tanto il romantico "antieroe" Fujimoto quanto l'anziana e burbera vecchietta Toki, plasmata sulla personalità della madre di Miyazaki che lui stesso ha dichiarato di sentirsi pronto a reincontrare presto nell'aldilà20 (lei e le altre anziane dell'ospizio rappresentano l'anzianità del regista21, vecchio fuori ma giovane dentro), rappresenta il lato dolce e toccante della narrazione che solo un adulto potrà invece cogliere e apprezzare, in quest'opera deliziosa (i titoli di coda che mostrano i nomi dei membri dello staff associati ciascuno a un piccolo avatar a tema, in ordine alfabetico e senza nessuna indicazione sulla mansione, quanto graziosi sono?22), solare, semplice e al contempo profonda  che tutti dovrebbero vedere e apprezzare.

Voto: 8 su 10


FONTI
1 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 490
2 Lunga e corposa analisi del film a cura di Shito (Gualtiero Cannarsi, traduttore ufficiale Lucky Red di tutti i film Ghibli) pubblicata sul sito Internet "Nazione Indiana" alla pagina web https://www.nazioneindiana.com/2012/05/07/riconsiderazioni-su-ponyo/
3 Vedere punto 1, a pag. 491
4 Come sopra
5 Vedere punto 2
6 Come sopra
7 Come sopra
8 Intervista a Hayao Miyazaki disponibile tra gli extra del DVD/Blu-ray di "Ponyo sulla scogliera" (Lucky Red, 2008)
9 Come sopra
10 Post di Shito apparso nel Ghibli Forum italiano, alla pagina web http://www.studioghibli.org/forum/viewtopic.php?f=21&t=1918&start=480#p58802
11 Vedere punto 2
12 Come sopra. Confermato da "Storia dell'animazione giapponese" (pag. 491)
13 Vedere punto 2
14 Vedere punto 1, a pag. 491
15 Vedere punto 2
16 Come sopra
17 Come sopra
18 Come sopra
19 Vedere punto 1, a pag. 491
20 Vedere punto 2
21 Post di Shito apparso nel Ghibli Forum italiano, alla pagina web http://www.studioghibli.org/forum/viewtopic.php?f=21&t=1918&start=435#p58719
22 Vedere punto 2

7 commenti:

Il Bollalmanacco di cinema ha detto...

Un film delizioso, ma che purtroppo non ho amato come altri dello Studio Ghibli.
Un po' troppo infantile e semplice anche per me, direi.
Ciò non toglie che l'animazione sia stupenda!!

Simone Corà ha detto...

Effettivamente, a livello d'animazione è qualcosa di straordinario, m iricordo di essermi trovato a bocca aperta nel vedere Sosuke che semplicemente camminava!

Per il resto, però, a me non è piaciuto, troppo infantile, troppo mirato per un target di più piccoli.

persogiàdisuo ha detto...

Ponyo è carinissimo, ma non è un capolavoro all'altezza dello studio Ghibli secondo me.

ron70 ha detto...

Con tutta la buona volontà di questo mondo non sono riuscito a finire di vederlo:troppo infantile,troppo lungo per quello che voleva dire.

Jacopo Mistè ha detto...

Visto stasera. Che dire, se a 80 anni un regista riesce ancora a dirigere un film così lungo e creativo merita tutto il rispetto, poco da dire. Miyazaki può non piacermi ma di sicuro riconosco che è un grande regista.

Parlando del film vero e proprio l'ho trovato molto gradevole e piacevole a prescindere dal suo target, MA, davvero, TROPPO lungo. Durasse 40 minuti in meno sarebbe una bella favola che risveglia un gran sense of wonder, così com'è venuto inizia e termina bene ma la parte centrale è tirata all'inverosimile, in più frangenti quasi ho rischiato di addormentarmi. Un peccato perché di classe il regista ne ha tantissima e lo ha dimostrato anche questa volta, ma non riesce mai a togliersi quel dannato vizio che me lo fa prendere così in antipatia: non conoscere il senso della misura, eccedere sempre in preziosismi grafici ed effetti speciali che allungano a dismisura, portando a noia, storie altresì ottime. Tedio che mi ha colpito con Princess Mononoke e che torna a farlo con Ponyo.

Dal canto mio, considerando l'età del regista, la cura grafica esemplare e il soggetto carinissimo, dò tranquillamente un 7 al film, ma non di più. Comunque ottimi doppiaggio e adattamento, un plauso a Gualtiero Cannarsi.

Antisistema ha detto...

Visto Ponyo Sulla Scogliera di Hayao Miyazaki.
Una bambinata rivolta ai bambini, storiella lineare e molto semplice che di questa non si può. I fanboy del maestro la innalzeranno a capolavoro, invece io dico che è un buon film d'animazione e basta, che sarebbe potuto diventare molto più bello senza quei 20-30 minuti di troppo nella seconda parte (tipo incontro con la madre e il neonato), che affossano il racconto che già di per sè non era veloce in precedenza.
Il film è una rivisitazione della Sirenetta in chiave moderna, con alcuni cambiamenti apportati dal maestro. A livello grafico non raggiungiamo gli sfarzi del Castello Errante di Howl e forse neanche il realismo di Porco Rosso, anche se l'esplosione di colori nei fondali marini è di alto livello.
I personaggi...alcuni sono interessanti tipo:
- Rica : Madre solitaria. Però quando si fa in darapata la strada...cioè quella strada è come quella che c'è a Positano sulla costiera Amalfitana, coem cavolo ti viene in mente di guidare così!!! S'è vista anche lei Fast and Furious - Tokyo Drift ? Poi lascia Sosuke a casa con Ponyo...cosa normale per dei bambini di 5 anni, con un atmosfera da Day After Tomorrow fuori di casa...
- Fujimoto : Questo personaggio in potenza era il più interessante di tutto il film, ed invece...Miyazaki lo trascura alla grande. Ok ha rinunziato al genere umano, per diventare un essere acquatico, calca su questa cosa!!! Ed invece no...
Per il resto Sosuke credibile come bambino di 5 anni, Ponyo mah..., Il padre di Sosuke benino, le vecchiette che prima stavano in sedia a rotelle e poi beatamente corrono boh...

Il film vorrebbe parlare dell'inquinamento, ed infatti nei primi minuti totalmente muti, vediamo la protesta sociale dell'autore verso l'inquinamento marino e l'uso delle reti a strascico che pescano di tutto e di più indiscriminatamente. Anche Fujimoto si imbatte nella sporcizia marina. Il problema che questa cosa, viene raccontata con le sole immagini, e nessun personaggio dica niente a parole.
Comunque poco spiegate molte cose

(Spoiler)
- La Luna che si avvicina alla Terra!!!! Tutto Ponyo dai!!!
- Lo Tsunami scatenato da Ponyo...raccontato in modo allegro, come se non fosse una tragedia.
(Fine Spoiler)

Che dire, se all'ètà di 70 anni, Miyazaki mi fa però a livello tecnico-visivo (la scena di Ponyo che corre sullo Tsunami è il clue), un film del genere come Ponyo, anche l'haterboy del maestro non gli può dire niente, perchè merita di essere considerato un maestro della storia del cinema.
Voto 7

Per il momento, con Miyazaki mi fermo qui, in attesa che al cinema escano Città, Mononoke, Nausicaa e il suo nuovo film Si Alza il Vento.

Michele Mazzieri ha detto...

Ho l'impressione che più passa il tempo più questo film acquisti spessore. Allegro, solare, divertente, infantile in modo piacevole. È lo sguardo della meraviglia che viene sollecitato, come non può succedere nelle opere più cerebrali o più inquietanti che l'hanno preceduto. La città incantata è caratterizzata dal sublime, suscita stupore, ma la leggerezza di Ponyo, soprattutto perché arriva come ultimo film, è una conquista

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