UNA LETTERA PER MOMO
Titolo originale: Momo e no Tegami
Regia: Hiroyuki Okiura
Soggetto & sceneggiatura: Hiroyuki Okiura
Character Design: Hiroyuki Okiura, Masashi Ando
Musiche: Mina Kubota
Studio: Production I.G
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 120 min. circa)
Anno di uscita: 2011
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Dynit
L'undicenne Momo Miyaura vive la vita con distacco da quando le è morto il padre, tragedia resa ancora più terribile dal fatto che l'ultima volta che lo ha visto vivo ci ha litigato pesantamente e non ha mai avuto modo di farci pace. L'eredità del genitore consiste in una lettera di riappacificazione, iniziata a scrivere prima dell'incidente, che la ragazza continua a fissare ogni giorno straziata, un "cara Momo" subito abbandonato per la difficoltà a trovare le parole adatte. Si è appena trasferita nella cittadina dell'isola di Shio, nel mare interno di Seto, paese natio della madre, cercando con lei di ricominciare da zero, ma non ci riesce, e deve sforzarsi anche solo a rompere il ghiaccio con gli abitanti. Presto tre buffe presenze ectoplasmatiche iniziano a terrorizzarla, salvo diventare poi i suoi primi amici: sono tre yōkai guardiani dell'aldilà, e hanno il compito di tenere d'occhio le famiglie degli spiriti appena giunti all'altromondo pieni di rimpianti. Momo troverà con loro, forse, il modo di chiedere scusa al genitore e sapere cosa voleva dirle...
Dopo ben sette anni di realizzazione1, nel 2011 vede la luce il secondo lungometraggio di Hiroyuki Okiura. Ce lo siamo inspiegabilmente perso per strada per ben dodici anni (dopo il fondamentale Jin-Roh - Uomini e lupi del 1999, realizzato insieme a Mamoru Oshii), ma l'artista, Production I.G e un nutrito staff di forti personalità del mondo dell'animazione tornano in grande stile con Una lettera per Momo, un bel film che, a dispetto di un magro bottino ai box office nazionali e internazionali (poco più di 6 milioni e mezzo di dollari totali2, pur a fronte di una bassissima distribuzione estera), fa il giro del mondo nei vari festival cinematografici ottenendo ottimi riconoscimenti3 (vincendo anche l'Excellence Prize al Japan Media Arts Festival4). Gli attestati internazionali della critica sono una buona indicazione della bontà del lavoro di Okiura: non solo opera di grande sfarzo grafico, ma anche un educativo racconto di formazione sulla rielaborazione di un lutto, sulla morte che non deve essere la fine di tutto. Un film commovente che, affine come tematiche e spirito all'altrettanto toccante Colorful di Keiichi Hara, uscito l'anno prima, attesta l'ottimo momento che sta vivendo il cinema d'animazione giapponese, non più solo ad appannaggio delle megaproduzioni ghibliane e dei loro eterni due registi.
La storia di Momo sarà anche molto semplice, prevedibile e sicuramente debitrice all'estetica e all'intimo poetico miyazakiani, ma poco importa se centra ugualmente i suoi bersagli rivelandosi un film delizioso, toccante e fatto con amore. Tecnicamente non gli si può rinfacciare niente, in quanto ben vale l'abnorme tempo di realizzazione speso in disegni e fondali ricchissimi di dettagli, addirittura strabordanti, quasi interamente disegnati a mano (pochissima Computer Grafica per esplicita richiesta di Okiura, che ritiene che una vicenda che tratta di sentimenti umani debba essere affidata a disegnatori e non a fredde tecnologie5) e così realistici (anche per merito dell'influsso del character designer Masashi Ando, collaboratore di vecchia data di Miyazaki e Satoshi Kon, noto nell'ambiente per il suo tratto estremamente verosimile) che non è neanche strano scoprire che la fittizia isola di Shio sia pesantemente ispirata (c'è stata anche una location hunting) a quella realmente esistente di Osaki Shimojima6. In Momo gli ambienti sono valorizzati da una fotografia di livello tale da trasformare in cartolina ogni inquadratura: le due ore di durata potrebbero scorrere anche solo beandosi delle prelibatezze grafiche, tra splendidi paesaggi portuali, un mare dato da un'acqua così pulita e trasparente che è possibile distinguere dall'alto i contorni degli scogli e dei fondali, la silenziosa casa di Momo e minimarket infarciti di ogni genere di prodotti. Stupefacenti anche le animazioni, fluide e verosimili a livelli di eccellenza, tanto che una giornalista della rivista americana Variety ne sarà così esterrefatta da scrivere che è sicuramente stato utilizzato il rotoscopio7.
È un sollievo che il regista, nonché sceneggiatore, non voglia porre tutte le ambizioni della pellicola sulla sola enfasi grafica, ma compia soprattutto un ottimo lavoro di caratterizzazione dei personaggi, raccontando con sensibilità ed estremo realismo le dinamiche familiari e le scene di vita quotidiana tra un'immatura Momo, che vive il lutto egoisticamente come se riguardasse solo lei, e la madre Ikuko, che si carica il fardello sulle spalle facendo finta di niente e cercando di dare forza alla figlia con sorrisi forzati. Ben rappresentato - come sottolinea lo stesso regista, ammettendo che la sua fonte di ispirazione maggiore viene da Chie the Brat (1981) di Isao Takahata8 - da personalità vivide e reali, la cui psicologia è ricavata dalla vasta molteplicità di sfaccettature caratteriali e dal linguaggio e movimento del corpo, il cast trova subito quella tridimensionalità adatta a imprimersi e a commuovere negli ovvi momenti lacrimevoli dedicati allo spirito del padre. L'evoluzione del rapporto tra madre e figlia, con immancabili, dure incomprensioni e riappacificamento risolutore, è l'elemento migliore del film, quella componente adulta che dà vigore a una storia abbastanza ordinaria (forse anche troppo, si può tranquillamente ammettere) giostrata sul rapporto d'amicizia tra Momo e i consueti mostriciattoli graziosi e amiconi che sembrano sbucati fuori da un film di Miyazaki e che legheranno la ragazzina alla presenza del padre. Ispirato, come facilmente intuibile, a una storia vera (una donna conosciuta da Okiura nelle stesse condizioni di Ikuko9), a cui il regista aggiunge l'idea romantica dello spirito dei defunti che veglia sui vivi e gli yokai10, Momo è tuttavia un'opera che, nonostante l'argomento, non è certo cupa o nichilista come Jin-Roh. È invece una storia che vuole essere speranzosa, un tranquilizzante inno alla vita che, nelle intenzioni del regista, faccia uscire gli spettatori dalla sala con un sorriso11: per questo trova quelle caratteristiche un po' "giocose" (lo spazio forse eccessivo dato ai tre allegri spiritelli dal ruolo scontatissimo) e "ghibleggianti" che talvolta gli sono - anche a ragione - rimproverate per banalità e stucchevolezza di realizzazione.
Anno di uscita: 2011
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Dynit
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L'undicenne Momo Miyaura vive la vita con distacco da quando le è morto il padre, tragedia resa ancora più terribile dal fatto che l'ultima volta che lo ha visto vivo ci ha litigato pesantamente e non ha mai avuto modo di farci pace. L'eredità del genitore consiste in una lettera di riappacificazione, iniziata a scrivere prima dell'incidente, che la ragazza continua a fissare ogni giorno straziata, un "cara Momo" subito abbandonato per la difficoltà a trovare le parole adatte. Si è appena trasferita nella cittadina dell'isola di Shio, nel mare interno di Seto, paese natio della madre, cercando con lei di ricominciare da zero, ma non ci riesce, e deve sforzarsi anche solo a rompere il ghiaccio con gli abitanti. Presto tre buffe presenze ectoplasmatiche iniziano a terrorizzarla, salvo diventare poi i suoi primi amici: sono tre yōkai guardiani dell'aldilà, e hanno il compito di tenere d'occhio le famiglie degli spiriti appena giunti all'altromondo pieni di rimpianti. Momo troverà con loro, forse, il modo di chiedere scusa al genitore e sapere cosa voleva dirle...
Dopo ben sette anni di realizzazione1, nel 2011 vede la luce il secondo lungometraggio di Hiroyuki Okiura. Ce lo siamo inspiegabilmente perso per strada per ben dodici anni (dopo il fondamentale Jin-Roh - Uomini e lupi del 1999, realizzato insieme a Mamoru Oshii), ma l'artista, Production I.G e un nutrito staff di forti personalità del mondo dell'animazione tornano in grande stile con Una lettera per Momo, un bel film che, a dispetto di un magro bottino ai box office nazionali e internazionali (poco più di 6 milioni e mezzo di dollari totali2, pur a fronte di una bassissima distribuzione estera), fa il giro del mondo nei vari festival cinematografici ottenendo ottimi riconoscimenti3 (vincendo anche l'Excellence Prize al Japan Media Arts Festival4). Gli attestati internazionali della critica sono una buona indicazione della bontà del lavoro di Okiura: non solo opera di grande sfarzo grafico, ma anche un educativo racconto di formazione sulla rielaborazione di un lutto, sulla morte che non deve essere la fine di tutto. Un film commovente che, affine come tematiche e spirito all'altrettanto toccante Colorful di Keiichi Hara, uscito l'anno prima, attesta l'ottimo momento che sta vivendo il cinema d'animazione giapponese, non più solo ad appannaggio delle megaproduzioni ghibliane e dei loro eterni due registi.
La storia di Momo sarà anche molto semplice, prevedibile e sicuramente debitrice all'estetica e all'intimo poetico miyazakiani, ma poco importa se centra ugualmente i suoi bersagli rivelandosi un film delizioso, toccante e fatto con amore. Tecnicamente non gli si può rinfacciare niente, in quanto ben vale l'abnorme tempo di realizzazione speso in disegni e fondali ricchissimi di dettagli, addirittura strabordanti, quasi interamente disegnati a mano (pochissima Computer Grafica per esplicita richiesta di Okiura, che ritiene che una vicenda che tratta di sentimenti umani debba essere affidata a disegnatori e non a fredde tecnologie5) e così realistici (anche per merito dell'influsso del character designer Masashi Ando, collaboratore di vecchia data di Miyazaki e Satoshi Kon, noto nell'ambiente per il suo tratto estremamente verosimile) che non è neanche strano scoprire che la fittizia isola di Shio sia pesantemente ispirata (c'è stata anche una location hunting) a quella realmente esistente di Osaki Shimojima6. In Momo gli ambienti sono valorizzati da una fotografia di livello tale da trasformare in cartolina ogni inquadratura: le due ore di durata potrebbero scorrere anche solo beandosi delle prelibatezze grafiche, tra splendidi paesaggi portuali, un mare dato da un'acqua così pulita e trasparente che è possibile distinguere dall'alto i contorni degli scogli e dei fondali, la silenziosa casa di Momo e minimarket infarciti di ogni genere di prodotti. Stupefacenti anche le animazioni, fluide e verosimili a livelli di eccellenza, tanto che una giornalista della rivista americana Variety ne sarà così esterrefatta da scrivere che è sicuramente stato utilizzato il rotoscopio7.
È un sollievo che il regista, nonché sceneggiatore, non voglia porre tutte le ambizioni della pellicola sulla sola enfasi grafica, ma compia soprattutto un ottimo lavoro di caratterizzazione dei personaggi, raccontando con sensibilità ed estremo realismo le dinamiche familiari e le scene di vita quotidiana tra un'immatura Momo, che vive il lutto egoisticamente come se riguardasse solo lei, e la madre Ikuko, che si carica il fardello sulle spalle facendo finta di niente e cercando di dare forza alla figlia con sorrisi forzati. Ben rappresentato - come sottolinea lo stesso regista, ammettendo che la sua fonte di ispirazione maggiore viene da Chie the Brat (1981) di Isao Takahata8 - da personalità vivide e reali, la cui psicologia è ricavata dalla vasta molteplicità di sfaccettature caratteriali e dal linguaggio e movimento del corpo, il cast trova subito quella tridimensionalità adatta a imprimersi e a commuovere negli ovvi momenti lacrimevoli dedicati allo spirito del padre. L'evoluzione del rapporto tra madre e figlia, con immancabili, dure incomprensioni e riappacificamento risolutore, è l'elemento migliore del film, quella componente adulta che dà vigore a una storia abbastanza ordinaria (forse anche troppo, si può tranquillamente ammettere) giostrata sul rapporto d'amicizia tra Momo e i consueti mostriciattoli graziosi e amiconi che sembrano sbucati fuori da un film di Miyazaki e che legheranno la ragazzina alla presenza del padre. Ispirato, come facilmente intuibile, a una storia vera (una donna conosciuta da Okiura nelle stesse condizioni di Ikuko9), a cui il regista aggiunge l'idea romantica dello spirito dei defunti che veglia sui vivi e gli yokai10, Momo è tuttavia un'opera che, nonostante l'argomento, non è certo cupa o nichilista come Jin-Roh. È invece una storia che vuole essere speranzosa, un tranquilizzante inno alla vita che, nelle intenzioni del regista, faccia uscire gli spettatori dalla sala con un sorriso11: per questo trova quelle caratteristiche un po' "giocose" (lo spazio forse eccessivo dato ai tre allegri spiritelli dal ruolo scontatissimo) e "ghibleggianti" che talvolta gli sono - anche a ragione - rimproverate per banalità e stucchevolezza di realizzazione.
Non si può in effetti negare che Momo pecchi di uno stile di raccontare storie che si è sicuramente già visto e segue schemi più che collaudati, ma ritengo che se riesce comunque a trovare la sua magia (difficile non provare autentica commozione nel contesto del suo pur immaginabile finale) merita ugualmente il rango di una di quelle produzioni che, nonostante una certa prevedibilità di fondo, lasciano un bel ricordo a fine visione e soprattutto il piacere di essere state viste.
Voto: 8 su 10
Non è una novità che certo cinema ponga un'importanza fondamentale all'estetica tralasciando, volutamente o meno, la narrazione primaria, di fatto semplificata e/o sacrificata all'altare di una spettacolarizzazione che pare, a volte, unico mezzo espressivo di un film. Ma se è vero che bisogna distinguere semplicità da semplicità, in fondo sta in questa sottile differenza l'abilità di un artista, è spesso difficile riuscire a dire qualcosa di buono quando è la banalità il solo motore di un film, nonostante lo sfarzo grafico, nonostante l'impressionante lavoro tecnico, nonostante la rassicurazione di prodotto per famiglie di disneyana memoria, nonostante siano serviti ben sette anni per realizzare Una lettera per Momo, seconda prova, dopo il capolavoro Jin-Roh, di Hiroyuki Okiura.
La semplicità della storia di Momo è infatti di quelle derivative e insipide, di quelle facilmente costruite su anni e anni di trame pressoché identiche che la privano quindi di qualsiasi spessore, di qualsiasi grinta, di qualsiasi energia sebbene Okiura tenti in tutti i modi di ingannare lo spettatore attraverso una maestosità visiva eccezionale, paragonabile, almeno in termini tecnici, ai lavori Ghibli. Perché, rispetto a questi ultimi, prodotti dove è proprio certa semplicità a fare la differenza, in Una lettera per Momo non troviamo alcun tipo di magia nel raccontare l'adolescenza, non troviamo nessuna fantasia nel parlare per simboli, non troviamo nessun trasporto nel rappresentare la vita problematica di una ragazzina orfana di padre appena trasferitasi con la madre in una città isolana. Okiura sceglie infatti la strada più comoda, se così si può dire di un'opera che ha necessitato di anni per essere completata, e prepara una storiella stiracchiata e poco coinvolgente, uno straccio, uno schizzo, una sorta di pretesto con buoni sentimenti sul quale installare le meraviglie grafiche di una Production I.G. in stato di grazia (ne è d'esempio l'estenuante fuga dal cinghiale, lunghissima sequenza pressoché inutile perché priva di importanza ai fini della trama e di idee sul piano realizzativo, ma graficamente incredibile). Perché se Momo appare ben caratterizzata in una figura classica ma sempre piacevole, a non funzionare sono i personaggi che gravitano attorno a lei, a partire dai pessimi tre oni, sbadatamente figurati in bambinesche fantasie e autori di gag e comportamenti fiacchi e irritanti. Il resto si perde in un cast appena tratteggiato (Yota e la sorellina, gli zii, Koichi), oppure del tutto dimenticato (il gruppo di amici di Yota), privando così di un opportuno scenario, di una forza contestuale il racconto di formazione di cui Momo è protagonista.
Con così poco mordente ai binari di partenza, la trama assume presto una forma piatta e prevedibile, incapace di dare risalto e profondità drammatica al lutto di Momo e al dolore della madre - il tutto è eccessivamente soffocato dall'onnipresenza degli insopportabili demoni e da una sbrigatività narrativa che tronca stranamente interessanti sottotrame (la sorella di Yuta e la sua capacità di vedere gli spiriti), che sbanda priva di idee (la già citata sequenza del cinghiale) e che anche nei momenti più epici e caldi non sa graffiare come dovrebbe (il poco significativo capitolo finale, che nelle mani di un Miyazaki si sarebbe trasformato in un tripudio di invenzioni visive). Resta ovviamente il superbo, strabiliante comparto grafico, che sa stupire con una cura per i dettagli raramente vista altrove e un realismo fotografico nel disegno degli ambienti, una magnificenza visiva esaltata da animazioni stratosferiche che però, per quanto mi riguardano, non bastano a salvare una pellicola tanto, tanto attesa dalla sua tiepida mediocrità.
Voto: 5 su 10
FONTI
1 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 534
2 Sito internet "Box Office Mojo", incassi di "Una lettera per Momo", alla pagina web http://www.boxofficemojo.com/movies/?id=lettertomomo.htm
3 Vedere punto 1
4 Vedere punto 1, a pag. 535
5 Booklet allegato al DVD/Blu-ray di "Una lettera per Momo", "Note di produzione" (Dynit, 2013, pag. 16)
6 Come sopra
7 Vedere punto 5
8 Intervista a Hiroyuki Okiura pubblicata nel booklet del punto 5 (a pag. 15)
9 Vedere punto 8, a pag. 14
10 Come sopra
11 Vedere punto 8, a pag. 14-15