lunedì 5 marzo 2012

Recensione: Kurozuka

KUROZUKA
Titolo originale: Kurozuka
Regia: Tetsuro Araki
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Baku Yumemakura & Takashi Noguchi)
Sceneggiatura: Tetsuro Araki
Character Design: Masanori Shino
Musiche: Kiyoshi Yoshida
Studio: Mad House
Formato: serie televisiva di 12 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2008


Giappone, XII secolo. Il nobile Kuro Yoshitsune e un suo servo, in fuga dagli sgherri che gli ha mandato contro il fratello, incontrano nella foresta una donna misteriosa e bellissima, Kuromitsu, che li ospita in casa a patto che non guardino mai all’interno di una stanza in particolare. Kuro e Kuromitsu vengono presto travolti dalla passione e, quando l’accordo viene infranto, il primo capisce che la donna è in realtà un vampiro millenario. L'amore sarà destinato a durare, sopratutto dopo che Kuro, ucciso dai suoi inseguitori, si risveglierà in un futuro post-apocalittico dove i soldati della Red Army mettono a ferro e fuoco le strade. Solo e confuso, il suo unico desiderio è quello di ritrovare la donna.

Si potrebbe banalmente far passare Kurozuka (2008) per un action-horror: gli elementi cardine della trama, a uno sguardo superficiale, poco aiutano nella vera definizione di una storia che sostanzialmente parla di soldati e vampiri in un futuro post-apocalittico, e dove al contempo l’approccio virtuosistico di Tetsuo Araki sembra enfatizzare un carattere spettacolare basato su inseguimenti, sparatorie e duelli all’arma bianca. Sarebbe però un grosso errore limitarsi a una semplice liquidazione di Kurozuka, perché l’opera concepita nel 2003 da Baku Yumemakura nel manga omonimo, oltrepassati i salti mortali registici e le secchiate di sangue, poggia le fondamenta su uno spessore narrativo e concettuale di estrema raffinatezza, che prende le distanze da qualsiasi prodotto paurosamente simile per impostazioni generali.

A ben vedere, a togliere subito ogni dubbio sulla reale caratura di Kurozuka ci pensa l’episodio iniziale, dotato di un sofferto incedere marziale e di un’inquietante atmosfera pregna di incubo che spiazzano lo spettatore già goloso di sanguinari combattimenti tra samurai. Invece Tetsuro Araki stupisce annullando il ritmo, dilatandolo con una plumbea matrice onirica che disorienta e mette a disagio, per poi concedersi una soddisfacente battaglia conclusiva con annega nel sangue versato l’opprimente clima edificato. Kurozuka alterna quindi questi momenti di nera riflessione, dove la natura horror dell’opera ricerca un soprannaturale assai perturbante, quasi di ispirazione magica e folkloristica (sia nella spiccata visività atmosferica sia nella cruda e scomoda realtà - su tutti il lungo, asfissiante e sgradevolissimo dialogo tra Kuro e il vecchio in carrozzina -), ad altri di notevole brutalità, con amputazioni, smembramenti e carneficine spietate, il tutto in un’ambientazione che saltella tranquillamente tra il Giappone feudale e una truculenta città futuristica che richiama (anche nel vestiario e nell’atteggiamento del protagonista) gli scenari di Ken il guerriero (1983).


Il continuo avvicendarsi di situazioni è infatti gran pregio della serie, perché permette ad Araki di spaziare agilmente tra più registri con un’abilità a tratti fuori dal comune (articolati piano sequenza, rallenty funambolici e soprattutto un’immensa gestione visiva dei personaggi), aspetto che lo conferma regista di valore dopo Death Note (2006) e il suo successo planetario. Kurozuka, nel suo astratto dipanarsi tra flashback e flashforward, nel suo rincorrere interrogativi ancestrali e complessi, nella sua bizzarra struttura si muove essenzialmente tra horror e fantascienza, non rinunciando a molte altre tentazioni narrative che vanno dal racconto storico alla storia d’amore, ma conservando una genuina coerenza nello sviluppo di un intreccio che si svela completamente soltanto nell’ultimo episodio, con un duello conclusivo memorabile nella sua sinteticità e un epilogo di rara eleganza.

La tormentata vicenda di Kuro acquisisce pertanto profondità e drammaticità, attraverso un soggetto attento e calcolato, una sapiente caratterizzazione dei personaggi (tanto tra i buoni quanto tra i cattivi) e un ottimo lavoro dialogico: basi di ferro, estremamente solide, sulle quali Araki (grazie anche all’alto budget fornito da Mad House) può permettersi di fare qualunque cosa, anche improbabili impennate motociclistiche mentre Kuro falcia mostri con il mitra. Pur con un impianto lineare (la ricerca da parte di Kuro della sua amata Kuromitsu), la trama si rivela particolarmente sottile nel giocare con vampirismo, clonazione, guerriglia apocalittica e immortalità, preferendo approcci alternativi laddove la banalità e l’ordinarietà horror sembrano fare capolino (il bestiario nemico, la psicologia dei villain), ma senza mai mancare a una sorta di tamarraggine che, paradossalmente, impreziosisce l’intero prodotto.

Inaspettato.

Voto: 8 su 10

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