lunedì 9 aprile 2012

Recensione: Kiki - Consegne a domicilio

KIKI: CONSEGNE A DOMICILIO
Titolo originale: Majo no Takkyūbin
Regia: Hayao Miyazaki
Soggetto: (basato sul romanzo originale di Eiko Kadono)
Sceneggiatura: Hayao Miyazaki, Nobuyuki Isshiki
Character Design: Katsuya Kondo
Musiche: Joe Hisaishi
Studio: Studio Ghibli
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 103 min. circa)
Anno di uscita: 1989
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Lucky Red


Compiuti i 13 anni, le streghe lasciano il villaggio natale e partono per un anno di pratica nella arti magiche. Kiki non sta nella pelle per l’idea di essere finalmente libera, autonoma, di potersela cavare da sola, ma non appena arriva nella città di Koriko crea un gran trambusto in mezzo al traffico e viene scacciata con cattive parole. Kiki è amareggiata dall’accoglienza riservatole dalla città, ma non si dà per vinta, e, trovato un piccolo lavoro nella panetteria della signora Osono, inizia a consegnare il pane ai cittadini e a crescere giorno per giorno.

Il parere del Corà

È un Miyazaki molto, molto classico, quello di Kiki: Consegne a domicilio, pellicola tratta dal romanzo omonimo di Eiko Kadono e tra le sue opere meno note. Lontano dai lidi avventurosi e steampunk di Nausicaä della Valle del Vento (1984) e Il castello nel cielo, (1986) e diametralmente opposto agli sfarzi esagerati e impressionanti che raggiungerà con La città incantata (2001) e Il castello errante di Howl (2004) per Kiki Miyazaki sceglie un percorso molto semplice, fatto di una storia esile, personaggi graziosi e una tenera atmosfera che riempiono i 100 minuti del film. Nessuna evoluzione grafica fatta di strabilianti magie visive, quindi, e nemmeno personaggi particolari o di stravagante spessore, anzi, abbiamo a che fare con stereotipi e immaginari ordinari (la strega che vola su di una scopa, per esempio), eppure la pellicola è una gradevole visione proprio per la genuinità e la dolcezza evocate.

Si sorride spensierati, quindi, nel seguire l’avventura di Kiki, che si trova bene con Tonbo ma non con i suoi amici, che scopre i suoi poteri magici per poi perderli, che ama il suo gatto Jiji e che non riesce a capirlo quando lui smette di parlarle, che lavora sodo nella panetteria della buona Osono, che cerca di vivere una vita propria in questo luogo così vasto e complesso rispetto al suo paese di provenienza, incontrando vittorie e gioie impreviste, ma anche difficoltà e piccoli dispiaceri che di certo non aveva programmato quand’era partita. La quotidianità di Kiki, una bambina che lotta per emanciparsi con una grinta e una forza di volontà tanto simpatiche quanto ammirevoli, non è mai densa di trovate narrative o di particolari fantasie, si adagia invece su una comune normalità che, però, data la situazione che la piccola deve affrontare, così sola in una città grande e sconosciuta, piace per l’energia con cui è raccontata. Riportare un oggetto smarrito a una signora, consegnare il pane e passeggiare con l’amico Tombo sono momenti pacati eppure riusciti nella loro prassi, perché ben dialogati e ottimamente sorretti da una manciata di protagonisti dipinti con pochi ma efficaci tratti.


La pellicola in fondo non mostra altro, siamo a dei livelli di felice semplicità a tratti disneyani (il tocco europeo è evidente sin da subito nella costruzione della città in cui è ambientata la storia), ma è impossibile non provare affetto verso Kiki e chi le sta attorno, protagonisti tutt’altro che banali, come si potrebbe invece pensare, di una morale giusta e attenta, assimilabile dai bambini e non noiosa o così scontata per gli adulti.

In tanta semplicità, è immancabile tuttavia un po’ di splendore ghibliano nella sequenza finale (inutile spendere parole sulla solita, ottima qualità delle animazioni e della gestione dei colori) dove un dirigibile, in balia dei venti, rischia di precipitare al suolo. Conclusione con i migliori fuochi artificiali per una storia bellina e allegra che in fondo non può non piacere a tutti.

Voto: 7 su 10

Il parere del Mistè

È quasi paradossale che Kiki: Consegne a domicilio (titolo originale Le consegne espresse della strega) sia stato, tra i film di Hayao Miyazaki, fra gli ultimi a essere ufficialmente distribuiti in Italia e addirittura, ancora oggi, sia considerato un' "opera minore" del regista, tanto dalla critica quanto da buona parte degli stessi appassionati nostrani dello Studio Ghibli, quasi a dimenticare l'enorme importanza che ebbe questa pellicola nel suo originario anno di uscita. Voluto da Miyazaki sin dal 19871, in seguito ai numerosi premi letterari riscossi dal romanzo omonimo (1985) della scrittrice Eiko Kadono, il film trova la sua realizzazione due anni dopo, con un costo astronomico di 800 milioni di yen2, coperto, per fortuna, dalla sponsorizzazione della Yamato Takkyūbin, azienda giapponese di consegne espresse per privati3. Il lungometraggio esce nei cinema giapponesi il 17 luglio 1989, incassando la bellezza di 2.170.000.000 yen4 e rivelandosi il primo successo davvero enorme per lo studio, tale da permettere ai suoi dirigenti di riscattare il flop de Il mio vicino Totoro (1988) e La tomba delle lucciole (id.) e assumere a tempo indeterminato tutti i propri dipendenti5. In seguito a questa hit, infine, Toshio Suzuki, il celebre editor di Miyazaki dai tempi del manga di Nausicaä della Valle del Vento (1982), e, successivamente, la persona che ha insistito per farne l'adattamento filmico, creando le premesse per la nascita di Ghibli, sarà "ricompensato" prendendo le redini dello studio in qualità di Direttore Generale6, contribuendo, con le sue importanti consulenze e il suo intuito fuori dal comune, a spianare la strada a quei soggetti cinematografici vincenti che permetteranno alla factory mizakiana di ottenere una sequela quasi infinita di successivi, eclatanti successoni.

Giudicare, comunque, il film solo per questi retroscena sarebbe davvero ingeneroso verso il valore della pellicola: delizioso e colorato, Kiki è il classico film miyazakiano per bambini (più specificamente, per le bambine di 12 anni7) estremamente godibile anche dagli adulti, grazie ai suoi messaggi che, nonostante il target ufficiale, sono così importanti e maturi da diventare universali. Kiki usa i toni della magia per narrare una storia di emancipazione, legata in particolare alla difficoltà di mettere a frutto il proprio talento nel lavoro, trovando indipendenza economica ma soprattutto mantenendo quel giusto distacco mentale che permette di assorbire i lati nobili e meno nobili della propria occupazione, senza mettere a repentaglio le proprie motivazioni8. In sintesi (e facendo mia l'azzeccata presentazione dell'opera a cura di Gualtiero Cannarsi, suo adattatore ufficiale in Italia), Kiki è "la storia della crescita vista come ricerca del proprio posto nella società produttiva, che passa attraverso la trasformazione di ciò che in infanzia si faceva per divertimento in un lavoro che si fa per vivere"9. Che la trama discorra di scope volanti è una cosa per niente indicativa dei contenuti, né delle atmosfere della vicenda: quella della "streghetta" proposta nel film è una professione come qualsiasi altra, alla stregua di un cuoco, un taxista, un atleta. Può ambire a questo lavoro chi ha il talento innato di poter volare, e non per nulla, nell'astratto mondo di metà XX secolo in cui è ambientato Kiki (tra gli anni '40 e '60, senza una precisa collocazione storica visti gli infiniti e voluti anacronismi), nessuno si stupisce di veder volare la protagonista, che è davvero un "umano" come tanti.

Già da quest'approccio si capisce come la storia abbandoni qualsiasi velleità magica o fantasy: la scopa volante e la capacità di Kiki di poter parlare col proprio gatto Jiji (il felino diventerà il simbolo della Yamato Takkyūbin!10), sono le uniche concessioni al soprannaturale. Kiki, più correttamente, va inquadrato come un lungometraggio di genere slice of life, ossia il racconto di uno spaccato di vita, lento, rilassante e del tutto privo di una vera e propria "trama", che, pur ambientato in una dimensione che non esiste, rivela una metafora della vita reale nella  quale possono facilmente immedesimarsi gli spettatori giapponesi. Nell'arco di poco più di un'ora e mezza di durata, Kiki lascia la sua famiglia per un anno di apprendistato, vola nella città fantastica di Koriko, trova una nuova casa dove abitare, trova un lavoro (consegne volanti espresse) e inizia quindi a svolgerlo, trovando sia successi che insuccessi e scontrandosi con le prime perplessità che la porteranno a una crisi di ispirazione (idea, quest'ultima, assente nel romanzo e, curiosamente, particolarmente malvista dall'autrice originale11). La crescita e la maturazione la porteranno infine ad accettare, della vita lavorativa, sia i piaceri che le difficoltà.

Non è solo l'assenza di un intreccio netto o definito, ad allontanare così tanti appassionati italiani di animazione da Kiki (facendolo bollare sbrigativamente come un film carino e simpatico ma privo di sostanza), ma anche le inevitabili differenze culturali: il pubblico nostrano certo non capirà con la stessa facilità dei suoi "colleghi" orientali le metafore sociali; non saprà che in Giappone si è considerati adulti quando si entra nel mondo del lavoro e lo si fa con tempistiche ben più veloci che da noi. Oltre a questo, bisogna anche dire che, essendo un film pienamente giapponese nello stile, Kiki rinuncia a spiegare esplicitamente quello che vuole dire, preferendo far parlare elegantemente le immagini e lasciar alla sola intelligenza di chi guarda il compito di trarre le proprie conclusioni. Tutti questi problemi di comunicazione, difficilmente risolvibili, contribuiranno a rendere da noi Kiki meno prezioso di quello che effettivamente è, almeno per il grosso degli spettatori occidentali, che non starà a informarsi sui suoi significati, limitandosi a farsi cullare dalla solita magniloquenza grafica profusa dalla factory ghibliana, apprezzandolo per il solo motivo che è un film rilassante e animato sontuosamente.


Certo, non si può negare che regista e studio abbiano superato sé stessi per l'ennesima volta. In questa pellicola c'è tutto dell'autore: la classica eroina femminile emancipata e tenerissima, il design miyazakiano tanto caratteristico ed espressivo da bucare lo schermo (firmato, stavolta, da Katsuya Kondo), l'amore per le sequenze aeree (le spettacolari, vertiginose volate di Kiki in groppa alla scopa, con paesaggi di una bellezza straordinaria), e soprattutto una confezione grafica pazzesca, data da animazioni sfarzose e 70.000 disegni colorati con 462 tonalità diverse di colore12. I fondali, ancora una volta, sono i veri protagonisti della scena: danno forma e vita a un'immaginaria città tedesca di Koriko (basata, a leggere fonti diverse, o sulla città di Stoccolma13 o sull'isola di Gotland14, entrambi comunque svedesi) che, se esistesse, verrebbe voglia di visitarla, tanto è architettonicamente affascinante e gremita di vie, automobili, biciclette (queste ultime due serie di cose di palese fabbricazione italiana!), negozi e monumenti che non potrebbero sembrare più veri. Ci si ritrova, come sempre, imbambolati ad ammirare ogni fotogramma, ogni stanza, ogni mobile e ogni scorcio cittadino di Koriko, il tutto rappresentato con un dettaglio e una minuzia pittorici che spremono a fondo ogni yen dell'enorme budget, e soprattutto si ammirano stupefatti i consueti, grandi momenti di cinema d'autore miyazakiano, che siano i voli di Kiki, che sia il finale funambolico, o che sia la trovata intellettuale della figura di Ursula, pittrice che rappresenta simbolicamente la Kiki adulta, che è, per questo, volutamente doppiata dalla medesima seiyuu (una trovata, fortunatamente, rispettata anche nei due adattamenti italiani del film). Molto riuscita anche la colonna sonora "mediterranea" di Joe Hisaishi, allegre tracce marinare che danno smalto alle peregrinazioni aeree della streghetta nel posto senza essere mai invasive, accompagnando piacevolmente la vocazione intimista della storia senza stridere.

Eppure, pur con tanta gioia visiva, non si può trascurare anche la forza educativa di questo bel lavoro. Il mio consiglio non può che essere di guardarlo almeno due volte: la prima volta per godere al massimo del suo "sbrodolamento grafico", e la seconda, passato l'effetto ipnotico, per apprezzarlo più in profondità, seguendo con più attenzione i dialoghi e le reazioni dei personaggi per recepire meglio i contenuti, soprattutto alla luce dei suoi veri significati. Di primo acchito l'opera, così pacata e lontana dagli sfarzi "urlati" delle opere più famose del regista, potrebbe forse deludere o, peggio, sembrare fredda o noiosa: non lasciatevi trarre in inganno, questo è davvero un Grande Miyazaki.

Nota: uscito per la prima volta in Italia nel 2002, distribuito da Buena Vista, Kiki ha ricevuto un ottimo adattamento e doppiaggio grazie all'opera del dialoghista Gualtiero Cannarsi, che ha cestinato i copioni americani (che riscrivevano l'intera storia), basando la traduzione sui testi originali. Purtroppo, quel Kiki ha in compenso dovuto subire l'onta della colonna sonora rifatta dagli americani, che cercava di rendere più fiabesca (e quindi, distante dallo spirito originario) l'opera15. La nuova edizione distribuita da Lucky Red, sempre affidata a Cannarsi, è stata ridoppiata in modo ancora più fedele e sempre ben recitato, e ha finalmente ritrovato le vere musiche.

Voto: 8 su 10


FONTI
1 Francesco Prandoni, "Anime al cinema", Yamato Video, 1999, pag. 139-140
2 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 207
3 Come sopra
4 Vedere punto 1, a pag. 140-141
5 Come sopra
6 Come sopra
7 Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)
8 Progetto originale di Hayao Miyazaki, tradotto in italiano e condiviso in internet da Shito (Gualtiero Cannarsi, traduttore ufficiale Lucky Red di tutti i film Ghibli) nel forum The First Place (http://www.tfpforum.it/index.php?topic=4662.1175;wap2). Integrazioni di Garion-Oh
9 Post di presentazione del film a opera di Shito, apparso nel Ghibli Forum nel primo messaggio del topic "Le consegne espresse della strega" (purtroppo il thread non è visualizzabile attraverso link esterni)
10 Vedere punto 1, a pag. 140
11 Jonathan Clements & Helen McCarthy, "The Anime Encyclopedia: Revised & Expanded Edition", Stone Bridge Press, 2012, pag. 336
12 Vedere punto 2
13 Come sopra
14 Vedere punto 10
15 Vedere punto 9

3 commenti:

Antisistema ha detto...

Visto Kiki - Consegne a Domicilio di Hayao Miyazaki.

E' un Miyazaki minore, ma pur sempre Miyazaki, e quindi la buona pellicola è assicurata (anche se una cantonata con Totoro, me la sono presa). Il film rispetto a Totoro è 10.000 volte meglio e sopratutto questo film forse è quello che insiste di più sul tema della crescita tra tutti e 5 i film di Miyazaki che ho visto.

La storia è semplice, Kiki 13 anni vive nella campagna svedese, è giunto il tempo del suo noviziato come tutte le streghette della sua età. Il noviziato consiste nel passare un anno in un'altra città per mettere al servizio della gente i propri poteri di strega. Kiki insieme al suo gatto di trasferisce in una città costiera, ma l'impatto non è dei migliori, visto che è accolta dalla maggioranza della gente freddamente.
La sola ad accoglierla e concederle ospitalità è la panettiera. Kiki non è in grado di fare molto a parte volare, ma ha una geniale idea, visto che i servizi postali fanno pena e il servizio corrieri di Amazon ancora doveva esistere, Kiki decide di fare consegne a domicilio potendo volare con la sua scopa.

E' un racconto di formazione e di crescita. Kiki si emancipa man mano, sempre di più dalla famiglia, arrivando a scoprire cos'è il noviziato. il mondo idilliaco che si era creato, crolla su sè stesso al contatto con la realtà. La gioia lascia spazio alla disillusione, così Miyazaki decide di presentarci il passaggio dall'età infantile a quella adulta.
Un Miyazaki che non osa più di tanto, animazioni ottime, ma che non lasciano il ricordo indelebile, ma alla fine poco importa, perchè la storia per oltre 100 minuti, non annoia per un solo secondo.

Al termine della storia, Kiki è una nuova persona, che è riuscita a superare le batoste psicologiche e le difficoltà più grandi della sua vita.
Non nascondo che se l'avessi visto da piccino, sarebbe stato tra i miei film preferiti (ma l'avrei comprese certe scene al meglio?). Ma me lo sono goduto lo stesso.

Gli do un bel 7,5, dopo Porco Rosso, è il film di Miyazaki che soggettivamente ho gradito di più, nonostante la sfarzosità grafica di un Castello di Cagliostro o Castello nel Cielo.

Jacopo Mistè ha detto...

Che infame che sei, mi hai spoilerato il film che dovevo ancora vedermelo! Comunque nutro forti aspettative e penso davvero che piacerà molto anche a me ^^

Antisistema ha detto...

Spoilerato LOL, la trama quella è XD. Non ho detto di più di ciò che ha detto il tuo collega Corà nella recensione (e lui ha aggiunto mille particolari in più).

Un racconto di formazione tutto qui, che sai già come comincia e finisce, ma che nonostante ciò è narrato da Miyazaki stupendamente.
E' un Miyazaki monore questo di kiki per molti, ma sinceramente mi rivedre Kiki all'istante invece di un Castello del cielo, per questo credo che a quest'ultimo gli abasserò il voto.

Comunque è secondo me il primo film dove c'è il germe del pessimismo Miyazakiano che sarà accentuato in Porco Rosso, stra-visibile in Nausicaa e probabilmente proseguirà con altre sue opere.
Sono sicuro che ti piacerà.

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