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lunedì 3 marzo 2014

Recensione: The Vision of Escaflowne

THE VISION OF ESCAFLOWNE
Titolo originale: Tenku no Escaflowne
Regia: Kazuki Akane
Soggetto: Hajime Yatate, Shoji Kawamori
Sceneggiatura: Shoji Kawamori, Akihiko Inari, Hiroaki Kitajima, Ryota Yamaguchi
Character Design: Nobuteru Yuki
Mechanical Design: Kimitoshi Yamane
Musiche: Yoko Kanno, Hajime Mizoguchi
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 1996
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Dynit


Hitomi Kanzaki è una gioviale studentessa delle superiori con l'hobby della lettura dei tarocchi, pratica che fa per scherzo con le sue compagne di classe ignorando di possedere per davvero delle latenti capacità divinatorie, che già si manifestano attraverso delle visioni. Nel giorno fissato per dichiarare i suoi sentimenti al suo adorato senpai finisce invece, rocambolescamente, col conoscere Van, giovane spadaccino che sembra provenire da un altro pianeta e che affronta sotto i suoi occhi un incredibile drago venuto fuori dal nulla. Il tempo di parlare col ragazzo ed ecco che Hitomi e lui sono catapultati nella mistica terra di Gaia. Van si rivela essere l'erede al trono del regno di Fanelia: ha appena superato la prova di iniziazione per essere sovrano ed è pronto ad accompagnare la ragazza nel suo Paese per trovare un modo di riportarla a casa. Assisteranno invece alla distruzione di Fanelia da parte dell'Impero di Zaibach, interessato a conquistare militarmente l'intero pianeta. I due, insieme al Guymelef (robot) da combattimento Escaflowne, guidato da Van, iniziano quindi una fuga dagli emissari nemici, approfittando delle capacità di premonizione di Hitomi che si sono appena risvegliate per salvarsi di volta in volta dai vari pericoli. Riusciranno a riportare la pace su Gaia stringendo alleanza con gli altri sovrani di quelle terre?

Non saranno mai troppo grossi i danni culturali arrecati dalle mancate pubblicazioni in occidente delle serie robotiche di punta Sunrise degli anni '80, sopratutto in quegli USA che rappresentano il secondo mercato più grosso del mondo per quello che riguarda l'animazione giapponese. È questa premessa che spiega come, nei Novanta, il pubblico mondiale pensi di scoprire in Neon Genesis Evangelion (1995) il primo titolo del genere a presupporre una enorme enfasi su storia e personaggi, si appassioni a Gundam con il primo titolo della saga a uscire dalla madrepatria, il quale è però tra i peggiori del franchise (lo schifoso Mobile Suit Gundam Wing, sempre 1995) e infine saluti inconcepibilmente come un capolavoro assoluto e uno dei più grandi anime del decennio (non scherzo, basti solo leggere qualsiasi saggio americano sul mondo degli anime, sono tutti unanimi a riguardo) un concentrato di mediocrità assoluta (accolto tiepidamente nello stesso arcipelago nipponico1, share del 5.18%2) come The Vision of Escaflowne, solo perché graziato da un comparto tecnico/visivo/musicale sfavillante da 30 milioni di yen a episodio3 raramente visto prima in una serie televisiva e perché prima produzione mecha-fantasy disponibile ai gaijin (e pazienza se prima di essa se ne erano viste più di una, fin dai tempi di Aura Battler Dunbine). Sghiribizzi orribili della Storia, di quelli che segnano in modo indelebile la collettività facendole scambiare la cacca per il cioccolato per mezzo di un imprinting che non concede spazio (o anche solo volontà) ad alcun tipo di revisionismo.

Il "capolavoro" è ideato dal papà della saga di Macross, Shoji Kawamori, che, in un memorabile viaggio spirituale in Nepal, compiuto nei primi anni '90, si ritrova ispirato nel delineare una serie mecha fantasy-misticheggiante che parli di destino e divinazione, in cui fondere robottoni e romanticismo. Convince subito studio Sunrise e Bandai a produrre l'opera, quindi i tre impostano a grandi linee la storia: si decide, con una certa originalità, di affidare il ruolo di eroe a una ragazza e anche di sfruttare l'intrigante ambientazione per parlare del mito di Atlantide e del Triangolo delle Bermuda, basandosi sugli scritti (ridicoli) del noto "atlantologo" Colin Wilson. Tutto si avvia a diventare la classica serie mecha adolescenziale per ragazzi, tanto che la regia è affidata alla star di Giant Robot (1992), Yasuhiro Imagawa. Invece, il disastro: la cosa va per le lunghe e Imagawa finisce spostato sul bel Mobile Fighter G Gundam (1994), mandando in stallo il progetto, almeno finché questo non torna in auge con l'arrivo del suo rimpiazzo, Kazuki Akane4, che stravolge i piani originali con una nuova visione della storia che convince anche Kawamori. Si passa dai 39 episodi previsti a 26 per mantenere alta fino in fondo la qualità dell'animazione col budget stanziato5, si abbassano i toni epico-drammatici a un target molto più giovane (praticamente bambini delle elementari)6, di ambo i sessi7, e si decide infine, proprio per quest'ultima ragione, di intendere il romanticismo del progetto iniziale come summa delle banalità, delle idealizzazioni e delle inverosimiglianze dello shoujo manga8. In una storia di guerra. È la fine, perché nel 1996 Escaflowne uscirà negli schermi giapponesi proprio così.

Conosciuto internazionalmente come una storia fantasy di contesto epico, Escaflowne è in realtà una flebile storiellina sentimentale (che si capisce sin dai primi istanti dove andrà a parare) ambientata in un mondo di fiaba: argomento principale è il triangolo amoroso, comprensivo di tutti i cliché shoujo umanamente concepibili (fraintendimenti, equivoci, turbe mentali, capricci, baci che "non si devono dare in quel momento visti da persone che non devono esserci in quel momento", etc.), tra la timida Hitomi e i due spadaccini che l'accompagnano nella sua avventura, Van e Allen, quest'ultimo un adone dalla fluente chioma bionda che presto si unisce al gruppo. Escaflowne è la classica storia dell'eroina moralizzatrice e gentile in piena esplosione ormonale contesa da figaccioni, che passa, incomprensione dopo incomprensione, da un partner all'altro, pensando solo all'amore, come se non le importasse molto dei pericoli che affronta quotidianamente (del resto, riuscendo a predire il futuro e salvarsi ogni volta...! ) e delle vite delle migliaia di persone  prese in mezzo alle battaglie. Contesto drammatico-avventuroso solo sulla carta quindi, ridicolizzato dai (troppi) buoni sentimenti e dalle sottotrame rosa che tengono banco (oltre ai tre protagonisti non bisogna dimenticarsi delle altre personalità che gravitano intorno a loro, i classici "spaccacoppie" irrinunciabili nel fumetto per ragazzine), al punto che, per come è voluta e strutturata la serie, è evidente che a Sunrise e Akane interessi che il pubblico sia maggiormente preso dal dubbio su con chi si metterà infine la ragazza piuttosto che sulla guerra con Zaibach. Deludentissimo è anche il modo in cui è scomodato il mito di Atlantide, inquadrato per l'ennesima volta nella solita idea delle attrezzature super-tecnologiche, sopravvissute alla distruzione di quella civiltà, che utilizzate male rischiano di condizionare il futuro del pianeta. Dalla lettura dei testi fanta-archeologici di Wilson si è tirato fuori solo questo?


È una barzelletta high budget, Escaflowne: tenta disperatamente di prendersi sul serio con le sue scene di morte e distruzione, i villain psicopatici e uterini, la sua grande varietà di razze (sembrano prelevate da qualche oscuro J-RPG) e città (le cui architetture sono palesemente ispirate al design europeo9), i dialoghi saccentemente aulici, teatrali e spocchiosi, i duelli all'arma bianca e il cozzare di spade filmate in modo sontuoso, quasi lirico, e accompagnati da musiche ancora più solenni, ma scade nel ridicolo ogni volta che subentra il registro Harmony o, ancora peggio, il suo imbarazzante insieme di idee modaiole  (la donna-gatto... pietà) e gli sviluppi da soap opera (rivalità e contrasti famigliari, paternità celate, migliore amica innamorata anche lei dello stesso uomo...). Con i suoi patetici risvolti amorosi (si arriva addirittura a pentagoni sentimentali), le puerili motivazioni delle azioni dei cattivi (il solito cattivo buono ma incompreso), l'enorme numero di personaggi vuoti e privi di ripercussione sulla trama e ogni possibile genere di pattume stereotipato, Escaflowne sembra volersi porre come esempio rappresentativo di classico anime in cui conta solo la facciata.

In particolar modo, in Escaflowne, è odiosa la ruffianeria ricercata a ogni costo per compiacere il pubblico maschile e femminile: al primo rivolge gli evocativi mecha medievaleggianti Guymelef (creati da Kimitoshi Yamane con evidenti richiami ai robottoni di Mamoru Nagano) e le loro battaglie, da inquadrare nell'enorme livello di dettaglio, movenze, fisicità e sboronate varie (la splendida trasformazione dell'Escaflowne in un drago); il secondo invece, quello evidentemente più ricercato da regista e produttori, trova nella serie tutto ciò che può desiderare da una piatta storia di paturnie amorose, con fighetti tenebrosi in ogni dove e quando, spesso con l'ombelico fuori o dai volti così femminei da sembrare omosessuali, accompagnati da musiche raffinate ed elementi "poetici" (non lo sono, ma perché rovinare l'illusione?), come l'eterea opening o le angeliche ali sbandierate dai personaggi appartenenti alla razza draconiana, che evocano una ridicola impressione di purezza celestiale e di patina intellettuale. La civetteria si somma alla già portentosa confezione del titolo, data da animazioni fluide, un intrigante, colorato e dettagliatissimo (nonostante i famigerati "nasoni") chara design bishounen a opera di Nobuteru Yuki (ben a suo agio nei mondi fantasy, se pensiamo ai suoi precedenti disegni nelle trasposizioni animate di Record of Lodoss War) e un evocativo score musicale - immancabilmente cult presso legioni di animefan - a cura della Yoko Kanno, che celebra le sequenze più importanti con epiche sonorità gregoriane. Il giocattolone è servito!

Fortunatamente, impostata così com'è l'opera, fin dai primi episodi, si capisce chiaramente cosa aspettarsi da essa e quindi la maggior parte degli spettatori odierni che non l'hanno mai vista sapranno abbandonarla come merita dopo due o tre episodi rifiutando la sua immeritata notorietà. Bene o male ispirato da Yoshiyuki Tomino (Akane ammetterà che le opere che più lo hanno influenzato sono i film di Hayao Miyazaki e Mobile Suit Gundam11) e dal suo citato Dunbine del 1983, con cui condivide molte similitudini di fondo (l'umano del "mondo di sopra" che porta la tecnologia bellica in un mondo pacifico, distruggendone l'equilibrio e diffondendo corruzione, avidità e sete di conquista, alleanze e contro-alleanze nella guerra contro l'impero cattivo, addirittura tra le scene tagliate nei DVD americani si vede che Sunrise intendeva replicare l'idea del prosieguo della guerra nel mondo dei terrestri), Escaflowne, a parte gli scopiazzamenti, non sa offrire quasi nulla di originale. Il "quasi" è riferito a due sole idee: la tematica "filosofica" del rapporto destino/volontà (data dalle credenze dei protagonisti sull'inevitabilità di un "disegno superiore" e un cattivo che auspica il raggiungimento di un mondo che vada oltre le leggi naturali che regolano il fato) e lo sfruttamento nella trama, come personaggio attivo nella vicenda, di un celeberrimo scienziato del XVII Secolo10. Le cose sono integrate decentemente nella trama e le danno un vago sapore, è vero, ma è troppo poco per giustificare la mole di sciocchezze e, se non si fosse capito, di noia pura e asfissiante che bisogna sopportare sin dalla prima puntata prima di riuscire a raggiungerle e apprezzarle. Si può capire come una splendida realizzazione tecnica possa eventualmente far dimenticare eventuali lacune narrative (dopotutto, quando nello staff è presente un nome acclamato come Yoko Kanno, da sempre divinità intoccabile, più di qualcuno tende a emozionarsi anche nei riguardi di una storia insignificante), ma nel caso di una vicenda così derivativa e scontata continuo tutt'ora a domandarmi come possa essere ancora difesa oggi e soprattutto dalle ragazze, che pure trovano un finale da "sputo in un occhio" incompatibile con la coerenza "romantica" (se questo è romanticismo....) adottata fino a quel momento.


La serie, quindi, non posso che sconsigliarla caldamente senza tanti giri di parole, compreso il lungometraggio uscito quattro anni dopo (Escaflowne - The Movie, 2000) realizzato in seguito all'esplosione di popolarità riscossa dal'opera all'estero (tanto che il film è proprio concepito per le platee internazionali)12, che riscrive l'intera storia da capo animandola da zero e rivolgendola a un pubblico più maturo.

Riguardo all'edizione italiana della serie, per quel che possono servire, doppiaggio e adattamento italiani della fu Dynamic Italia (ora ereditati da Dynit che edita la serie in DVD) sono davvero perfetti, sia a livello di traduzione che di recitazione. Il famoso errore di traduzione del titolo (da Escaflowne dei cieli a I cieli di Escaflowne) è stato corretto, nei Box DVD, dal titolo internazionale ufficiale The Vision of Escaflowne.

Voto: 5 su 10


FONTI
1 The Best of Animerica Anime & Manga Monthly (Viz Media, 2003, pag. 56)
2 Sito web (in giapponese), http://toro.2ch.net/test/read.cgi/shar/1336141685/
3 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 260
4 Il lungo retroscena è riportato, dice la pagina di Wikipedia inglese di "The Vision of Escaflowne", in Animerica Anime & Manga Monthly (Vol. 8) n. 8 (Viz Media, 2000, pag. 7-10 e 36-38)
5 Jonathan Clements & Helen McCarthy, "The Anime Encyclopedia: Revised & Expanded Edition", Stone Bridge Press, 2012, pag. 183
6 Intervista a Kazuki Akane pubblicata su "The Best of Animerica Anime & Manga Monthly" (pag. 58)
7 Vedere punto 5
8 Vedere punto 1, a pag. 57
Vedere punto 5
10 Che sia proprio LUI (non è mai chiamato con  nome e cognome) lo rivela Shoji Kawamori all'Anime Expo del 2002. Un resoconto è riportato alla pagina https://web.archive.org/web/20121130092436/http://www.mania.com/anime-expo-friday-report_article_86123.html
11 Vedere punto 6
12 Vedere punto 1

lunedì 8 ottobre 2012

Recensione: Jammin' Apollon (Sakamichi no Apollon)

JAMMIN' APOLLON
Titolo originale: Sakamichi no Apollon
Regia: Shinichiro Watanabe
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Yuki Kodama)
Sceneggiatura: Ayako Katoh, Yuuko Kakihara
Character Design: Nobuteru Yuki
Musiche: Yoko Kanno
Studio: Mappa
Formato: serie televisiva di 12 episodi (durata ep. 23 min. circa)
Anno di trasmissione: 2012

 

Appena entrato in una nuova scuola superiore di Tokyo, Kaoru Nishimi è subito perseguitato dai bulletti dell'istituto. Ha la fortuna di stringere amicizia e trovare protezione in Sentaro, l'attaccabrighe temuto dai compagni, scoprendo in lui un ragazzo problematico che agisce in tal modo per darsi la forza di sopportare una tesa situazione familiare. Accumunati dall'amore per la musica, presto i due iniziano a vedersi nel negozio di dischi di una compagna di classe, Ritsuko, mettendo su un piccolo complesso jazz...

Jammin' Apollon segna il ritorno alla regia di Shinichiro Watanabe, entrato nel mito quasi quindici anni prima con Cowboy Bebop e poi rapidamente, e stranamente, scomparso dall'industria dell'animazione, se si escludono partecipazioni sporadiche ad antologie di episodi all-star (Animatrix e Genius Party) e la poco calcolata, quasi dimenticata serie tv di Samurai Champloo. Ma Jammin' Apollon significa anche il ritrovato sodalizio tra lui e la Yoko Kanno, il cui apporto rappresentava uno dei massimi punti di forza nella saga del cacciatore di taglie spaziale, creatrice di straordinarie tracce sonore che abbracciavano ogni variegato stile musicale per risaltare con universalità le avventure di Spike Spiegel. Un grande team-up che si rinnova nel 2012, in un soggetto non originale che traspone, con svariati tagli e modifiche ma seguendone fedelmente la storia fino alla fine, il josei omonimo, recentissimo, della Yuki Kodama. Manga, quest'ultimo,che senza troppi giri di parole rappresenta la classica opera di formazione giovanile con sottofondo musicale, uno dei tanti figli di Piano Forest dove protagonisti pieni di complessi e appartenenti a ceti diversi (Kaoru figlio di famiglia benestante e castratrice che vuole per lui le università e gli incarichi più prestigiosi; Sentaro che si dà da fare coi fratellini poveri e il padre alcolizzato) stringono amicizia grazie alla musica. Niente di particolare o memorabile, una storia corale come tante che segue le ferree regole del genere: innamoramenti giovanili e prime delusioni sentimentali, amicizie che travalicano differenze di classe, gente in cerca di un posto nel mondo, tragedia che separa le strade di più persone fino alla commossa riconciliazione anni dopo... Fortuna che a dirigere c'è Shinichiro Watanabe. Per fortuna.

Con la consueta classe edifica un monumento alle potenzialità della regia, con un uso creativo delle inquadrature che tiene inchiodati alla visione facendo presto dimenticare la banalità della storia. Ovviamente la musica è, nelle opere di Watanabe, sempre protagonista assoluta, e anche se in questo caso non ha importanza centrale l'amore del regista per la quarta arte è onnipresente, trovando sfogo nelle frequenti Jam Session di Kaoru e amici con l'indugio visivo nella spettacolare sollecitazione di batterie, trombe e pianoforti, a cui dà "voce" la Kanno con splendide tracce musicali a tema. Un atto d'amore per il jazz, già protagonista anche in Cowboy Bebop, che è uno dei motivi principali per consigliare la produzione agli appassionati di questa musica.



Chi cerca in Jammin' Apollon una bella storia prenda atto che, se la trama è quanto di più semplice ci si possa attendere, quantomeno i protagonisti godono di una buona caratterizzazione. Le loro vicissitudini seguono i vari cliché del caso, ma almeno l'interesse di sapere cosa succederà nella prossima puntata è genuino e non ci si annoia mai grazie al buon ritmo complessivo e all'assenza di particolari punti morti. Parte non indifferente del successo della produzione, oltre all'accoppiata Watanabe/Kanno e alle ovvie, ottime animazioni del caso, va ricondotta anche ai deliziosi disegni di Nobuteru Yuki, estremamente espressivi ed estremamente realistici, perfetti nell'aggiornare in animazione il tratto originale della Kodama (finalmente ragazze acqua e sapone e non bombe sexy, e anche il protagonista occhialuto non è certo un eroe che si vede molto spesso). Fa il resto la splendida opening Sakamichi no Melody.

Unico limite da accettare, sciaguratamente, è la terribile visione idealizzata che ha l'autrice originale dell'amicizia maschile. Come molte mangaka shoujo/josei, anche la Kodama sembra voler pensare a rapporti al limite dell'omosessualità, dipingendo in modo assolutamente innaturale l'amicizia tra Kaoru e Sentaro. Si vedranno così i due spesso dipinti con caratteri femminei, che piangono per le tragedie dell'altro, si consolano abbracciandosi, si prendono a schiaffi invece che a pugni, compiono dei ragionamenti tutto fuorché virili. Come nel manga, tutto è replicato fedelmente anche nella controparte animata. Questo per dire che, se Jammin' Apollon ha trovato, curiosamente, un certo credito nel pubblico di lettori yaoi, non è stato certo per caso. La sua è una tale esagerazione nei comportamenti umani che più che più di una volta certe reazioni psicologiche perdono di credibilità diventando grottesche, estremizzate da una mentalità femminile che non conosce quella dell'altro sesso.

Rimane, al di là di questo e nonostante la storia innocua, una visione piacevole, registicamente di gran classe e con una colonna sonora ancora una volta da urlo, che sicuramente non deluderà i fan del regista.

Voto: 7 su 10

mercoledì 6 aprile 2011

Recensione: The Five Star Stories

THE FIVE STAR STORIES
Titolo originale: The Five Star Stories
Regia: Kazuo Yamazaki
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Mamoru Nagano)
Sceneggiatura: Akinori Endo
Character Design: Nobuteru Yuki
Musiche: Tomoyuki Asakawa
Studio: Sunrise
Formato: film cinematografico (durata 65 min. circa)
Anno di uscita: 1989

 
Pianeta Addler, anno 2988: il risveglio di Lachesis e Clotho, due nuove Fatima create dal dottor Ballanche, dà il via a una solenne cerimonia. Le Fatima sono intelligenze artificiali dalle splendide fattezze femminili, impiegate dai piloti Headd Liner per comunicare, attraverso una simbiosi, con i Mortar Headd, colossali mecha da guerra che costituiscono gli armamenti bellici della Galassia Joker. Lachesis e Clotho sono però prive del controllo mentale a cui tutte le loro simili sono sottoposte, e questo significa che potranno scegliere liberamente quale Headd Liner servire: la cosa infastidirà non poco il governatore Lord Juba, che tenerà in ogni modo di ostacolare la celebrazione. Ma Ladios Sopp, che nasconde una storia d’amore con Lachesis, non ci sta…

Sessantacinque minuti sono pochi, troppo pochi per trasportare in animazione anche la più piccola parte di uno tra i più imponenti manga fantascientifici mai creati. Un cast sterminato con centinaia di esseri umani, umanoidi, intelligenze artificiali e mecha da combattimento; una storyline che copre un periodo temporale lungo oltre 7.000 anni; una spaventosa complessità politica, sociale, geografica, economica e militare: questo è molto altro ancora è The Five Star Stories, impressionante space-opera che richiama ora Star Wars (al quale sopratutto in Giappone è spesso accostato) ora i cicli spaziali di Frank Herbert, scritto e disegnato da Mamoru Nagano fin dal lontano 1986 e che possiamo gustare in tempi recenti anche in Italia grazie alla splendida edizione Flashbook.

Basato interamente sul primo dei 13 tankobon di cui si compone il ciclo di storie di Nagano, l'ambizioso lungometraggio celebrativo di Kazuo Yamazaki è un allucinante e a suo modo coraggioso riassunto dell’immenso universo di FSS. Sin da subito è chiaro il target dell’opera, quello di chi ha già letto il capolavoro, impossibile altrimenti destreggiarsi tra decine di nomi bizzarri (di personaggi, città e pianeti) che vengono citati o appaiono anche solo di sfuggita. La rapidissima narrazione disorienta a causa del continuo cambio di scena, dell’intervento di volti nuovi che sembrano apparire dal nulla, e da ruoli e scopi che vengono spiegati velocemente allo spettatore anziché mostrarli con le giuste tempistiche. Credo che la sola comprensione del meccanismo che regola la guida dei Mortar Headd non sia facilmente accessibile, figuriamoci la mole di informazioni riguardanti Fatime, fabbricanti di Fatime, guardie reali, Headd Liner, costruttori di Mortar Headd e via dicendo.


Certo, allo spettatore sprovveduto è caldamente sconsigliato l'approccio filmico all'opera di Nagano, ma anche chi, come il sottoscritto, ritiene il manga una lettura fondamentale per ogni appassionato di fantascienza e intende vederselo per dovere morale, non avrà vita facile a districarsi con l'assurda complessità che è stata riversata in quest'oretta scarsa di girato, non per nulla osteggiata (e insultata) dallo stesso autore che non ha voluto averci nulla a che fare. Tolti gli aspetti esteriori come lo splendore grafico dato dall’espressività dei volti di Nobuteru Yuki, il monumentale e mastodontico mecha design dei Mortar Headd (meravigliosa evoluzione dei già favolosi Heavy Metal visti nel 1985 in Heavy Metal L-Gaim), l’ottima qualità delle animazioni o la pomposa colonna sonora, viene infatti a galla un certo senso di vuoto, mentre l’atmosfera maestosa del manga svanisce in favore di eventi così rapidi, frammentari e impalpabili da essere francamente difficili da giudicare. Dalla cerimonia iniziale alla battaglia conclusiva, passando per gli ultra sintetici flashback tra Ladios e Lachesis che riassumono in circa 30 secondi una storia d’amore, tutto appare molto freddo e per nulla coinvolgente, imprigionato com’è in una strettissima gabbia narrativa, davvero troppo piccola per contenere questa seppur minuscola parte dell’epopea. Una tristezza, ma d'altra parte sarebbe stato impossibile aspettarsi di meglio, da un progetto nato con l'unica funzione di rendere in minima parte la grandiosità del cult di Nagano.

Voto: 5 su 10

venerdì 5 novembre 2010

Recensione: Toward the Terra (2007)

TOWARD THE TERRA
Titolo originale: Terra E...
Regia: Osamu Yamazaki
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Keiko Takemiya)
Sceneggiatura: Satoru Nishizono, Toshizo Nemoto, Akemi Omode, Hiroshi Ohnogi
Character Design: Nobuteru Yuki
Mechanical Design: Yutaka Izubuchi (originale), Hideyuki Matsumoto, Takayuki Yanase, Yasushi Ishizu
Musiche: Yasuharu Takanashi
Studio: Minami Machi Bugyosho, Tokyo Kids
Formato: serie televisiva di 24 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2007

 

In un lontano futuro la distruzione ecologica della Terra, causata dalla razza umana, porta l'umanità a emigrare nello spazio. Gli esseri umani decidono quindi di creare e sottomettersi a una potentissima intelligenza artificiale detta Mother, che si occuperà di gestire le future nascite e organizzare così in modo gerarchico la società, delegando ai "migliori" il compito di provare a ricostruire e popolare il pianeta. L'imprevista nascita di super uomini detti Mu modifica i piani di Mother, la quale opta per la loro totale soppressione. Jomy, giovane studente, scopre di essere anche lui uno di loro, ed è così che inizia, coi suoi simili, un viaggio alla ricerca di un nuovo pianeta dove poter vivere finalmente in pace...

È ironico notare come il grande, decantato progresso tecnologico in animazioni e CG, sbandierato a metà anni 90 dagli studios d'animazione, nell'arco di tutto questo tempo non ha saputo trovare adeguato corrispettivo in ambizioni narrative, tanto che oggi si è letteralmente sommersi da un numero abnorme di produzioni più o meno tutte uguali e prive di spessore, tra moe, bishounen, tsundere, harem, ecchi e ogni genere di amenità, del tipo vista una viste tutte. Proprio per questo fa sorridere vedere l'acclamazione che pubblico e critica internazionali tributano nel 2007 a Toward the Terra, serie televisiva che traspone, in barba alla "modernità" delle storie attuali, un manga vecchio di oltre trent'anni, l'omonimo shonen fantascientifico della mangaka Keiko Takemiya già vincitore di innumerevoli premi e trasposto nel 1980 da un lungometraggio - abbastanza mediocre invero - Toei Animation. Una storia, quella di Toward the Terra, lineare, semplice all'inverosimile, anche un po' banale, ma come quelle di tutti i grandi fumetti degli anni 70 - il periodo del Tezuka maturo, di Go Nagai, Shotaro Ishinomori, Riyoko Ikeda etc - di solenne espressività, capace di toccare le corde dell'animo in virtù di personaggi forti, messaggi poderosi e una tragicità di fondo che le storie attuali si sognano. Dietro uno degli incipit più stereotipati risiede un memorabile affresco di poesia e umanità, replicati in una serie tv a medio respiro che rende di certo più giustizia al fumetto del vecchio film.

A dispetto della trama, Toward the Terra non è principalmente il racconto delle varie battaglie tra Mu ed esseri umani. Si focalizza invece nelle iterazioni tra i personaggi, narrando la vicenda dal punto di vista di entrambe le fazioni rappresentate da Jomy e da Keith, quest'ultimo leader degli "umani" e pupillo della sanguinaria Mother. Una storia poetica sull'uomo, sull'accettazione del diverso, sulle difficoltà a superare le barriere dell'intolleranza per comprendere il prossimo e forgiare la pace. Battaglie ridotte al minimo e larghissimo spazio dato a dialoghi tra persone dalle svariate sfacettature, per comprendere punti di vista diversi. Una forte, bellissima storia di crescita interiore.


Fantascienza adulta e drammatica, che per raggiungere il suo pathos non disdegna di colpire vigliaccamente con morti a profusione. La storia è terribilmente tragica e mai nessun personaggio del variegato cast può definirsi intoccabile. Numerosissimi sono quelli che muoiono lungo il dipanarsi dei 24 episodi, che sia in guerra o per eventi sfortunati, e lo fanno sempre in modo improvviso e spietato, la loro morte fa male perché è sempre carica di terribili conseguenze verso i loro cari. Bisogna dirlo, certe volte si nota un ricercato sadismo nel massacrare personaggi per aumentare il tasso di dramma, ma c'è poco da fare: se ogni dipartita, per merito della meravigliosa, lirica e straziante colonna sonora di Yasuharu Takanashi, porta anche chi guarda a empatizzare fortemente e a dolorsene, vuol dire che l'espediente, gratuito o no, funziona. Così come funzionano e colpiscono a fondo le varie tematiche affrontate, sicuramente già viste ma comunque di grande effetto grazie alla caratterizzazione del superbo cast e al coraggio della trama di non risparmiarsi scene e temi scomodi: l'odio che chiama l'odio, lo sbaglio di affidare le proprie vite alla fredda tecnologia, la guerra che plasma gli idealisti facendoli diventare delle bestie, il valore del sacrificio d'amore.... Toward the Terra un affresco di individui vividi e pulsanti, ognuno con una storia da vivere e raccontare, e questo trasmette una forte sensazione di familiarità con loro, contribuendo a un'immedesimazione forte e vissuta. Se l'eroe Jomy, ironicamente, è forse l'elemento più "perfettino" e inverosimile del cast, i numerosissimi comprimari - quasi tutti Mu - e l'antagonista Keith possono godere di una caratterizzazione sublime, che tratteggia personalità ora semplici, ora complesse ma sempre con una cura dialogica e comportamentale da applausi.

Una grande storia character driven, che in virtù di questo trova tutte le ragioni del suo successo configurandosi come una visione must del 2007. Non è scevra, comunque, da difetti, ricordandosi per l'assoluta futilità di uno spaurito numero di personaggi (come Leo); un chara design tendente allo shoujo che, modernizzato o meno, può piacere come no; un rapporto d'amicizia maschile inevitabilmente molto idealizzato dall'autrice originale e tendente all'omosessualità; e infine pessimi effetti di Computer Graphic, sopratutto concernenti le orribili navicelle spaziali che si sparano addosso nelle battaglie. Almeno è  buono il giudizio sulle animazioni tradizionali.


Se si è in grado di glissare su una trama tutto fuorché originale, almeno vista oggi, si sarà retribuiti dalle grandi emozioni che dispensa Toward the Terra, soffrendo per la straziante serie di decessi, commuovendosi con la soundtrack e la prima, superlativa ending (versione cantata del Canone e giga in re maggiore per tre violini e basso continuo di Pachelbel), affezionandosi ai due protagonisti e vivendo sulla propria pelle le loro sofferenze. Nonostante l'età l'opera di Keiko Takemiya ha ancora la sua potenza evocativa, tanto per sottolineare come i grandi capolavori non muoiono mai.

Voto: 8 su 10

lunedì 30 agosto 2010

Recensione: Space Pirate Captain Herlock - The Endless Odyssey

SPACE PIRATE CAPTAIN HERLOCK: THE ENDLESS ODYSSEY
Titolo originale: Uchū Kaizoku Captain Herlock - The Endless Odyssey
Regia: Rintaro
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Leiji Matsumoto)
Sceneggiatura: Sadayuki Murai
Character Design: Nobuteru Yuki
Mechanical Design: Masami Ozone, Katsuya Yamada
Musiche: Takayuki Hattori
Studio: Mad House
Formato: serie OVA di 13 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 2002 - 2003
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Shin Vision

 
Qual è il mistero dei Noo, inquietanti alieni legati alle origini della nascita della Terra? Perché stanno eliminando tutti coloro che vengono a conoscenza della loro esistenza? Capitan Herlock e il fedele equipaggio dell'Arcadia tentano di scoprirlo per poter far fronte alla loro enigmatica minaccia, trovandosi però costretti anche ad affrontare le forze federali terrestri che li ricercano da tempo...

Capitan Harlock è un mito, non si discute. Così come è innegabile il contributo del suo autore Leiji Matsumoto al mondo dell'animazione dagli occhi a mandorla, che col suo imponente affresco spaziale e lo stile di narrazione lirico ha scritto in esso pagine della Storia della fantascienza. Inutile, però, provare a ricondurre una produzione come Endless Odyssey ai suoi meriti, sopratutto se da lui rinnegata e ricondotta a semplice creazione del collaboratore/regista Rintaro.

Endless Odyssey nasce inizialmente come media serie televisiva, ma ritardi nella produzione la portano a trasformarsi in una serie OVA di 13 puntate, troppe poche per contenere la mole di materiale inizialmente prevista. A metà tra seguito della famosa serie televisiva - ha luogo tempo dopo che l'equipaggio dell'Arcadia si è sciolto - e rifacimento/rivistazione vero e proprio - viste le consuete contraddizioni del Leijiverse e la scelta di sostituire la "a" del nome del protagonista con una "e" -, Endless Odyssey pone tutte le frecce del suo arco nella celebrazione dell'indimenticabile pirata spaziale. Celebrazione che se si limitasse al solo, epico e maestoso brano d'apertura strumentale andrebbe bene, ma, basata ripetutamente sul suo primissimo piano sbandierato in ogni episodio, irrita e basta. Non è un buon segno. Dietro la colonna sonora di alto livello e lo splendido chara design del veterano Nobuteru Yuki, rispecchiante il classico stile romantico-barocco di Matsumoto (ragazze altissime e slanciate dagli occhi giganteschi, protagonista dall'aspetto malinconico e decadente, personaggi secondari piccoli, tozzi e grotteschi a simboleggiare la loro insignificanza morale), si nasconde una storia noiosa e priva di interesse. Endless Odyssey è la sagra dell'autocompiacimento registico, talmente eccessivo da portare presto all'irritazione. Non si spiegherebbe altrimenti il letargico ritmo narrativo, perenne susseguirsi di atmosfere rarefatte, lunghi e infiniti silenzi, visioni oniriche e un didascalismo così esagerati da portare all'auto-punizione.


Quella presentata da Rintaro è una visione pesante come un macigno, fastidiosa e insopportabile, sopratutto perché si nota benissimo che i primi piani, le inquadrature fisse e i dialoghi lunghissimi e colmi di oratoria, che si presentano con chissà che ambizioni autoriali, vogliono solo mascherare la cura essenziale in sfondi e animazioni della produzione, appena sufficienti e retaggio di un budget non certo irresistibile, abbastanza indegno per il formato home video. Non ci vorrebbe niente a tagliare qualcuno degli infiniti dialoghi teatrali e ridondanti (rappresentanti il 95% di ogni puntata) per mandare avanti la storia senza mille lungaggini, ma così non è. Tutto è verboso e narcotico a livelli impossibili, causando così tanta noia da non permettere di seguire bene il lento dipanarsi della goffa trama, mix di horror e sci-fi per nulla in linea con la serie classica, che né affascina né inquieta da quant'è contorto, patinato e mal narrato il tutto. Colpa sicuramente da rinfacciare agli iniziali problemi produttivi che portano l'equivalente di 26 episodi a venire sintetizzati in soli 13, ma non si possono sorvolare sulle responsabilità e le deficienze narrative dello sceneggiatore Sadayuki Murai,  solitamente bravo ma in quest'occasione privo di idee, che scrive un horror superficiale e perfettino infarcito di retorica e gran discorsi che suonano come la fiera delle banalità, con villain insignificanti a livelli impossibili e che scade criminalmente proprio nel disegno psicologico degli eroi, freddissimi e indecifrabili a meno che non si conosca veramente bene la serie televisiva di riferimento. Un pasticcio. S'è visto decisamente di meglio in giro e, anche se il mito di Harlock certo non decaderà per merito di questa serie OVA, la delusione, inutile dirlo, è alta.

Voto: 5 su 10

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