giovedì 29 ottobre 2009

Recensione: Mobile Suit Gundam

MOBILE SUIT GUNDAM
Titolo originale: Kidō Senshi Gundam
Regia: Yoshiyuki Tomino
Soggetto: Hajime Yatate, Yoshiyuki Tomino
Sceneggiatura: Hiroyuki Hoshiyama, Yoshihisa Araki, Masaru Yamamoto, Kenichi Matsuzaki, Yoshiyuki Tomino
Character Design: Yoshikazu Yasuhiko
Mechanical Design: Kunio Okawara
Musiche: Yuji Matsuyama, Takeo Watanabe
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 43 episodi (durata ep. 22 min. circa)
Anni di trasmissione: 1979 - 1980
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Dynit


Era Spaziale, fine dell'anno 0079. Sono passati dodici mesi da quando Side 3, la colonia spaziale più lontana della Terra, dopo essersi ribattezzata Principato di Zeon ha dato inizio a una guerra d’indipendenza contro la Federazione Terrestre. I zeoniani sembrano ormai sul punto di vincere grazie alla superiorità tecnologica rappresentata dai loro temibili Zaku, ma qualcosa sta per cambiare: su Side 7 i federali pongono le ultime speranze di vittoria in una nuova linea di Mobile Suit, a cui fa capo il potente prototipo RX-78-2 Gundam. Attaccata dalle forze di Zeon sulla colonia, la Federazione affida il Gundam al civile Amuro Ray e all’equipaggio militare dell'astronave White Base, composto da personale inesperto e improvvisato (perlopiù amici/coetanei del ragazzo), con il compito di scortare il rivoluzionario robot fino al quartier generale di Jaburo, da dove sarà poi avviata la sua produzione di massa. Il loro viaggio sarà, però, irto di ostacoli e di battaglie, in special modo contro l’asso di Zeon, Char Aznable, la Cometa Rossa, misterioso ufficiale che nasconde la sua identità dietro una maschera.

Il parere del Di Giorgio

L'uscita in DVD ha finalmente permesso di godere nel migliore dei modi della serie animata di culto creata nel 1979 da Yoshiyuki Tomino, donandole una visibilità finora mai garantita dai confusi passaggi televisivi: forse la verità è che Mobile Suit Gundam ancora oggi risulta un cartoon troppo avanti rispetto agli standard settati dalle programmazioni impazzite del piccolo schermo italiano, per la ricchezza dei suoi contenuti e per la fitta continuity che rende ogni episodio un piccolo tassello di una storia più grande e perfettamente compatta (nelle intenzioni originarie di Tomino non a caso si nascondeva il desiderio di realizzare un film dal vero). Di più: Gundam è avanti anche rispetto alle aspettative dell’anime-fan medio, troppo spesso attento a classificazioni e a divisioni fra “tominiani” e non, e che per questo nel tempo si è preoccupato soprattutto di evidenziare la netta cesura che la storia marca rispetto alle serie robotiche classiche alla Mazinger Z (1972). Lo scenario stavolta è realistico e credibile poiché viene meno tanto l’elemento extraterrestre quanto il classico nemico che riverbera gli spettri della mutazione corporea (pensiamo ai cyborg mikenei di Great Mazinger, 1974), quanto un intreccio che affonda le radici nella Storia e nel Mito (il regno Jamatai di Jeeg robot d'acciaio o l’Impero dei dinosauri di Getter Robot). Allo stesso modo il robot (ribattezzato “Mobile Suit”, armatura mobile) è un modello costruito in serie all’interno di un contesto bellico dove vediamo le due parti in causa (la Terra e le colonie orbitanti) impegnate nella realizzazione di modelli sempre più potenti per la vittoria (quindi niente Istituti di ricerca sull’Energia Fotoatomica, Fortezze delle Scienze o laboratori privati di vario genere): il pilota quando combatte ha a disposizione un numero di colpi limitato, poche armi e un libro di istruzioni per capire quali sono i comandi. Tutto molto credibile insomma.

In realtà, se adottiamo una prospettiva più distaccata è facile rendersi conto di come Tomino, pur negando molte delle regole care al genere classico dei Super Robot, nello stesso tempo ne riutilizzi e ne affermi nuovamente molti cliché: ecco dunque che la White Base viene a porsi come moderna variante dei laboratori classici, o che il Gundam è comunque un robot di livello superiore dotato di una corazza inscalfibile e di prestazioni che lo elevano di parecchio dai modelli concorrenti, rendendolo unico e quindi non serializzato. E allo stesso tempo alcune delle sue armi (come le Spade Laser) sono tutt’altro che “credibili” se analizzate da un contesto scientifico. Inoltre, sebbene la vicenda rispetti la continuity, il Gundam è costretto ad affrontare una battaglia in ogni episodio, rispettando quindi la regola principale del genere robotico e non facendo venir meno spettacolo e tensione. Il discorso quindi non deve focalizzarsi troppo sulle regole o sugli schematismi narrativi perché l’originalità non è il fine della storia e il lavoro di Tomino ha ben poco di autocelebrativo o referenziale: l’obiettivo finale è infatti quello di prendere lentamente per mano lo spettatore guidandolo verso derive inaspettate, allo scopo di aprire una via che poi saranno altri (pensiamo alla saga aperta nel 1982 da Fortezza Super Dimensionale Macross) a completare per condurre il genere verso nuove coordinate.


D’altronde non si può pretendere che Tomino non abbia ossequiato alcuni modelli, come la saga di Star Wars (nonostante il regista abbia dichiarato il contrario, i debiti verso Luke Skywalker e soci sono troppo evidenti per poter essere smentiti), ma soprattutto è importante notare come abbia tentato di scardinare in modo progressivo la centralità del robot per imbastire un racconto dalla qualità squisitamente umana. In questo senso Mobile Suit Gundam applica alla saga di fantascienza un impianto tipico della soap opera o del feuilleton, mostrandoci protagonisti che imparano a crescere fra mille difficoltà, facendo i conti con le prime pulsioni amorose (pensiamo al commovente arco narrativo che vede coinvolti Amuro e Matilda, oppure a quello di Garma Zabi e Icelina), e i loro destini risultano a volte invischiati in complesse trame familiari che preludono a tragiche conclusioni (esemplare in questo senso il personaggio di Char).

Il vero snodo fondamentale è quindi dato dall’introduzione dei Newtype, super-individui che costituiscono la vera chiave per l’affrancamento dell’uomo dal suo robot (è infatti in quel momento che le prestazioni del Gundam diventano “lente” rispetto alla maturazione cui è raggiunto Amuro) e che perciò riafferma, insieme al messaggio di speranza per il destino dei popoli in lotta, anche la centralità dell’essere umano come creatura superiore: concetto da non intendersi secondo le interpretazioni più aberranti delle dottrine nietzschiane, e infatti sono i miseri umani di Zeon a fare proprie le teorie superomiste più radicali, diventando tragico spettro del nazismo. Viceversa siamo invece più vicini a uno spiritualismo di marca comunque laica e non strettamente religiosa, che ricerca nella realtà quotidiana alcune figure-guida che possano fornire un messaggio di conciliazione e pace (e anche in questo caso si può tracciare un altro parallelo con Star Wars e i Cavalieri Jedi). Il destino dei robot, insomma, è ormai segnato e trattandosi di un’opera di fantascienza, la reale sostanza iconoclastica del lavoro di Tomino risulta davvero significativa.

Voto: 9 su 10

Il parere del Mistè

Nel 1979 il regista Yoshiyuki Tomino fornisce uno scossone epocale al modo di raccontare una storia robotica in televisione. Se prima di quell'anno Planet Robot Danguard Ace (1977), L'invincibile Zambot 3 (id.) e le varie serie di Saburo Yatsude iniziano a svecchiare il genere dai cliché di tradizione nagaiana, donando maggiori sfumature ai cattivi, trattando in modo più realistico le situazioni e improntando di una timida continuity le storie, i 43 episodi che compongono Mobile Suit Gundam (42 nelle versioni internazionali, compresa quella italiana, per volontà del regista che disconosce ufficialmente il 15esimo) si spingono ben oltre, scolpendo personaggi estremamente umani, curati rapporti interpersonali e uccidendo definitivamente i rituali tokusatsu in favore di una progressione davvero serratissima della trama, che ricama con continuità, tassello dopo tassello, un intero mosaico, al punto che nessuna puntata può essere pienamente apprezzata senza aver visto le altre. Quello che il regista propone nel genere robotico è il primo, storico intreccio in perenne e fondamentale evoluzione, che nel tempo diventerà la norma ma che, a quell'epoca, non si era mai visto prima. Basterebbe solo questo a garantire l'immortalità dell'opera, ma Mobile Suit Gundam sa scavare molto, molto più a fondo, dimostrando anche una brillante eccellenza in maturità e contenuti.

L'intoccabile dualismo Bene/Male, quasi sempre rappresentato nelle serie robotiche da eroi che affrontano ripugnanti antagonisti, è dimenticato: Tomino e lo staff Sunrise raccontano una tragica guerra spaziale di indipendenza, in cui ogni fazione ha i suoi eroi e i suoi vigliacchi e i soldati si affrontano in virtù della propria ideologia. È un universo, quello rappresentato in Gundam, dove non esistono né buoni né cattivi, ma tutti si scontrano in quella zona grigia, a metà strada, dove si uccide per non essere uccisi. L’odissea della White Base, nel suo viaggio spaziale verso la Terra, è un susseguirsi di battaglie e di esperienze drammatiche: l’equipaggio di giovani civili, improvvisatisi soldati, forza i tempi della sua maturazione vivendo perennemente a contatto con morte, distruzione e disciplina militare. Gundam è il racconto delle loro storie di formazione, ma anche di conflitti generazionali: l'eroe Amuro Ray, gracile reietto, otaku ante-litteram, che prima di diventare pilota del Gundam vive chiuso in sé stesso, a trastullarsi con hobby e feticci elettronici che gli fanno dimenticare una vita priva di rapporti sociali e di diffidenza verso il mondo degli adulti, diventerà un uomo a contatto con la drammatica realtà della vita, uscendo dal suo guscio e rappresentando simbolicamente, con la sua crescita, le nuove generazioni che dovranno cambiare il mondo.

Quelle di cui Tomino si fa portavoce sono rivoluzioni concettuali che cambieranno per sempre la faccia dell'animazione (anche se non subito, come si vedrà più avanti), facendo spesso dimenticare anche le innovazioni proprie nel genere di appartenenza. Gundam significa infatti anche un nuovo modo di intendere i robottoni giganti cari alla cultura nipponica: la serie vede nascere l'idea del Robot Realistico, da contrapporre a quello derivazione precedente, rinominato così Super Robot. I mecha di Tomino, chiamati Mobile Suit e fortemente ispirati agli esoscheletri disegnati da Kazutaka Miyatake e Naoyuki Kato nella copertina giapponese del romanzo Fanteria dello spazio (1959) di Robert A. Heinlein1, pur dalle immancabili sembianze umanoidi, sono semplici, banali armi da guerra, alla stregua di un carro armato, prodotte in serie dall'industria bellica ed equipaggiate con un armentario verosimile (niente tornadi, fulmini, raggi termici o altre amenità, ma principalmente fucili, bazooka e granate): come tutti i macchinari, i Mobile Suit sono alimentati da carburante, hanno munizioni contate e si possono danneggiare in battaglia, per questo necessitano quotidianamente di ampie riparazioni ritrovandosi talvolta inservibili. Coerentemente con il realismo e in contrapposizione con i cartoni animati del passato, impensabile che il pilota senta il bisogno di urlare il nome delle armi che usa. Questa ricerca di verosimiglianza si ferma però alla teoria senza trovare completa applicazione nella pratica: le uniche unità realistiche sono quelle del Principato di Zeon, i verdi Zaku, mentre l'eroico Gundam alla fine è un super-prototipo di molto superiore ai suoi avversari, obbligato a vincere sempre per mandare avanti la trama. Questa grossa incoerenza sottolinea giustamente l'ironia di come il "merito" di aver creato il Robor Realistico Tomino non lo senta minimamente suo e anzi, lo faccia arrabbiare2, visto che l'idea deriva più che altro dai produttori, che hanno imposto i soliti robottoni per esigenze "giocattolose" e lui ha dovuto accontentarli, inserendoli e rendendoli sì più verosimili ma solo per adattarli alla sua trama - comunque surreali in una storia di guerra che, fosse stata per lui, si sarebbe combattuta con mezzi più verosimili3.


Gundam è tutto questo, ma anche di più. È la prima serie animata televisiva a creare un intero universo immaginario (se si esclude, in ambito cinematografico, il primo Star War) con la sua coerenza e le sue regole, dove gigantesche colonie orbitanti nel sistema solare, particelle Minovsky capaci di disturbare gli impulsi dei radar, eserciti dotati di personali rituali politici e date storiche disseminate lungo il corso di una gigantesca, precisa era temporale (la cronistoria precisa è scritta da un giovanissimo Shoji Kawamori e dai suoi amici4, non ancora professionisti), creano un mondo pulsante e privo di contraddizioni; è un’accurata trasposizione, nei rituali (i discorsi simil-nazisti dei gerarchi di Zeon) e nelle tattiche di guerra, della Seconda Guerra Mondiale; una forte critica al militarismo e agli orrori della guerra. Ma soprattutto, nella sua connotazione più importante e riprendendo il discorso toccato poco fa, Gundam non è (riprendendo le parole del suo creatore) e non vuole essere una storia di battaglie spaziali e robottoni, ma, stringando all'essenziale, una storia di comunicazione fra persone, vissuta dagli occhi del giovane protagonista, che, conosciuti diverse realtà e modi di pensare, diventa un adulto5. Anche spogliato delle connotazioni politiche e sociali l'opera ha molto da dire, merito di un dramma avventuroso che, pur semplice, lineare e pieno di artifici letterari degni di un romanzo d’appendice (l'affascinante antieroe mascherato Char Aznable, romantico punto di incontro fra la Maschera di Ferro e il Conte di Montecristo, disegnato volutamente, come il suo predecessore Tony Harken di Danguard Ace, con tratti femminili per avvicinare il pubblico delle ragazze6), è magistralmente sceneggiato e, per i suoi personaggi e l'impianto tragico, risulta, come ogni grande classico, pienamente avvincente anche a un pubblico odierno. Infine, Gundam può ben vantarsi delle sue ottime animazioni, della matura direzione di stampo cinematografico di Tomino (non riuscì a passare l'esame di ammissione per il lavoro nel cinema giapponese7, si rifà in animazione) e dell'espressivo e realistico chara design di stampo pittorico, a cura di Yoshikazu Yasuhiko. Menzione speciale anche per la colonna sonora di Yuji Matsuyama e Takeo Watanabe, puro stile anni '70, piena di motivetti epici e marziali davvero iconici.

Se si vuole cercare il pelo nell’uovo, si possono citare alcuni mecha un po' troppo "giocattolosi" e ancorati a una filosofia infantile (diktat del produttore Clover)8, e le conseguenze che ha la chiusura anticipata della serie: se inizialmente la durata prevista è di 52 episodi, alla fine l'opera è così avveniristica da allontanare il pubblico televisivo e segnalare bassi share (mediamente un 5.3%9) e scarse vendite di giocattoli, portando lo sponsor a togliere fondi e a costringere a un finale molto in anticipo sui tempi10. Questo significa, verso le fasi conclusive, una brusca accelerazione della storia, con gli ultimi avvenimenti e battaglie narrati con una certa fretta. Soprattutto, in questo modo viene a malapena introdotto - e in modo superficiale - il discorso del Newtype, l'Uomo Nuovo dello spazio (ispirato ancora a un romanzo di Heinlein, La Luna è una severa maestra, 196611), personificazione delle nuove generazioni uscite dalla Guerra che reca in sé, secondo il regista, la speranza di un rinnovamento del genere umano, più sensibile ai problemi sociali e capace di captare i sentimenti dei suoi simili. I problemi di Gundam sono tutti limati, qualche tempo dopo, dalla trilogia cinematografica (1981-1982) che riassume e migliora in modo impeccabile la storia: nonostante, per molti fan, questi lungometraggi siano così ben fatti da poter essere presi come valida alternativa alla visione della serie televisiva, a mio parere non si può sottovalutare quest'ultima che, pur coi suoi difetti, rimane un capolavoro, il cui successo (tardivo) cambierà per sempre la faccia dell'animazione - con buona pace di Tomino, che, insoddisfatto fin dall'inizio dalle ingerenze degli sponsor e dagli obblighi contrattuali in fatto di battaglie e robot, si improvvisa scrittore e scrive, in contemporanea con la trasmissione televisiva, la stessa storia con notevolissime differenze e un diverso sviluppo dell'intreccio, accentuando i lati adulti della vicenda e sviluppando così 3 pregevoli romanzi (di cui consiglio caldamente la lettura, a patto che non sia la pessima edizione italiana di Kappa Edizioni, del tutto sprovvista di punteggiatura). Visione imprescindibile per qualsiasi animefan degno di tal nome.

Nota: una tragedia la storia dell'opera in Italia. Sunrise, appreso che Gundam e il precedente Zambot 3 sono stati trasmessi nelle nostre frequenze in modo illegale, senza pagare una lira di diritti, deciderà di "punirci" disinteressandosi totalmente al nostro mercato, guardandolo con diffidenza, antipatia e poca voglia di investirci risorse per far conoscere i suoi titoli futuri. La questione si radicalizzerà negli anni '90, quando la rivista italiana Japan Magazine pubblicherà, sempre in modo illegale, gli anime comic di Mobile Suit Gundam F91 (1991), e anche questo verrà scoperto dallo studio12. Il mancato arrivo nella nostra penisola di tutti i futuri (e numerosi) grandi titoli Sunrise, ovviamente adagiati sulle rivoluzioni concettuali inaugurate da Gundam, creerà un enorme danno culturale al pubblico italiano, che negli anni '90 saluterà Neon Genesis Evangelion (1995) come serie robotica epocale pensando che sia la prima a prevedere un intreccio dalla fortissima continuity e una forte enfasi su storia e personaggi (al punto da credere, erroneamente, che prima di lei non esistesse nulla di simile). È da questa ignoranza sull'argomento che si può probabilmente arrivare a ipotizzare il forte disinteressamento delle nuove generazioni di spettatori al genere mecha, molti di essi propensi a credere che il cult GAINAX sia stato il principale innovatore del genere. In compenso, seppur lentamente, almeno la situazione di Gundam si sbloccherà, per arrivare in tempi abbastanza recenti a una completa “riappacificazione” tra le parti: nel 2001 Mediaset acquista l’alternate universe Mobile Suit Gundam Wing (1995) e nel 2004 Mobile Suit Gundam e il suo seguito Mobile Suit Z Gundam (1985). Per l’occasione Tomino impone alla prima serie un ridoppiaggio con un cast di alto livello da lui stesso scelto (tra i nomi, anche Luca Ward): paradossalmente, pur decisamente più fedele all’originale, questo nuovo doppiaggio presenta, come spesso recentemente accade, voci svogliate e poco convincenti. Per questo consiglio, per usufruire nel miglior modo possibile dell'opera, l’audio giapponese con sottotitoli, rimediabili nei DVD ufficiali a cura di Dynit.
Mobile Suit Gundam Thunderbolt (2015-2016; serie ONA)
Mobile Suit Gundam: The 08TH MS Team (1996-1999; serie OVA)
Mobile Suit Z Gundam (1985-1986; TV)
Gundam Neo Experience 0087: Green Divers (2001; corto)
Mobile Suit Gundam ZZ (1986-1987; TV)
Mobile Suit Gundam Unicorn (2010-2014; serie OVA)
Mobile Suit Gundam Unicorn RE:0096 (2016; TV)
Mobile Suit Gundam Unicorn: One of Seventy Two (2013; corto)


FONTI
1 Booklet "Mobile Suit Gundam Enciclopedia 1" (allegato al primo DVD Box di "Mobile Suit Gundam", Dynit, 2007), "Intervista a Yoshiyuki Tomino, pag. 34-35. Confermato dal mecha designer Shoji Kawamori, facente parte dello Studio Nue in cui hanno militato Miyatake e Kato, alla pagina web http://www.forbes.com/sites/olliebarder/2015/12/10/shoji-kawamori-the-creator-hollywood-copies-but-never-credits/#53d925661683. Confermato anche dal mecha designer ufficiale della serie, Kunio Okawara, in pezzi di una sua autobiografia tradotti su 4chan alla pagina https://desuarchive.org/m/thread/14468515/#14469981
2 Volume 3 di "Overman King Gainer", "Yoshiyuki Tomino e King Gainer: Un nuovo eroe nato per superare i limiti di Gundam", d/visual, 2008
3 Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)
4 Vedere l'intervista a Kawamori citata nel punto 1
5 Riportato nel Roman Album di "Mobile Suit Gundam" pubblicato nel 1980, a sua volta postato sul forum Gurendaiz da Garion-Oh. http://www.gurendaiz.it/forum/index.php/topic/60418-choujikuuyousai-macross-tv-series-ai-oboeteimasuka-flashback2012/?p=921193
6 Saburo Murakami, "Anime in TV", Yamato Video, 1998, pag. 66
7 Vedere punto 1, a pag. 33
8 Tutte queste informazioni sono riportate nelle pag. 25-27 del report "Japanese Animation Guide: The History of Robot Anime", rilasciato nell'agosto 2013 dall'Agenzia di Affari Culturali giapponese. Rimediabile (parzialmente) tradotto in inglese alla pagina web http://mediag.jp/project/project/robotanimation.html
9 Sito web (in giapponese), http://toro.2ch.net/test/read.cgi/shar/1336141685/
10 Booklet "Mobile Suit Gundam Enciclopedia 2" (allegato al secondo DVD Box di "Mobile Suit Gundam", Dynit, 2007), pag. 9
11 Kappa Magazine n. 1, Star Comics, 1992, pag. 60
12 Tutto questo è riportato nell'intervista a Masuo Ueda, direttore di Sunrise, pubblicata a pag. 46-47 di Mangazine n. 18 (Granata Press, 1992)

lunedì 26 ottobre 2009

Recensione: Code Geass - Lelouch of the Rebellion

CODE GEASS: LELOUCH OF THE REBELLION
Titolo originale: Code Geass - Hangyaku no Lelouch
Regia: Goro Taniguchi
Soggetto: Goro Taniguchi, Ichirou Ohkouchi
Sceneggiatura: Ichirou Ohkouchi, Hiroyuki Yoshino
Character Design: CLAMP (originale), Takahiro Kimura
Mechanical Design: Akira Yasuda, Eiji Nakata, Junichi Akutsu, Kenji Teraoka
Musiche: Kotaro Nakagawa, Hitomi Kuroishi
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 25 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 2006 - 2007
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Dynit


Anno 2010, 10 agosto: in un universo alternativo dove gli americani non sono riusciti a liberarsi dal giogo degli inglesi, l'impero di Britannia, con l'ausilio dei potenti robot da guerra Knightmare Frame, conquista il Giappone e lo rinomina Area 11, costringendo poi i giapponesi, ora eleven, a vivere nei ghetti sotto regime di schiavitù. Anni dopo, un liceale di nome Lelouch ottiene un incredibile potere soprannaturale chiamato Geass, attraverso un patto con una misteriosa prigioniera dei britanni da loro considerata strega: con esso, il giovane può impartire qualsiasi ordine a chi lo guarda nell'occhio sinistro. Interessato a una misteriosa vendetta verso la famiglia reale, Lelouch, sotto l'identità fittizia del rivoluzionario Zero, tira su un gruppo partigiano, i Cavalieri Neri, e inizia una guerra di liberazione...

È un talento a lungo non riconosciuto quello del regista Goro Taniguchi, che, dopo la vice-regia del cult Gasaraki e lo straordinario esordio con il drammatico Infinite Ryvius (1999), nell'arco di otto anni dirige poi altri tre lavori di grande spessore senza che il suo nome splenda in mezzo al grande pubblico. Questo almeno fino al 2006, anno del successo di costume di Code Geass
, risposta al contemporaneo e acclamatissimo Death Note di studio Mad House.

Dal punto di vista del soggetto, in effetti, le similitudini con la creatura cartacea della Tsugumi Ohba si sprecano, non potrebbe essere altrimenti visto il protagonista tenebroso e machiavellico, visto il suo potere speciale in grado di cambiare il mondo, visti alcuni spunti di riflessione etica sull'idea di esercitare con la forza e con crudeltà un determinato concetto di giustizia. Similitudini che ci sono e sono innegabili, ma il risultato finale, di gran livello, permette di non liquidare il tutto come un semplice clone senz'anima. Concepito inizialmente come opera di 26 episodi ma poi caduto vittima delle logiche marketing Sunrise, che ne impongono una seconda stagione diluendo la storia, Code Geass è senza dubbio l'opera più spiccatamente commerciale diretta dal regista. Ne danno notizia i robotici Knightmare Frame usati in combattimento, più belli che realistici e sempre più potenti e dotati di armi spettacolari; i numerosi personaggi che fisicamente e dal punto di vista delle caratterizzazioni seguono lo stereotipo del "belli e dannati" (il protagonista Lelouch, combattuto interiormente sul peso delle sue azioni); abbondanti spruzzate di fanservice ecchi per i maschietti (le inquadrature semi-pornografiche di Kallen, alleata dell'eroe) e di ambigue frecciatine pseudo-yaoi per il pubblico femminile (il rapporto di amicizia tra Lelouch e Suzaku), il chara design delle famosissime CLAMP, numerosi intermezzi sentimentali, addirittura il marchio Pizza-Hut spiattellato ovunque... Si potrebbe andare avanti ancora citando idee e stereotipi vari (il migliore amico che combatte per la fazione avversa), ma alla fine significherebbe solo rinfacciare all'opera il consueto numero di furbizie con cui qualsiasi studio animato odierno cerca di rendere le sue serie più appetitose al grande pubblico. Eppure, anche se il lavoro può essere liquidato da qualcuno come un banale clone di Death Note, ci sono elementi che a mio parere dimostrano come lo superi in quasi ogni aspetto, a prescindere dalla sua patina commerciale.

 
Primo fra tutti la natura qualitativa della serie: se Death Note parte bene per affossarsi sempre più inesorabilmente nel prosieguo, i 25 episodi di Code Geass sono di crescendo qualitativo costante e invidiabile. Eccellono grazie a una sceneggiatura tesa che spesso vuole essere anche svalvolata, coniugando con nonchalance mille e più tipi di atmosfere, da intermezzi cupi, seriosi e trascinanti (le strategie con cui Zero organizza le operazioni militari, tesi intermezzi psicologici, violenza e crudeltà, un cliffhanger a ogni episodio...) ad altri di una demenzialità così stupida, cretina e fuori posto da sembrare schizofrenica (le "feste" nell'istituto Ashford dove vive il protagonista). Si tratta del solito, noto stile di racconto di Goro Taniguchi, già visto nell'altrettanto folle (e ugualmente splendido) GUNxSWORD, ripetuto nuovamente nell'ottica di un intrattenimento spesso teatrale e volutamente irrealistico che viaggia tra serio e faceto, ma sempre carismatico, scritto con ingegno e gran senso del pathos in entrambi i tipi di situazioni, dove risalta benissimo una combinazione di elementi stellari. Questi non possono che essere l'indimenticabile eroe byroniano Lelouch, le splendide tracce musicali di Kotaro Nakagawa e la regia di Taniguchi, ma anche l'incredibile spirale di cattiveria che ingloba la trama in più frangenti, fino, nel finale, a un colpo di scena così sadico, spiazzante e incredibile, sia in stupidità che genio, da meritare un posto nella Storia dell'animazione. Ottimo anche il capitolo personaggi: la caratterizzazione di ogni singolo attore del grosso cast va dal buono al perfetto e, a dispetto delle logiche marketing, il chara design delle CLAMP, seppur fuori luogo sulle prime, rivela presto le sue potenzialità. Per una strana alchimia, infatti, le atmosfere fatiscenti di Code Geass risaltano maggiormente dal tratto effeminato del famoso gruppo di disegnatrici: i giovani dall'aspetto gracile e belloccio, con braccia magre come stuzzichini, rendono ancora più inusuale e inquietante la storia, e i villain più psicopatici (l'assurdo Mao e l'esilarante Jeremiah Gottwald, che in Code Geass genera l'archetipo di un nuovo personaggio-tipo negli anime, "l'antagonista che si crede figo ma rimedia le peggiori figuracce") diventano, con i loro assurdi look, ancora più grotteschi.

In quanto produzione miliardaria Sunrise è scontato porre l'attenzione sulla grande realizzazione tecnica e le animazioni da grido. Diretta da Goro Taniguchi, poi, è altrettanto ovvio rimarcare la sua direzione virtuosa, capace di bucare lo schermo nell'azione e trovare raffinatezza negli intermezzi psicologici. Si potrebbe ricitare anche la minacciosa e trascinante colonna sonora di Kotaro Kotogawa, compositore che ha già collaborato in quasi tutte le opere di Taniguchi, o parlare dell'eccellente lavoro vocale dei seiyuu (Jun Fukuyama vincerà in patria un premio importante per la categoria grazie alla istrionica interpretazione di Lelouch), ma è un piacere che lascio scoprire a chi vorrà guardarlo.

 
Code Geass è un piccolo gioiellino, che trova il suo climax in 3/4 episodi finali da tensione pura, appena rovinato da un certo numero di episodi riempitivi presenti nella parte centrale (di livello, però, eccelso), testimonianza della scelta Sunrise di voler allungare il brodo per produrre una seconda stagione. Peccato per tutti i fili lasciati in sospeso nela conclusione, ma tutto continua e si conclude nel successivo Code Geass R2. Visione caldamente consigliata, presumibilmente con audio originale più sottotitoli: il doppiaggio italiano, come spesso accade, anche a fronte di un adattamento perfetto è svogliato e senza pathos, e Massimiliano Alto, anche se si impegna, non rende di un'unghia il lavoro eccelso di Jun Fukuyama su Lelouch.

Voto: 9 su 10

SEQUEL
Code Geass: Lelouch of the Rebellion Special Edition - Black Rebellion (2009; OVA)
Code Geass: Lelouch of the Rebellion R2 (2008; TV)
Code Geass: Lelouch of the Rebellion R2 Special Edition - Zero Requiem (2009; OVA)
Code Geass: Akito the Exiled (2012-2016; serie OVA)

mercoledì 21 ottobre 2009

Recensione: L'invincibile Zambot 3

L'INVINCIBILE ZAMBOT 3
Titolo originale: Muteki Choujin Zanbot 3
Regia: Yoshiyuki Tomino
Soggetto: Yoshiyuki Tomino, Yoshitake Suzuki
Sceneggiatura: Yoshihisa Araki, Shuichi Taguchi, Soji Yoshikawa, Hiroyuki Hoshiyama, Yoshitake Suzuki
Character Design: Yoshikazu Yasuhiko
Mechanical Design: Ryoji Hirayama, Studio Nue
Musiche: Takeo Watanabe, Yuji Matsuyama
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 23 episodi (durata ep. 23 min. circa)
Anni di trasmissione: 1977 - 1978
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Dynit


Gaizok è una malvagia entità aliena a capo di un regno militare galattico. Per invadere la Terra invia sul nostro pianeta lo spietato, ripugnante Butcher per sterminarne gli abitanti, ma il mostruoso servitore e i suoi soldati dovranno fare i conti in Giappone con la forte resistenza rappresentata dai Jin, i Kamie e i Kamikita, discendenti degli extraterrestri che secoli prima, durante il periodo Edo, lì si stabilirono dopo che il loro pianeta Beal fu distrutto dalla stessa minaccia. Ora le tre famiglie non ci stanno a perdere la loro seconda patria e, grazie ad antichi documenti, rinvengono le tre macchine nascoste dai loro antenati che permettono di attivare il potente robottone Zambot 3.

Nel 1975 il giovanissimo studio d'animazione Soeisha Sunrise Studio, divisione dei film per l'infanzia della società di distribuzione cinematografica/animata Tohokushinsha, fa il suo ingresso nel mondo dell'animazione robotica con Il prode Raiden: un titolo abbastanza ordinario nel genere, i cui due unici elementi di originalità consistono nell'ideazione del primo robottone divino della Storia dell'animazione e nella regola dell' "attacco finale", che verrà ripresa ovunque divenendo presto un nuovo cliché. Al momento di tagliare i ponti anche con Soeisha, divenendo a tutti gli effetti uno studio indipendente, Nippon Sunrise e il suo regista Yoshiyuki Tomino (quest'ultimo già alla direzione dei primi 26 episodi di Raideen), decidono nel 1977, "assoldati" da Nagoya Television e dalla ditta di giocattoli Clover per creare una serie robotica di breve durata con carta bianca sui contenuti1, di realizzare come primo titolo originale un'opera davvero spiazzante e personale che faccia parlare di sé, distinguibilissima dalle ultime serie Toei Animation/Sunrise fatte (parole di Tomino2) con lo stampino, Super Electromagnetic Robot Combattler V (1976) e Super Electromagnetic Machine Voltes V (1977). Così, nonostante un poderoso fiasco commerciale all'epoca della sua trasmissione3 (più per le scarse vendite di merchandising che per reali ascolti, fissi su un discreto 7.43%4), L'invincibile Zambot 3, per la sua originalità e i temi maturi accrescerà la sua fama sempre di più divenendo una serie cult tra i robofan, in special modo per il presentare idee mature di assoluto rilievo che si vedranno poi nell'acclamato Mobile Suit Gundam (1979). Soprattutto, in quello speciale 1977, la serie sarà profetica, presso il grande pubblico, nel rivelare il grande talento di questo studio, capace di coniugare a regola d'arte - e lo dimostrerà spessissimo in futuro - le esigenze commerciali dello sponsor di turno (in questo caso, l'azienda Clover) con la creatività artistica, tirando fuori delle opere d'autore nonostante lo scopo dichiarato di vendere giocattoli di robot.

Con Zambot 3 di Super Robot tradizionalissimo si parla, inutile aspettarsi oggi qualcosa di più di una serie di puntate mediamente uguali l'una all'altra, in cui Kappei e la sua famiglia distruggono i colossi meccanici di turno del buffo e sanguinario Butcher, ma quello che Tomino e lo staff Sunrise hanno avuto il coraggio di mostrare quel tempo è, e rimane, avveniristico. Zambot 3 mostra per la prima volta , nel 1977, come tutte le conseguenze delle devastazioni e delle battaglie tra robottoni, irrilevanti in quasi qualsiasi serie animata del periodo (a parte il primissimo Mazinger Z del '72, ma la cosa occupa giusto lo spazio di un episodio isolato), assurgono a parte integrante della storia, con i flussi migratori di sopravvissuti, scampati alle distruzioni delle loro case, che danno sfogo al loro odio verso le razze aliene, compresa quella degli eroi, arrivando addirittura a tentare di uccidere più volte questi ultimi. Come dice Tomino5, il merito storico dell'opera (perfettamente in linea con rinnovamento del genere che ha luogo nel 1977) è stato quello di parlare per la prima volta in modo concreto dell'orrore della guerra, poiché era ingiusto raccontarla ai bambini tralasciando di trattarne gli aspetti più crudeli e realistici. In Zambot 3 persiste ancora, sì, una netta dicotomia tra buoni e cattivi (nonostante su alcune fanzine giapponesi dell'epoca il regista avrebbe detto che Gaizok rappresenta metaforicamente gli USA, la "polizia del mondo", in questo caso "dello spazio", che riporta la pace e l'ordine nel nostro pianeta "turbolento"6), ma l'enfasi della narrazione preme sugli aspetti più truci del conflitto, sull'istinto e sull'odio che prevalgono sulla ragione trasformando in bestie gli uomini. Ancora, con massacri su larga scala di vecchi, donne e bambini secondo modalità simil-naziste, con questa serie Tomino porta in scena, spietatamente, il concetto di Soluzione Finale, mostrando, con compiaciuto sadismo, la crudeltà del rozzo e infantile Butcher, divertito, in ogni puntata, a sperimentare nuovi metodi sanguinari per uccidere i terrestri. Si arriva al culmine delle atrocità verso metà serie, quando la poetica di morte di esprime al pieno della cattiveria con i celebri uomini trasformati in ordigni biologici e mandati dai loro simili, nelle vesti di involontari kamikaze, a saltare in aria.


A fare da contralto a un simile orrore, in Zambot 3 c'è da ricordare il tema della famiglia, che verrà ripresa e analizzata sotto ogni luce da Tomino nelle sue opere successive. Il regista la pone come secondo perno della narrazione, idealizzando nel corposo nucleo familiare dei Jin tutte le dinamiche per lui più significative e interessanti, attenuando il senso di sacrificio dei vecchi per i giovani, le lezioni sul prendere le proprie responsabilità dal riconoscimento degli errori, l'adattamento a scenari ostili e il modo in cui maschi e femmine cercano, ciascuno secondo la propria sensibilità e attitudine, di affrontare la guerra senza perdere di vista i valori di umanità7. Questo discorso assume proporzioni ancora più importanti, se si pensa che l'intero percorso di Kappei, a contatto con l'umiltà e la frugalità, la conquista dell'autodeterminazione e, infine, il nuovo inizio come persona, lo svezzamento, richiamano volutamente le tre metamorfosi dello spirito di Friedrich Nietzche (cammello, leone, fanciullo), già a loro volta sintetizzate dal titolo originale di Zambot 3 (Muteki Choujin Zanbot 3, ossia Invincibile Superuomo Zanbot 3)8. È una ricerca di realismo, in definitiva, il principale motore di quest'opera, espresso in modo ancora più appariscente dal suo stesso eroe di metallo, solito robottone componibile (dall'aspetto fisico più vicino di sempre a un samurai) che, tra le sue superarmi in dotazione per abbattere i Mecha Bust nemici, possiede anche un fucile che deve saltuariamente ricaricare - anche se in effetti è più un'idea di spettacolarità che altro, non rimarrà mai senza colpi come succede invece, tre anni dopo, al Gundam RX-78-2. Soprattutto, indimenticabile e spiazzante è il finale,  una spaventosa strage nel quale perde la vita, sacrificandosi per un bene superiore, anche una parte non irrilevante del giovanissimo cast di piloti: una mattanza che porta il pubblico di allora ad affibbiare a Tomino il nomignolo di "minagoroshi" (macellaio)9 e "Zen Kuroshi no Tomino" (Tomino ammazzatutti)10, titoli che verranno ribaditi nei finali di svariate opere successive negli anni Ottanta. Tanti sono i primati storici dell'opera che è doveroso ricordare, ma, a dispetto del suo carisma, giudicare con gli occhi attuali Zambot 3 non è facile.

Inutile ribadirlo, lo schema tokusatsu o "mostro della settimana" è figlio del suo tempo e oggi, per buona parte del pubblico, semplicemente insopportabile: guardare la prima metà dell'opera, quella di presentazione di personaggi e poteri del robottone, significa ritrovarsi più di una volta a fissare apatici lo schermo, tediati dalla ripetitività dello stesso canovaccio ripetuto all'infinito di riempitivi di tremenda fattura, scritti nel modo più negligente possibile. Per arrivare all'anima della serie, dove si esprime il suo vero potenziale scioccante e si fa strada una continuity a legare gli episodi, bisogna attendere l'arrivo, già citato, dell'intermezzo degli uomini-bomba, presente all'incirca a metà dell'opera, ma non dubito che più di qualcuno potrebbe non farcela per la noia accumulata fino a quel momento. All'effetto narcotico contribuisce anche il cast dei protagonisti-piloti, giovanissimi bambini petulanti, privi del minimo interesse, che non suscitano alcuna empatia per le loro vicende e che, con le loro voci squillanti (si fa riferimento alle voci originali in giapponese) arrivano presto a farsi odiare, al punto che molto difficilmente si può arrivare a provare commozione  per la loro sorte nell'accennato bagno di sangue finale. Un ulteriore deterrente alla visione sono i mal resi disegni di un giovane ma già talentuoso Yoshikazu Yasuhiko, in Zambot 3 purtroppo non sfruttato anche come direttore dell'animazione (era impossibilitato a farlo, occupandosi a tempo pieno degli storyboard del lungometraggio Addio Yamato11): a trasporre il suo tratto è l'animatore Yoshinori Kanada, ma la resa è sgraziata a dir poco, grottesca e mediocre, tanto che lo stesso Yas si lamenterà della cosa dicendo, all'epoca, che era assolutamente convinto che la serie fosse disegnata da un ubriaco12. Di impatto ancora assolutamente negativo è la realizzazione tecnica: bisogna dimenticare le strabilianti animazioni del primo episodio, puro specchietto per allodole, perché i restanti ventidue sono realizzati in malo modo, zeppi di ricicli di disegni e con le classiche inquadrature fisse e interminabili usate per raggiungere i fatidici 23 minuti a puntata. Questo si spiega, come dice ancora Yas, con il fatto che le opere dal maggior rendiconto economico per lo studio erano quelle animate su commissione (in quel caso, i robotici di Saburo Yatsude), e quindi solo i soldi che rimanevano finivano su Zambot 313. Per questo motivo, quindi, per alcuni anni Sunrise deciderà per una separazione di compiti del suo staff, delegando a Tomino e Yas lo sviluppo e la regia di programmi personali, e a Nagahama di quelli commissionatogli da altri14.

Zambot 3 è indubbiamente un anime atipico per l'anno in cui è uscito. Flop commerciale tremendo, rivisto oggi, alla luce delle opere successive del suo creatore, più che avere alte ambizioni (vista anche la sua estrema brevità) sembra invece porsi come terreno di prova per scioccare il pubblico giapponese con una storia mai vista prima, che osasse mostrare ciò che mai si era potuto far vedere all'epoca. Chi scrive non riesce a definire Zambot 3 un'opera di grandissimo livello, ma è indubbiamente interessante, avveniristica e con una sua forte personalità, che risalta nel momento topico in cui arriva alla parte veramente drammatica della storia. Un'opera che, vista oggi, forse risulta tutt'al più gradevole, ma per arrivare alla "parte che conta" e che ha fatto la Storia del genere (gli uomini-bomba e il finale), bisogna reggere una quindicina di episodi particolarmente stucchevoli, poco ispirati a livello di script e tecnicamente neanche brillanti. Ognuno faccia i suoi conti.


Nota: l'edizione italiana in DVD della Dynit, ottima, si compone di tre doppiaggi, dei quali quello storico uscito in Italia nel 1981, pessimo, praticamente inventato da cima a fondo. Per godersi decentemente l'opera è consigliabile la visione o con la traccia sonora originale giapponese (da integrare con sottotitoli) o con il secondo doppiaggio, realizzato in tempi recenti e decisamente più fedele.

Voto: 7,5 su 10


FONTI
1 Mangazine n. 37, Granata Press, 1994, pag. 12-13
2 Fascicolo 2 di "L'invincibile Zambot 3 Archives" (allegato al secondo DVD de "L'invincibile Zambot 3", Dynit, 2007), "Intervista a Yoshiyuki Tomino", pag. 5
3 Volume 1 di "Record of the Venus Wars", "The Day the Earth Stood Still", Magic Press, 2009
4 Sito internet (in giapponese), http://toro.2ch.net/test/read.cgi/shar/1336141685/
5 Fascicolo 3 di "L'invincibile Zambot 3 Archives" (allegato al terzo DVD de "L'invincibile Zambot 3", Dynit, 2007), "Intervista a Yoshiyuki Tomino", pag. 4
6 Post di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit) apparso nel forum Pluschan. http://www.pluschan.com/index.php?/topic/3983-zambot-3-e-daitarn-3-la-luna-e-il-sole/?p=343791
7
8 Vedere punto 6
9 Consulenza di Garion-Oh
10 "Anime Interviews: The First Five Years of Animerica Anime & Manga Monthly (1992-97)", Cadence Books, 1997, pag. 9
11 Fascicolo 4 di "L'invincibile Zambot 3 Archives" (allegato al quarto DVD de "L'invincibile Zambot 3", Dynit, 2007), "Intervista a Yoshikazu Yasuhiko", pag. 4
12 Vedere punto 1, a pag. 14
13 Vedere punto 1, a pag. 15-16
14 Fabrizio Modina, "Super Robot Files: 1963/1978", J-Pop, 2014, pag. 182

sabato 17 ottobre 2009

Recensione: La Stella della Senna (Il Tulipano Nero)

LA STELLA DELLA SENNA
Titolo originale: La Seine no Hoshi
Regia: Masaaki Ohsumi (ep. 1-26), Yoshiyuki Tomino (ep. 27-39)
Soggetto: Mitsuru Kaneko
Sceneggiatura: Soji Yoshikawa
Character Design: Akio Sugino
Musiche: Shunsuke Kikuchi
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 39 episodi (durata ep. 22 min. circa)
Anno di trasmissione: 1975


Parigi, anno 1784: Simone Lorène, una bella ragazza le cui origini sono avvolte nel mistero, è una fioraia dal cuore d'oro, vicina al popolo parigino che, ricambiata, ama. Costretta anch'ella a conoscere i soprusi della monarchia assoluta, incontra il misterioso Tulipano Nero, spadaccino mascherato dalla parte dei poveri, unendosi presto alla sua lotta nelle vesti della Stella della Senna, altrettanto abile con la spada. Le loro avventure la porteranno a indagare sul suo passato, sullo sfondo di una Parigi sempre più vicina all'esplosione dei moti rivoluzionari...

Nel 1972 una debuttante Riyoko Ikeda entra nell'Olimpo dei mangaka con La Rosa di Versailles, primo shoujo manga ad ambientazione storica. Il suggestivo fascino emanato dalla drammatica Parigi pre-rivoluzionaria, i personaggi memorabili e le intense, tragiche storie d'amore sono ingredienti di una ricetta portentosa, che esplode in un fenomeno sociale che farà la sua parte, insieme alle opere delle altre autrici del "Gruppo dell'Anno 24", nel rivoluzionare gli stilemi del fumetto per ragazze. Tre anni dopo l'appena nato studio d'animazione Nippon Sunrise (oggi Sunrise), cerca di acquisirne i diritti per una trasposizione televisiva. Per un mancato OK dell'autrice all'ultimo momento non ci riuscirà1, ma alla fine si decide di non rinunciare comunque al magnetico fascino della Rivoluzione Francese e il budget stanziato si riscopre pronto per un'altra storia di cappa e spada ambientata in quegli anni, incrociata a sua volta con le gesta del Tulipano Nero, eroe del romanzo omonimo di Alexandre Dumas (ma le storie non hanno davvero nulla in comune, neanche a livello di ambientazione geografica e storica) pronto a reinventarsi mentore di una nuova eroina mascherata. Se, alla fine, La Rosa di Versailles troverà la sua trasposizione animata più avanti (nel 1979, nota in Italia con il titolo internazionale Lady Oscar), nel 1975 la prima opera animata a parlare in TV dei moti rivoluzionari francesi è La Stella della Senna, in Italia distribuito col fuorviante nome de Il Tulipano Nero per ricollegarsi (si legge in giro) al film di cappa e spada del 1964 diretto da  Christian-Jaque. Nota ai posteri soprattutto per essere la terza prova registica di Yoshiyuki Tomino (anche se in verità subentra alla direzione a serie inoltrata, coprendo le ultime tredici puntate), La Stella della Senna riesce, sorprendentemente, a rivelarsi ancora oggi una visione mediamente avvincente e di buon livello, abbastanza per entrare nel novero delle produzioni televisive anni '70 che hanno retto bene bene lo scorrere del tempo.

Ovviamente oggi risulta difficile trattenere un sorriso nel vedere la bionda, giovanissima protagonista, mascherata in modo ridicolo, combattere a duello contro numerosi gruppi di uomini, spiccare balzi di sei metri o saltare giù da grandi altezze senza farsi niente. Le prodezze della bella Simone possono far sbrigativamente liquidare l'anime come opera fin troppo rivolta al suo target infantile, ma vederlo in quest'ottica o, addirittura, non vederlo proprio, sarebbe davvero un peccato, dal momento che nonostante le diverse ingenuità - perfettamente perdonabili, visti gli anni di cui si parla, tra le cui tante aggiungerei anche il fatto che la vicenda si snoda attraverso nove anni di Storia e nonostante ciò i personaggi rimangono fisicamente identici  - il lavoro Sunrise può vantare diverse frecce al suo arco. Inverosimilità atletiche dell'eroina a parte, la serie sa essere molto rappresentativa degli anni '70 migliori, quelli tragici di Osamu Tezuka, Sampei Shirato e Shotaro Ishinomori, in cui anche le storie per bambini non rinunciavano a un impianto estremamente drammatico che col tempo si è sempre più affievolito. Le avventure di cappa e spada della Stella della Senna e del Tulipano Nero contro intrighi e soprusi di aristocrazia e clero, legate da una vaga ma presente continuity riguardo al mistero delle origini della ragazza, sono ben scritte e dirette, spesso avvincenti in quanto meravigliosamente integrate (ancora di più di quelle de La Rosa di Versailles) nel contesto storico. Ogni risvolto di trama è perfettamente coerente con avvenimenti reali, riuscendo a emozionare grazie al gran numero di avventure in cui Simone si rende involontariamente partecipe di peripezie che influenzeranno l'andamento della Storia portando agli avvenimenti che ben si sanno. A questo riguardo si potrebbe citare come esempio l'impresa che la ragazza compie sventando un complotto clericale per non far decollare la prima mongolfiera della Storia, ma soprattutto il suo rapporto con l'amico rivoluzionario Mirand, giovane parigino spesso accusato dai nobili di essere un sovversivo, che lei salverà facendolo fuggire in America da cui tornerà, laureato in legge, per dare un contributo fondamentale nelle vesti di deputato del Terzo Stato. In una puntata Stella della Senna combatterà un intrigo che mira a impedire l'elezione dell'amico all'Assemblea Nazionale (17 giugno 1879), in un'altra si unirà ai parigini che il 14 luglio assaltano la Bastiglia per liberarlo, etc. Coerentemente con questo, con l'avvicinarsi delle violente lotte rivoluzionarie, le atmosfere si fanno sempre più cupe, rendendo molto bene l'aria di odio - profetica delle conseguenze sanguinarie e vendicative della Rivoluzione - che si respirava in quel periodo storico.


Scontato che qualche lieve forzatura nella trama, inevitabilmente, fa capolino. Stupisce il ruolo di assoluta insignificanza assunto dal conte Hans Axel von Fersen nei riguardi della regina Maria Antonietta (qui un suo amico, nella realtà il suo amante, fatto che contribuì molto allo scherno popolare dei parigini verso l'odiata "Austriaca"); così come bisogna accettare per forza alcune ipotesi di fantastoria riguardo a certi  (prevedibili) legami di parentela di alcuni personaggi, il destino dei familiari di re Luigi XVI e qualche incongruenza sull'età di Simone considerando la sua reale identità. Non mancano poi vistose omissioni, come l'assenza del famoso scandalo della collana di diamanti che riguardò la regina, Jeanne Valois e il cardinale di Rohan, uno degli scandali più rappresentativi che giustificarono l'esplosione dei moti rivoluzionari. Sono tante, piccole sottigliezze storiche, ma tutto sommato un prezzo da pagare accettabile per mantenere più organica la vicenda principale, ossia le avventure dei due eroi nel difendere il popolo dalle violenze dei nobili e indagare sulle origini di lei. Fortunatamente, se si riesce a soprassedere e godersi l'opera senza aspettarsi un trattato di Storia, coerenza e realismo li si riscontrano ottimamente nello scenario rappresentato, nella forte, esemplare caratterizzazione di tutti i personaggi (buoni e cattivi), nelle loro azioni e nei fatti che portano l'intera popolazione di Parigi a ribellarsi alla monarchia, analizzati con soddisfacente scrupolo storico. La serie illustra in modo credibile il periodo analizzato, in cui si svolge una storia cavalleresca ben sceneggiata, appassionante, spesso tragica e di una certa profondità nonostante il suo target (oltre al buon numero di morti sono presenti anche forti cenni a illuminismo e socialismo, riflessioni sulla crescita e sul come costruirsi il proprio futuro, etc). Molto riuscito infine il finale, un poderoso climax che coniuga benissimo le rivelazioni finali di Simone col violento destino della monarchia, raggiungendo sentiti fasti di commozione.

La Stella della Senna è una solida, riuscitissima serie animata avventurosa, stranamente tenuta in poca in considerazione non solo dai fan di Yoshiyuki Tomino ma anche dagli animefan in generale: se si riescono a sopportare alcune leggerezze sorvolabili, una realizzazione tecnica non propriamente esaltante e un character design di Akio Sugino reso in modo francamente anonimo e irriconoscibile (a volte infantile e sproporzionato, a volte più realistico) dal direttore dell'animazione Mitsuo Shindo, si può godere di un'opera di spessore narrativo che merita abbondantemente la visione. Addirittura, a parere di chi scrive, si tratta in generale (andando al di là delle categorie di genere) della migliore fra tutte le serie TV dirette da Tomino prima del successo di Gundam, molto più degli originalissimi - ma pur sempre figli del loro tempo per i loro schematismi narrativi e per questo, oggi, non sempre facilmente apprezzabili - Reideen il coraggioso (1975), L'invincibile Zambot 3 (1977) e L'imbattibile Daitarn 3 (1978).


Per la visione non vi è purtroppo alternativa all'edizione italiana in DVD curata da Yamato Video, nuovamente marchiata dall'erroneo titolo Il Tulipano Nero (per quanto sotto in piccolo sia più correttamente riportato La Stella della Senna) e priva pure di sottotitoli fedeli ai dialoghi originali. Questo è l'unico modo di guardarsi l'opera: il doppiaggio e l'adattamento storico italiani non sono malaccio, ma sicuramente non vale la pena spendere dei soldi per una localizzazione imprecisa e molto figlia del suo tempo.

Voto: 8 su 10


FONTI
1 Volume 3 de "Le Rose di Versailles", "Intervista a Riyoko Ikeda - Parte Terza", d/visual, 2008

Un'aggiunta

Se quell'ominide del Mistè non mi avesse infettato col morbo dell'animazione dagli occhi a mandorla, probabilmente ora starei facendo cose molto più divertenti e moralmente soddisfacenti, ma ci sono eventi a cui, ormai, è impossibile rimediare, e uscire dal tunnel di quei coloratissimi, brillanti, ipnotici cartoni animati giapponesi è cosa assai ardua.

L'idea del contenitore di recensioni nasce così con la voglia di unire le forze, critiche e narrative, e dare uno sguardo a un mondo di cui in Italia si conosce soltanto lo spicchio più infimo. Non siamo di certo i primi a imbarcarci in un simile viaggio, né sicuramente i migliori, per quanto i nostri ego tendano a confonderci, ma la passione è tanta, e l'ambizione ancora di più, e la speranza è quella di dar vita a un blog interessante, che magari possa attirare in questo universo colorato anche chi non è ancora stato infettato dal morbo.

Poi magari bosgnerebbe dire al tizio qui in basso che la mia presenza in rete è molto più piccola di quanto si possa immaginare, ma perché togliergli quel bel sorriso ebete dalla faccia?

Un nuovo inizio

Ciao a tutti.
Sono Jacopo Mistè, conosciuto da alcuni sul web con il nick di God 87.
Alcuni si ricorderanno dei miei due precedenti blog, schifezze come Sento puzza di cimitero e ... che culto!, entrambi prematuramente morti ma entrambi rivalutati in maniera positiva dai lettori dopo il decesso, con un buon numero di visite inaspettate e addirittura con alcune citazioni in diversi forum.
Aver toppato così grandemente dei blog (anche se, lo ammetto, sono un signore a prendermi la responsabilità anche di un fottutissimo bug di quell'IMMONDA MERDA di splinder) che trattavano allo stesso tempo di cinema, manga, anime etc, mi ha fatto capire qual era il mio errore fondamentale, ossia quello di voler recensire a ogni costo qualsiasi cosa mi capitava sotto le mani senza tenere conto degli sforzi necessari a farlo. E quando, ovviamente, ero sommerso dal lavoro arretrato, ecco che smettevo di scrivere dallo scazzo.

Dopo un sacco di tempo, ho finalmente deciso che voglio ridarmi una seconda e ultima chance. Ho richiamato dagli inferi il prode Simone Corà, illustre blogger della rete da me convertito alla passione per l'animazione nipponica, e potendo così contare sull'alto numero dei suoi contatti per farmi pubblicità ho deciso di creare, assieme a lui, quello che, almeno nelle intenzioni, vuole essere il più interessante database italiano di recensioni di anime.

Questo perchè non solo troverete recensioni delle solite boiate famose (Dragon Ball, Naruto, e buona parte della robaccia made in merdaset e MTV), bensì ogni genere di opera, mescolando merda e cioccolato, e soprattutto dando una certa priorità alle tante gemme poco conosciute fuori dal Giappone.

Contiamo di pubblicare circa due recensioni a settimana, il più professionali possibili. Fondamentali nella realizzazione del progetto generale, tre amici che faranno da revisori: Sara Sabbatini (ministro della grammatica), Alberto Zanetti (dell'appeal), Riccardo Rudi (della professionalità).

Una cosa che potrebbe sorprendervi è lo scoprire che, da parte mia e di quell'altro, potrebbero esistere più recensioni su uno stesso anime, magari con valutazioni completamente diverse. Inutile dire che nessuno a parte me è perfetto, quindi prendete ogni commento con il beneficio del dubbio, o meglio, siate pronti a scoprire magicamente che non esiste un metodo sempre oggettivo per giudicare un'opera.

In ogni caso, potete comunque rendervi conto se siete più affini con l'uno o con l'altro. Per questo vi ivito a guardare le nostre pagine nerd di myanimelist, in modo che possiate capire i giudizi miei e suoi, e capire con chi parteggiare.

Buona lettura a tutti!

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