lunedì 4 luglio 2011

Recensione: Porco Rosso

PORCO ROSSO
Titolo originale: Kurenai no buta
Regia: Hayao Miyazaki
Soggetto & sceneggiatura: Hayao Miyazaki (basato sul suo fumetto originale)
Character Design: Toshio Kawaguchi
Musiche: Joe Hisaishi
Studio: Studio Ghibli
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 94 min. circa)
Anno di uscita: 1992
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Lucky Red


Colpito da un incantesimo che lo ha trasformato in un maiale antropomorfo, Marco Pagot, eccellente aviatore, reduce della Prima Guerra Mondiale, si allontana volontariamente dal suo Paese, governato dal Partito Fascista, per ritirarsi in una desolata isoletta dell'Istria dove vivere la sua nuova vita all'insegna della libertà e dell'amore per il volo, rifiutando ogni contatto umano vista la sua disillusione verso l'umanità. Rinasce come Porco Rosso, abilissimo cacciatore dei pirati volanti che infestano il mare Adriatico. Presto la necessità di riparare il suo idrovolante lo riporta a Milano, a conoscere la giovane e geniale meccanica Fio Piccolo e con lei un terribile rivale in amore per la bella amica d'infanzia Gina, l'asso dell'aviazione americana Donald Curtis...

Il parere del Di Giorgio

L’arrivo nelle sale di un capolavoro come Porco Rosso (1992) ha un’importanza molteplice: finalmente permette di avere disponibile in italiano tutta la filmografia di Hayao Miyazaki, ma soprattutto chiarisce meglio il percorso compiuto dall’autore prima di assurgere alla fama internazionale con i successi di Principessa Mononoke (1997) e La città incantata (2001).

Porco Rosso, infatti, più che un semplice tassello di una poetica rappresenta una sublimazione dei temi e delle figure retoriche care al regista giapponese: la sua fama di pellicola a metà strada fra paradigma e sintesi del cinema miyazakiano si scontra con una levità narrativa molto distante dai capolavori più recenti, che ci restituisce un Miyazaki solare e divertito nella messinscena di questa irresistibile epopea di avventure aeree. La fascinazione per il volo, da sempre presente nelle pellicole dell’autore, non è dunque un semplice tema da trasferire asetticamente sullo schermo, ma è la sintesi di un dinamismo e di una leggerezza figurativa che il film fa sua a ogni livello. Basterà infatti notare come il film non contempli sostanzialmente figure negative, poiché anche i nemici sono comunque tratteggiati con un’ironia che riconduce tutto alla matrice del gioco. Gli stessi pirati dell’aria sono figure che non spaventano chi li affronta e si lasciano dominare persino da una torma di bambine, nella scoppiettante sequenza iniziale (che sembra guardare all’innocenza de Il mio vicino Totoro). In questo senso (e l’ambientazione fra le due guerre lo ribadisce) Porco Rosso è il film attraverso il quale Miyazaki stabilisce il suo ruolo di allievo rispetto a una concezione del cartooning basata sullo studio e la coloritura dei caratteri e sull’ironia come filo conduttore della narrazione. Da sempre associato al nome di Walt Disney, il regista giapponese dimostra invece di avere cara soprattutto la lezione dei fratelli Fleischer, oltre naturalmente ai Pagot cui è legato da personale amicizia e che qui omaggia con il nome del protagonista. L’aspetto più interessante, però, sta nello sfasamento temporale di cui siamo testimoni, in quanto spettatori che assistono alle imprese di Porco a diciotto anni dalla realizzazione. La figura dell’aviatore disilluso (e che per questo si ritira nel suo eremo stabilendo con il mondo un contatto al di sopra delle fazioni) è l’esatto contrario di quell’Howl che con il suo castello si muove per stabilire la sua non appartenenza a un luogo, ma nel suo intimo ribolle per una guerra che sente come una minaccia presente e vicina e contro cui scatena la sua magia. La disillusione dell’eroe instaura quindi una dialettica a distanza con il Miyazaki più maturo, che sembra altrettanto amareggiato dal procedere degli eventi e che elabora questa sua frustrazione con l’estetica del disastro (pensiamo alla violenza contro la natura di Princess Mononoke o allo tsunami di Ponyo sulla scogliera).

 

Qui al contrario siamo ancora nella fase in cui la disillusione si accompagna a un’intima speranza di rifondazione dell’universo, cui lo sguardo del regista si rivolge con un perenne affetto. Ed è interessante notare come tale rifondazione avvenga proprio tramite una di quelle figure femminili che il regista ha sempre elevato a protagoniste dei suoi capolavori: la piccola Fio rappresenta infatti il bilanciamento fra la prospettiva sghemba di un Porco che è elemento “altro” rispetto al reale e le più problematiche donne dei recenti lavori che invece sembrano farsi carico delle frustrazioni dell’eroe e dello spettatore (pensiamo a Chihiro ne La città incantata o, ancor più, a Sophie ne Il castello errante di Howl). Non a caso è proprio Fio a ricostruire l’idrovolante di Porco, permettendogli di tornare a essere di nuovo tutt’uno con il suo personaggio e forse sarà proprio il suo bacio a sciogliere la maledizione, caricando la sua figura di una notevole portata mitica.

Porco Rosso è dunque un film sorprendente nella sua linearità, forse anche teorico per la dialettica che instaura con gli elementi della messinscena, accorto nella sua documentazione del reale ma capace di abbandonarsi allo slancio pindarico di un’emozione di sensazioni primarie come il ridere e a visioni di un altrove magico. È un film capace perciò di oscillare dal reale al fantastico pur senza darlo a vedere. In fondo, ancora una volta è una coesistenza di opposti, sintetizzati magnificamente dal grugno del maiale, del quale non viene mai rimarcata troppo l’alterità rispetto al mondo che lo circonda.

Voto: 8,5 su 10

Il parere del Mistè

Porco Rosso (1992) è una curiosa favola "moderna" ambientata in un contesto storico preciso, il ventennio fascista, e Hayao Miyazaki in essa racconta, nella storia più genuinamente autobiografica e anticommerciale della sua carriera, le simpatiche e spensierate peripezie di un aviatore che vive il suo disprezzo per la società rifuggendo da essa e cavalcando i cieli col suo aliante, in nome della libertà di fare ciò che vuole. Quella di Porco Rosso è un'avventura senza un apparente filo conduttore, data da peregrinazioni e avvenimenti (schermaglie aeree con pirati, riparazioni dell'aereo, bisticci coi fascisti, scommesse e scazzottate d'amore, ma anche momenti di semplice relax nell'isolotto dove Marco vive) che non hanno una connessione e che non portano a un finale propriamente "ortodosso" e "cumulativo", tanto che forse sarebbe più giusto configurare nella fattispecie la pellicola come una sorta di slice of life. È un problema? Affatto, poiché Porco Rosso è un filmone: è uno di quei lavori in cui il sense of wonder, dato da animazioni e disegni eccezionali, è così preponderante, così protagonista da diventare di fatto esso il principale motore dell'intrattenimento, oscurando così tanto il resto che la mancanza di una trama compatta diventa in questo modo un peccato marginale, se non irrilevante.

L'opera celebra il pensiero e la vita (del tempo?) di Miyazaki, rappresentati metaforicamente dal suo avatar Porco Rosso. Attraverso lui e i suoi discorsi, il regista trasporta nell'Italia del 1930 un otaku giapponese, che rinuncia ai compromessi della vita e ai lati meno nobili dell'essere umano abbandonando la società e la convivenza con le persone, autoisolandosi come un eremita in una piccola isola dell'Istria, in un suo personale "Paese dei balocchi", per trastullarsi con le sue passioni aeree, rifiutando di crescere e adeguarsi1. Di questa morale, molto sentita da una piccola ma esistente parte della società giapponese (ovviamente mi riferisco a otaku e hikikomori) che preferisce rintanarsi nelle fantasie piuttosto che affrontare la vita, certo si può discutere quanto possa esserne condivisibile l'esaltazione, il triste tentativo di Miyazaki di "giustificare" l'eroe facendone un "vincente". La sua è una visione che sembra addirittura inconciliabile -  quasi fosse di una natura opposta! - se accostata al percorso di maturazione e crescita narrato nel precedente film Kiki - Consegne a domicilio (1989). Desta anche un certo sgomento apprendere che la stessa vita privata di Miyazaki è un emblema di questo modo di pensare, considerando (come ci ricorda il dialoghista ufficiale del film, Gualtiero Cannarsi2) che per rifugiarsi nei mondi immaginari che lo affascinano e distolgono dalla realtà che odia ha trascurato a tal punto la sua famiglia che sono tristemente noti i suoi pessimi rapporti col figlio maggiore, Goro. Ridicolamente, sempre secondo Miyazaki e come si vedrà in Porco Rosso e in moltissimi film prima e dopo di esso, alla fine la sognante soluzione dei mali sarà sempre l'intervento fortuito di una persona esterna, una bambina o ragazzina dal cuore purissimo, molto migliore del resto dell'umanità, che redimerà l'eroe/otaku come un angelo. Affrontare i propri problemi con le proprie forze? Non è contemplato. Il pubblico occidentale tuttavia non avrà neanche modo di porsi queste riflessioni o accorgersi della tristezza del tutto, dal momento che il film sarà snaturato e reinterpretato, da critici e media europeei e americani (replicando il copione visto con La tomba delle Lucciole), in un "tutt'altro" dalle deprecabili valenze politiche (la fascinazione di un eroe anarchico che preferisce abbandonare l'Italia piuttosto che aderire al fascio littorio, come sembrano facilmente suggerire una celebre frase detta da Porco Rosso a un certo punto della storia e la figura di Fio, emancipata ragazzina italiana che "tradisce" la retorica fascista della donna che deve solo stare a figliare e badare alla casa).

Quello proposto da Miyazaki sarà anche uno stile di vita a mio modo di vedere altamente discutibile, diseducativo e ingenuo, ma non intacca affatto la bontà di un lavoro vistosamente fatto col cuore e forte di una cura estetica clamorosa, il cui unico scopo, scevro di chissà che contenuti, è mostrarci un'allegra storia di voli e scazzottate virili, da parte di un regista giocherellone che si diverte come un bambino (come Porco Rosso insomma) a riversare, in una pellicola narrativamente scoordinata ma straordinariamente suggestiva, tutte quelle passioni che lo hanno sempre affascinato: i duelli aerei e i mezzi bellici degli anni '203 (l'amore per l'aeronaturica è una costante nella famiglia in cui è nato e cresciuto, dal momento che suo padre era il direttore della Miyazaki Aviation4), il cinema (Porco Rosso che sembra Humphrey Bogart5), l'Italia (non solo è stato nella campagna romana per informarsi di persona sugli ambienti6, ma l'identità umana di Porco Rosso, Marco Pagot, è un suo personale omaggio all'amico omonimo, figlio del co-creatore di Calimero, con cui ha lavorato insieme ne Il fiuto di Sherlock Holmes, lo stesso che per realizzare il film gli invierà libri e abbondante documentazione grafica su Milano, sul Veneto e sulle coste slave7)... Porco Rosso è un vero e proprio giocattolone fatto da un adulto non cresciuto, insomma, volutamente basato sull'apparenza e su splendide immagini da cartolina. Ma è bellissimo, e box office (quasi 3 miliardi di yen di incasso stagionale a fronte di una spesa di 18, il primato di Kiki è frantumato e parliamo, al tempo, del quarto guadagno più grande di tutti i tempi in Giappone per quello che concerne l'animazione9) e critica (migliore film di animazione dell'anno al Mainichi Eiga Concours e al Festival International du Film D'animation di Annecy10) gli daranno ragione.

Il massimo, insomma, per un lungometraggio "ostico" ideato fin da metà anni '80 da Miyazaki (doveva ampliare il discorso del suo stesso breve manga Hikoki Jidai, pubblicato nel 1985 sulla rivista di modellismo Model Graphix) ma rigettato dal produttore Toshio Suzuki perché troppo "di nicchia"11, resuscitato qualche anno dopo come semplice mediometraggio di 45 minuti prodotto dalla compagnia aerea Japan Air Lines12 ma poi alla fine, dopo tante contrattazioni con lo staff che voleva renderlo più ambizioso possibile, finalmente divenuto il film vero e proprio come doveva essere fin dal principio (proiettato in esclusiva assoluta, prima di andare nei cinema, proprio nei voli internazionali della compagnia!13). Nonostante l'apparente basso profilo narrativo (almeno se paragonato alle fantasmagoriche avventure di Nausicaä e Pazu) e pochi elementi visuali che facciano sembrare il film espressamente rivolto ai bambini (come ammette anche Miyazaki14), Porco Rosso, con il suo cast simpaticissimo, il brio, le atmosfere piene di spensieratezza e un budget altissimo che permette funamboliche sequenze aeree e una splendida rievocazione storica di location europee (su cui ora aprirò un discorso), anche se commercialmente "difficile" (il primo e unico film mai girato dal regista pensando unicamente a sé stesso e non ai gusti del pubblico15, e proprio per questo lui per primo sarà molto pessimista sull'esito commerciale della pellicola fino a essere smentito dai fatti16) alla fine dei conti non può non farsi amare da tutti, grandi e piccoli. Rientra a pieno titolo in quelle tipiche opere d'autore divertenti, leggere e irresistibili che si prestano a essere viste e riviste infinite volte senza stancare mai.


Ricollegandomi a quanto scritto sopra, posso solo aggiungere che nel 1992, Studio Ghibli compie un lavoro inimmaginabile nel ricreare arredamenti, utensili e mezzi di trasporto dell'epoca mussoliniana: tutto deliziosamente disegnato a mano, in un periodo in cui l'uso della Computer Grafica era ancora in fase embrionale. I paesaggi da cartolina di ogni fotogramma sembrano rappresentare veri spaccati di vita di quegli anni, con tanto di persone comuni che camminano, fascisti col fez in testa che pattugliano le strade, nuclei famigliari composti da genitori con 6/7 bambini al seguito e scene conviviali in preghiera o a tavola, una Milano industriale decisamente sporca e inquinata... E non parliamo poi della fedeltà assoluta negli abbigliamenti, nelle facce tipicamente italiane, nei gradini sconnessi delle strade, addirittura nei cromatismi dei paesaggi e degli interni delle case. La ricostruzione di un realismo esasperato tocca addirittura i colori e le conformazioni delle isole della Dalmazia in cui vive Porco Rosso. Si respira una magica aria di nostalgia e malinconia nella rievocazione delle atmosfere di un passato che non c'è più, e la cosa è seriamente impressionante contando che tutta questa "conoscenza" di luoghi e persone è quasi tutta dovuta al banale studio di materiale cartaceo. Graficamente il film è un capolavoro impensabile che solo uno staff folle come quello di Studio Ghibli e una mente visionaria come quella di Miyazaki avrebbero potuto realizzare nei primi anni '90. Contribuisce alla caratterizzazione del periodo anche la riuscita colonna sonora del sempre bravissimo Joe Hisaishi, che fra mandolini e altri strumenti tipici del nostro Paese crea tipiche sinfonie allegre e divertenti perfettamente in tema col periodo.

Si potrebbe obiettare che, nonostante la meraviglia tecnica, il film è, come detto, apparentemente (ma solo apparentemente) sconclusionato, privo di spiegazioni sull'incantesimo che trasforma Marco in Porco Rosso (evidentemente non era così importante da spiegare), quasi anarchico nel suo presentare vicende che si susseguono con esili legami narrativi (quasi fossero una sorta di "presentazione" della vita tipica del protagonista) e con un finale apparentemente poco chiaro (in verità non è proprio così, è positivo, anche se lo si capisce solo da piccoli indizi fondamentali disseminati nelle ultime scene17), ma è proprio nella sua mancanza di adesione alle tipiche regole della sceneggiatura e all'eleganza - tipicamente nipponica - dell'accenno/non dico (non rivolta al finale ma ad altre questioni, ad esempio il momento in cui Fio sembra riuscire a vedere il vero volto di Marco) che lo reputo, invece, un gioiello della Settima Arte. Se c'è un Miyazaki che andrebbe davvero visto a prescindere, anche da chi non lo sopporta, è a mio parere questo. Fortunatamente l'edizione italiana del titolo, arrivata con quindici anni di ritardo rispetto all'uscita originale, almeno può godere di una cura notevole in fase di localizzazione, con un adattamento perfetto e un doppiaggio, ancora una volta grazie al traduttore Gualtiero Cannarsi, di alto livello, fedele e interpretativo.

Voto: 9 su 10


FONTI
1 Post di Shito (Gualtiero Cannarsi, traduttore ufficiale Lucky Red di tutti i film Ghibli) apparso nel Ghibli Forum italiano, alla pagina http://www.studioghibli.org/forum/viewtopic.php?f=21&t=3187&hilit=porco+rosso&start=45#top (ultimo messaggio della pagina)
2 Come sopra
3 Francesco Prandoni, "Anime al cinema", Yamato Video, 1999, pag. 142
4 Kappa Magazine n. 129, Star Comics, 2003, pag. 3
5 Vedere punto 3, a pag. 143
6 Intervista a Hayao Miyazaki pubblicata su Mangazine n. 20 (Granata Press, 1993, pag. 36)
7 Come sopra
8 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 226
9 Jonathan Clements & Helen McCarthy, "The Anime Encyclopedia: Revised & Expanded Edition", Stone Bridge Press, 2012, pag. 500
10 Vedere punto 8
11 Vedere punto 3
12 Come sopra. Confermato da Miyazaki in un'intervista pubblicata su "Anime Interviews: The First Five Years of Animerica Anime & Manga Monthly" (Viz Media, 1997 pag. 28)
13 Come sopra
14 Intervista a Miyazaki del punto 12 (stessa pagina)
15 Vedere punto 6, a pag. 36-37
16 Vedere punto 12
17 Altro post di Shito pubblicato sul Ghibli Forum, alla pagina http://www.studioghibli.org/forum/viewtopic.php?f=21&t=3187&hilit=porco+rosso (il suo secondo messaggio)

17 commenti:

Anonimo ha detto...

questo film e' splendido , primo perche' e' ambientato in italia e poi perche' il protagonastica non e' un bambino / ragazzo come in tante altre produzioni ghibli

mi piace come altri film degli anni 80/90 perche' e' ancora disegnato manualmente escludo categoricamente che sia fatto uso di cgi sui combattimenti aerei. finche si usava cgi in 2d come evanghelion il risultate era accettabile , il problema e' quando si e' passati al 3d

l'unico difetto e' che dura troppo poco , potrebbero fare un sequel come per totoro ma il maestro ha gia' detto che odia i sequel anche se quasi tutti i film sono incentrati su una storia tipo "laputa" con un ragazzo / ragazzo che si incontrano uno dei due viene rapito e l'altro lo deve salvare

Jacopo Mistè ha detto...

Ciao Anonimo, grazie per il commento! ;)
Anch'io preferisco di gran lunga i film animati meticolosamente, e con disegni a mano, di una volta, sopratutto se l'alternativa è una CG marcia e/o economica (senza voler comunque arrivare agli estremi del "si stava meglio quando si stava peggio", sopratutto in ambito narrativo.)

Detto questo, Porco Rosso è il mio Miyazaki preferito, autore che non adoro ma che con questo film centra una storia deliziosa, semplice, non troppo ambiziosa e come sempre realizzata (e musicata) benissimo.

Purtroppo, a leggere in giro, Porco Rosso è l'unico dei suoi film di cui vorrebbe realizzare un sequel ufficiale >_>

Anonimo ha detto...

Anch'io ho sempre ritenuto Miyazaki sopravvalutato.Sarò una mosca bianca ma non ho mai capito come si possa dire che è il miglior regista dell'animazione giapponese.I suoi film,al di là della perfezione delle animazioni,sono favolette buoniste,rassicuranti,perennemente col lieto fine,palesemente rivolte verso un pubblico di bambini con personaggi ultrastereotipati ( vedi le insopportabili protagoniste di Totoro ).inoltre le sceneggiature sono spesso identiche:Laputa è ripreso da Conan,Mononoke da Nausicaa,Howl da La città incantata.I concetti sono perennemete 2 o 3 per tutti i suoi film:non danneggiamo la natura,i bambini salveranno il mondo,i cattivi passeranno dalla parte del bene.Detto questo Porco rosso pur esulando da alcuni suoi clichè non mi sembra tra i suoi più interessanti per quella lunghissima e insensata scazzottata finale.

Jacopo Mistè ha detto...

Cacchio non potreste firmarvi in calce al post? Sennò non riesco mica a identificare un anonimo dall'altro ;)

Su Miyazaki la pensiamo in modo più o meno uguale, l'apprezzamento di Porco Rosso deriva invece dal fatto che NON È una favola in primis (non c'è traccia di alcuna morale), e che mi ha trasmesso una sensazione di pace interiore che nessun altro suo film è riuscito a darmi. Una storia sconclusionata e anarchica, ma con una cura figurativa enorme, una eccezionale ricostruzione storica dei costumi e delle ambientazioni dell'Italia degli anni 40, musiche a tema d'atmosfera e personaggi tutti simpatici. Non ha un apparente senso ma forse è proprio per questa sua caratteristica che non m'ha stressato, al contrario delle opere più note del regista che vivono di animazioni fantasmagoriche e tirate al massimo per esprimere i soliti due concetti.

ron70 ha detto...

Hai ragione,bisognerebbe sempre firmarsi.Ho scoperto da poco il blog e lo trovo una vera miniera di informazioni e commenti utilissimi.Ho appena letto il dossier sui robot e l'ho trovato documentatissimo ma ritengo troppo superficiale e sbrigativo il liquidare le vecchie serie anni '70 e Evangelion in poche righe.L'impressione è che ami troppo Gundam per apprezzare anche altri tipi di animazione robotica.Le vecchie serie saranno oggi scontate ma all'epoca rappresentarono un modo completamente nuovo di intendere l'animazione e Grendizer ha anticipato tanti elementi di Gundam.Evangelion secondo me è un capolavoro non per chi sa quale significato nascosto ma per l'eccezionale regia,la bellezza sconvolgente di tanti episodi e la caratterizzazione tridimensionale di tutti i protagonisti.Ti manderò alcuni commenti alle tue schede appena le avrò lette tutte.Ciao.

Jacopo Mistè ha detto...

Più che amare Gundam amo Tomino e Ryousuke Takahashi, sono loro che con le loro opere hanno sviscerato completamente le potenzialità del genere ;)

Sui robotici anni 70 sinceramente più volte ho provato a spremermi le meningi per scrivere qualcos'altro, ma sinceramente non saprei cosa. Purtroppo per la loro stessa natura tokusatsu si prestano ben poco ad aver innovato narrativamente il genere, risultando tutti più o meno un clone dell'altro. Si può giusto parlare delle rivoluzioni concettuali di robot dio/demonio e mecha scomponibili, cosa che ho comunque evidenziato con Mazinger Z e Getter Robot.

Su Evangelion che devo dirti... posso giusto (cosa che farò) decantare la regia meravigliosa di Anno, ma per il resto, come immagino ben sai, i giudizi sulla sua opera sono nettamente spaccati, e dal mio punto di vista mi schiero dalla parte di chi non lo ha apprezzato. Anyway se ne potrà parlare meglio in sede di recensione, che il Corà a breve se lo dovrebbe iniziare a guardare.

Per il resto grazie del commento e a rileggerci ;)

Jacopo Mistè ha detto...

Mi accorgo, rileggendo il pezzo su Eva, che comunque della regia autoriale avevo già parlato. Mi sento sinceramente in difficoltà nel riuscire ad aggiungere altro...

Antisistema ha detto...

Visto Porco Rosso di Hayao Miyazaki. Se Lupin III era un film più che buono, Il Castello nel cielo ottimo e Totoro una mezza ciofeca, qui siamo dalle parti del capolavoro o quasi-capolavoro.

Non c'è una vera e propria trama, vediamo un Margo Pagot che vive alla giornata. Lo scontro con Curtis è un mero pretesto per far si che lo spettatore abbia un filo conduttore per un'ora e mezza, ma l'anima del film risiede in tutt'altro. Un protagonista caratterizzato eccellentemente, Fio idem, così come gli altri.
Il rapporto tra Marco e Gina è struggente e molto poetico. la storia è permeata di malinconia e ben ricostruita e qui un adulto, saprà apprezzare maggiormente queste cose.
La ricostruzione del periodo storico del 1929 del fascismo è sublime e ricca di dettagli, tante scritte in Italiano (contenete anche gli errori...Non si Fo credito LOL).

Animazioni stupende vabbè...nulla da dire allo Studio Ghibli, oramai di film in film, migliorano sempre di più . La poetica dell'antimilitarismo prosegue, e si vede un maggior pessimismo di Miyazaki nel delineare il protagonista (eroe disilluso).
Non ho apprezzato due cose:

- Mancata spiegazione nel dettaglio della sua trasformazione in Maiale.
- La fatidica frase che lo rende un film troppo politicizzato e comunista con quella frase che mi ha fatto venire un arresto cardio-circolatorio "Meglio Porco che fascista". Poi Marco cammina per Milano e ci ritroviamo un cacchio di manifesto che inneggia "Avanti lavoratori"...Hayao persegue idee sbagliate, penso che un giorno se ne renda conto.

Comunque non è un film di piena propaganda, visto che Marco afferma solo il suo desidero di libertà da ogni oppressione e vincolo dittatoriale.
Vedere un maiale italiano che batte uno yankiee made USA, non ha prezzo.

Come voto sono indeciso, ma credo di orientarmi per un bell'8,5 pieno.

Jacopo Mistè ha detto...

Io non concordo con nessuno dei due difetti che dici. Sul secondo, ognuno ha la libertà di dire quello che pensa, e se Miyazaki pensa quello è giusto che lo dica, poi sarà il suo pubblico a tirare le proprie conclusioni.

Sul primo invece, si sa che la sensibilità orientale non predilige spiegoni per ogni cosa, e anzi le piace lasciare le cose così, da immaginare. Stesso discorso ad esempio per la civiltà di Laputa. Quindi apprezzo anche il fatto che non viene rivelato nulla sulla maledizione o se Porco riesca a tornare umano o meno.

Antisistema ha detto...

Che Marco non ritorni umano, non mi ha toccato più di tanto, solo che volevo lo spiegone (a me piacciono, ma la gente li detesta), su come fosse diventato un maiale. Poi logico che di fronte a scene come la scia di aerei sopra le nuvole ti togli il cappello per cotanta bellezza.

Poi come gli viene in mente di mettere nella Milan del 1929 un manifesto comunista...il regime fascista in 5 secondi avrebbe individuato i colpevoli e malmenati e li avrebbe costretti a bere dell'olio di ricino.
Comunque più che un inno al comunismo/socialismo, credo che Miyazaki abbia voluto far esprimere un senso di libertà da ogni forma di dittatura e regime, tutto qui.

Ah, non ho apprezzato anche la parte dello scontro con Curtis a pugni, si ok divertentissimo, ma la povera Fio (Nausicaa con i capelli lunghi...) s'è fatta in quattro per preparare l'aereo...
Comunque mi sono fatto una marea di risate, più dei precedenti 3 film di Miyazaki che ho visto, quindi orsù beviamoci su.

Anonimo ha detto...

Buonasera. Premetto di non essere un esperto di film d'animazione, che comunque non disdegno. Del film mi è piaciuta l'ambientazione così come il disegno. Il protagonista e la ragazzina sono caratterizzati in maniera eccellente inoltre. Per il resto ho trovato che il film non avesse nulla di così speciale e a tratti mi è risultato addirittura noioso per la mancanza di una trama vera e propria. Però mi ha strappato più di un sorriso! Voto: 6.5

Anonimo ha detto...

Ah, cavolo... Ragazzi, questo film è Poesia... è un sogno... è un 10... che avete perduto!

Anonimo ha detto...

sono l'anonimo-senza-nick

propaganda? condanne? politica? ma che film avete visto? ^^

marco pagot e' un adulto non adulto, che si comporta da bambino in quanto fuggito dalla realta' per evitare ogni tipo di responsabilita'. ferrarin, al contrario, e' un adulto concretamente cresciuto che ha accettato le proprie responsabilita' e il suo ruolo (di aviatore) nella societa'.

la nota frase "Preferisco essere un maiale che diventare un fascista." rappresenta il rifiuto di marco per la realta' e la sua fuga da essa, per non crescere. egli e' fuggito tanto da aver rinunciato alla sua forma umana

dimenticavo, il rosso del titolo non ha nulla a che vedere col politica ma e' un richiamo al noto Barone Rosso.

del finale c'e' poco da interpretare: Fio bacia Marco sulla bocca e lo fa tornare umano. alla fine Marco torna da Gina.
(alla fine Fio dice che quello che non si fa piu' vedere e' PORCO, non Marco)

Anonimo ha detto...

A mio parere la trasformazione di Marco in Porco è conseguenza della guerra: è la perdita dell'innocenza (che - pur conoscendo poco la poetica di Miyazaki - mi sembra centrale nella sua opera) e il senso di colpa per essere sopravvissuto, mentre camerati e nemici ascendono al cielo nella loro innocenza eterna.

Quanto alla politica, pur amando la nota frase "meglio maiale che fascista", penso che la chiave interpretativa sia tra piloti libertari (Marco, i pirati) e piloti "a contratto" (i due mercenari della navi da crociera, Curtiss al soldo, i piloti italiani-fascisti, forse anche Ferrarin). I primi si rispettano nel loro mondo, i secondi avrebbero potuto anche essere aviatori di Stalin anziché di Mussolini, identico sarebbe stato il giudizio

Anonimo ha detto...

sono l'anonimo-senza-nick

> pur amando la nota frase "meglio maiale che fascista"

la frase non e' quella, bensi' "Preferisco essere un maiale che diventare un fascista."

Anonimo ha detto...

L'unico film di Miyazaki diretto da lui che riesco a digerire a causa della sua "opprimente poetica" (possiedo anche Neko no Ongaeshi - Omohide Poro Poro - Umi Ga Kikoeru, che sono stati realizzati dallo Studio Ghibli, a dimostrazione che validi prodotti non necessitano della sua "presenza" per essere tali, ed un esempio lo è proprio Omohide Poro Poro, nel quale Isao Takahata realizza una "poetica" a più livelli capace di essere compresa e assimilata senza problemi).
Kurenai no Buta merita davvero un sequel o un remake/reboot (magari in versione tv da 12 episodi, con una struttura narrativa simile a quella di Citizen Kane di Orson Welles) anche perchè riporta alla memoria opere come Lupin III - La Prima Serie e Il Fiuto di Sherlock Holmes nelle quali Miyazaki riusciva a narrare senza imporre la sua visione delle cose, al contrario di Mamoru Oshii, che induce lo spettatore a porsi domande e a riflettere su ciò che ci circonda, e che noi non possiamo o non vogliamo comprendere per pigrità, avidità o meschinità.

Anonimo ha detto...

Federico
Visto ieri.
Leggero, divertente, ben fatto, pieno di ritmo.
Grazie per la chiave di lettura di Marco Pagot come otaku fintantochè resta maiale, al momento non ci avevo fatto caso.
Nè sapevo che Miyazaki stesso lo fosse a livello patologici.

p.s. a quando nuovi articoli?

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