Mechanical Design: Ippei Gyobu, Kanetake Ebikawa, Kenji Teraoka, Naohiro Washio, Tamotsu Shinohara
Formato: serie televisiva di 50 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Si è fatto attendere a lungo, tantissimo, ma finalmente
Gundam torna a brillare come un diamante con una grande serie, come minimo la migliore degli ultimi tredici anni, come non se ne vedeva (e non si pensava si sarebbe più vista, dopo le tremende delusioni di
Mobile Suit Gundam AGE e
Reconguista in G) dai tempi di
Mobile Suit Gundam SEED (2002). Assaporiamolo per bene,
Mobile Suit Gundam - Iron-Blooded Orphans (2015): è altamente improbabile che rivedremo in tempi brevi un altro lavoro così riuscito e soprattutto originale e fuori dagli schemi, dal momento che nonostante l'alta qualità registrerà un basso share (2.25% per i primi 25 episodi
1, ignoro i successivi ma è prevedibile che la situazione non cambi molto), flop di vendita di Gunpla
2 e vendite di DVD e Blu-ray brutalmente in calando (dai 12.000 iniziali del primo volume si è scesi sempre più fino agli attuali 5.275 del numero 12 sui 18 previsti, ed è fisiologico si abbasseranno sempre di più
3). In soldoni: prepariamoci al ritorno di lavori fatti con lo stampino che dicono le solite cose, a commercialate orientate a otaku (gli effetti già si vedono, con la seconda stagione dell'orripilante
Mobile Suit Gundam Thunderbolt, l' "allungamento" degli inutili OVA di
The Origin e l'annunciato
Twilight AXIS, seguito di
Mobile Suit Gundam Unicorn che già puzza di mucca da mungere) e a ennesimi, vani tentativi di rivolgere
Gundam ai bambini.
Qual'è stata stavolta la mossa vincente (dal solo punto di vista del risultato meramente qualitativo, purtroppo) con cui Bandai e Sunrise ci hanno regalato un grande titolo? L'idea, ripresa dal fallimentare
AGE (ma valeva la pena crederci ancora), di coinvolgere nella creazione del nuovo
Gundam autori abituati a scrivere o ideare storie di tutt'altro genere, nello specifico l'insolita coppia rappresentata da Tatsuyuki Nagai e Mari
Okada, noti al pubblico come il regista e la sceneggiatrice dei successi
romantici/strappalacrime
Toradora! (2008) e
Ano Hana - Ancora non conosciamo il nome del fiore che abbiamo visto quel giorno
(2011). La Okada, in tutta la sua vita, ha visto solo le prime tre serie TV gundamiche di
Yoshiyuki Tomino e il sottovalutatissimo
Mobile Fighter G Gundam (1994) di Yasuhiro Imagawa
4 e forse è stato proprio l'essersi goduta molto del meglio che la saga abbia mai offerto, rifiutando le banalità e gli orrori dei titoli successivi, la combinazione di cose che l'ha ispirata a trarre il meglio da quei lavori, a rielaborarli e decostruirli in
Iron-Blooded Orphans donandoci una serie davvero atipica, imprevedibile e fuori dal tempo, che dell' "ortodossia" e dei cliché gundamici/robotici ha ancora qualcosa (
Zone of the Enders e relativa
serie TV per il setting marziano,
Sfondamento dei cieli Gurren Lagann
nell'idea dell'esercito/famiglia in lotta contro la forza militare che
governa il mondo e l'ovvio rapporto di dipendenza tra il protagonista Augus e il suo adorato
aniki, senza dimenticare qua e là tipiche situazioni da
Gundam) ma controbilancia abbondantemente con la forte impronta originale della sua trama e con temi e atmosfere adulti e drammatici affrontati in modo crudelmente e amaramente realistico.
Dal punto di vista della scrittura, non è - togliamoci subito il sassolino dalla scarpa - assolutamente perfetto,
Iron-Blooded Orphans. Presenta un enorme cast di personaggi, ma di questi solo quelli davvero principali (a occhio e croce li identificherei in cinque elementi) bucano lo schermo diventando memorabili, e neanche subito, bensì dopo almeno mezza serie (anche di più) spesa ad approfondirli molto lentamente. I comprimari, numerosi (i vari componenti della "famiglia" dei Tekkadan e i loro alleati), pur con un corposo
screentime non riescono invece mai a risultare interessanti, tutti freddi e distaccati e a cui vanamente si tenta di dare spessore abusando dei soliti drammoni familiari visti milioni di volte. È sicuramente il problema più grosso della serie: spende molto tempo sulla trama e sulla vita privata dei personaggi a discapito di azione e battaglie (da quanto tempo è che non avevamo un
Gundam story-driven, in cui lo spazio è occupato da dialoghi, avvenimenti e sviluppo della storia e in cui possono anche passare due o tre episodi prima di vedere dei combattimenti?), ma questo spazio lo dedica a un esagerato numero di facce che ci rimarranno anonime fino alla fine, che vivano o muoiano. Per cospicua parte della sua durata,
Iron-Blooded Orphans si rivelerà a molti come una visione altalenante, oscillando continuamente tra noia ed entusiasmo, tra episodi avvincenti e scene spiazzanti framezzati ad altri (presumibilmente quegli slice of life che approfondiscono qualche attore mediocre) davvero soporiferi. La cosa ironica? Le (rare) puntate
tutta azione rientrano spesso, stavolta, nell'insieme delle migliori
(!). La
Okada, bravissima nei suoi lavori più famosi a portare lo spettatore a
innamorarsi dei suoi numerosi attori, stavolta fallisce proprio in
Gundam, scrivendo 50 episodi che brillano solo quando focalizzati sui protagonisti davvero principali. In compenso, almeno, anche se ovviamente non mancheranno, in mezzo a quest'elevata "densità di popolazione", personalità male utilizzate e che fino alla fine non serviranno a niente, la sceneggiatrice riesce nella lodevole impresa di fare convergere quasi tutti i numerosi personaggi nell'intreccio in modo sufficientemente naturale e integrato, dando loro almeno un senso compiuto e una motivazione per l'essere lì (compresi quelli inseriti senza sapere inizialmente come utilizzarli, come Ein Dalton e il suo superiore Crank Zent
5). Sono lontani, insomma, i tempi degli archetipi gundamici buttati a casaccio perché "ci devono essere" e magari senza idee sul come gestirli (ce lo ricordiamo
Mr. Bushido di
Mobile Suit Gundam 00?).
D'altro canto, anche se male approfonditi, tutti loro svolgono perfettamente il loro compito nell'economia della storia, tra le più inconsuete il brand abbia mai osato offrire anche solo per lo spirito cupissimo. Sfido a non rimanere spiazzati dall'ambiguità morale del Tekkadan, questa organizzazione paramilitare di mercenari formata da ragazzi e ragazzini dal passato tragico che, nella speranza di un imprecisato futuro di riscatto sociale, carichi di odio verso il mondo adulto che li ha trattati come bestie, combattono e muoiono nei campi di battaglia (è ben approfondita la tragica e sempre attuale figura dei Bambini Soldato). Fin dal principio, poi, indifferenti alla vita umana, questi giovani adottano rituali e crudeltà tipiche da yakuza contro i loro avversari e non è proprio un caso se per questioni di sopravvivenza finiranno a legarsi attivamente al mondo della criminalità organizzata. Che dire poi dell' "eroe" Augus, cinico, apatico e glaciale? È il più atipico Gundam Pilot di sempre: un nanetto brutto e tozzo che non conosce la minima pietà per i nemici (più di qualcuno lo uccide a sangue freddo con indifferenza, facendo incazzare il MOIGE giapponese
6) e che, guerriero nato, guida l'impressionante Barbatos equipaggiato con un enorme maglio con una ferocia sconosciuta a tutti i suoi "predecesori", macellando chiunque si trovi sulla sua strada senza nessuna remora e con furia distruttiva, come fosse un berserker (è la morte del tipico e ipocrita eroe gundamico pacifista che non vuole fare male a nessuno pur guidando una avveniristica macchina di distruzione). È però anche ben lontano dal modello del bel tenebroso figo e introverso che
pensa solo alla sua missione, archetipo amatissimo dalle ragazzine (rappresentato in passato da un Heero Yui o un Setsuna F. Seiei): il
nostro protagonista in privato sa rivelare
sfumature caratteriali impensate, dimostrandosi anche estremamente affettuoso, amichevole e maturo, crescendo di puntata in puntata senza tuttavia mai cambiare esageratamente (o peggio, diventare buonista). Ambiguo è anche il "solito" Char Aznable della situazione, affascinante idealista che, in cerca di un modo per cambiare dall'interno l'organizzazione Gjallarhorn per renderla migliore, non esita a utilizzare un atteggiamento machiavellico manipolando le persone a lui più care, anche tradendole o uccidendole all'occorrenza, per salire di posizione e accumulare sempre più potere. Anche il "cattivo" ufficiale (il comandante dell'altra fazione di Gjallarhorn), nonostante ricorra a ogni genere di astuzia e gioco sporco pur di vincere e assicurarsi il proprio dominio, riserverà delle belle sorprese verso le parti finali della storia. Infine la principessa marziana
Kudelia, se inizialmente può sembrare un clone di una
odiosa Relena Peacecraft o di una Marina Ismail (o di una qualsiasi
amante della pace gundamica che preferirebbe la distruzione del mondo
piuttosto che uccidere in battaglia un solo soldato), inizia quasi
subito a prendere le distanze dalle sue inverosimili "colleghe", crescendo anch'essa moltissimo da episodio a episodio e diventando sempre più
realista nella sua battaglia politica per l'indipendenza
di Marte. Con tutte queste sfumature abbiamo tra le mani un
Gundam come pochi altri davvero accostabile al
capostipite del 1979, nel non tracciare una marcata linea di demarcazione tra "buoni" e "cattivi" ma ponendo gli uni e agli altri in una accattivante zona grigia di luci e ombre.
Tanti sono però i focus della storia, i suoi contenuti, che meritano menzione per coraggio e originalità. Il tema dell'amicizia ad esempio, fortissimo e splendidamente reso dal rapporto dei membri del Tekkadan con il leader Orga, quest'ultimo talmente amato dai suoi uomini che essi sono disposti a combattere battaglie perse in partenza e a perdonare le sue decisioni tattiche e politiche sbagliate pur di esprimergli la riconoscenza di aver dato loro una dignità umana e quel senso di calore e comunità che non hanno mai avuto. O la decostruzione del mito di Char Aznable, demolito in tutte le sue caratteristiche vincenti che hanno reso così popolare e amato il noto antieroe tominiano. O, meglio di tutte, la decostruzione di un po' l'intero spirito di tutti i
Gundam, quello degli eroi che impongono ai nemici, vincendo la guerra, la loro visione del mondo e della vita: in questa serie, attaccata al realismo e alla disillusione, non vincono gli idealismi o le utopie romantiche, ma il pragmatismo, il cinismo, la diplomazia e la politica, e da questa filosofia si origina un finale d'altri tempi che mai avrei immaginato fosse ancora possibile mostrare nel 2017 (non ci sono neanche chissà che precedenti negli anni '70-80, mi viene in mente solo
Fang of the Sun Dougram di Ryousuke Takahashi). Intrigante anche la struttura della narrazione, affidata non più a infinite battaglie di due eserciti ben definiti o da lunghe odissee per portare un Gundam a farsi produre in massa, ma a una "partita a scacchi", politica e globale, giocata tra le due fazioni di Gjallarhorn, che, come ai tempi della Guerra Fredda combattono conflitti per interposta persona per saldare la loro influenza, usando Tekkadan e i suoi servigi come pedina.
Anche il contesto tecnologico e bellico spezza le catene della tradizione: è privo di raggi laser e Beam Saber e i combattimenti spaziali avvengono o con armi da fuoco legate alla polvere da sparo o (più spesso) all'arma bianca con asce,
spadoni, tenaglie giganti e forza bruta. Per guidare i Mobile Suit di questa serie i
ragazzi sono poi costretti a usare il sistema neurale Alaya-Vijnana che
li mette in completa sintonia col loro mezzo, in modo tale che ogni ferita del robot
si ripercuote anche sul loro corpo, portando talvolta a esiti sanguinosi
facilmente intuibili e diminuendo notevolmente le loro speranze di vita (davvero terribile quello che sarà disposto a sacrificare Augus per continuare a combattere). In questo contesto, e coerentemente con la volontà di raccontare bene la storia senza tergiversare con battaglie inutili, sono drasticamente ridotti in numero i
combattimenti infiniti tra piloti rivali, quelli in cui ogni loro
duello personale termina con un nulla di fatto, sia per l'elevata mortalità dei soldati che per la già citata volontà di Augus di eliminare qualsiasi minaccia in
modo definitivo per impedire che possa dargli problemi più avanti (in
pochi saranno in grado di sopravvivere a più di una battaglia con lui).

C'è davvero di che stupirsi, in questo
Gundam che non ha quasi nulla a che spartire con la solita, infinita "ortodossia" dei suoi precedessori, tanto che si potrebbe dargli anche un altro nome. Proprio in virtù di tutte queste questioni,
Iron-Blooded Orphans è il primo esponente del franchise che si può vantare, ragionevolmente, di non essere neanche lontanamente prevedibile negli sviluppi della sua trama, zeppa di sorprese e colpi di scena fino all'ultima puntata. Proprio in virtù di tanto coraggio è davvero un peccato sia martoriato da così tanti personaggi poco tridimensionali e molte puntate poco convincenti. Anche tecnicamente la serie è discontinua: dettagliato e ricchissimo di dettagli il mecha
design e pure reso in modo minuzioso, ma discutibile e altalenante
quello dei personaggi, molti dei quali non solo trovano un tratto che ricorda quello
sproporzionato e infantile di
Gundam AGE, ma soffrono anche di
una resa spesso non
all'altezza, approssimativa e poco curata nei campi lunghi. Anche le
animazioni cadono nello stesso problema, trovando risultati eccelsi
nelle battaglie (alcune sequenze, col loro tripudio di invenzioni visive e la direzione superspettacolare, sono addiritture degne di un film
cinematografico, basti pensare al combattimento tra il Barbatos e il Mobile Armor
Hashmal) e modesti nelle parentesi calme o dialogate. Poche e
ripetitive le tracce musicali interessanti, mentre bellissime buona
parte delle opening ed ending: sembra che in questo lavoro per ogni cosa buona si trovi un corrispettivo negativo.
Le
imperfezioni e i dubbi sono tuttavia spazzati come neve al sole dalla potenza
evocativa della storia e soprattutto dall'impressionante crescendo qualitativo degli ultimi quindici episodi, ricchissimi di pathos, twist
imprevedibili e morti che lasciano il segno, culminanti in quel finale
meraviglioso, rivoluzionario (in
Gundam almeno), completo e perfetto che fa perdonare
tutti i problemi di sceneggiatura e i momenti noiosi precedenti,
consegnandoci una serie grandiosa che, nonostante la disfatta commerciale, ha il dovere di
far parlare di sé per un bel pezzo, per ricordare a tutti il potenziale smisurato che ha il mondo gundamico quando può permettersi di fare a meno dei cliché ancorati alla tradizione. Chissà quanti anni dovremo aspettare per un'altra serie così...
Voto: 8,5 su 10
FONTI
1
Sito internet, http://echo.2ch.net/test/read.cgi/shar/1459949920/45
2
Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)
3
Pagina web (giapponese) contenente i dati di vendita settimanali di DVD/BD/CD anime, compilati dalla compagnia Oricon. http://dvdbd.wiki.fc2.com/wiki/%E6%A9%9F%E5%8B%95%E6%88%A6%E5%A3%AB%E3%82%AC%E3%83%B3%E3%83%80%E3%83%A0%20%E9%89%84%E8%A1%80%E3%81%AE%E3%82%AA%E3%83%AB%E3%83%95%E3%82%A7%E3%83%B3%E3%82%BA
4
Intervista a Mari Okada rilasciata il 25 marzo 2016 a Bandai Channel. Tradotta in inglese alla pagina web https://karice.wordpress.com/2016/05/15/p507/#fn-11282-1
5
Come sopra
6
Sito Internet, Anime News Network, http://www.animenewsnetwork.com/interest/2015-11-09/scene-in-gundam-iron-blooded-orphans-causes-viewer-complaints/.95182#XAFCoV2VBywQDLel.01