lunedì 12 dicembre 2011

Recensione: Intrigue in the Bakumatsu - Irohanihoheto (Bakumatsu Kikansetsu Irohanihoheto)

INTRIGUE IN THE BAKUMATSU: IROHANIHOHETO
Titolo originale: Bakumatsu Kikansetsu Irohanihoheto
Regia: Yoshimitsu Ohashi, Ryousuke Takahashi
Soggetto: Hajime Yatate, Ryousuke Takahashi
Sceneggiatura: Junichi Miyashita
Character Design: Yuusuke Kozaki
Musiche: Hideyuki Fukusawa
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep. 26 min. circa)
Anni di trasmissione: 2006 - 2007


Nell'era Bakumatsu, mentre infuria una guerra civile tra i sostenitori dell'imperatore Meiji e lo shogunato Tokugawa, il giovane mercenario Yojiro Akizuki vaga per il Giappone alla ricerca di un manufatto dotato di tremendi poteri. Durante il suo viaggio si alleerà con un gruppo di teatranti, ma il loro incontro non sembra essere un caso dato che anche il loro leader pare molto interessato a ciò che Akizuki segue da molto, molto tempo...

Titolo a tratti semi-impronunciabile per l’ultimo capolavoro di Ryosuke Takahashi, che, prima di tornare recentemente nell’universo di Votoms, idea un sentito omaggio alla storia nipponica e al teatro pur senza rinunciare a un forte elemento fantastico che rilegge importanti avvenimenti e fornisce favoleggianti risposte a documentati interrogativi. Siamo nel 2006 e coincidenza vuole che, mentre Sunrise produce questo  Intrigue in the Bakumatsu - Irohanihoheto, Production I.G. abbia appena sfornato Le Chevalìer D’Eon, altro progetto dove fatti realmente accaduti, in questo caso la Rivoluzione Francese, vengono mischiati a elementi orrorifici per svelare misteriosi segreti perduti nel tempo. Ma se l’opera di Kazuhiro Furuhashi sfrutta abbondantemente creature mostruose e aspetti di genere, oltre che a una certa, esagerata fantapolitica, presentandosi più come una serie prettamente horror che storica, Irohanihoheto non perde mai di vista le sue radici realistiche, costruendo di fatto un intreccio sì fantastico, con presenze ectoplasmatiche, uomini immortali ed entità che divorano la mente delle persone, ma legandolo al contesto storico con un’estrema naturalezza che da un lato arricchisce e dall’altro non modifica smisuratamente le cronache di guerra protagoniste.

L’immaginario di Takahashi non è mai fine a se stesso, lo ha dimostrato in una carriera costellata di capolavori fantascientifici e lo dimostra anche in questa sua prima escursione horror: accanto al dettagliato aspetto fantastico troviamo infatti una ricca ricostruzione storica, relativa al periodo di guerra tra i sostenitori dello shogunato Takagawa e i fautori della restaurazione dell’imperatore Meiji, che funge da struttura fondamentale per sostenere tanto i complessi intrighi governativi e militari quanto gli scontri con entità soprannaturali, frutto di un soggetto preciso e attento ai minimi particolari. Pur mostrandosi particolarmente ritmato e ricco di virtuosismi, in Irohanihoheto i registi Yoshimitsu Ohashi e Takahashi non si concedono al mero spettacolo visivo come succede invece ne Le Chevalier D’Eon: la sceneggiatura di Junichi Miyashita è meticolosa nella complessità dialogica necessaria a bilanciare i ruoli dei tanti personaggi in gioco e nel realismo evocato dai meccanismi politici.


L’intreccio si costruisce su una serie di molteplici punti di vista e, pur focalizzandosi principalmente sul solitario Akizuki, eroe classico per eccellenza nel suo vagabondare introverso, Irohanihoheto si sviluppa in una narrazione corale di non semplice accessibilità ma di grande suggestione: da una parte i teatranti a cui Akizuki si unisce per caso, dall’altra i rappresentanti politici e militari realmente esistiti, e nel mezzo i vari villain che si susseguono nella mostruosa manipolazione che muove lentamente decine di pedine in un disegno vasto e minuzioso, dove la ricerca di una leggendaria testa dai poteri psichici fonde folklore e storia con curiosa originalità. Stratificato, contorto, spesso ostico, Irohanihoheto si sposta tra il presente narrato e il passato giocando con flashback e salti temporali utili a sciogliere lentamente il nodo allacciato con l’inizio in medias rae: l’accuratezza narrativa soppesa ed equilibra le numerose parti action, con vorticosi duelli di spade e pistole necessari a dare energia al plot, alla vendetta covata dal gruppo teatrale e all’ambiguità del leader della compagnia, seguendo gli avvenimenti bellici per agganciarli o distanziarli a seconda della strada intrapresa da Akizuki per annullare i poteri della testa.

Su uno scenario tanto puntiglioso stupisce la regia, dinamica e tecnica nell’uso di sinuosi piano sequenza, inquadrature singolari e articolati movimenti, ma anche nella costruzione di sequenze di magnifico splendore (come lo spettacolo teatrale in riva al mare), e di superbi incastri temporali, con fotogrammi e frammenti che appaiono e scompaiono dando nuova luce agli eventi più complessi. Interessante, inoltre, la persistente riflessione metacinematografica, con considerazioni sul potere della scrittura e della rappresentazione teatrale e sulla possibilità di creare e ricreare la storia (emblematica la già citata scena dello spettacolo in riva al mare, dove tale aspetto risalta per profondità narrativa e sublime simbologia). È innegabile un certo spaesamento laddove le cronache di guerra entrano in dettagli (città, posizioni geografiche, avvenimenti importanti, personaggi chiave) che Takahashi, dato il concetto dell’opera, dà chiaramente per scontati, rendendo necessario ben più di un approfondimento storico che, tuttavia, arricchisce la serie proprio perché stimola l’interesse, la riflessione, un momento di pausa per pensare e accrescere la propria conoscenza con nozioni e filosofie che di certo non si studiano a scuola. A fronte di tanta accuratezza contestuale, ne perde forse una certa scrupolosità psicologica nella definizione dei personaggi principali, caratterizzati con schemi tipici (l’eroe silenzioso, la bella agguerrita, il simpaticone, il vecchio saggio, il nemico sottile e intelligente) ma comunque funzionali ed efficaci soprattutto in virtù degli ottimi dialoghi e dell’uso attento delle figure di contorno, strategicamente piazzate nel corso della vicenda. Unico punto negativo è probabilmente lo scontro finale, che arriva e si conclude senza mordente, pur nel suo splendore grafico e registico, siglando la più tradizionale delle conclusioni nell’eterna lotta tra bene e male.


Splendidamente musicato da Hideyuki Fukasawa, con un tema portante di estrema semplicità ma di commovente efficacia che riecheggia in continuazione ora in vesti sinfoniche ora in danze folkloristiche, e deliziosamente disegnato da Yuusuke Kozaki, Irohanihoheto è quindi un’opera complessa e difficile, ben lontana da un seppur gustosissimo spettacolo d’intrattenimento come lo è il pregevole fratello Le Chevalier D’Eon, che richiede pazienza e attenzione per essere compresa in ogni sua sfumatura.

Voto: 9 su 10

6 commenti:

Acalia Fenders ha detto...

Questo è un anime davvero bellissimo, uno di quelli che si fanno amare tantissimo e che dopo un po' di tempo viene voglia di rivedere.

Diciamo che il finale è un po' sottotono forse per l'assenza di un certo grande personaggio (non scrivo chi per evitare spoiler, anche se è facile da capire) ^^

Simone Corà ha detto...

Vero, io ne ho apprezzato particolarmente la "lentezza" con cui ci si addentra nella storia vera e propria, un percorso molto complesso ma di enorme soddisfazione e sentimento quando cominci realmente a essere all'interno degli eventi.

E il finale, sì, concordo, è deboluccio e banale (soprattutto pensando alla complessità della trama), ma alla fine è giusto e penso che la vicenda non potesse concludersi in nessun altra maniera. :)

marco c. ha detto...

Lo sto guardando in questi giorni dopo aver letto la tua - splendida e ricchissima - recensione. Se un anime è bello lo capisci dal primo quarto d'ora!

Simone Corà ha detto...

Giusto!

marco c. ha detto...

L'ho finito. Credo che per i giapponesi sia stato molto più fruibile per via che è una rielaborazione di fatti storici nazionali che ovviamente saranno insegnati nelle scuole. Per un occidentale è molto più ostico decifrare i sentimenti nazionalistici che muovono i personaggi. C'è molta politica, anche attuale in questa serie. Sarà dovuto anche all'età avanzata del regista. La virata nel fantasy del finale può non piacere, ed infatti non piace nemmeno a me, però bisogna guardare al curriculum dell'autore: sci-fi, fantasy, robottoni...c'era da aspettarselo. Comunque si lascia guardare bene anche nel finale. Mi ha stupito in soprattutto la non chiara definizione dei buoni e dei cattivi. Anche i pro-shogun combattono mossi da ideali giusti, mentre gli imperiali appaiono spesso barbari e incivili perché si appoggiano ad un impero barbaro e straniero. Sono infidi, brutali e pavidi. Anche la Testa non è che sia poi così spregevole visto che i suoi piani di conquista saranno mutuati pari pari dal Giappone Imperiale. Insomma, vincitori e vinti lavorano alla causa nazionale. E infatti c'è a Tokio una grande statua del vice della repubblica di Ezo. Inoltre non ho visto nemmeno un filler, forse l'unico all'episodio 16, però ci poteva anche stare. Molto succo, buona azione, forse troppa immaginazione alla fine. Ottimo.

Simone Corà ha detto...

Vero, come scrivevo nella rece, per gli occidentali a tratti è abbastanza ostico anche solo sapersi orientare per capire quali sono le fazioni in gioco, visto che viene data - anche giustamente, secondo me - quasi tutto per scontato. Però con un po' di wikipediate ho imparato un sacco di cose. ;)

A me le virate soprannaturali sono piaciute, perché credo si innestino bene nella trama - forse solo la squadra speciale di pseduo-uomini con superpoteri è un po' troppo fumettistica e non è adeguatamente contestualizzata, ma ci può stare...

Giustissimo quello che dici sul ruolo dei vari personaggi, né buoni né cattivi, soprattutto pensando anche alla Testa, che dovrebbe essere l'evil one e invece a conti fatti non si può definirla tale... :)

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