lunedì 16 gennaio 2017

Recensione: Si sente il mare

SI SENTE IL MARE
Titolo originale: Umi ga Kikoeru
Regia: Tomomi Mochizuki
Soggetto: (basato sul romanzo originale di Saeko Himuro)
Sceneggiatura: Keiko Niwa
Character Design: Katsuya Kondo
Musiche: Shigeru Nagata
Studio: Studio Ghibli
Formato: Special televisivo (durata 72 min. circa)
Anno di uscita: 1993
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Lucky Red


Primo e ultimo film ghibliano mai realizzato per la televisione, Si sente il mare (1993) è stato un piacevole divertissement nella sequela di filmoni ultramilionari della factory miyazakiana, un lungometraggio d'autore per il piccolo schermo nato con le premesse di "velocità, qualità ed economicità" ma di cui è stato raggiunto solo il punto 2 (il budget inizialmente richiesto sforerà notevolmente)1, fatto realizzare volutamente da Toshio Suzuki a uno staff sotto i 40 anni per sondare il talento delle nuove generazioni di animatori2. Arrivato finalmente in Italia, è pronto a farsi apprezzare ancora oggi, pur dovendo ovviamente fare i conti con l'essere, per forza di cose, tecnicamente un prodotto di "fascia B" rispetto ai fratelloni maggiori destinati alle sale e realizzati con mediamente 1 miliardo di yen. Il regista designato della pellicola è stato all'epoca il 34enne Tomomi Mochizuki, famoso per i suoi film romantici la cui ricerca al realismo totale in disegni e comportamenti psicologici hanno fatto parecchio discutere, soprattutto con i due lungometraggi (entrambi del 1988) Orange Road The Movie - I Want to Return to that Day e Maison Ikkoku - Capitolo Finale (famosi per lo stravolgere le caratterizzazioni storiche dei personaggi dei manga originali). Il soggetto fu invece l'adattamento di una light novel al femminile di Saeko Himuro dal titolo omonimo, pubblicata sulle pagine della rivista Animage tra il 1990 e il 1991 e illustrata dal disegnatore Ghibli Katsuya Kondo (riciclato nello staff del film come character designer e direttore dell'animazione), proposta dallo stesso Mochizuki allo studio prima ancora che questo decidesse di adattarla ufficialmente3.

La trama si risolve, per larghi tratti di durata, in una storia d'amore adolescenziale affrontata con piglio realistico, ambientata nell'isola di Shikoku, che mette a confronto i mondi di due studenti delle superiori, Taku Morisaki e la bella Rikako Mutou. Intellettualmente onesto e coraggioso e con la testa sulle spalle, Taku è cresciuto in un normale nucleo familiare dai valori concreti e vive una bella adolescenza col suo migliore amico, Yutaka Matsuno. Lei invece, per colpa dei grossi problemi casalinghi ereditati dal divorzio dei genitori, pur vantando voti brillanti è capricciosa e apparentemente fredda e disinteressata a instaurare legami con i compagni di classe, tanto da essere emarginata dalle sue compagne. Il loro rapporto sarà particolarmente sofferto, dato anche dal fatto che Yutaka è innamorato di lei fin dai primi istanti, e i problemi si trascineranno fin nella vita universitaria.

Non siamo, per ovvietà di cose, al cospetto del Ghibli miyazakiano sontuoso che vive di sense of wonder visivo. Per quanto sia indubbiamente ben animato e ben disegnato per la sua destinazione televisiva, Si sente il mare va invece accostato, come spirito, ai lavori di Takahata, a cui si avvicina nel rifuggire dai predominanti preziosismi grafici per proporre una realistica storia di vita ambientata nel Giappone del presente, in cui contano principalmente la verosimile resa dell'analisi comportamentale dei personaggi (principalmente femminili) e le caratterizzazioni, suggerite non solo da dialoghi ma anche dal linguaggio del corpo. Nessuna concessione a fraintendimenti, baci rubati e visti da chi non dovrebbe vederli, molesti spaccacoppie o ogni altro genere di sciocchi cliché usati nella più trita delle storie romantiche per ragazze: il film, come nella tipica visione poetica di Mochizuki, raffigura il rapporto tra i due ragazzi in modo realistico in tutto e per tutto, esplorandolo con interazioni dialogiche di grande spontaneità e modi di pensare e agire pienamente attinenti con la personalità dei due, il loro background familiare e anche quello geografico (è posta molta enfasi sul fatto che Rikako è generalmente malvista a scuola anche perché proveniente dalla grande città, e lei non fa niente per nasconderlo). Niente di ciò che si vede in questa pellicola, insomma, non potrebbe accadere anche nella vita reale a qualcuno, ed è bene fare notare come l'autrice originale del romanzo, la Himuro, abbia detto chiaramente4 che lo scopo del suo racconto era di mettere sotto i riflettori l'evoluzione delle dinamiche del rapporto uomo-donna in Giappone in quegli anni, visto che i Novanta sono stati spartiacque nel delineare un nuovo modo di vivere tra coppie/famiglie, in cui l'uomo perdeva la sua classica "rudezza" e autorità nel momento in cui iniziava anche lui a fare le spese e le pulizie e la sua fidanzata/compagna a rispondere a tono se trattata con asprezza come nella precedente società patriarcale e maschilista. Proprio raffigurando un protagonista gentile e comprensibile ma all'occorrenza dotato di grande fermezza morale e tenacia (una via di mezzo tra l'uomo "forte" del passato e quello "gentile" del presente) e mettendolo a confronto con una ragazza capricciosa e viziata come Rikako, la Himuro designa in Taku il suo modello di uomo ideale, che rappresenti nel migliore dei modi il cambiamento della società giapponese nel contesto della vita di coppia. Il messaggio originale del romanzo, insomma, è traghettato e rispettato molto fedelmente in TV.


Principalmente, però, il vero grande elemento d'autore del lavoro, il valore aggiunto insomma che dà un senso alla presenza di Mochizuki nello staff, consiste nell'aver sfruttato il soggetto di partenza per parlare anche d'altro: ha integrato nella storia anche la sua tematica preferita, quel segno distintivo di riconoscimento artistico presente in buona parte delle sue opere e che ha sempre affrontato con sfumature diverse. Mi riferisco alla tematica della riconsiderazione di quanto fatto o vissuto in passato alla luce della maggiore consapevolezza che si raggiunge nell'età della ragione, messaggio ravvisabile e molto ben espresso nelle belle sequenze conclusive. È proprio in questo segmento che chiude la storia che il film brilla intensamente trovando il suo momento migliore, riscattando una parte centrale a mio modo di vedere elegante e ben disegnata, ma abbastanza spenta in emozioni. Il Si sente il mare televisivo racconta, in modo abbastanza freddo, verboso e distaccato, il problematico rapporto tra due adolescenti che, anche se spiccano per personalità in mezzo ai loro compagni, non risultano mai davvero empatici agli occhi dello spettatore visto che stanno sempre sulle loro, abbastanza statici e ingessati. Un insormontabile problema dell'eccessiva ricerca del realismo? Forse, anche se a mio parere c'entra in qualche modo la non eccezionalità della sceneggiatura, dal momento che Takahata ha dimostrato che si possono fare film bellissimi da due ore sulla vita di persone qualsiasi che parlano e basta. Il problema, insolvibile, probabilmente, è proprio che l'enorme profondità dei dialoghi di Takahata e la sua poesia registica sono difficilmente replicabili a meno di non essere dei geni come lui.

Sia quello che sia, al di là della poca partecipazione emozionale che contraddistingue il film per buona parte della sua durata, Si sente il mare merita la visione, soprattutto quando il suo vero senso viene fuori permettendo di rivalutare il tutto nella giusta ottica e apprezzarlo, anche parecchio (al punto che è genuina la curiosità di poter un giorno vedere in animazione il seguito letterario del romanzo originale, Si sente il mare 2 - Perché c'è Ai). Anche se, per più di un verso, si può parlare dunque di un Ghibli "minore", penso che quel "marchio di qualità" che rende quasi ogni loro opera, nel bene e nel male, degna di essere vista, è anche qui ben presente.

Voto: 7 su 10


FONTI
1 Francesco Prandoni, "Anime al cinema", Yamato Video, 1999, pag. 143. Confermato dal saggio "Storia dell'animazione giapponese" (Guido Tavassi, Tunuè, 2012, pag. 229-230)
2 Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)
3 Post di Shito (Gualtiero Cannarsi, traduttore ufficiale Lucky Red di tutti i film Ghibli) apparso nel Ghibli Forum italiano, alla pagina http://www.studioghibli.org/forum/viewtopic.php?f=21&t=3861&hilit=si+sente+il+mare (messaggio di apertura)
4 L'esauriente analisi della storia a opera dell'autrice (sintetizzata nelle righe sotto della recensione) è riportata su Kappa Magazine n. 12 (Star Comics, 1993, pag. 115-118)

1 commento:

emilio ha detto...

Cacchio questo bot è una piaga! Abbattetelo!

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