lunedì 15 novembre 2010

Dossier sull'animazione robotica: Gli anni d'oro del Super Robot e le prime evoluzioni del genere (1963-1979)

DOSSIER SULL'ANIMAZIONE ROBOTICA: GLI ANNI D'ORO DEL SUPER ROBOT E LE PRIME EVOLUZIONI DEL GENERE (1963-1979)

Una semplice premessa: la stesura dello speciale che segue, realizzato con consulenze varie di micheles e KazuyaRyuzaki di animeclick, è stata resa possibile grazie a quello che ho guardato/letto di persona, alle numerose fonti disponibili sul web (forum, siti specializzati, wikipedia... le conosciamo tutti), e anche a diverse pubblicazioni in lingua nipponica il cui contenuto è condiviso nella rete dai fortunati che conoscono il giapponese (ad esempio i due rinomati traduttori Gualtiero Cannarsi e Cristian Giorgi). In aggiunta a questo, è stata molto utile la lettura del report, pubblicato nell'agosto 2013 dall'Agenzia di Affari Culturali giapponese, dell'impatto sulla società nipponica dell'animazione robotica (rimediabile qui tradotto in inglese, ringrazio bunshichi per la segnalazione). Per questo, mi scuso fin da ora per qualsiasi errore il lettore dovesse eventualmente riscontrare; del resto, su un argomento così di nicchia e con così poche fonti di prima mano, ci si può solo accontentare delle poche voci davvero autorevoli. Lo stimolo maggiore che mi ha permesso di portare a termine questo lavoro, oltre all'enorme incremento di visite sul blog (!), è stata la volontà di rendere ancora più esaustivo e completo il sintetico seppur ottimo dossier scritto da Alberto Galloni sull'edizione italiana del manga Record of Venus Wars. Per terminare, un ultimo ringraziamento ai miei fedeli beta reader ed editor, Sara Sabbatini, Alberto Zanetti e, ovviamente, l'immancabile Simone Corà.

Jacopo Mistè

Tetsujin 28 (1963), il padre di tutti i robot

I robot compaiono in Giappone fin dalla prima serie animata della storia, Astro Boy (1963), scritta e diretta dal Dio dei manga Osamu Tezuka e basata sul suo storico fumetto del 1952. L'eroico bambino-androide Atom, nelle sue lotte per difendere la Terra, si trova spesso ad affrontare avversari robotici di grandi dimensioni. Tuttavia è innegabile che il primo, vero gigante di ferro dell'animazione giapponese, per quanto "preistorico", è Tetsujin 28, protagonista dell'omonima, lunga serie serie tv animata da Tele-Cartoon Japan (oggi Eiken) che inizia lo stesso anno: 97 episodi in b/n, con protagonista un gigantesco e tondeggiante robot a forma di caffettiera col naso da Pinocchio, creato come arma segreta dall'esercito giapponese durante la Seconda Guerra Mondiale ma mai utilizzato. Anche Tetsujin 28 trova i natali in un manga degli anni '50, stavolta dalla matita di Mitsuteru Yokoyama (futuro creatore di Babil Junior e Sally la maga), e il suo è un concept decisamente ingenuo: comandato da Shotaro Kaneda, bambino di 10 anni che lo ha ricevuto in eredità dal padre, attraverso un radiocomando, l'Uomo Di Metallo deve salvare di volta in volta il Giappone dalle mire di crimine organizzato, scienziati pazzi e addirittura alieni. Niente armi speciali o cabine di pilotaggio: il robottone, fortemente ancorato alla realtà economica e sociale del tempo (il periodo di pace post-WW2), è decisamente primordiale, la sua unica forza è rappresentata dall'ingombrante stazza, e i suoi nemici non sono necessariamente i malvagi robot creati dal malvagio dottor Franken ma anche aerei militari, astronavi ed equipaggiamenti bellici assortiti. Il punto di forza della serie è l'idea di un indistruttibile, potente automa umanoide che, a seconda dell'uso che se ne fa, può rappresentare sia la fine che la salvezza del genere umano. Nel mondo cartaceo Tetsujin 28 trova l'evoluzione nel 1967 e nel 1976, sempre dalla fantasia di Yokoyama, in Giant Robot (dove questa volta il robot, a forma di sfinge, è pilotato a distanza da comandi vocali, ultima risorsa dell'umanità contro l'organizzazione segreta Big Fire) e Mars (il robottone, Gaia, è un'arma di distruzione di massa in grado di annichilire l'intero pianeta se voluto dal suo padrone, Mars), ma per vedere questi ultimi in animazione bisogna armarsi di pazienza e attendere rispettivamente venti e trent'anni.

Ugualmente ancorato allo stadio di progenitore bisogna citare il meno noto Astroganga (1972), realizzato da Ichi Corporation. Ancora una serie televisiva (26 episodi) da trama e disegni estremamente infantili, ma grazie a essa vede la luce anche in animazione il concetto di robottone senziente. L'Astroganga protagonista è infatti un metallo alieno dotato di coscienza, che parla, prova sentimenti e istruisce il giovanissimo eroe Kentaro alla difesa della Terra minacciata dagli extraterrestri Blasters. È quindi la stessa entità, al momento dei quotidiani scontri col nemico, ad assumere gigantesche fattezze umanoidi (con tanto di occhi, naso e bocca) per combattere al meglio. Le battaglie continuano a essere basate su semplice sfoggio di forza bruta, assenza di super-armi, zero coinvolgimento fisico del "pilota" (Kentaro è di fatto "assimilato" nel corpo di Astroganga, ma non è lui a pilotarlo) e nemici non sempre rappresentati da singoli robottoni ma anche solo da vari gruppi/eserciti di nemici, ma già si propongono al pubblico alcune timide evoluzioni verso un genere che sta nascendo. Ad esempio si può parlare dell'idea dei villain extraterrestri che vogliono conquistare il pianeta, o del protagonista - in questo caso Astroganga - che con i suoi modo di pensare e agire fa suoi valori morali tipicamente nipponici come l'etica del sacrificio (come testimonia il drammatico finale). Bisogna attendere due mesi per assistere, in animazione, al primo, grande titolo rivoluzionario che fa davvero la Storia, codificando buona parte delle regole del robotico cosiddetto "tradizionale" di tutti gli anni '70.

Queste regole trovano corrispondenza in Mazinger Z (1972), nato dalla fervida immaginazione di un Go Nagai già celebre in patria per il manga-scandalo Scuola senza pudore, che un giorno pensa a quanto sarebbe bello se, in una giornata di traffico, la sua auto si potesse alzare su due piedi e scavalcare tutte le altre. Uscito pressoché in concomitanza sia su fumetto che in animazione per la Toei Animation, Mazinger Z è la prima serie televisiva robotica a trovare un successo epocale in patria, creando dal nulla la moda per le produzioni mecha e codificando regole che saranno rispettate per quasi tutto il decennio. Si può ora parlare, ad esempio, del protagonista che pilota il robot dentro un'apposita cabina posta all'interno del suo corpo; delle potentissime armi tecnologiche a disposizione dell'eroe di metallo, il cui nome è urlato in battaglia appena usate; o ancora dell'aspetto cool e minaccioso dei mecha (per l'aspetto del Mazinger Z Nagai si ispira alle armature dei cavalieri medievali occidentali). L'intreccio è elementare: Koji Kabuto è un giovane scavezzacollo che un giorno riceve in eredità dal nonno il potente Mazinger Z, realizzato in una super lega d'acciaio, la cui forza bellica smisurata (tra roboanti Breast Fire e Rocket Punch), permette a chi lo guida di diventare letteralmente il Dio o il Diavolo in terra (Mazinger in giapponese si pronuncia Majinga, Ma per demone e Jin per divinità). Koji sceglie ovviamente la prima opzione, difendendo, con il suo robot, il Giappone dalle mire del malvagio dottor Hell, ex collega del nonno che anela al dominio scatenando la furia dei suoi giganteschi automi senzienti.

Mazinger Z (1972), l'avvento del Super Robot "tradizionale" come sarà conosciuto in tutti gli anni '70

Uno schema narrativo, quello di Mazinger Z, che viene ereditato dai super sentai dell'epoca diventando la norma, per moltissimi anni, di tutte le produzioni sullo stesso argomento: il tokusatsu. Ogni puntata è uguale all'altra, autoconclusiva, inizia e finisce allo stesso modo seguendo canovacci collaudati che vedono gli eroi inizialmente alle prese con una semplice avventura e per poi affrontare, nel finale, uno dei mostri meccanici del perfido villain (il cosidetto "Monster of the Week"), distruggendolo con il robottone protagonista. Anche i rituali sono sempre i medesimi, sequenze usate in ogni puntata: i protagonisti che usano uno speciale percorso per raggiungere l'abitacolo del robot (scena filmata una volta e poi riciclata episodio dopo episodio), il combattimento che li vede vicinissimi alla sconfitta e poi risolvere tutto all'ultimo momento, l'inquadratura conclusiva che guarda al tramonto con le loro risate liberatorie di sottofondo. Continuity molto fugace che si limita a uno sparuto numero di episodi sparsi qua e là, tanto per confermare la moderna ovvietà, da parte dell'esigente pubblico moderno, che basta guardare la prima e l'ultima puntata per conoscere grosso modo tutta la storia. Sono schematismi che oggi, dopo decenni di evoluzioni, sono spesso poco sopportabili dalle nuove generazioni, spesso addirittura insostenibili, ma che in quell'epoca pioneristica rappresentavano la routine con cui esaltare centinaia di migliaia di spettatori, bambini in primis (il target principale) ma anche adulti, rapiti dall'avveniristica idea dei robottoni, raggiungendo share mastodontici (tra il 20 e il 25%!) che non saranno mai più eguagliati nella Storia della televisione giapponese. In Mazinger Z sono codificate altre convenzioni che verranno spesso rispettate in quel periodo: non si può ovviamente dire che valgano per tutti i titoli, ma sicuramente alla maggior parte di essi in quel decennio. Ad esempio eroi e villain privi di eclatanti sfumature psicologiche (i primi spesso senza né macchia né paura ed esteticamente affascinanti, i secondi mostri, extraterrestri o scienziati pazzi cattivissimi, brutti e ripugnanti che rappresentano il male assoluto); atmosfere leggere e supereroistiche; l'idea di inscenare, con l'eroe solitario che guida il robot, l'etica del samurai invincibile indelebilmente impressa nel folklore nipponico, e infine la forte concezione "nippocentrica" che condisce il tutto, con i malvagi invasori che pensano, conquistando il Giappone, di fare loro il mondo intero (la leggendaria insignificanza dei gaijin è rispettata). Si possono citare anche le location e i personaggi, replicati, serie dopo serie, con fattezze diverse: un'avanzata base scientifica, ultimo baluardo dell'umanità, dove è custodito il robot e in cui vivono l'eroe e lo staff che lo aiuta; uno scienziato saggio e baffuto, a capo di essa, che sa cosa fare in ogni situazione; la sua bella figlia/nipote di cui è invaghito il protagonista; il grassone e il bambino che, in chiave di "mascotte", forniscono il contributo comico; alcuni robottoni buffi e ridicoli che forniscono supporto a quello figo principale, etc.

Inizia così, con i ben 92 episodi di Mazinger Z, l'inizio dell'epoca d'oro del robottone animato, un lungo periodo in cui i successivi titoli inventati da Go Nagai e Toei Animation creano un bottage commerciale che viaggia su cifre, ascolti e profitti da capogiro, traducendosi in nuove serie televisive e svariati team-up cinematografici pronti a sponsorizzare controparti manga e giocattoli ispirati ai robottoni. La fine di Mazinger Z vede l'eroe di metallo passare le consegne al suo successore che diventa protagonista del primo seguito, Great Mazinger (1974): altra lunga e fortunata serie televisiva, dove il serioso e aggressivo Tetsuya Tsurugi rimpiazza il frivolo Koji Kabuto e il minaccioso impero di Micene prende il posto del perfido Dottor Hell. Terzo atto è Ufo Robot Goldrake (1975), particolarmente famoso in Italia perché prima produzione robotica mai arrivata nel nostro Paese (nonostante un successo non proprio eclatante in madrepatria, probabilmente per la figura di secondo piano data a Koji, indimenticabile eroe di Mazinger Z) e per gli splendidi disegni di Shingo Araki. Tra i successi del sodalizio Nagai/Toei è giusto citare ancora quattro titoli, isolati dalla continuity dei Mazinga. I più importanti sono sicuramente Getter Robot (1974) e Getter Robot G (1975), riduzioni infantili della violenta Getter Saga cartacea appena iniziata a disegnare da un collaboratore di Nagai, Ken Ishikawa (se ne riparlerà nel 1998, quando verrà finalmente adattata in animazione in modo più fedele). Sono i due Getter le prime serie tv a proporre l'idea dei robottoni componibili: protagonista non è più un solo gigante di ferro ma addirittura tre, ognuno coi suoi punti deboli e di forza, che nei momenti di difficoltà si "agganciano" insieme per formarne un quarto, quello più potente che dà il nome alla serie. In aggiunta a questo, le Getter Machines sono in grado di agganciarsi in ben tre varianti diverse del potente Getter (con gran ringraziamento da parte delle aziende di giocattoli). Non si può dire che dopo i Getter tutte le serie robotiche abbandoneranno l'eroe di metallo solitario per proporre il team di svariati piloti, ma di sicuro è una filosofia che verrà spesso ripresa convivendo serenamente assieme a quella principale. Il terzo titolo degno di menzione è invece il cortometraggio cinematografico (30 minuti scarsi) uscito nei cinema giapponesi nell'estate del 1975 in una doppia-proiezione, La grande guerra degli UFO (Uchuu Enban Dai-senso). Trattasi del prototipo di Goldrake, del quale condivide la storia di fondo e il protagonista Duke Fleed. Si tratta di una visione degna di menzione in quanto sorta di "capostipite" spirituale del robotico sentimentale che nascerà qualche anno dopo, contraddistinto da trame che ruotano attorno a storie d'amore maledette e spesso prive di lieto fine, che nascono tra l'eroe e una donna che combatte nello schieramento avverso. Il quarto e ultimo titolo cult è Jeeg robot d'acciaio (1975), anch'esso amatissimo in Italia come Goldrake. La sua particolarità è che il Jeeg si forma dall'unione di tutti i singoli pezzi-arti del suo corpo, "sparati" da una piccola astronave e che si agganciano automaticamente attraverso la conduzione elettromagnetica (la "testa" è l'eroe-cyborg Hiroshi Shiba). Anche in tutte queste opere trama e personaggi continuano ribadire le solite cose, ma in quegli anni il sense of wonder per milioni di spettatori è dato dalle capacità belliche degli eroi di metallo, dalle loro armi incredibilmente esagerate (tra fulmini evocati dal cielo, tomahawk nascosti chissà dove, pugni rotanti etc), dal loro aspetto estetico tanto "giocattoloso" e improbabile quanto carismatico: questo basta e avanza, non è importante se il Giappone è perennemente minacciato da orde di alieni/mostri/rettili/oni e se la solita Fortezza delle scienze lo salva un numero incalcolabile di volte. Jeeg rappresenta il canto del cigno della redditizia alleanza tra Go Nagai e Toei Animation, che scioglie nel 1976 con Gaiking il robot guerriero, quando l'autore taglia i ponti con lo studio perché quest'ultimo non gli vuole riconoscere la paternità dell'opera.

L'enorme successo dei robottoni nagaiani avrà fortissime influenze nell'industria dell'intrattenimento animato, creando le premesse per un'impressionante fioritura di cloni da parte di altri studi. In forte crisi di capitale negli anni dello shock petrolifero, questi ultimi inizieranno a legarsi sempre maggiormente alle aziende di giocattoli, che forniranno loro i fondi necessari per entrare nella moda redditizia del genere a patto di pubblicizzare i loro robot (spesso co-ideati insieme). Si arriva al punto che, se con Nagai e Toei i titoli nascevano come progetto crossmediale che contemplava soprattutto la sponsorizzazione di uno o più manga ufficiali, spesso realizzati in contemporanea o addirittura precedentemente, con Reideen the Brave vede la luce la prima delle tantissime opere a soggetto originale televisivo, nate con lo scopo principale di arricchire l'industria di giocattoli e modellini. Reideen, in particolare, la cui trasmissione inizia il 4 aprile 1975 e si potrarrà per 50 episodi, può vantare anche un altro tipo di importanza storica: quella di essere la prima serie televisiva robotica a cui presta realizzazione il neonato studio Sunrise, destinato negli anni a rivoluzionare il genere assumendone il dominio. Lo studio  affida la regia di quest'opera a un ancora "mestierante" Yoshiyuki Tomino, al cui ruolo subentrerà poi Tadao Nagahama verso metà trasmissione. Il titolo, nonostante si rifaccia agli schematismi e agli stilemi inaugurati da Go Nagai, è una visione piacevole e per svariati versi molto originale, sia nel dare una certa enfasi alla caratterizzazione dei personaggi e alla trama (prima puramente accessoria), sia a partorire la folgorante idea del robottone dalle origini divine, quel senziente Reideen, protettore della scomparsa civiltà di Mu, pronto a difendere la Terra dall'impero dei demoni insieme al ragazzo che lo pilota, Akira Hibiki. In aggiunta a questo, il solitario Reideen è il primo eroe d'acciaio trasformabile della Storia, capace di mutare, nei combattimenti, anche in una versione volante (il God Bird, una specie di jet a forma d'aquila), ed è sempre  lui a coniare l'idea dell' attacco finale", il momento, ossia, di quando il robottone distrugge il nemico di turno usando un'arma fissa (in questo caso, l'Head Cutter), letale per chiunque. L'idea verrà immediatamente sfruttata anche dal Getter G di Nagai/Toei trasmesso in contemporanea a Reideen (lo Shine Spark), ma bisognerà attendere un anno affinché questo momento si concretizzi diventando un vero e proprio canovaccio.

L'apripista dei robot componibilii: Getter Robot (1974)

Come per Reideen, fino a quasi tutto il 1976 la totalità delle produzioni mecha, Toei e non, viaggia sulle caratteristiche narrative/schematiche inaugurate da Go Nagai, per questo è abbastanza superfluo citarle per inutile completezza. Vale la pena però richiamarne due: la prima è Time Bokan (1975), conosciuta in Italia come La macchina del tempo, primo capitolo di quella che sarà una lunga saga animata Tatsunoko (ben dieci serie tv!), tra le più note e rappresentative dello studio. La particolarità di tutti i loro titoli, il più conosciuto dei quali in Italia è sicuramente Yattaman, è quella di presentarsi come scanzonate prese in giro alle atmosfere supereroistiche del genere, sbeffeggiandole sonoramente con cattivi goffi e imbranati (il celebre Trio Drombo che verrà riproposto in mille variazioni), protagonisti frivoli e ridanciani, robot dalle sembianze più spiritose che mai (cani, albatros etc.) e inserti di demenzialità pura. Sono simpatici divertissement che hanno il merito di fare "da palestra" a due futuri BIG dell'animazione nipponica: il disegnatore Yoshitaka Amano (famoso per i suoi personaggi della saga videoludica Final Fantasy) e soprattutto Kunio Okawara, destinato a diventare il mecha designer più famoso dello studio Sunrise. Dell 1976, infine, vale la pena parlare di Super Electromagnetic Robot Combattler V, sorta di "erede" di Reideen e diretto da uno dei suoi registi, Tadao Nagahama, quest'ultimo a capo di uno staff, denominato dallo pseudonimo di Saburo Yatsude, frutto di un'inedita collaborazione tra Toei Animation (produzione) e Sunrise (animazioni). Il titolo si presenta come un robotico di una certa importanza, pronto a captare i gusti in evoluzione del pubblico: forse troppo avezzi ai titoli nagaiani e ai loro vari cloni, gli spettatori iniziano a cercare qualcosa di nuovo, che svecchi il genere dai soliti stereotipi dando più caratterizzazione ai cattivi, maggior peso alle relazioni interpersonali degli attori, imprima nuova spettacolarità agli immancabili rituali. Combattler V adempie a tutto questo: pur col classico, irrinunciabile setting narrativo "fotocopiato" da Mazinger Z, ha già modo di distinguersi dalla massa creando o aggiornando caratteristiche concettuali che diverranno presto cliché. Si parla dell'aumento da 3 a 5 degli elementi del team di eroi che pilotano i mezzi "componibili", ora rappresentati dal figo, dal cinico, dalla ragazza, dal grassone e dal bambino; del come il classico "agganciamento" del mecha assurga a forma d'arte attraverso una lunga sequenza, riciclata a ogni episodio, che vede il robottone formarsi con una dettagliata, spettacolare e "verosimile" fisica degli agganci; o da come lo stesso "attacco finale" inaugurato da Reideen diventi ora un altro inserto animato fisso riciclato a ogni episodio, che mostra Combattler V uccidere il mostro di turno con la Trottola Elettromagnetica. Non si può negare che si tratti del perfezionamento dei classici stilemi di Go Nagai, ma certo è che la loro forma più celebre e conosciuta al pubblico - tanto da sopravvivere nel tempo, venendo utilizzata anche nelle produzioni attuali - sarà quella presentata da Combattler V. Dal punto di vista narrativo, invece, la serie inaugura la tradizione di Nagahama e Yatsude di rifarsi per le loro storie ai feuilleton, ponendo al centro dell'attenzione intrecci teatrali che puntano l'interesse su antagonisti tragici e valorosi, colpiti da forti drammi personali e da amori impossibili verso una loro sottoposta, destinati a morire in battaglia per riscattare l'onore perduto o per macchinazioni dei loro superiori, con una forte componente di melò a dominare in generale le atmosfere e qualche sprazzo di romanticismo. Nulla di particolarmente appariscente guardato oggi, ma che nell'epoca ha il suo peso e la sua unicità. Bisogna comunque ammettere che, di suo, Combattler V non è propriamente tra le opere meglio riuscite del regista: abbastanza lungo (54 episodi), e in questo ampio lasso di tempo fa seguire, a una prima metà di serie molto drammatica, violenta e riuscita, una netta involuzione infantile nella seconda. Le stesse caratteristiche narrative della "ricetta Nagahama" sono embrionali (venendo meglio esplorate, l'anno successivo, in Voltes V), ma non si può negare l'importanza del capostipite.

È nel 1977 che avvengono i primi, storici punti di svolta: robottoni più esteticamente verosimili di quelli massicci, curvosi e tondeggianti del passato; un approccio più verosimile in storie e situazioni, intrecci che pur sempre basati su episodi autoconclusivi iniziano a ricamare una continuity che leghi le puntate. L'apporto di Toei Animation si concretizza il 6 marzo nell'avveniristica serie tv Planet Robot Danguard Ace, realizzata insieme a Leiji Matsumoto. Desiderosa di ritrovare quella supremazia nel genere andata perduta dopo l'abbandono di Go Nagai (e i flop di Gaiking, Gackeen e Balatack), Toei Animation ha fiducia nello sceneggiatore dell'incompresa, bellissima Corazzata Spaziale Yamato, e anche se l'artista non apprezza il genere, in esso riversa comunque tutte le sue energie dando vita a un titolo estremamente originale per l'epoca. Ambientato per metà serie sulla Terra e per l'altra metà in un inedito - mai visto prima nel genere - scenario spaziale (campo prediletto dall'autore), Danguard Ace racconta della guerra che avviene tra l'esercito del governo terrestre e quello del dittatore nazista Doppler, per decidere dello sfruttamento coloniale del pianeta Prometeo. A guidare l'immancabile robottone, il Danguard Ace, contro le armate di Doppler, è il giovane cadetto Takuma Ichimonji, che mira anche a riabilitare il nome del padre, disonorato da un vecchio sospetto di tradimento legato alla prima spedizione avvenuta sul pianeta. Diverse e numerose sono le innovazioni: si può accennare allo spirito molto maturo e drammatico della trama, alla continuity che pur non rinunciando al "monster of the week" lega una corposa parte dei 56 episodi, al come le immancabili battaglie avvengano per la prima volta non fra terrestri e invasori bensì fra esseri umani, all'opera di svecchiamento degli infiniti stereotipi del genere, o anche al background militare e spaziale della vicenda, ripreso da Yamato. La novità più vistosa non può che essere, comunque, lo spazio assolutamente relativo che si ritaglia inizialmente il mecha protagonista: rispetto alla maggior parte dei suoi "colleghi", il Danguard Ace non compare affatto fin dal primo episodio. Takuma per la bellezza di ben dieci puntate - uno sproposito - non farà altro che addestrarsi duramente per effettuare l'immancabile manovra di "agganciamento", e anche nei momenti in cui sarà quasi in grado di farlo il robottone non sarà immediatamente utilizzabile al pieno della sua forza. La snervante attesa dell'eroe di conoscerne i poteri è essenzialmente la stessa che prova, straniato, lo spettatore dell'epoca, che fantastica su quando il Danguard Ace sarà finalmente in grado di essere utilizzato. Infine, vale la pena ricordare che è sempre su quest'opera che appare un nuovo archetipo di personaggio che si vedrà ancora nel genere, "l'uomo mascherato"  (in questo caso il capitano Dan), nemico o, in questo caso, alleato dell'eroe, che cela le sue fattezze e la sua scomoda identità dietro una misteriosa maschera. L'opera, per i curiosi di Storia, nonostante l'indubbia freschezza e i disegni di Shingo Araki, non si rivelerà una grande hit commerciale.

Il 4 giugno è invece il momento dei 40 episodi di Super Electromagnetic Machine Voltes V, molto legato a Combattler V dell'anno precedente per lo staff (Saburo Yatsude e Tadao Nagahama), fortissime affinità di trama e caratteristiche concettuali, al punto che si può quasi definirlo un remake. Voltes V narra della guerra tra il Voltes Team terrestre e la nobiltà aliena dei boazaniani, che dopo aver ridotto a fame e schiavitù il popolo del loro stesso pianeta anelano anche alle risorse della Terra. Si tratta di una serie che persegue, rispetto a Combattler, fino alla fine il suo impianto tragico, diversificando l'azione con svariate sottotrame, rendendo più creative che mai le battaglie, e facendosi ricordare anche nel caratterizzare le disuguaglianze sociali tra le classi boazaniane, ispirate a quelle tra popolo e aristocrazia parigina ai tempi della Rivoluzione Francese (non per nulla il regista tornerà due anni dopo sull'argomento anche in Lady Oscar). Non si può negare che l'opera deve moltissimo, come originalità e innovazioni, a Combattler (gli eroi sono pressoché la copia sputata di quelli precedenti, così come i villain, i rapporti interpersonali che si instaurano fra di loro e svariati avvenimenti), ma tutti gli elementi originali di quest'ultimo sono approfonditi molto meglio, la poetica di Tadao Nagahama inizia ad assumere una fisionomia precisa e riconoscibilissima al pubblico, tanto che Voltes V guadagna presto una fortissima popolarità in madrepatria (culminando anche in un lungometraggio riassuntivo concepito per il mercato estero). Chiaramente il regista non è, come talvolta si legge in giro, un rivoluzionario: i setting delle sue storie sono infatti sempre gli stessi del passato (invasori extraterrestri, Fortezza delle Scienze etc), classicissimi. Quello che lo differenzia dagli altri suoi colleghi è l'essere stato un un ottimo artigiano che ha saputo dare al pubblico quello che gli chiedeva: con lui è giunto il momento di presentare un intrattenimento che sancisce il lato più melodrammatico del genere, e che, seguendo parallelamente le opere d'autore sviluppate da Sunrise di Yoshiyuki Tomino (Zambot 3, Daitarn 3 e Gundam), contribuisca a traghettare il genere verso quella concezione narrativa odierna votata, oltre al comparto spettacolare, anche a trama e personaggi.

  Combattler V (1976), il secondo paradigma del genere dopo Mazinger Z

Il 1977 è anche l'anno in cui esce nei cinema nipponici, il 6 agosto, La Corazzata Spaziale Yamato, lungometraggio che condensa l'omonima, memorabile serie televisiva del 1974 in ben 130 minuti di girato. Per quale motivo è presente in questo dossier? Perché questo pur mediocre film (rapportato all'originale tv) ottiene un successo incredibile in madrepatria, tra quelli più famosi del decennio, facendosi adeguato portavoce dello scoppio dell'anime boom ma anche influenzando fortemente l'industria dell'intrattenimento, sia a livello concettuale che di semplice background narrativo. È arrivato il momento in cui i fan iniziano a chiedere storie più elaborate, drammatiche e realistiche agli studi d'animazione, così come quello in cui le produzioni robotiche iniziano a legarsi a doppio filo con la Space Opera: le battaglie non avvengono più necessariamente sulla Terra o (peggio) a Tokyo, ma a un certo punto si spostano anche nel gelido cosmo, nelle vicinanze di basi spaziali, enormi astronavi, satelliti, colonie orbitanti, pianeti lontanissimi e oscuri. L'importanza che ha questo lungometraggio è un avvenimento che attesta come il cinema sia capace di influenzare pesantemente l'animazione seriale (allo stesso modo di una certa opera rivoluzionaria del 1979 riabilitata anni dopo nelle sale, ma ci arriveremo). L'ultima opera del 1977 di cui parlare è L'invincibile Zambot 3, il primo titolo originale di Sunrise, dopo aver reciso il cordone ombelicale dalla Tohoku Shinsha trovando piena autonomia. Assoluto fallimento commerciale all'epoca (probabilmente per il basso budget con cui è stato animato), Zambot 3 è una storia truce e drammatica: non solo i consueti, cattivissimi invasori alieni massacrano allegramente donne, bambini e vecchi con modalità disturbanti (le celebri bombe umane), ma la guerra e le sue conseguenze sociali sono esplorate in modo più cinico e crudele che mai, tutto questo ben rappresentato dai flussi migratori terrestri, formati da civili sopravvissuti alle distruzioni, che odiano profondamente la famiglia Jin che guida lo Zambot 3, anch'essa di origine extraterrestre, arrivando addirittura a osteggiarla e mettendola talvolta in seria difficoltà. A fare da contralto a tanta cattiveria vi è il tema della famiglia, posta come perno altrettanto centrale di narrazione, depositaria dell'umanità e dell'educazione necessari a superare gli orrori del conflitto, idealizzando nel corposo nucleo familiare dei protagonisti dinamiche sociali importanti come il senso di sacrificio dei vecchi per i giovani, le lezioni sul prendere le proprie responsabilità dal riconoscimento degli errori, il modo in cui maschi e femmine cercano ciascuno, secondo la propria sensibilità e attitudine, di affrontare le barbarie senza perdere di vista i valori di umanità... Tutti temi molto cari al regista, che si ritroveranno spesso in altre sue opere. Quello che conta, è che Tomino realizza nel genere, dopo il pur decente Reideen,  la sua prima grande opera, una serie coraggiosa ed estremamente autorale. Un finale più tragico del solito, in cui buona parte del giovanissimo cast sacrifica la vita per la vittoria finale, fa affibbiare il nomignolo "macellaio" (minagoroshi) all'artista e rende Zambot 3 una visione di culto.

Prima del titolo rivoluzionario la cui trasmissione vede la luce il 7 aprile 1979, vale la pena soffermarsi ancora su due serie dell'anno prima: General Daimos rappresenta lo stadio finale dello stile di intrattenimento coniato da Saburo Yatsude e Tadao Nagahama, distinguendosi dai precedenti Combattler/Voltes per una continuity sempre più ferrea, più melodramma che mai e la miglior storia d'amore dell'intera trilogia, questa volta non più monopolio del villain ma addirittura del protagonista. In Daimos l'elemento sentimentale diventa, per la prima volta assoluta in una serie tv robotica, addirittura il filo conduttore della trama, idealmente definibile come una rilettura robotica di Romeo e Giulietta, inquadrata  nelle vesti del tormentato amore tra l'eroe Kazuya Ryuzaki, pilota terrestre del Daimos, ed Erika, sorella del malvagio Richter che vuole conquistare la Terra. Di innovativo in Daimos bisogna anche citare come il robottone è il primo i cui movimenti seguono quelli del pilota: entrando in contatto col mecha attraverso dei cavi, Kazuya assume letteralmente il totale controllo del mezzo, usando le sue mosse di arti marziali come arma contro il nemico. Nessun segno dei classici cinque piloti e dei mezzi componibili, questa volta tralasciati e in attesa di venire ripresi nelle prossime serie di Saburo Yatsude. Il proficuo sodalizio tra Toei e Sunrise proseguirà ancora (ad esempio l'anno successivo con Daltanious il robot del futuro), ma è con questi tre titoli che fa il suo ingresso nella Storia, tanto che i tre verranno legati insieme dal prestigioso appellativo di Trilogia robotica-romantica. Nel 1978, comunque, il titolo più importante e iconico (soprattutto in Italia) rimane L'imbattibile Daitarn 3. Con il suo protagonista tamarro, le atmosfere che strizzano l'occhio a James Bond e le incredibili, buffe espressioni che assume il viso del robot che dà il titolo all'opera, come fosse un essere umano, il nuovo parto di Sunrise e Yoshiyuki Tomino rappresenta la prima, storica parodia d'autore (in contrapposizione con quella infantile delle Time Bokan) del genere, pienamente degna di splendere nel suo periodo di "rinnovamento" nonostante la sua totale assenza di continuity e la ripetitività delle situazioni (dovute principalmente alla natura comica dell'opera). Si tratta di una stimolante riflessione - si può quasi parlare di meta-animazione - che dissacra meccanismi e cliché proponendo personaggi buffi e spacconi, atmosfere ilari e il rovesciamento di tutti i luoghi comuni con cui intere generazioni di spettatori sono cresciute. Daitarn 3 è la storia di Haran Banjo e delle sue sexy aiutanti, novelli giustizieri armati di gadget avveniristici degni di 007, che in ogni episodio scongiurano i tentativi di invasione della Terra da parte dell'esercito cyborg dei meganoidi. Quaranta episodi ricchi di trovate comiche, acrobazie dalla fisica improbabile, avveniristiche soluzioni grafiche e siparietti che mettono alla berlina i più famosi rituali del robotico (il robottone che si assembla male, i nemici che non vogliono aspettare la solita sequenza di agganciamento, personaggi di terza categoria che guidano il Daitarn etc). Non ancora pago, nonostante l'opera di parodia Daitarn 3 può permettersi anche un twist finale brillante e serioso, che ribalta completamente le posizioni di buoni e cattivi: idea sicuramente in linea con l'intento "dissacratore" dell'opera, ma anche assaggio della poetica della difficoltà di comunicazione tanto cara al regista. Questo, tuttavia, è anticipabile già dalle originali caratterizzazioni di eroi e villain, con Haran Banjo che spesso dimostra un cinismo e una mancanza di pietà assoluti verso i suoi avversari, mentre questi si dimostrano talvolta più umani di lui.

Dopo il successo che coltiverà tardivamente Mobile Suit Gundam (1979), niente sarà più lo stesso: alto budget, chara design di Yoshikazu Yasuhiko (grande pittore prestato all'animazione, già dietro i disegni di ReideenCombattler V e Zambot 3), storia estremamente adulta (nonostante il target dichiarato di bambini) ed enormi ambizioni. Protagonisti di quella che diventa una vera e propria rivoluzione culturale sono ancora Sunrise e Yoshiyuki Tomino, che con Gundam ipotizzano un conflitto civile, la "Guerra Di Un Anno", che scoppia tra la Federazione Terrestre e il Principato di Zeon, quest'ultimo una colonia spaziale che vuole l'indipendenza dal pianeta d'origine: una battaglia dove non esiste più la banale contrapposizione buoni/cattivi o terrestri/invasori, ma dove invece tutti, federali e zeoniani, sono vittime della violenza; dove gli eroi, così come gli infami, combattono da entrambe le parti, e in ogni schieramento si lotta solo per sopravvivere, per la famiglia, per gli amici. Protagonisti del conflitto sono l'eroe federale Amuro Ray e la sua nemesi zeoniana Char Aznable, destinati ad affrontarsi ripetutamente diventando, in Giappone, tra i personaggi animati più popolari di tutti i tempi, in particolar modo il secondo grazie alla trovata - sicuramente da romanzo d'appendice - di celare la sua misteriosa identità dietro un'elegante maschera. Impossibile, comunque, rendere in poche parole la forza espressiva della storia, che tra messaggi antimilitaristi, personalità splendidamente scolpite, dialoghi di ferro e riflessioni mature sui problemi di comprensione tra gli uomini, traccia memorabili storie di formazione dei vari elementi del suo cast, giovani civili improvvisatosi soldati per vivere che, in mezzo agli orrori della guerra, forzano le tappe della maturazione diventando presto uomini. Importante e simbolico soprattutto il percorso dell'eroe Amuro, reietto disgustato dai rapporti sociali e dalle dinamiche del mondo adulto, chiuso nella sua stanza dietro a computer, attrezzature tecnologiche e altri feticci, trastulli per riempire le sue giornate isolandosi dal mondo. Una figura, la sua, di proto-otaku, triste categoria sociale che in Giappone ha grave diffusione negli anni '80 e finisce nuovamente sotto i riflettori nel 1995 con un'altra opera animata di uguale importanza e notorietà. Al di là di tutte le chiavi di lettura, la storia di Gundam rilancia non solo il genere robotico ma addirittura l'animazione tout court, privilegiando l'espansione, episodio dopo episodio, di una trama massiccia e intricata, preambolo a una conseguente, serratissima continuity che rende impossibile seguire bene la storia senza aver visto tutte le puntate. Tomino inaugura un nuovo stile di racconto, che continuerà a perseguire nelle sue opere successive fino a creare un'influenza su cui l'industria animata non potrà più soprassedere.

 Una serie rivoluzionaria e pressoché inscindibile dalla cultura giapponese: Gundam (1979)

Nel suo genere, ancora, Gundam teorizza l'idea del Robot realistico o Real Robot: i mecha, precedentemente eroi meccanici alti 30 metri, votati alla giustizia e dal look estremamente spettacolare, ora sono semplici macchine belliche, sobrie e verosimili, prodotte in serie dall'esercito e considerate alla stregua di un aereo o carro armato. Il fattore estetico non è rilevante (celebre una scena dell'episodio 42, che vede Char prendere in giro due tecnici che non vogliono fargli usare in guerra il prototipo volante dello Zeong perché - ragioniamo sul significato della frase - gli mancano le gambe) e le unità sono tranquillamente, all'occorrenza, sostituibili da altri modelli identici. La scelta di non fare più urlare in battaglia il nome delle armi usate è l'atto finale dello sconvolgente atto di smitizzazione del mecha tradizionale, pronto ad assumere la denominazione, dopo Gundam, di Super Robot. Questa dissacrazione si spiega pensando al soggetto originale di Tomino che neanche contemplava i robot, aggiunti solo su insistenza del produttore (la marca di giocattoli Clover): una prassi che si ripeterà in molte altre opere dell'artista, portando spesso a feroci diverbi tra lui, Sunrise e gli sponsor nell'ambito di coniugare le sue finalità artistiche con quelle commerciali. Sempre queste dinamiche spiegano alcuni meccanismi tecnologici decisamente inverosimili e incoerenti come il G-Armor, destinati comunque a essere rinnegati successivamente. In ambito di irrealismo è invece  doveroso citare l'invincibilità e superiorità bellica, per esigenze di copione, del robot guidato da Amuro, il Gundam RX-78: i veri Real Robot, i primi ad apparire in televisione, sono le unità-tipo zeoniane e federali, ossia gli Zaku e i GM, bisognerà attendere ancora qualche anno prima che anche l'unità principale diventi davvero "realistica". Nonostante la sua potente carica di originalità e la rivoluzione che attua nel genere, Gundam risulta in quell'anno comunque troppo avveniristico, trovando un riscontro di pubblico estremamente ridotto (gli episodi previsti, 52, scendono a 43 per le deludenti vendite di modellini e il basso share): solo in anni successivi avrà modo, grazie al passaparola degli appassionati e ai tre lungometraggi riassuntivi, voluti da Tomino stesso, di coltivare quel successo galattico che cambierà profondamente i canoni con cui concepire l'animazione. Nel 1979, visto lo scarso successo e diffusione di Gundam, le nuove produzioni robotiche lo ignoreranno completamente proseguendo per la loro strada, per quanto le storie iniziano gradualmente a scoprire una continuity sempre più marcata. Per quello che riguarda l'Italia, curioso quanto criminale l'arrivo di Gundam nel cuore degli anni '80: tramesso una sola volta dopo che sono stati pagati i suoi diritti, le sue repliche saranno invece tutte illegali, portando Sunrise, scoperto il fatto, a sanzionarci pesantemente con un vero e proprio embargo dei suoi titoli di punta fino al 2000, anno della riappacificazione. Sarà questo "buco nero" a generare una certa "ignoranza" sull'argomento al pubblico italiano, pronto a reputare qualsiasi titolo mecha come ancorato alla tradizione degli anni '70 e a salutare come "rivoluzionario" un titolo-cult del 1995 come Evangelion che, nonostante il suo comunque innegabile valore, si fa già carico di tutte le innovazioni strutturali del decennio precedente a noi negate.

Del 1979 vale la pena citare anche Gordian, debutto al mecha design in veste di titolare di un giovanissimo Shoji Kawamori, destinato a diventare uno dei mostri sacri del genere nel decennio successivo (sopratutto con una certa opera cult del 1982). Ma la serie tv della Tatsunoko è un robotico interessante e piacevole anche per altri motivi. Ad esempio per un'interessante ambientazione western, la prima del genere, che vede succedersi svariati cambi di scenario; per l'inedita trovata dei tre eroici robot che nell'immancabile sequenza di agganciamento si uniscono l'uno dentro l'altro come una curiosa matrioska (mecha tutti e tre guidati da un solo pilota, il protagonista, che li muove in modo telepatico), ma sopratutto per i suoi temi suggestivi che saranno ripresi in tantissime produzioni future, tra energie aliene senzienti, antiche civiltà perdute che lasciano armi avanzate in grado di distruggere il mondo, profezie sulla fine del globo e antichissimi culti religiosi sopravvissuti e praticati nell'era presente che mirano a scombinare la società.

Seconda parte del dossier: Macross e i suoi successori (1980-1989)

13 commenti:

Glauco Silvestri ha detto...

Mmh... Credo che la saga Nagaiana sia stata liquidata con un pochino di superficialità. In primis Mazinga Z, Grande Mazinga e Goldrake fanno parte di un unico progetto. I personaggi dello Z riappaiono anche nelle successive (Alcor non è altro che Koji). Non è stato detto nulla sullo studio delle personalità dei piloti, tutti orfani, con carattere ribelle e asociale e che trovano la propria pace interiore solo con il sacrificio ultimo per salvare la Terra. Bisogna ricordare che Mazinga Z viene addirittura distrutto nell'ultima puntata (nessun altro super robot farà quella fine sino a Gundam) e, solo l'apparizione del Grande Mazinga permette a Koji di salvarsi da morte certa. E sarebbe anche carino dire che la riparazione di Mazinga Z, alla fine del Grande Mazinga, permetterà finalmente di sconfiggere gli avversari nell'ultimo episodio di GM.
L'originalità di Goldrake, il suo arrivo sulla Terra ne scatena la minaccia da parte di Vega e, allo stesso tempo lui è anche l'unica difesa possibile... visto che i Mazinga sono troppo danneggiati per poter combattere (vengono addirittura messi in un museo!!).
Manca lo scandalo che causò Goldrake, primo cartoon dove i personaggi morivano veramente, dove la violenza e tale da convincere l'associazione dei genitori a muoversi per far chiudere la trasmissione.
Manca poi Jeeg Robot d'Acciaio, ripetitivo, è vero, ma originale nel mecha e con grandi richiami alle mitologie classiche greche (già toccate da Mazinga Z).

Avrei inoltre citato Astroganga (1972), che è l'evoluzione diretta da Tetsujin 28 e, potrei sbagliarmi ma, credo sia venuto prima dei Nagaiani. Poi, come non citare Astroboy (1952), piccolino ma tosto quanto i giganti d'acciaio; credo di meriti pure il titolo di precursore di qualunque cartoon robotico.
E visto che cito Astroboy, devo per forza inserire Kyashan, androide... storia toccante e al contempo violentissima.

Jacopo Mistè ha detto...

Grazie per il tuo esauriente post Gloutchov, passo con calma a rispondere ai tuoi dubbi.

Il dossier è espressamente dedicato ai robottoni giganti che tutti conosciamo e alla loro evoluzione, per questo ho voluto evitare qualsiasi riferimento a Tetsuwan Atom e Kyashan, semplici cyborg: sennò, nella restante parte di dossier avrei dovuto anche parlare dei vari Ghost in the Shell etc, che per quanto celebri non ci azzeccano nulla col genere puramente mecha di riferimento.

Astroganga ha rischiato di diventare il primo Super Robot della Storia, ma Mazinger Z lo ha anticipato di 2 giorni (primo ep di Astro 4 ottobre 1972, la creatura di Nagai il 2 XD).

Ancora, che Grande Mazinger e Grendizer sono seguiti di Mazinger Z l'ho specificato nella frase "Tra le varie fotocopie, meritano menzione sicuramente le altre ideate da Nagai: Il Grande Mazinger e Ufo Robot Grendizer (primo robotico in assoluto ad arrivare in Italia, di un successo strepitoso anche a fronte di una notorietà non certo eclatante in patria), veri e propri sequel di Mazinger Z".

Stare a descrivere approfonditamente i caratteri dei personaggi delle storie o gli approfondimenti della loro trama esula dalla finalità di questo articolo, che vuole semplicemente trattare della innovazioni portate al genere dai suoi rappresentanti più noti.

Le varie serie di Nagai sono di grande importanza perchè hanno codificato i tratti che assumerà il genere per tutti gli anni 70, nè più nè meno. Che poi al posto di invasori extraterrestri ci sia il popolo di Mikene, o che appaioni tratti mitologici non cambia la sostanza delle cose, riassunta dalla frase: "Uno schema, quello di Mazinger Z, talmente semplice che diverrà la norma in tutte le produzioni robotiche fino alla fine degli anni '70. Largo quindi a eroi e antagonisti macchiette, i primi senza né macchia né paura, i secondi invasori cattivissimi (terrestri o alieni, non è importante), e, sopratutto, spazio al canovaccio narrattivo tokusatsu o "mostro della settimana", ripreso dai sentai (i telefilm coi super eroi mascherati), che per almeno 15 anni paralizzerà, appunto, le sceneggiature degli anime robotici."

Per concludere, salvo casi ed eclatanti (ad esempio la ridicola saga di Robotech, il falso mito di Evangelion, l'embargo che ci ha fatto Sunrise per colpa della trasmissione pirata di Gundam) ho voluto evitare, nella trattazione del dossier, riferimenti al suolo italico, che non ha nulla a che spartire con quella che è una Storia unicamente nipponica.

Sperando che continuerai a seguire con interesse lo speciale, un saluto :)

Davide Mana ha detto...

Eccellente pezzo.
Il discorso robottoni è lungo e articolato.
Segnalo un assente interessante, quel Goshogun/Gotriniton (1981, quindi proprio al limite della vostra finestra temporale), arrivato qui da noi quasi di straforo, e che ha tutta una serie di caratteri ibridi - dal misticismo sottotraccia alla teoria della cospirazione, passando per la parodia e l'autoparodia.
Ne venne anche tratto un lungometraggio animato, Goshogun: Etranger (se ben ricordo), che deraglia l'intera azione in un setting onirico/noir piuttosto suggestivo.
La serie si segnala anche per il fatto di essere l'unica - io credo - in cui alla fine buoni e cattivi diventano amici (ed ai cattivi, in effetti, và decisamente meglio che ai buoni).

Comunque, ancora un applauso per l'ottimo pezzo.

Simone Corà ha detto...

@ Glauco: grazie per l'intervento, ma come ha scritto il mio compare, non potevamo soffermarci così a lungo sulla saga Nagaiana. Per il resto, Jacopo ha detto tutto, non saprei aggiungere altro. :)

@ Davide: grazie per i complimenti! :-D E grazie per la segnalazione, ne teniamo sicuramente da conto magari per inserirlo in extremis, vediamo cosa dice il Mistè. :)

Jacopo Mistè ha detto...

@Davide: grazie per i complimenti e sopratutto per questa chicca.
Dell'anime che citi so pochissimo, anzi praticamente zero, l'unica cosa che ho trovato su wikipedia è che è si tratta di uno dei primi esempi di robotici che prendono in giro il genere. Avrebbe trovato spazio sul dossier se fosse stato il primo, ma quel posto è però occupato da Daitarn 3 :)
In ogni caso, non ora, ma in futuro cercherò di rimediarlo e vederlo (si tratta solo di 26 ep!), e se dovesse davvero rivelarsi la prima commistione tra robotico e noir puro (anticipando quel The Big O che già ho citato nella terza parte dello speciale) vedo certamente di farcelo stare dentro.

Grazie ancora e spero in altre critiche per le prossime puntate!

Davide Mana ha detto...

I complimenti sono meritati, quindi lasciamo perdere.
Su Gotriniton, aveva un ottimo livello qualitativo ed un paio di idee piuttosto buone.
I toni noir - per quel che ricordo - compaiono solo nello spin-off, che vede buoni e cattivi, anni dopo gli eventi narrati nella serie, alleati contro un misterioso personaggio che li vuole accoppare uno alla volta.

Comunque vale la pena dargli un'occhiata.

Simone Corà ha detto...

Sembra avere buone doti, allora, questo Gotriniton. Lo recupereremo sicuramente, prima o poi. :)

Gundamaniaco ha detto...

Senza offesa naturalmente, ma si capisce che questa recensione era una questione dovuta più che sentita davvero.
So che non era nelle intenzioni del recensore, ma in questo modo viene affrontato in modo un po' superficiale tutto un mondo e un'epoca che avrebbe parecchio da raccontare e non andrebbe liquidata con un semplice "riassunto di un periodo".
Similmente, perchè nessuno fa mai un dossier dell'animazione giapponese dagli anni 2000 a oggi?
Giusto per una questione di par condicio. :D
(e anche perchè secondo me i maestri VERI dell'animazione pullulavano all'epoca dei robottoni, più che oggi).
Insomma, secondo me questi sono un po' i limiti dell'ambizione di voler recensire TUTTA l'animazione in generale, a prescindere dai propri gusti personali.
Non so voi, ma io da un po' di tempo sono giunto alla conclusione che se nessuno mi paga per occuparmi di che non mi piace, forse è meglio se gratuitamente mi occupo solo di cio che più mi piace. ;)

Jacopo Mistè ha detto...

Ma se qualcuno mi pagasse per scrivere io sarei anche contento, peccato che io faccia tutto questo a titolo assolutamente gratuito. Sono un appassionato, non un critico. Mi fai tu da sponsor? :)

Con questo dossier ho semplicemente voluto scrivere un mini-saggio, alla portata di tutti, che illustri il percorso che ha portato l'animazione robotica a partire da Tetsujin 28 per evolversi in Gasaraki e Gurren Lagann (le summe di Real e Super Robot).

Non ho alcuna finalità di analizzare tout court l'animazione robotica nel suo complesso (sarebbe un lavoro improponibile), ma solo i titoli considerati fondamentali per spiegarne l'evoluzione, la maturazione. Sotto questo (unico) punto di vista ritengo di aver fatto un lavoro soddisfacente, pur essendo sempre disponibile a integrare con altri titoli che mi suggerite qualora mi informi e scopra che effettivamente sono titoli davvero imprescindibili. ;)

Jacopo Mistè ha detto...

PS Comunque se vuoi ci si può scrivere direttamente su animeclick, si discute anche lì :)

Gundamaniaco ha detto...

Rispetto il tuo punto di vista, ma ribadisco che scrivere un bignami di un periodo storico così importante per me ha poco senso.
Dal testo traspare chiaramente che chi scrive la recensione è poco ispirato e molto annoiato dal filone in questione.
Per questo motivo ho rilanciato la proposta di creazione di un riassunto similare anche per l'animazione giapponese dal 2000 ad oggi (che sia per filone o meno è ininfluente).
Sono convinto che non lo faresti perchè sarebbe troppo limitante.
E il concetto è lo stesso per l'animazione robotica storica: ritengo troppo limitante e poco utile un riassunto simile.

Comunque questo è solo il mio punto di vista, alla fine siete sempre liberissimi di agire come meglio credete, e so che agite solo per migliorare il sito. Però il mio consiglio è di scrivere solo quando siete ispirati, altrimenti si capisce quando non lo siete. :)

Jacopo Mistè ha detto...

Ti ringrazio per la tua schiettezza gentile, in molti avrebbero da imparare.

Mi spiace solo che traspaia ai tuoi occhi una mia generale apatia o insufficienza verso il genere, perchè io il robotico lo amo, è solo che a quello anni 70 proprio non riesco ad appassionarmi (si torna al discorso iniziato su Zambot 3) per quegli schemi narrativi ridondanti. Sempre dei Seventies ho visto poco e per questo non ho scritto moltissimo, anche se, a puro scopo divulgativo (come s'è prefissato questo dossier) dovrei aver scritto cose tutte vere, al limite potevo approfondire un po' ma certo non sto facendo disinformazione.

Rimango aperto a ogni critica e consiglio per poter aggiornare sempre meglio questo articolo, basta solo che non venga mai la sua finalità puramente divulgativa (e in questo caso non posso prescindere dal semplice "accennare", altrimenti se vado oltre si perde il filo del discorso).

Comunque la tua idea sull'animazione robotica del primo decennio del 2000 non è male, non ho visto tutto ma un vandemecum generale su cosa è imperdibile e cosa no si può anche fare...

Ultima cosa: la tua critica sulla mancanza di ispirazione nello scrivere è basata sulla prima parte del dossier o contemplandolo tutto? Perché mi sembra di essere stato molto più esaustivo, ad esempio, nella parte che riguarda gli anni Ottanta... Giusto per sapere ;)

Gundamaniaco ha detto...

Di nulla. :)
Personalmente sono contrario ai dossier così generici e dispersivi. Non basterebbe un libro talvolta.
Faresti mai un dossier sul cinema americano di fantascienza dalle origini fino ad oggi?
Ti sobbarcheresti una simile responsabilità con il rischio di affrontare l'argomento in modo qua e là superficiale?
Sinceramente io non lo farei mai. Anche perchè non ho la presunzione di conoscere TUTTO di un argomento tanto vasto.
Il rischio secondo me sta proprio qui, nel trasformare un approfondimento in un banale "elenco" di titoli.
Lo so che l'animazione robotica anni '70 vista oggi risulta ripetitiva e anacronistica, e proprio per questo motivo è meglio che la recensisca qualcuno che l'ha vissuta, che sia affezionato a quel periodo, se non si vuole rischiare di essere superficiali.
Fallo fare a Davide, che è afferrato sull'argomento ed è più vecchio. ;)

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