lunedì 8 novembre 2010

Recensione: Alien Defender Geo-Armor Kishin Corps

ALIEN DEFENDER GEO-ARMOR KISHIN CORPS
Titolo originale: Kishin Heidan
Regia: Kazunori Mizuno, Takaaki Ishiyama
Soggetto: (basato sul romanzo originale di Masaki Yamada)
Sceneggiatura: Yoshiki Tanaka, Megumi Sugihara
Character Design: Masayuki Goto
Mechanical Design: Takeshi Yamazaki, Koji Watanabe
Musiche: Kaoru Wada
Studio: Ginga Teikoku
Formato: serie OVA di 7 episodi (durata ep. 34 min. circa)
Anni di trasmissione: 1993 - 1994


Seconda Guerra Mondiale, zona orientale del conflitto. Da anni, una misteriosa razza aliena combatte contro i terrestri per motivi apparentemente ignoti: non ha importanza che siano forze alleate o dell’asse, gli alieni precipitano letteralmente dal cielo, armati fino ai denti, e uccidono chiunque respiri. Durante un viaggio in treno con la famiglia, il giovane Daisaku scampa prima a un assalto nazista e poi a un attacco alieno: salvato da un gruppo specializzato, i Kishin Corps, scopre che suo padre custodiva un prezioso manufatto marziano, ricercato da entrambi gli schieramenti. Ormai orfano, Daisaku si allea con i Kishin Corps sperando un giorno di pilotare gli enormi mecha di cui dispongono per fermare i nazisti e respingere gli alieni.

La Seconda Guerra Mondiale è sempre stata terreno fertile per intrusioni soprannaturali, orrorifiche e sci-fi, uno scenario storico ideale, pur nella sua atrocità, per architettare storie dal fascino unico, impareggiabile, imprevedibile. Alien Defender Geo-Armor Kishin Corps (1993) è ambientato nei primi anni del conflitto, ma non sfrutta soltanto la guerra per creare un intreccio sci-fi con alieni crudeli e arditi piani hitleriani per farseli amici e da lì dare il via alla conquista del mondo, bensì poggia solidissime base su un impianto steampunk estremamente suggestivo, con robottoni giganteschi tanto improbabili quanto affascinanti, che rubano lo schermo per mezzo di macchinari colossali e ghiottissime botte da orbi.

L’ambientazione e gli elementi di contorno sono il primo aspetto a stregare: non un classico campo di battaglia, non l’Europa cuore del conflitto, ma – d’altronde si parla di anime – il Giappone e luoghi limitrofi, quando l’orrore del nazismo doveva ancora esplodere in tutta la sua violenza. A rendere ancora più particolare questo scenario è la creazione di una manciata di villain che gonfiano la loro crudeltà per mezzo di acconciature assurde, mantelli tenebrosi simili ad ali di pipistrello e ideologie destrorse che mitizzano il nazismo, forse anche un po’ infantilmente, come essenza del male puro e non come supremazia ariana.


A colpire, successivamente, è la raffigurazione degli alieni, creature antropomorfe ma prive di ossatura, capace di modellarsi a piacimento e assorbire i tessuti umani, che non appaiono mai a bordo di astronavi né sparano avveniristici raggi laser, ma cadono dal cielo come pioggia e sforacchiano gli umani con mitragliatrici dell’epoca. Non particolarmente innovativi sotto un mero aspetto visivo/organico, ma davvero insoliti nel loro precipitare al suolo, dopo essere stati annunciati da un cielo che muta in un minaccioso rosso violaceo, privi di qualsiasi paracadute o diavoleria aliena. Infine, largo spazio ai mecha, tre enormi robot (uno di terra, una di aria e uno di acqua) più un quarto perennemente in costruzione, veri e propri colossi di metallo e ingranaggi, che si muovono lentamente, a scatti, che nonostante la mole possono subire facilmente danni ingenti e necessitare di lungo tempo per le riparazioni. Più credibile il mezzo di terra (davvero grosso e privo di agilità) che gli altri due (forse un po’ troppo avanzati, a dispetto dell’origine aliena), ma in generale, nel tono un po’ farsesco ed esagerato dell’opera, funzionano benissimo e altrettanto bene prendono parte a battaglie maestose, lunghe, appaganti scazzottate robotiche.

Dipanata su sei episodi da mezz’ora più uno, quello iniziale, da sessanta minuti, la trama di Kishin Corps non mostra particolari scossoni narrativi o idee che enfatizzino le splendide basi di partenza, ma si assesta su binari sicuri, con buoni da una parte e cattivi dall’altra, sfrutta alcune figure realmente esistite, Eva Brown e Albert Einstein, inserendole nel cast dei protagonisti, e dà più che altro vita a un crescendo di scontri robotici, contornati da una sfavillante, sentita OST. Ne esce una storia apparentemente complessa ma in realtà piuttosto semplice e lineare, molto piacevole da seguire, se non altro per la crescita dei personaggi e per il ruolo di Daisaku, che, sebbene star principale, non si metterà subito alla guida del mecha più cool come spesso accade negli anime robotici, ma resterà quasi sempre in disparte, limitandosi a usare armi secondarie e a rodersi il fegato per essere troppo piccolo e non un adulto come i piloti. Assai curioso il chara di Masayuki Goto, che disegna personaggi maschili e femminili con spalle larghissime e vitini non più grossi di un polso, per poi seppellirli sotto capigliature impossibili. Stravagante al primo impatto, l’occhio si abitua presto e, anzi, è giusto riconoscergli la corretta visione caricaturale, necessaria per i toni esaltati della serie.


L’incantevole contesto steampunk è in definitiva il pregio maggiore di questo OVA non sensazionale ma godibilissimo, una visione pertanto consigliata, soprattutto a chi ha amato Giant Robot (1992) a cui Kishin Corps sembra rifarsi in più di un’occasione.

Voto: 7 su 10

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