mercoledì 5 ottobre 2011

Recensione: Shi Ki

SHI KI
Titolo originale: Shi Ki
Regia: Tetsuro Amino
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Fuyumi Ono & Ryo Fujisaki)
Sceneggiatura: Kenji Sugihara
Character Design: Shinji Ochi
Musiche: Yasuharu Takanashi
Studio: Daume
Formato: serie televisiva di 22 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2010


Nello sperduto villaggio di montagna di Satoba, in un antico castello che lo domina dall’alto di una collina, si trasferisce la famiglia Kirishiki, particolarmente strana e vista con leggero sospetto dagli abitanti del posto. Nello stesso momento iniziano ad accadere una serie di morti improvvise: il dottor Ozaki crede si tratti di un’epidemia che impedisce all’apparato circolatorio delle vittime di funzionare correttamente, ma presto si renderà conto, assieme all’amico Sishin, sacerdote del locale tempio buddista, che la minaccia è ben diversa e assai più pericolosa…

La recente moda vampirica che ha investito narrativa e cinema sembrava aver vinto contro una delle figure simbolo del fantastico, piantando un paletto di frassino dietro l’altro e polverizzando il fascino orrorifico di un paio di canini sporgenti: così genuino, in tempi passati, nella sua inquietudine millenaria e così falso, adesso, in queste ridicole vesti adolescenziali, credevo senza speranza di resurrezione un personaggio ormai tanto insopportabile e inopportuno. È quindi davvero incredibile vedere come, di fronte a un anime come Shi Ki (2010), il vampiro, visto in una delle sue più classiche rappresentazioni (vago aspetto nobiliare, necessità di sangue per nutrimento, fragile immortalità, sensibilità a luce del sole, croci e aglio), risulti ancora estremamente suggestivo se dotato di quegli aspetti che per anni e anni il genere horror puro ha forgiato per lui. Ma non è certo soltanto l’uso di una figura leggendaria, sapientemente resuscitata per l’occasione, che fa di Shi Ki un anime tanto interessante, seppur bizzarro e non del tutto riuscito: è infatti un insieme di atmosfere drammatiche e sanguinose a modellare una storia che pensavo nessuno fosse ancora in grado di scrivere, per certe sensibilità e attenzioni, nel post-2000.

Basato sui romanzi di Fuyumi Ono e soprattutto sul successivo manga di Ryu Fujisaki (pubblicato in Italia da Star Comics), a loro volta ispirati da Le notti di Salem (1975) di Stephen King, dal primo eredita la straordinaria cappa d’inquietudine e di orrore primordiale impossibile da affrontare, mentre dal secondo un chara design che si mostra sia come pregio che come uno tra i difetti maggiori dell’opera: la singolarità visiva è infatti facile metro di riconoscimento e di ovvie, positive chiacchiere utili a lanciare e rilanciare commercialmente la serie, ma una scelta espressiva così stramba fa pagare sicuramente dazio a una storia troppo cupa per sopportare simili volti e vestiari. I personaggi di Shi Ki sfoggiano infatti visi estremamente appuntiti e seghettati, quasi caricaturali nel tratto secco di menti e occhi, acconciature talmente impossibili da risultare ridicole (capelli lunghissimi che si evolvono come rami di un albero, trecce tipiche di certa animazione anni 70, barbe così lunghe e articolate da sembrare fiamme che ardono) e colori così forti e sgargianti che il rischio di una disintegrazione dell’oscurità di cui è farcita l’opera, soprattutto all’inizio, è forte e comprensibile, in particolar modo se non si ha la pazienza di continuare la visione e farsi quindi un’abitudine a un impatto visivo bislacco e spesso fuori luogo.


La potenza atmosferica, così plumbea, terribile e disorientante, non viene fortunatamente mai meno e l’ostacolo dei disegni viene presto superato quando, dopo una manciata di episodi, si rimane catturati dalla misteriosa epidemia che colpisce questa cittadina circondata dai boschi e isolata dal resto del mondo. Shi Ki evita infatti di esplorare il lato potenzialmente più action di una storia facilmente definibile come umani vs vampiri, ma si concentra con dovizia di particolari sul dramma vissuto dagli abitanti della città, sia quando la presenza vampirica è a malapena sospettata, sia quando l’orrore esplode in tutto il sanguinolento contributo. Il numerosissimo cast permette quindi una sufficiente introduzione psicologica e un relativo e spregevole gioco sull’affetto provato: vengono infatti introdotti molti personaggi che, pur scarsamente caratterizzati e differenziati l’uno dall’altro, riescono a impietosire lo spettatore nell’incessante serie di decessi che si sussegue. Shi Ki deve gestire una trentina di volti ed è chiaro che il lavoro qualitativo non può essere costante per tutti, né per l’intera serie, (alcuni personaggi, che sembrano importanti, spariscono infatti poi per riapparire giusto qualche volta). È quindi il pugno di protagonisti a emergere, non tanto per le rispettive personalità (poco sfaccettate nonostante la buona tridimensionalità caratteriale), bensì per l’umanità che traspare dalle loro azioni: il silenzio di Natsuno che troverà spiegazione nella parte conclusiva, la tenacia del dottor Ozaki, la forza dei due fratellini che per primi scoprono cosa sta succedendo.

Non abbiamo quindi a che fare con un grande lavoro psicologico, ma Shi Ki gioca bene le sue carte soprattutto nelle occasioni in cui la trasformazione umano/vampiro permette di accrescere una componente drammatica già di suo molto tragica: chi viene morso non diventa infatti un succhiasangue forzatamente mostruoso e assetato di sangue, ma conserva sentimenti e fragilità umane che lo schiacciano con paura, angoscia, dolore, repulsione per se stessi. Ne consegue che il rapporto good/evil, dapprima apparentemente solido e irremovibile, viene continuamente confuso e infine del tutto cancellato dalla teatralità con cui viene condotta la storia. Storia che, è bene dirlo, necessitava di un maggior lavoro per confezionare una giusta sospensione all’incredulità, spesso infranta prima di tutto dal troppo tempo richiesto ai cittadini per rendersi conto di cosa stia veramente accadendo (passano mesi, costellati da decine e decine di morti, in cui nessuno sospetta davvero che ci sia qualcosa di sbagliato dietro tutto), in secondo luogo dalla mancanza di polizia e/o stampa che si rechino sul luogo per indagare sui decessi, e in terzo dalla relativa pericolosità della famiglia coi canini appuntiti, ancestralmente esagerata nella prima metà e praticamente assente nella seconda. Non sono difetti da poco, hanno una certa responsabilità nella mancata creazione di una città davvero credibile, ma, così come accade per il chara, passano clamorosamente in secondo piano proprio grazie a una magistrale tensione drammatica, sottolineata tra l’altro dall’inquietante e dolorosa OST.


Ed è proprio questa tensione drammatica a esplodere nella parte conclusiva quando i cittadini finalmente si svegliano e cominciano a dare la caccia ai vampiri. Lo splatter diventa motore principale di quest’ultima manciata di puntate, con geyser di sangue, teste spappolate, arti amputati e corpi bruciati, ma ancora una volta il registro teso e tragico ammorbidisce i toni esagerati rendendoli quasi necessari, come fossero uno sfogo disperato di ogni singolo personaggio, per aumentare ancora di più un dramma ora infarcito di cadaveri e lacrime.

Voto: 7,5 su 10

4 commenti:

Acalia Fenders ha detto...

A me Shiki non è piaciuto moltissimo.
Gradevole per una visione senza pretese ma nulla di più.

I personaggi sono veramente appena abbozzati e sopratutto le loro reazioni sono troppo insensate. Muore mezzo villaggio (giovani e bambini compresi) e nessuno se ne preoccupa (tranne il dottore), continuando a vivere normalmente.
Il dottore indaga e con prove abbastanza limitate li convince che si tratta di vampiri per cui massacrano senza remore la signora e poi scoppia la violenza più becera possibile. Gli stessi abitanti del villaggio uccidono (per la seconda volta) senza troppe remore amici e parenti. Senza un minimo di patema d'animo, nella più totale indifferenza (la tipa che mangia l'onigiri con le mani sporche di sangue è il top).

A questo punto mi sarebbe almeno piaciuto vedere come giustificavano quel macello alle autorità ma la serie si conclude sul più bello.

Per non parlare del prete poi, assolutamente insopportabile (speravo morisse) ^^

Simone Corà ha detto...

Concordo bene o male con quanti dici, le reazioni degli abitanti all'orrore sono davvero impossibili: prima troppo superficiali, come fossero degli ebeti senza cervello, poi di colpo ammazzano tutti. E non è possibile nemmeno che polizia e stampa non si rendano conto di quanto sta succedendo, e mille altre improbobilità di cui parlo nella recensione.

Però viene creata un'atmosfera pazzesca, e una discesa nell'orrore davvero riuscitissima, elementi che, uniti alla colonna sonora, per me fanno comunque funzionare l'anime, e molto bene. Basta solo sopportare, o almeno provarci, le varie inesattezze. :)

Anonimo ha detto...

Concordo col Corà, ho trovato anch'io quegli stessi elementi di pregio. E' vero che comunque gli abitanti sono una manica di imbecilli, io ho pensato che si volesse sottolineare l'ingenuità campagnola del villaggio che tanto era criticata anche da alcuni personaggi (Megumi e lo stesso Natsuno). Nella violenza degli abitanti ho visto la difesa del senso dell'onore tipico dei giapponesi, un esempio eclatante sono le parole del personaggio con la barba assurda (di cui non ricordo il nome), che si rivolge sdegnato al figlio che si è reso complice dei vampiri. Infine, anch'io avrei ucciso il monaco sotto una schiacciasassi, solo per il suo lasciarsi trasportare dagli eventi come una foglia al vento.

Simone Corà ha detto...

Saretta, non mi ero accorto del commento! :-p

E allora io concordo con il tuo concordare con me: forse io non ho visto una vera e propria volontà del regista di sottolineare certi simbolismi (l'ignoranza e l'onore), non in un modo così inverosimile ed esagerato, ma d'altra parte mi sembra anche assurdo che a tanta esagerazione non sia stato dato il giusto peso. Probabilmente l'idea giusta sta nel mezzo. :)

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