lunedì 26 marzo 2012

Recensione: Flag

FLAG
Titolo originale: Flag
Regia: Ryousuke Takahashi
Soggetto: Ryousuke Takahashi
Sceneggiatura: Toru Nozaki
Character Design: Kazuyoshi Takeuchi
Mechanical Design: Kazutaka Miyatake
Musiche: Yoshihiro Ike
Studio: Ansa Studio, The Answer Studio
Formato: serie ONA di 13 episodi (durata ep. 30 min. circa)
Anni di trasmissione: 2006 - 2007


Nel 2006, sulla soglia dei settant’anni, non pago di aver già rivoluzionato la scena robotica con la lunga saga di Votoms, Ryosuke Takahashi ha ancora voglia di stupire e, soprattutto, è ancora in grado di reinventarsi, stare al passo coi tempi, modernizzarsi studiando le nuove correnti cinematografiche, assimilandole e amalgamandole con il suo unico stile di narrazione così denso e realistico. Sfruttando la tecnica del mockumentary, che proprio in quel periodo inizia a dilagare nel mondo della cinematografia horror, la strategia della guerra, la chirurgia nell’analisi dei conflitti, l’importanza dei dettagli psicologici e meccanici, la credibilità dei mecha acquistano così, con questo Flag (2006), un ulteriore tassello nella ricerca di una messinscena storica e sociale contestualmente verosimile. Takahashi non si limita però a un semplice found footage, con un montaggio di spezzoni che delineano quanto basta di storie solitamente semplici, dona bensì un approccio documentaristico molto approfondito e totalmente estraneo alle trovate sensazionalistiche tipiche del mockumentary, come camera traballante e voluta confusione nelle scene più concitate

Lo scenario creato da Toru Nozaki, che in passato ha già collaborato con Takahashi scrivendo il cult Gasaraki (1998), è infatti l’ideale per un reportage di denuncia sulla guerra che imperversa nel fantomatico stato di Uddiyana. Saeko Shirasu è una giovane fotografa divenuta famosa per aver scattato una foto a un gruppo di civili che hanno piantato una bandiera dell’UN, trasformata poi in un simbolo di unità e pace mondiale. Gli scontri che però tormentano l’Uddiyana distruggono presto il momento di quiete: la bandiera viene rubata, e il paese ripiomba nel caos. Ritrovare la bandiera diventa pertanto una missione fondamentale per ripristinare l'ordine, simbolicamente e letteralmente infranto, e Saeko viene invitata a seguire la squadra speciale, la SDC, inviata in Uddiyana. La scelta di una narrazione documentaristica non è perciò un mero esercizio tecnico, una sfiziosità visiva con cui esplorare nuove tecniche registiche e metterle alla prova in animazione. È in realtà uno strumento appropriato, meticoloso e completo per raccontare una drammatica storia di guerra attraverso un’inchiesta giornalistica come effettivamente e quotidianamente accade nei TG, una storia che, come ha sempre fatto Takahashi, romanza fatti di cronaca reali, in questo caso parlandoci della situazione politica del Tibet ambientando la storia tra le montagne di un ipotetico Afghanistan (con tanto di fondamentalisti religiosi).


Takahashi è sinonimo di lentezza, di atmosfera, di lunghe riprese dove i protagonisti discutono e conversano, e Flag, da questo punto di vista, non è da meno: l’azione è limitata a pochissimi momenti legati alle alcune incursioni battagliere dell’HAVWC, il mecha in dotazione alla SDC (realizzato con una CG raramente così realistica e di alto livello). La possente arma si trasforma infatti da carro armato a mezzo bipede, ed è dotata di un enorme cannone capace di sparare da incredibili distanze con notevole precisione, ma non si tratta di certo di un Gundam che si muove agilmente nello spazio, infatti l’HAVWC è massiccio e necessita di venire trasportato via aerea nelle zone di guerra. È facile quindi immaginare quanto, nonostante la presenza di un mecha, non si assista a sparatorie indiavolate e inseguimenti spericolati, bensì a prolungati momenti di riflessione psicologica e precise sessioni di strategie militari. Ma se l’uso della camera mobile dal punto di vista della protagonista, alla quale si aggiungono vari artifizi come foto scattate in rapida successione o sequenze di navigazione nella Rete, offre un certo dinamismo visivo nella costruzione della scena (grazie anche alle ottime e fluide animazioni di The Answer Studio e al chara piacevole di Kazuyoshi Takeuchi), non è mai subdolo congegno per giustificare l’accrescersi di tensione e inquietudine (come accade nei mockumentary horror), tutt’altro. Con questa scelta probabilmente Takahashi raggiunge una vetta di realismo ancora maggiore rispetto a Gasaraki, per certi versi il Robot Realistico definitivo, in quanto ogni scambio di battute, ogni parentesi interiore, ogni momento di pausa è motivato e paradossalmente potenziato dal taglio documentaristico grazie anche a una musica minimale e poco presente.

Con l’azione centellinata, la caratterizzazione dei personaggi è matura e ben approfondita, tanto che anche certe macchiette, come il soldato grande e grosso e buono oppure quello basso di statura e simpatico, appaiono ben delineate e sempre credibili. Alla stessa maniera, l’attenzione riversata nella costruzione dello scenario è spaventosa, con un Nozaki che si sofferma su ogni singolo dettaglio per offrire un quadro politico, religioso e sociale realistico e affascinante, ed è capace di rendere interessanti i lunghi calcoli militari, le discussioni sulle migliori modifiche da apportare all’HAVWC e anche i singoli istanti di riposo che si concede Saeko, il tutto arricchito da una trama parallela, dove un amico fotoreporter della ragazza indaga a sua volta sui massacri avvenuti a Uddiyana.


Come ogni opera firmata dalla regia di Takahashi, Flag non è per tutti, e nonostante la relativa breve durata (13 episodi) può rappresentare una visione pesante e ostica se non si ha la necessaria pazienza per comprendere, prima ancora della trama e di tutte le sue sfumature, il modo e la volontà con cui è stata creata l’opera. A parere di chi scrive è un lavoro bellissimo e di rara eleganza narrativa, ma per i semplici curiosi meglio avvicinarsi con cautela.

Voto: 8 su 10

ALTERNATE RETELLING
Flag: The Movie (2007; film)

3 commenti:

emilio ha detto...

Che dire? Coraggioso sia formalmente che come contenuto, ma mi è sembreato che non decollasse mai per davvero. Ai personaggi poi è come se mancasse qualcosa. Non ho visto Gasaraki, quindi non posso fare confronti. Ho visto però (grazie alle tue segnalazioni, tra l’altro) Votoms e Dougram, e li ho trovati lunghi (settanta e rotte puntate il secondo!) ma mai lenti. Questo per dire che non ho problemi con lo stile di Takahashi. Qui però qualcosa non mi convince. Tra l’altro (è un’obiezione che ho visto fare da altro in giro per il web) mi sembra che l’estremo realismo dello scenario e della messa in scena abbassi la soglia della sospensione dell’incredulità al punto tale che certi elementi della trama risultano incredibili. Mi riferisco all’importanza della bandiera (si può mettere una squadra con attrezzatura all’avanguardia a caccia di un pezzo di stoffa solo per fare buona figura? Non sarebbe più semplice produrre un falso?) e al coinvolgimento stesso dei mecha (che se ne fanno di mezzi antropomorfi? Perché non degli elicotteri o dei tank?). Dougram, dato il contesto diverso, in confronto risulta molto più realistico.

Jacopo Mistè ha detto...

Sono d'accordo con te in tutto.
Per me questa regia maniacalmente "documentarista" ha di fatto ucciso ogni senso di meraviglia, in Flag come in Gasaraki (la serie dove Takahashi ha inaugurato questo stile registico).

Reputo Gasaraki e Flag due mattoni incredibili, così fossilizzati su questa direzione iper-maniacale da dimenticare per strada il concetto di intrattenimento, offrendo personaggi freddissimi e zero voglia di proseguire nella visione. Personalmente dò 5 a entrambi, anche se posso comprendere come questa loro lentezza assassina sia in grado di attecchire verso chi cerca autorialità.

Simone Corà ha detto...

Io non ho visto autorialità (per me è ben altra cosa, tipo le cose di Hamasaki o di Yuasa), ma "solo" una precisa scelta narrativa, molto particolare e che, ovvio, può piacere o meno.

Ho adorato tanto Flag quanto Gasaraki (per quanto quest'ultimo sia un macigno) e li ho seguiti con molto più piacere rispetto a un Votoms, che ho trovato molto, molto più lento e pesante.

Poi, boh, mentre su Gasaraki alcune lacune sono più evidenti, ma rimangono comunque in disparte rispetto alla potenza della storia, in Flag mi è sembrato tutto abbastanza credibile e motivato, mecha e bandiera compresi (l'onore in guerra è ahimè qualcosa di troppo forte, in un modo o nell'altro). :)

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