DRAGON QUEST: LA GRANDE AVVENTURA DI DAI
Titolo originale: Dragon Quest - Dai no Daiboken
Regia: Nobutaka Nishizawa
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Riku Sanjo & Koji Inada)
Sceneggiatura: Junki Takegami, Kauhiko Godo, Yukiyoshi Ohashi
Character Design: Yasuchika Nagaoka
Musiche: Koichi Sugiyama
Studio: Toei Animation
Formato: serie televisiva di 46 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 1991 - 1992
Regia: Nobutaka Nishizawa
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Riku Sanjo & Koji Inada)
Sceneggiatura: Junki Takegami, Kauhiko Godo, Yukiyoshi Ohashi
Character Design: Yasuchika Nagaoka
Musiche: Koichi Sugiyama
Studio: Toei Animation
Formato: serie televisiva di 46 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 1991 - 1992
Il giovane Dai abita nell'isola Delmulin, interamente abitata da simpatici mostri con cui lui, unico umano, è in amicizia fin dalla tenera età. Dopo essere stato trasportato lì dalle onde del mare, ancora neonato, è stato amorevolmente allevato da una buffa creatura, nonno Brass, e oggi vive spensierato e giocoso insieme all'inseparabile Gome, un golden slime volante. È un periodo di pace per la Terra, dopo la terribile guerra in cui il Prode Guerriero e i suoi compagni uccisero Hadler, re del mondo demoniaco, ma sarà destinato a durare poco: dall'oggi al domani il diavolo è tornato in vita, risvegliato dal grande Satana Baan, e, con le sue minacciose armate di mostri, inizia un nuovo conflitto per soggiogare definitivamente il pianeta. Vedendo in Dai un talento grandioso e incredibile, soprattutto quando il ragazzo manifesta un potere sovrumano simboleggiato dal simbolo di un drago che gli appare in fronte, lo stesso eroe leggendario Aban, oggi un precettore di futuri prodi guerrieri, si incarica personalmente di addestrarlo...
Il mondo videoludico di Dragon Quest, ora che ha finalmente sfondato anche in occidente con la sua ondata di remake e nuovi capitoli (iniziata su Nintendo DS e PlayStation 2), ha rivelato a generazioni di nuovi videogiocatori la meraviglia delle sue splendide ambientazioni fantasy-medievaleggianti, delle musiche epiche e sognanti di Koichi Sugiyama, del bellissimo chara design di Akira "Dragon Ball" Toriyama e, in generale, dell'immersiva suggestione fiabesca della saga Enix. Anche se in precedenza i primi quattro titoli erano stati distribuiti in America sul vecchio NES (con l'opinabile titolo Dragon Warrior), è solo oggi che sono finalmente diventati cult anche "fuori casa": ai tempi che furono (la prima metà degli anni '90) non ricevettero infatti neanche la metà della mastodontica accoglienza che trovarono in Giappone (leggendaria quella del quinto episodio, La sposa del destino, che il giorno della sua uscita caratterizzò un negozio di Shinjuku di una coda pazzesca di persone lunga 12 km!1), Paese che, a dispetto della profonda ortodossia filosofica del brand di limitare al minimo i cambiamenti di gameplay da un capitolo dall'altro, li ha sempre acclamati con vendite sbalorditive (le cartucce dei primi cinque capitoli venderanno 13 milioni di copie2) che hanno spesso superato quelle del franchise-rivale per eccellenza - molto più amato in occidente - Final Fantasy. Del resto, parliamo della saga che ha di fatto, col primo capitolo del 1986, inventato il gioco di ruolo "alla giapponese" rappresentando l' "anno zero" del J-RPG: per generazioni di nipponici è stato il titolo che li ha fatti scoprire e li ha fatti innamorare di uno dei generi tutt'ora più amati per console.
Facile intuire che i mondi fantasy di Dragon Quest, con la loro ricca "mostrologia" e la varietà di magie e incantesimi, si prestavano idealmente a essere utilizzati per raccontare storie al di fuori dei videogiochi: è ormai un dato di fatto il corposo numero di serie TV, OVA, manga, romanzi e audio drama fioriti nel corso degli anni - molti dei quali hanno venduto tantissimo - che hanno arricchito quest'universo, che si trattasse di trasposizioni dei videogiochi, di side-story ufficiali o anche di vicende del tutto originali che prendevano giusto a prestito la "fauna" e la geografia dei giochi. La grande avventura di Dai (1991) è solo la seconda serie TV basata sul franchise (la prima è Dragon Quest - Legend of the Hero Abel, 1989), ma il manga, di cui è fedele trasposizione, è di importanza imprescindibile nel brand Enix. Le vendite dei primi videogiochi "esplodono" infatti - diventando poi fenomeno di massa - solo grazie al successo altrettanto enorme del fumetto di Riku Sanjo e Koji Inada3, serializzato tra il 1989 e il 1996 sulle pagine di Weekly Shounen Jump, che venderà un totale di 50 milioni di copie4 (a oggi il più grande best-seller cartaceo di Dragon Quest) pubblicizzando i giochi a milioni di lettori. Parliamo di sicuro di un buona opera, uno dei pochi esempi riusciti di storie a fumetti capaci di trasporre bene su carta la profondità di un gioco di ruolo, e in questo caso benissimo le atmosfere di Dragon Quest. Conosciuto anche in Italia grazie a Star Comics, La grande avventura di Dai è una storia di lungo respiro, che, come il mondo videoludico di appartenenza, mischia armoniosamente momenti epici e coinvolgenti con gag spensierate e allegre e personaggi simpatici, rinunciando a una trama esageratamente adulta o complessa per favorire un intreccio sufficientemente ricco di avvenimenti ma che procede in modo linearissimo, come un videogioco, in linea con i disegni altrettanto semplicistici e simil-toriyamiani (Koji Inada del resto fa parte degli assistenti dello Studio Bird del papà di Dragon Ball).
La (scontata) morte del maestro Aban porta Dai e altri suoi compagni a iniziare un viaggio nel mondo per andare a salvare amici e principesse e quindi per sbaragliare le armate di Hadler e Baan (i cui comandanti sono ovviamente i "boss" da sconfiggere), in vista del poter finalmente riportare la pace e realizzare il sogno di Dai di diventare un eroe. L'aspetto più interessante dell'opera è rappresentato sicuramente dal suo approccio character-driven, dato da caratterizzati personaggi che crescono, maturano e sviluppano relazioni sentimentali che possano far sospirare i lettori. Se Dai è il classico protagonista intrepido e senza macchia né paura con cui è difficile empatizzare, bisogna dire che alla lunga l'attore migliore è indiscutibilmente il suo migliore amico, il giovane mago Pop, molto umano in vizi e difetti e a cui è riservato quasi lo stesso spazio nella narrazione. Fortemente voluto dallo sceneggiatore Riku Sanjo (al costo di doversi imporre con forza presso la sua casa editrice e presso il suo editor che non lo volevano proprio5, probabilmente perché rubava spazio all'eroe ufficiale e "perfettino" tipico di Shounen Jump), è un personaggio grandioso proprio perché, come dice l'autore6, esprime per il lettore il punto di vista realistico sulla vicenda, quello con cui è più facile identificarsi: debole e cordardo, timoroso di combattere, timidissimo e incapace di dichiararsi alla donna che ama (la bella Maam, guaritrice e poi esperta di arti marziali del gruppo), nel corso della storia Pop avrà la forza di migliorare sé stesso e affontare le sue paure diventando, senza accorgersene, coraggioso, saggio e altruista, in un memorabile percorso di crescita che ha davvero pochi eguali nella Storia del fumetto d'azione per ragazzi. Molto ben delineati anche gli altri comprimari. Nel disegno del cast, insomma, Dai è un grande manga. Come fantasy avventuroso, un onesto e piacevole fumetto, che non rinuncia a immancabili e (troppo) numerosi cambi di fazione, bei tenebrosi in ogni dove e quando, ordinari e prevedibili twist e molti power up (tra super armature e super poteri, soprattutto quel misterioso emblema del drago che appare sulla fronte di Dai nei momenti di difficoltà), trovando, come peggiore difetto assoluto, un alto numero di "resurrezioni miracolose" e "false morti" che si accumulano massicciamente nelle fasi finali e che ripetutamente tradiscono momenti tragici e solenni e pathos evocati precedentemente. Nel complesso, per chi scrive, è un'opera che non è niente di trascendentale, ma tutto sommato neanche eccessivamente deludente: Dai è un'avventura scorrevole e senza troppe pretese che si legge tutta d'un fiato grazie al ritmo spedito, ai bei protagonisti e ai disegni piacevolissimi, apprezzando sopratutto il rivivere in essa di mostri, magie e fronzoli vari di Dragon Quest. Come si vedrà, Dai piacerà un sacco viste le ripercussioni che avrà nell'enorme accrescimento di popolarità dei videogiochi.
Il mondo videoludico di Dragon Quest, ora che ha finalmente sfondato anche in occidente con la sua ondata di remake e nuovi capitoli (iniziata su Nintendo DS e PlayStation 2), ha rivelato a generazioni di nuovi videogiocatori la meraviglia delle sue splendide ambientazioni fantasy-medievaleggianti, delle musiche epiche e sognanti di Koichi Sugiyama, del bellissimo chara design di Akira "Dragon Ball" Toriyama e, in generale, dell'immersiva suggestione fiabesca della saga Enix. Anche se in precedenza i primi quattro titoli erano stati distribuiti in America sul vecchio NES (con l'opinabile titolo Dragon Warrior), è solo oggi che sono finalmente diventati cult anche "fuori casa": ai tempi che furono (la prima metà degli anni '90) non ricevettero infatti neanche la metà della mastodontica accoglienza che trovarono in Giappone (leggendaria quella del quinto episodio, La sposa del destino, che il giorno della sua uscita caratterizzò un negozio di Shinjuku di una coda pazzesca di persone lunga 12 km!1), Paese che, a dispetto della profonda ortodossia filosofica del brand di limitare al minimo i cambiamenti di gameplay da un capitolo dall'altro, li ha sempre acclamati con vendite sbalorditive (le cartucce dei primi cinque capitoli venderanno 13 milioni di copie2) che hanno spesso superato quelle del franchise-rivale per eccellenza - molto più amato in occidente - Final Fantasy. Del resto, parliamo della saga che ha di fatto, col primo capitolo del 1986, inventato il gioco di ruolo "alla giapponese" rappresentando l' "anno zero" del J-RPG: per generazioni di nipponici è stato il titolo che li ha fatti scoprire e li ha fatti innamorare di uno dei generi tutt'ora più amati per console.
Facile intuire che i mondi fantasy di Dragon Quest, con la loro ricca "mostrologia" e la varietà di magie e incantesimi, si prestavano idealmente a essere utilizzati per raccontare storie al di fuori dei videogiochi: è ormai un dato di fatto il corposo numero di serie TV, OVA, manga, romanzi e audio drama fioriti nel corso degli anni - molti dei quali hanno venduto tantissimo - che hanno arricchito quest'universo, che si trattasse di trasposizioni dei videogiochi, di side-story ufficiali o anche di vicende del tutto originali che prendevano giusto a prestito la "fauna" e la geografia dei giochi. La grande avventura di Dai (1991) è solo la seconda serie TV basata sul franchise (la prima è Dragon Quest - Legend of the Hero Abel, 1989), ma il manga, di cui è fedele trasposizione, è di importanza imprescindibile nel brand Enix. Le vendite dei primi videogiochi "esplodono" infatti - diventando poi fenomeno di massa - solo grazie al successo altrettanto enorme del fumetto di Riku Sanjo e Koji Inada3, serializzato tra il 1989 e il 1996 sulle pagine di Weekly Shounen Jump, che venderà un totale di 50 milioni di copie4 (a oggi il più grande best-seller cartaceo di Dragon Quest) pubblicizzando i giochi a milioni di lettori. Parliamo di sicuro di un buona opera, uno dei pochi esempi riusciti di storie a fumetti capaci di trasporre bene su carta la profondità di un gioco di ruolo, e in questo caso benissimo le atmosfere di Dragon Quest. Conosciuto anche in Italia grazie a Star Comics, La grande avventura di Dai è una storia di lungo respiro, che, come il mondo videoludico di appartenenza, mischia armoniosamente momenti epici e coinvolgenti con gag spensierate e allegre e personaggi simpatici, rinunciando a una trama esageratamente adulta o complessa per favorire un intreccio sufficientemente ricco di avvenimenti ma che procede in modo linearissimo, come un videogioco, in linea con i disegni altrettanto semplicistici e simil-toriyamiani (Koji Inada del resto fa parte degli assistenti dello Studio Bird del papà di Dragon Ball).
La (scontata) morte del maestro Aban porta Dai e altri suoi compagni a iniziare un viaggio nel mondo per andare a salvare amici e principesse e quindi per sbaragliare le armate di Hadler e Baan (i cui comandanti sono ovviamente i "boss" da sconfiggere), in vista del poter finalmente riportare la pace e realizzare il sogno di Dai di diventare un eroe. L'aspetto più interessante dell'opera è rappresentato sicuramente dal suo approccio character-driven, dato da caratterizzati personaggi che crescono, maturano e sviluppano relazioni sentimentali che possano far sospirare i lettori. Se Dai è il classico protagonista intrepido e senza macchia né paura con cui è difficile empatizzare, bisogna dire che alla lunga l'attore migliore è indiscutibilmente il suo migliore amico, il giovane mago Pop, molto umano in vizi e difetti e a cui è riservato quasi lo stesso spazio nella narrazione. Fortemente voluto dallo sceneggiatore Riku Sanjo (al costo di doversi imporre con forza presso la sua casa editrice e presso il suo editor che non lo volevano proprio5, probabilmente perché rubava spazio all'eroe ufficiale e "perfettino" tipico di Shounen Jump), è un personaggio grandioso proprio perché, come dice l'autore6, esprime per il lettore il punto di vista realistico sulla vicenda, quello con cui è più facile identificarsi: debole e cordardo, timoroso di combattere, timidissimo e incapace di dichiararsi alla donna che ama (la bella Maam, guaritrice e poi esperta di arti marziali del gruppo), nel corso della storia Pop avrà la forza di migliorare sé stesso e affontare le sue paure diventando, senza accorgersene, coraggioso, saggio e altruista, in un memorabile percorso di crescita che ha davvero pochi eguali nella Storia del fumetto d'azione per ragazzi. Molto ben delineati anche gli altri comprimari. Nel disegno del cast, insomma, Dai è un grande manga. Come fantasy avventuroso, un onesto e piacevole fumetto, che non rinuncia a immancabili e (troppo) numerosi cambi di fazione, bei tenebrosi in ogni dove e quando, ordinari e prevedibili twist e molti power up (tra super armature e super poteri, soprattutto quel misterioso emblema del drago che appare sulla fronte di Dai nei momenti di difficoltà), trovando, come peggiore difetto assoluto, un alto numero di "resurrezioni miracolose" e "false morti" che si accumulano massicciamente nelle fasi finali e che ripetutamente tradiscono momenti tragici e solenni e pathos evocati precedentemente. Nel complesso, per chi scrive, è un'opera che non è niente di trascendentale, ma tutto sommato neanche eccessivamente deludente: Dai è un'avventura scorrevole e senza troppe pretese che si legge tutta d'un fiato grazie al ritmo spedito, ai bei protagonisti e ai disegni piacevolissimi, apprezzando sopratutto il rivivere in essa di mostri, magie e fronzoli vari di Dragon Quest. Come si vedrà, Dai piacerà un sacco viste le ripercussioni che avrà nell'enorme accrescimento di popolarità dei videogiochi.
Nel 1991 si decide quindi di premiare l'opera con una bella, fedele e rigorosa trasposizione animata, affidata alla solita Toei Animation che in quel periodo ha ormai abbandonato quasi del tutto le serie dal soggetto originale in vista della più "facile" idea di adattare best-seller cartacei in anime di altrettanto successo. Produce l'azienda Takara, che vende poi giocattoli e pupazzetti basati sui personaggi. Ignoro attualmente gli indici di ascolto, ma logica vuole che siano stati più che sufficienti, dal momento che Dai anime raggiunge la ragguardevole (e insolita) quota di 46 puntate, trova 3 film celebrativi (proiettati al festival Toei Anime Fair) e, soprattutto, è progettata sin dal principio per seguire il manga fin dove è arrivato, probabilmente poi inventandosi qualcosa per permettere agli autori di portarsi avanti. Faccio queste premesse perché i fatti diranno che la trasposizione rimarrà monca: si chiuderà infatti a circa 1/4 della storia, e non per problemi di budget o bassi ascolti (infatti è ufficiale che fino all'ultimo era previsto come minimo un ulteriore anno di trasmissioni7) ma per colpa dell'emittente, che riorganizza interamente la sua scaletta di programmazione di punto in bianco sulla base di dinamiche interne sconosciute8 che, probabilmente, marginalmente c'entrano con gli esiti commerciali dell'anime, condannando quest'ultimo all'oblio (e così è tutt'ora, visto che a tutt'oggi non è neanche mai stato editato in DVD in Giappone, bisogna accontentarsi delle VHS). È davvero un peccato dato che, non fosse per la sua natura incompleta, avremmo una serie di ottimo livello che pubblicizzerebbe ancora meglio dell'originale cartaceo, come vedremo, il mondo di Dragon Quest.
Finché dura, è trasposizione fedelissima e davvero ben fatta: procede spedita adattando due capitoli del fumetto per puntata, evita qualsiasi filler o riempitivo, è animata addirittura bene (non in modo solo sufficiente) e replica alla perfezione il tratto di Koji Inada facendo sembrare per davvero l'anime come un "gemello" di Dragon Ball (paiono proprio i disegni di Toriyama!). Soprattutto, c'è da dire che rispetto al fumetto, in TV Dai trova una colonna sonora straordinaria: non si possono definire con altre parole le numerose tracce musicali di Koichi Sugiyama dal tono toccante, favolistico e cavalleresco, una più memorabile dell'altra, prelevate direttamente dai videogiochi ufficiali (viaggia su livelli stratosferici anche l'avvincente sigla di apertura). Si gode anche, in Dai, della bella resa della "mostrologia" ufficiale (celebre il variegatissimo monster design), e si apprezza molto come il gruppo di eroi - esattamente come in un qualsiasi J-RPG - migliori l'equipaggiamento (il cambio è sempre più vistoso) e il livello delle magie e dei poteri a mano a mano che sconfigge più nemici, aumentando di (punti) esperienza. Abbiamo, insomma, uno spettacolo visivo e acustico di primo livello e non riesco a immaginare modo migliore di promuovere presso il grande pubblico il mondo fantasy di Enix, che già di suo era perfettamente reso in atmosfere e spirito dal fumetto d'origine (monco però di audio). Per questo motivo non avrei remore a reputare l'anime di Dai, se fosse completo, come l'incarnazione definitiva della storia - pazienza per l'unico neo della produzione, ossia lo sporadico, vistoso cambio di direttore dell'animazione in alcuni episodi, dato evidentemente dall'affidamento della produzione dell'opera a filiali diverse di Toei. Tristissimo quindi che sia finita com'è finita. La vicenda termina incivilmente in uno dei momenti clou dell'originale, quando Dai apprende la sua vera identità e si appresta ad affrontare il comandante Baran dell'esercito dei draghi. Tutti i personaggi introdotti fino a quel punto (tra cui l'inquietante assassino Killvearn), tutte le love story in procinto di sbocciare e l'intero senso della storia non avranno alcuno sviluppo vista l'inaccettabile conclusione (inventata per l'occasione dallo stesso Sanjo, interpellato appositamente appena si seppe che l'anime stava per essere chiuso all'improvviso9). Per questo, chi ha amato La grande avventura di Dai in questo adattamento si faccia un favore: compri il manga e prosegua su carta. Chi non è interessato ai fumetti, eviti proprio la visione per non farsi venire un trabocco di bile. Unica nota divertente: il regista, Nobutaka Nishizawa, lo troviamo l'anno dopo a dirigere una nuova trasposizione di un manga di enorme successo, Slam Dunk, e anche lì sappiamo come finirà (!).
La grande avventura di Dai è arrivato anche in Italia, pur con un adattamento altamente discutibile. Nella prima trasmissione su Junior TV, con il nome Dragon Quest, l'opera si ritrova stravolti i nomi di personaggi, mostruario e magie, ridicolamente americanizzati, ma almeno mantiene inalterata la potente opening originale e soprattutto non trova alcun taglio. Quando arriva su Italia 1 come I cavalieri del drago, perde entrambe le cose e si ritrova martoriato da censure varie nelle sequenze sanguinose. Non è stato mai stato raccolto in VHS o DVD.
Voto: 5,5 su 10
SIDE-STORY
Dragon Quest: Dai's Great Adventure - Great Adventure (1991; film)
Dragon Quest: Dai's Great Adventure - Disciple of Aban (1991; film)
Dragon Quest: Dai's Great Adventure - The Reborn Six Commanders (1992; film)
FONTI
1 Mangazine n. 29, Granata Press, 1993, pag. 30
2 Come sopra, a pag. 33. Confermato a pag. 127 del saggio "Anime al cinema" (Francesco Prandoni, Yamato Video, 1999)
3 "Anime al cinema", pag. 127
4 Sito web (giapponese), "Mangazenkan", http://www.mangazenkan.com/ranking/books-circulation.html
5 Pagina di Wikipedia giapponese di "Dai: La grande avventura"
6 Come sopra
7 Come sopra
8 Come sopra
9 Come sopra
10 commenti:
tutto condivisibile e' sempre tristissimo quando una serie rimane tronca,ed e' un peccato non aver potuto vedere animata l'ultima parte del manga che e' molto valida ! Unico appunto e' in campo videoludico.Onestamente e' vero che Dragon quest e' piu' "solare" di final fantasy ma che sia piu' "semplice" e' un altro paio di maniche.Final fantasy di norma propone personaggi ultracomplessati e pieni di problemi...ma non e' che non siano stereotipati anzi, sono irreali e forzati(eroe' col passato oscuro che ha puntualmente perso i ricordi,fanciulla dolcissima e angelica, ragazza all'apparenza dura ma fragile .. il grosso duro e buono ecc...)Dragon quest di solito porpone esseri umani piu' "normali" veri... che vengono poi coinvolti in un avventura.Le trame sono tuttaltro che semplici: basti vedere l'avventura generazionale di dragon quest V o la parabola sulla fede di dragon quest VII:nel quale ad un certo punto riportiamo in vita il dio della luce e i nostri eroi rimangono terrorizzti da fatto che questi farnetichi cose tipo "non avrai altro dio al di fuori di me"...
Oddio, sono parzialmente d'accordo col tuo discorso, per l'altra parte no.
Di sicuro i personaggi di FF seguono, in generale, i modelli tipici dei racconti fantasy del j-rpg medio: l'eroe combattuto interiormente, le storie d'amore tragiche, i cattivi "cool" etc, ma i personaggi, pur a loro modo stereotipati, li senti vivi, profondi. Godono di dialoghi e di un approfondimento molto ricercato, non diranno mai frasi o compieranno azioni che nulla hanno a che fare con la loro personalità. Insomma ti affezioni a loro sentendoli umani.
Di DQ non sono un gran conoscitore e ho giocato solo agli episodi 1, 5 e 8, ma in tutti e tre, sopratutto il 5 che citi, ho trovato caratterizzazioni più o meno tremende. Questo per colpa del registro linguistico infantilissimo dei dialoghi: penso alla storia d'amore tra l'eroe e la Sposa scelta che si può sintetizzare in: "mio Eroe, io ti amo tantissimo! Tantissimo! Ti renderò felicissimo!" ripetuto x volte. Penso all'eroe che, dopo cinque anni imprigionato sottoforma di statua, vede i suoi due figli cresciuti e il dialogo tra loro è più o meno questo: "ciao papà, è la prima volta che ti vedo! Sei come ti ho sempre immaginato! Adesso andiamo a salvare la mamma!".
Io non riesco a reputare "veri" i personaggi con questi dialoghi tremendi che sono una prassi nella saga ;P Avranno personalità meno "estremizzate" che nei FF, anche più normali, ma proprio per colpa delle sequenze dialogiche li reputo inverosimili al massimo. Come avrai capito DQ5 non m'è piaciuto quasi per niente :D
ah ah ah ah.. pensa te che dragon quest 5 e' forse il mio jrpg preferito, mi sa che il punto di vista e' poco concigliabile!! Comunque secondo me i final fantasy fino al 7 sono comunque bellissimi giochi(non fraintedere)e il tactics e' un capolavoro assoluto.Ma toglimi una curiosita' dragon quest 5 lo hai giocato sul nintedo ds o sul snes? Perche' io lo giocai su snes e quei dialoghi assurdi non li ricordo proprio, certo mediamente sono piu' semplicistici rispetto a final fantasy ma non cosi... pero' magari sono pazzo(Il dubbio e' che abbiano fatto le solite atrocita' nella localizzazione italiana per DS per questo lo chiedo).Io di dq5 ricordo un ragazzino che seguiva il padre costretto a diventare mercenario,senza comprendere molte cose e di un intelligente trama che ti permetteva di rivedere poi gli stessi eventi, diventato adulto,dandogli finalmente una spiegazione. A me e' apparsa una cos molto carina che si discosta da canovacci ultrapallosi.
ho scritto "concigliabile" e' quasi da galera...
Ma cacchio, io effettivamente DQ5 l'ho giocato nella versione DS tradotta in italiano, siamo davvero sicuri sia una localizzazione atroce? Perché se queste cose erano la prassi una volta, negli ultimi anni tradurre in modo più fedele era diventata quasi la regola :( Sono proprio questi dialoghi terribili che m'hanno rovinato completamente l'esperienza di DQ5, talmente infatili da distruggere le atmosfere tragiche della storia. e mi dici che in originale non ci sono allora non so che pensare :(
Sui FF concordo che i primi sette e il Tactics sono i migliori dell'intera saga (contiamo anche il capitolo IX, dai), il resto dimenticabile.
Boh!onestamente lavorando nei videogiochi e sapendo come lavorano le aziende di traduzione,mi fido poco,tendo a fidarmi piu' delle traduzioni fatte dai fan, tipo appunto quella di dq5 per snes. Pero' devo anche dire che il gioco l'ho giocato diverso tempo fa, e non ti saprei assicurare al 100% che i punti da te citati non siano effettivamente mal scritti,diciamo che la mia sensazione da come lo ricordo e' che roba del genere non si vedeva(anche sposando la figlia del milardario e non l'amica d'infanzia).Ah gia' Su final fantasi IX effettivamente non era cosi male.
Prima o poi continuerò con il manga. Ma al tempo quando la vidi, nonostante le censure, me ne innamorai subito. Tanti cliché nella trama, ma il tutto confezionato con dei bellissimi personaggi e come hai citato una colonna sonora di pregevole fattura. Grande crimine non concluderla, veramente un peccato..
Allo scorso Lucca Comics, Star ha annunciato che in futuro lo ripubblicheranno Insomma, aspettiamo :)
Qualcuno ha visto la nuova serie?
Io! Hanno fatto un lavoro molto godibile, alla nuova OST bisogna solo abituarci.
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