lunedì 25 giugno 2012

Recensione: Gyo

GYO
Titolo originale: Gyo
Regia: Takayuki Hirao
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Junji Ito)
Sceneggiatura: Akihiro Yoshida, Takayuki Hirao
Character Design: Takuro Takahashi
Musiche: Go Shiina
Studio: Ufotable
Formato: OVA (durata 70 min. circa)
Anno di uscita: 2012


Kaori e le sue amiche si concedono una breve vacanza al mare, soggiornando nella casa del suo fidanzato Tadashi. Non appena aprono la porta, però, un fetore disgustoso le assale: la puzza è dovuta a una strana creatura, un pesce che cammina per mezzo di zampe insettoidi. Kaori lo uccide e lo getta nella spazzatura, ma non c’è tempo per chiedersi cosa stia succedendo: uno squalo camminatore irrompe in casa distruggendo ogni cosa, e presto un’ondata di pesci fuoriesce dal mare e si dirige in città. È il caos totale, e Kaori ha un solo pensiero in testa: ricongiungersi con Tadashi.

Stranamente snobbato in Italia, Junji Ito è da anni figura imponente dell’horror dagli occhi a mandorla, rarissimo esempio di mangaka capace di lasciar perdere la mera estetica, con disegni assai poco orientali ma estremamente funzionali, per creare storie di straordinaria inquietudine, ricche di idee morbose e originali, spunti folli e raccapriccianti che lo hanno portato a creare alcune tra le opere più note del genere: Tomie e Uzumaki non sono di certo titoli sconosciuti, esempi di horror insolito e sfaccettato, bizzarro e allucinante, tanto da essere trasformati in pellicole di discreto successo (ben otto i film su Tomie!), sempre scritte da Ito stesso. All’appello delle trasposizioni (tante, parliamo di una ventina di pellicole) mancava Gyo, che con Tomie e Uzumaki forma la triade di must read di Junji Ito, che stavolta non diventa un film ma un OVA animato dallo studio Ufotable.


A differenza della tradizionale sceneggiatura con cui Ito rielabora la propria opera, Gyo viene scritto e diretto da Takayuki Hirao, che pur seguendo fedelmente i momenti clou del fumetto e la singolare mitologia originaria, reinventa personaggi e storyline offrendo una prospettiva forse più seriosa e credibile dei fatti raccontati. Grande forza del manga è infatti la stravaganza soprannaturale, con questi pesci camminatori che invadono Tokyo, il terribile gas da loro esalato e la sorte che tocca a chi viene ferito dalle loro zampe d’insetto, una potenza visiva talmente impressionante che riesce a mettere in secondo piano certe superficialità psicodialogiche, dovute a personaggi forse un po’ troppo stereotipati tanto nella loro raffigurazione quanto nello sviluppo di cui sono protagonisti (pensiamo solo al mad doctor e al forzato ruolo primario che si trova a rivestire). Hirao smonta quindi l’impalcatura narrativa e la ricostruisce, dapprima invertendo i ruoli (la protagonista ora è Kaori, mentre il fidanzato Tadashi rimane in secondo piano) e poi aggiungendo svariati personaggi che donano colore (le due amiche di Kaori e il fotografo che conosce in seguito) e avvenimenti (l’atterraggio dell’aereo, gli incidenti stradali) che garantiscono un’ulteriore spettacolarizzazione del truculento orrore creato da Ito. Hirao segue la corsa disperata di Kaori, ben tratteggiandone il carattere equilibrato ma deciso che va a contrastare quello delle sue amiche, una scollacciata e che non si fa alcun problema ad andare a letto con due ragazzi (leggi fanservice), l’altra petulante e paurosa, personaggi utili a mostrare i vari esiti psicologici dovuti all’assurda invasione di pesci camminatori attraverso dialoghi e comportamenti magari esagerati ma ben scritti e inquadrati. L’azione infatti non prende mai il sopravvento, e pur imperando in momenti splatter di suggestiva invenzione (la metropolitana, i vari squali in azione, la piovra, sequenze davvero ben animate), Hirao è molto attento ai personaggi, dipingendo con cura gli stati emotivi di Kaori mentre va alla ricerca di Tadashi e sbatte continuamente contro quest’orrore impossibile (bellissima la sequenza della sua testardaggine contro l’esercito), ma si concentra talmente tanto su di loro che a tratti pare dimenticarsi di tutto il resto.


L’opera scorre gustosamente nella sua putrescenza visiva: pesci marci che esplodono, persone che si gonfiano diventando fetidi cadaveri che camminano, corpi ammassati a formare disgustose creature deambulanti, per non parlare del fetore che letteralmente annebbia Tokyo, d’altronde i punti chiave dell’opera originale mostrano spunti pazzeschi e mantengono inalterata la loro carica sorprendente e priva di limite (basti pensare ai tubi orali/anali con cui gli aggeggi insettoidi si impadroniscono delle menti umane, o alla natura del gas espulso in gran quantità dagli infetti). Ma Hirao, pur limando certa fragile sospensione dell’incredulità e migliorando alcune leggerezze dell’opera originale (il già citato mad doctor Koyanagi, il cui ruolo viene credibilmente ridimensionato; le ipotesi sulla natura dei pesci camminatori, meglio descritte; l’intervento dell’esercito e del governo) non riesce a dare quello sguardo d’insieme all’apocalisse, uno scorcio corale che permetta una realistica visione dell’orrore: i protagonisti camminano in strade deserte (dove sono andati tutti?) incontrando sempre al momento giusto quella persona/mostro che fa scattare un avanzamento di trama (la metropolitana, il soldato che spara al colosso di corpi, la stranissima e allucinata sequenza del circo), come se l’intera realtà girasse soltanto attorno a loro (be’, in pratica a Kaori). Poco male, la natura sanguinolenta/raccapricciante di Gyo fuoriesce piacevolmente ed è ben rappresentata in questi 70 minuti di schifezze cadaveriche. Visione bene o male obbligatoria per i fan di Ito, gli altri magari recuperino prima il fumetto per avere un miglior quadro generale dell'opera.

Voto: 7 su 10

6 commenti:

Cobra Verde ha detto...

Opera controversa e spiazzante: non si capisce davvero se sia votata al semplice intrattenimento o alla mera presa per i fondelli dello spettatore; se la si giudica solo ed esclusivamente sulla base dello splatter e del fan service risulta essere un lavoro perfettamente riuscito (tranne che per qualche rozzezza in fase di sceneggiatura); tuttavia se ci si sofferma su alcune delle tematiche toccate (la natura che si ribella, l'impossibilità di catturare la realtà attraverso i mezzi di riproduzione visiva, ecc..) si resta sconcertati per la superficialità e la stupidità con cui vengono affrontati.
Davvero impossibile da comprendere fino in fondo......

Simone Corà ha detto...

Mah, non credo ci siano chissà quali temi profondi da scovare sotto lo strano di viscere e smembramenti vari. Si tratta in fondo di una storia di serie B che vive proprio dell'esagerazione della sua componente soprannaturale, che continua a mutare forma e spessore. :)

OMEGA_BAHAMUT ha detto...

Visto di recente, avevo in mente di scriverne una recensione proprio in questo periodo XD
Non che non mi sia dispiaciuto nell'insieme, ma se devo essere sincero l'opera è davvero disturbante nel senso stretto del termine (soprattutto a livello di atmosfera)!

Oav nel complesso sufficiente, ma segmentabile a mio parare in una parte ottima (quella iniziale) ed una invece affrettata quanto decisamente approssimativa (il finale).
Dello stesso autore mi piacque molto l'autoconclusivo sui buchi a forma umana XD

Simone Corà ha detto...

Sì, è parecchio disturbante e malato, l'accostamento di pesci morti e fetore ti fa già brontolare lo stomaco, per non parlare poi di quando appaiono i cadaveri gassosi, ma ci sono idee talmente fresche e geniali che anche i palati un po' più delicati, penso, dovrebbero farsi forza e provarlo. :)

Poi, vero, la parte finale è sgangherata, un po' come succedeva nel fumetto, ma ci può stare, si perdona tutto quando ci sono idee tanto buone... :)

Cobra Verde ha detto...

[quote]Mah, non credo ci siano chissà quali temi profondi da scovare sotto lo strano di viscere e smembramenti vari. Si tratta in fondo di una storia di serie B che vive proprio dell'esagerazione della sua componente soprannaturale, che continua a mutare forma e spessore. :) [/quote]

Per fare un esempio: la scena del circo sembra messa lì apposta per promuovere una riflessione sulla differenza tra realtà fisica e realtà virtuale; la superficialità è data dal fatto che viene messa lì tanto per.

Simone Corà ha detto...

Non saprei, sicuramente ci sono dei minimi sottotesti, ma li assegnerei più che altro a espedienti grafici e visionari per accentuare l'assurdità della storia, il suo delirio. Che ci siano molte parti trattate con superficialità, questo è vero, e la sequenza del circo è di certo una di quelle, ma direi che si tratta di superficialità narrativa più che superficialità concettuale. :)

DISCLAIMER

Questo blog non rappresenta una testata giornalistica, viene aggiornato senza alcuna periodicità e pertanto non può considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge 7 marzo 2001 n. 62. Molte delle immagini presenti sono reperite da internet, ma tutti i relativi diritti rimangono dei rispettivi autori. Se l’uso di queste immagini avesse involontariamente violato le norme in materia di diritto d’autore, avvisateci e noi le disintegreremo all’istante.