lunedì 20 gennaio 2014

Recensione: Karas

KARAS
Titolo originale: KARAS
Regia: Keiichi Sato
Soggetto: Keiichi Sato
Sceneggiatura: Shin Yoshida
Character Design: Keiichi Sato (originale), Kenni Hayama
Mechanical Design: Kenji Andou
Musiche: Yoshihiro Ike
Studio: Tatsunoko Production
Formato: serie OVA di 6 episodi (durata ep. 30 min. circa)
Anni di uscita: 2005 - 2007



Pensata per celebrare i quarant’anni dello studio Tatsunoko Productiom, Karas è un’opera molto sentita. Keiichi Sato, recentemente famoso in patria per il successo di Tiger & Bunny (2011), in questo lavoro del 2005 produce, scrive il soggetto, cura il chara design, dirige le animazioni ed è ovviamente regista dell’intero progetto, una complessa, ambiziosa e costosa produzione di 6 OVA dove si trovano un po’ tutti i temi cari all’autore: il supereroismo dall’impronta yankee e le armature elaborate e massicce che rivedrà proprio in Tiger & Bunny da una parte, e il carattere noir, pessimista, introspettivo e lugubre che deriva dalle atmosfere di The Big O (1999) (in cui curava soggetto, chara, mecha e animazioni) dall'altra.

A un primo impatto Karas è visivamente sbalorditivo, la serie si apre con un lungo e articolato piano-sequenza di una battaglia nel cielo notturno tra due bestie meccaniche armate di spada, e la qualità meramente registica rimane alta per tutta la durata dell’opera non soltanto per il tasso spettacolare, che raggiunge vertici impressionanti durante i combattimenti, ma soprattutto per l’uso dei dettagli e del non detto, elementi che permettono la creazione di un ambiente vivo e pulsante, ricchissimo e meravigliosamente enigmatico, dotato di proprie regole e meccanismi che vengono svelati lentamente, dove uomini e yokai convivono sullo stesso piano di realtà, dove esseri soprannaturali attraversano a piacimento le dimensioni, dove uomini possono trasformarsi e assumere aspetti pseduo-robotici che potrebbero ricordare il monster design delle Ultima Weapon di Final Fantasy VII (1997). A elevare maggiormente l’aspetto visivo di Karas ci pensano in primo luogo il bellissimo chara di Sato, il suo è uno stile colorato e per certi aspetti stravagante eppure serioso e adulto tanto nella definizione degli umani quanto nella creatività per gli spiriti e le varie creature soprannaturali – il tutto potenziato ed enfatizzato da animazioni superlative, siamo di fronte a un budget davvero consistente che permette movimenti fluidi, realistici e ricchi di particolari anche durante situazioni di calma e tranquillità, e si amalgama bene al largo uso di CG per animare i grossi combattenti.

È quindi un peccato che a rovinare tanta grazia, dove finalmente la spettacolarità elevatissima non è fine a se stessa ma è naturale compimento di un lavoro visivo straordinario, la sceneggiatura di Shin Yoshida sia tanto involuta, grossolana e confusa da impedire una giusta progressione degli eventi. La complessità narrativa che avvolge tanto il mondo quanto la storia stessa di Karas viene infatti presentata con una ottimo combo di episodi, i primi due sono infatti esemplari nel rivelare poche, pochissime informazioni per lasciare alla regia di Sato il compito di mostrare ciò che allo spettatore serve comprendere, i restanti quattro però si sbilanciano tra spiegoni improvvisi e inappropriati, dialoghi misteriosi e fine a se stessi e meccanismi mitologici comprensibile soltanto agli autori. Certo, il fascino di Karas sta anche nel mistero che avvolge questa città impossibile, ma le scelte narrative appaiono sempre poco azzeccate, le spiegazioni arrivano quando non sono richieste e per la maggior parte del tempo si assiste a un susseguirsi di cose motivate male oppure del tutto non motivate. Seguire la quest di Otoha, yakuza pentito e da poco iniziato ai poteri che gli permettono di trasformarsi in un karas, queste creature enormi tra bestia e mecha, mentre cerca di sconfiggere il karas rivale Eko, ripudiato dalla città che l’ha creato perché interessato solo a scopi personali, è quindi abbastanza complicato, frammenti del passato e personaggi di apparente minore importanza intervallano continuamente la progressione dell’azione, lasciando molto fumo e molta nebbia tra maestri che insegnano a utilizzare al meglio i poteri, karas di città vicine e una lunga serie di villain al soldo di Eko che agiscono senza adeguate giustificazioni.


Allora è meglio lasciar perdere un’adeguata comprensione perché, sebbene in fondo sia facile tirare i nodi della trama e dispiaccia più che altro per la brutta confusione che viene a crearsi, è davvero molto bello lasciarsi andare di fronte allo splendore registico di una serie d’azione eppure riflessiva e cervellotica, attenta e minuziosa, gestita con enorme talento e ahimè azzoppata da uno sceneggiatore non adeguato per una storia di simile portata (e il fatto che nel suo curriculum figurino lavori su Naruto e Yu-Gi-Oh la dice lunga).

Rimangono infine le magnifiche orchestrazioni e il tema portante, pomposo e magniloquente, perfetto per siglare la tristezza, la forza e la sofferta malinconia che emergono dalle strade dove i karas combattono per difendere la città.

Voto: 7 su 10

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