lunedì 10 febbraio 2014

Recensione: Aku no Hana - I fiori del male

AKU NO HANA: I FIORI DEL MALE
Titolo originale: Aku no Hana
Regia: Hiroshi Nagahama
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Shuzo Oshimi)
Sceneggiatura: Aki Itami
Character Design: Hidekazu Shimamura
Musiche: Hideyuki Fukasawa
Studio: ZEXCS
Formato: serie televisiva di 13 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2013

 

Credo sia sempre importante riconoscere un certo valore e saper distinguere una personalità che emerge: in un mondo come quello dell’animazione è sempre più difficile mostrare un carattere proprio e, se consideriamo la facilità meccanica con cui i manga ottengono una trasposizione animata che spesso nulla aggiunge ma molto toglie all’opera originale, appare addirittura paradossale la valanga di critiche piovuta addosso a Hiroshi Nagahama, reo di aver voluto snaturare il tratto di Shuzo Oshimi (che invece apprezza e incoraggia la scelta) per adottare una tecnica poco usata, quella del rotoscoping, al fine di dare giustamente maggior realismo e drammaticità alla sua versione di Aku no Hana.    

Fotografare attori in carne e ossa e dirigerne i movimenti per poi, in un secondo momento, ridisegnarli al fine di creare un’animazione molto concreta è sicuramente singolare, il realismo dei volti, dei piccoli gesti e delle emozioni è qualcosa che si vede raramente ma diventa fattore fondamentale per dare giusto peso al pathos e all’espressività di una storia così difficile da raccontare, dove sono i sentimenti di personalità complesse e insolite ad affiorare. Takao è infatti un ragazzo solitario che pare esprimere il suo interesse soltanto per la letteratura, in particolare I fiori del male di Baudelaire è il suo libro preferito, nonché esempio assoluto da seguire e di cosa significhi la sua vita. Innamorato della dolce Nanako, un giorno come un altro ne trova, dimenticati in classe, i vestiti da ginnastica, li prende con sé e li porta a casa, non sapendo però di essere stato visto da Sawa, ragazza altrettanto solitaria ma poco amata dai compagni di classe per lo strano modo austero con cui si estranea dal gruppo. Minacciato da Sawa, Takao diventa un suo burattino, costretto a fare qualsiasi cosa lei chieda per non soccombere al dolore di veder rivelato il suo debole segreto.

Abbiamo quindi a che fare con una profonda psicologia nel disegno di personaggi così lontani dalla tipica rappresentazione d’animazione, e non si tratta di un voler mantenere le distanze da cliché più o meno legate al desiderio otaku, è proprio una ricerca del dolore interiore, di una sofferenza dovuta al non sapersi, o volersi, integrare, al non essere in grado di interfacciarsi con una realtà ordinaria, una problematica quindi affrontata con grande competenza non solo nell’omaggio alla cultura e letteratura francese (l’amore impossibile e peccaminoso per avere sollievo da una vita triste; la tragicità e dualismo della femme fatale, che Takao non riesce pienamente a riconoscere) ma anche nella maestosità con cui simili caratteri esprimono paure realistiche, si interrogano sulla propria miseria, appaiono arroganti nel criticare le altre persone, e in generale nell’autenticità con cui dialoghi e atteggiamenti danno vita a riflessioni di inattesa accuratezza.


L’amore assoluto che Takao prova per Nanako e la timidezza con cui lo affronta, oppure l’odio che trasmette per Sawa pur rimanendone stranamente affascinato, o ancora la falsa felicità che Sawa stessa prova per il giocattolo-Takao, sono considerazioni che esplodono in un episodio, il decimo, di rara bellezza e profondità, per la cura dei dialoghi, per il realismo impressionante di gesti e reazioni, per l’attenzione con cui emergono quei pensieri più nascosti e inafferrabili. Ed è solo grazie a una narrazione sostanzialmente perfetta che si può assistere a un simile capolavoro emozionale, tanto nella sua analisi dell’amore in quelle sfaccettature più insolite e di difficile comprensione, quanto nei momenti in cui il retaggio culturale, ovviamente, prende il sopravvento pur senza categorizzare troppo l’opera (il feticismo dei vestiti, la distruzione della classe): la sceneggiatura di Itami riprende i dialoghi originali e ne fornisce una sontuosa tridimensionalità per mezzo della splendida regia di Nagahama, uno sguardo, il suo, legato ai particolari e molto accorto, che si prende lunghi momenti di introspezione con inquadrature fisse e magnifiche lentezze dal taglio simbolico (i tre ragazzi visti dallo specchio, l’importanza data alla strada e alle persone che lentamente la popolano, i dieci minuti silenziosi della “passeggiata” di Takao e Sawa).   

Peccato quindi che l’opera in oggetto sia per il momento una sola e incompleta stagione, d’altronde il manga è ancora in corso e Nagahama non ha, né poteva con soli 13 episodi, dare una sua personale conclusione: sorprende però che l’ultima puntata, conclusosi per certi versi un primo arco narrativo, sia in realtà un gigantesco trailer di una seconda serie che si spera possa concretizzarsi, perché l’animazione ha bisogno di opere come questa, in grado di staccarsi dalla massa con forza e ambizione.

Voto: 8 su 10

4 commenti:

Acalia Fenders ha detto...

Questa è una delle serie che ho in lista di visione e che sto più aspettando :D
Anzi, quasi quasi, la passo in cima alla lista, il fatto che anche su questo blog abbia avuto un voto positivo (non ho letto tutto il post perché sono spoilerofobica) mi ispira ulteriormente :D

Simone Corà ha detto...

Vai tranquilla, è un gran bel vedere :)

Anonimo ha detto...

l'ennesimo anime originale e interessante che scopro grazie a questi blog
grazie e continuate così

Jacopo Mistè ha detto...

Ti ringrazio a nome del Corà (che è a Copenaghen a divertirsi lasciando a me l'incombenza di scrivere la rece di sett prox >_>).

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