lunedì 21 settembre 2015

Recensione: Quando c'era Marnie

QUANDO C'ERA MARNIE
Titolo originale: Omoide no Mānī
Regia: Hiromasa Yonebayashi
Soggetto: (basato sul romanzo originale di Joan G. Robinson)
Sceneggiatura: Keiko Niwa, Masashi Andō, Hiromasa Yonebayashi
Character Design: Masashi Andō
Musiche: Takatsugu Muramatsu
Studio: Studio Ghibli
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 103 min. circa)
Anno di uscita: 2014
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Lucky Red


L’annuncio della chiusura delle attività ghibliane nel 2014, poi rettificata in una sorta di stand by produttivo dal futuro indefinito, ha inevitabilmente posto nei due capolavori dei due pilastri dello studio uno status da canto del cigno tanto in termini qualitativi quanto simbolici. Che Hayao Miyazaki e Isao Takahata firmino un ultimo, grande, indimenticabile lungometraggio a testa (ufficiale il primo, con Si alza il vento che diventa a sua volta il suo testamento monumentale, e probabile il secondo, con La storia della Principessa Splendente, data l’età, la lunga inattività e i colossali tempi di lavorazione maniacali che lo contraddistinguono) parrebbe strategia ampiamente studiata e programmata (e non è un caso che i due film dovessero uscire in contemporanea, evento poi non riuscito proprio a causa della lentezza con cui Takahata ha completato il suo lavoro), e in fondo era anche giusto che lo Studio Ghibli si riservasse un finale con i fuochi d’artificio. In realtà la drastica decisione arriva proprio in seguito al flop de La storia della Principessa Splendente, che costringe lo studio ad abbassare le tapparelle quando un ultimo film ancora è ormai in rampa di lancio: che Quando c’era Marnie (2014) rappresenti effettivamente l’epitaffio della Ghibli è però elemento di scarsa importanza in quanto il film stesso, ahimè, non possiede grandi caratteristiche e finisce per scomparire di fronte alla potenza dei due predecessori, riportando simbolicamente una chiusura del cerchio a quello che Miyazaki e Takahata avevano dato inizio nel 1986 con Il castello nel cielo.

Hiromasa Yonebayashi aveva impresso un bel tocco nel dolce Arrietty: Il mondo segreto sotto il pavimento (2010), soppesando e calcolando con la giusta miscela ghibliana colori, divertimento e poesia senza mai soccombere a quei difetti artistici (buonismi eccessivi, esagerazioni grafiche, abbassamento del target di destinazione) che spesso si sono presentati nelle produzioni dello studio nel corso degli anni. Ed è evidente che in Quando c’era Marnie il regista continui su queste coordinate, preferendo un lato più adulto e introspettivo che però non riesce a gestire con la stessa abilità della spensieratezza ironica del suo film precedente. Stratificato, complesso, non lineare, Marnie richiama la ghiblianità d’appartenenza più che altro per il chara design morbido e rotondo dell’esperto Masashi Ando, favorendo invece temi più difficili e delicati come la solitudine, l’isolamento e i traumi mai superati. La storia di Anna, mandata per l’estate a vivere da una coppia di parenti in riva al mare a causa di alcuni problemi d’asma, è seriosa e punta da certe tinte dark, ma se ben emergono le sue difficoltà relazionali, che presto la conformano come un bel personaggio tormentato, funziona meno il rapporto che instaura con Marnie, una ragazza che abita in quella che sembra una villa abbandonata e che di notte, misteriosamente, prende vita riempiendosi di persone. O, forse, fantasmi.

Seppur Yonebayashi, basandosi sul romanzo di Joan G. Robinson, riesca a costruire un puzzle curioso nello sviluppare l’amicizia tra Anna e gli enigmi che nasconde Marnie, non sembra mai possedere appieno le redini del film, che gli sfugge in più occasioni quando sopraggiungono i flashback inesplicabili e iniziano a sommarsi a una moltitudine di personaggi che a volte vengono soltanto nominati e mai mostrati, se non nelle fasi conclusive, aumentando il disagio narrativo. E quindi, anche intuendo il substrato contestuale che definisce la terribile storia di Marnie, ciò che viene a mancare è una vera e propria luce che schiarisca un intreccio mai abbastanza limpido per poter funzionare adeguatamente. Confusione e disequilibrio si rincorrono impedendo che i vari segmenti si incastrino come probabilmente progettava Yonebayashi, e ne esce un quadro sbilenco dove si contraddistinguono tanti bei momenti singoli in un pastrocchio complessivo.


È un peccato, perché c’è un bel lavoro sui personaggi anche secondari (grandiosi i parenti di Anna, divertente l’entusiasmo della piccola Sayaka) e un'ottima cura sentimentale nei momenti più carichi (il litigio non appena Anna arriva nel villaggio, il tremendo, tremendo passato di Marnie, certi istanti nell’edificio abbandonato, ma anche i segmenti “investigativi” legati al diario ritrovato), ma tutto viene dilatato o viceversa compresso in un disegno generale approssimativo e caotico, incapace di prendere una forma decisa e rimbalzando dal primo all’ultimo minuto in uno zig zag narrativo dove commedia,  tragedia e certe iniezioni quasi horror non sono mai soppesate con la giusta intensità.

E così non rimangono che un punto di domanda e uno sguardo perplesso: Quando c’era Marnie tenta forse di staccarsi dallo standard ghibliano ma non è in gradi di reggersi in piedi senza una struttura ben calcolata e temprata da anni e anni di film che lo sostenga. Una visione senza infamia e senza lode, che sarà più facile dimenticare disinteressati che ricordare come testamento del grande studio giapponese.

Voto: 5,5 su 10

1 commento:

stefano ha detto...

Su "Si alza il vento" la pensiamo in maniera diversa, ma questa volta condivido tutto!
Aspettavo proprio un giudizio che non si lasciasse travolgere dall'etichetta ghibli, prendendo tutto per oro colato.
Peccato perchè il coraggioso taglio introspettivo inziale lasciava presagire tanto, con questa ragazzina apatica e disadattata (in antitesi alle piccole "eroine" miyazakiane) introdotta in maniera magistrale.
Purtroppo gestita da cani e schiacciata da un intreccio inconsistente a da dialoghi spesso stucchevoli (tutti quelli con marnie).

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