mercoledì 27 gennaio 2010

Recensione: DevilMan

DEVILMAN
Titolo originale: DevilMan
Regia: Tsutomu Iida (Umanosuke Iida)
Soggetto: Go Nagai (basato sul suo fumetto originale)
Sceneggiatura: Go Nagai, Tsutomu Iida (Umanosuke Iida)
Character Design: Kazuo Komatsubara
Musiche: Kenji Kawai
Studio: Oh! Production
Formato: serie OVA di 2 episodi (durata ep. 55 min. circa)
Anni di uscita: 1987 - 1990

 
Milioni di anni fa in sintonia con i dinosauri viveva il popolo dei demoni, i cui membri erano in perenne guerra tra di loro per la sopravvivenza. Solo i più forti ce la facevano, dilaniando i deboli e assimilandone i poteri attraverso la fusione. Il timido e introverso Akira Fudo lo scopre dal suo amico Ryo Asuka, che gli rivela anche che i diavoli stanno iniziando a risvegliarsi nei ghiacci, anelando nuovamente alla riconquista del loro pianeta. Unica speranza per far fronte alla minaccia e proteggere l'umanità sembra di quella di fondersi con un demone potentissimo, ereditarne i poteri e mantenere il raziocinio umano...

Nel 1971 un giovane e da poco professionista Go Nagai disegna, con un tratto rozzo, sporco e caricaturale, l'impressionante manga horror Mao Dante, avente come protagonista un ragazzo-diavolo in lotta contro Dio, il tiranno sanguinario che ha schiavizzato l'umanità. Fonte di prevedibili polemiche da parte della società del tempo, il concept piace molto allo studio animato Toei Animation, che chiede al mangaka di rielaborarne la trama in animazione. Nasce così nel 1972 la serie tv DevilMan: successone d'ascolti e ottima qualità generale, ma l'opera "pecca" di un impianto narrativo infantile e supereroistico, non potrebbe essere altrimenti visto il giovane target di riferimento. L'autore, tuttavia, è molto interessato a sviluppare il potenziale horror della storia: scrive quindi una versione di DevilMan ancora più personale su carta, realizzando infine uno dei massimi capolavori del fumetto giapponese. Quello che sembra un aggiornamento un pelo più maturo della controparte televisiva diventa, man mano che prosegue, un gioiello nichilista di grande potenza evocativa. Akira Fudo, assunti i poteri demoniaci che gli permettono di diventare il sanguinario DevilMan, inizia a difendere la razza umana affrontando le legioni demoniache, ma presto diverrà nemico della stessa umanità che, in preda alla paura e all'istinto, si inizia a distruggere con le sue stesse mani, fomentando massacri e caccia alle streghe che avranno il solo risultato di anticipare la sua estinzione dal pianeta. Un finale apocalittico - incivile da rivelare - consegna la patente di opera immortale al manga di Go Nagai.

Sacrosanto potesse un giorno finalmente godere di una trasposizione animata fedele. Il compito spetta nel 1987 allo staff Oh! Production assoldato da Dynamic Planning: regista Tsutomu Ida (rinominatosi in tempi recenti Umanosuke Iida, noto ai più per la splendida serie OVA gundamica The 08th MS Team), chara designer l'acclamato Kazuo Komatsubara già dietro la cornice grafica di quasi tutte le produzioni Toei nagaiane, musicista Kenji Kawai, già noto per la colonna sonora di Maison Ikkoku. La presenza dello stesso Go Nagai alla sceneggiatura e un budget tra i più cospicui dell'epoca ben esemplificano le grandi ambizioni del progetto. Escono così nell'home video, alla distanza di tre anni, La Genesi e L'arpia Sirene, trasposizioni fedeli e aggiornate dei primi 2 volumi (su 5) del manga originale. Un progetto certosino e realizzato con grande dispiego di mezzi che, in quegli anni, si presenta come destinato a fare la Storia. Peccato andrà tutto a rotoli, rappresentando un'ingiustizia che ha strascichi ancora oggi. Beffardamente, proprio l'estrema qualità dei due episodi realizzati è uno dei principali colpevoli dell'arresto: visti i risultati positivi il regista Iida vuole un budget sempre più maggiore per trasporre le puntate successive, al punto che al momento di realizzare l'attacco alla Terra su larga scala dei demoni (volume 3) non è soddisfatto di quello che già ha. Fiducioso, nell'immediato futuro, di convincere qualche sponsor a finanziargli quanto chiede, mette un temporaneo stop alla produzione, peccato la sua previsione non si avvera e dopo undici anni ancora nessuna novità. Il 24 marzo 2000 segna la definitiva battuta d'arresto all'opera: muore Kazuo Komatsubara, il cui tratto indelebile è rappresentativo dell'intera produzione, e il DevilMan animato e fedele rimane incompiuto per sempre. Capolavoro ucciso dalla cattiva sorte.


Il primo, La Genesi, è il migliore. Merito dell'incredibile atmosfera horror, cadenzata dalle spettrali tracce musicali di Kenji Kawai (destinato all'immortalità Show Must Go On) e sostenuta dallo spettacolare chara design di Komatsubara, che aggiorna e definisce il grottesco tratto originale rendendolo ancora più inquietante, senza mai tradirne le origini rozze e sporche. Animazioni fluidissime e un sense of wonder dato dai pregevoli fondali tradiscono il passato miyazakiano del regista Iida (aiuto regista in Il castello nel cielo), mentre lievi modifiche e/o aggiunte al manga, a opera di Nagai e dello stesso Iida, migliorano la storia, ampliandola con sequenze action-horror che vedono Akira e Ryo fronteggiare un primo attacco di demoni prima di dirigersi al sabba che cambierà per sempre le loro vite. Non mancano neppure inserti inediti come la figura dei genitori di Akira, assenti in origine, che forse avrebbero avuto conseguenze nei futuri episodi. Non si saprà mai. La carneficina finale che chiude l'opera, realizzata in una sequenza splatterosa registicamente impressionante - un'orgia di sangue, smembramenti, luci abbaglianti e soluzioni visive che sembrano riprese da un film di Yoshiaki Kawajiri - è l'apice qualitativo dell'intera produzione. Due anni dopo esce L'arpia Sirene, che narrativamente può annoiare o esaltare ma rimane un gioiellino di tecnica e confezione. La trasposizione, ancora una volta ineccepibile, di alcuni scontri isolati di DevilMan, contro lo spietato demone Jinmen e l'arpia Sirene, le cui apparizioni sono cronologicamente invertite rispetto al fumetto. La trama essenzialmente non avanza di un'unghia, il tutto si riconduce al protagonista che affronta i due mostri per tutta la durata dell'OVA, in un tripudio di animazioni da cardiopalma, musiche fantastiche e splatter a iosa: gustoso anche se sicuramente insipido quanto a contenuti. Quello che fa amarezza sono le poche, nuove, intriganti aggiunte rispetto al fumetto, tipo gli accenni al futuro destino di Miki, ragazza dell'eroe, che rimarranno inutili vista la sorte toccata al progetto.

Due perle nere che purtroppo, vista la loro incompletezza, sono pienamente apprezzabili solo a chi ha già letto il fumetto. Forti della loro caratura tecnica ed estetica rimangono una visione piacevole anche a chi ne è profano - non terminano con un finale tronco, solo aperto -, ma è ovvio che chi è interessato a scoprire il valore del DevilMan di Go Nagai lo cercherà nel finale del fumetto più che nell'introduzione della versione animata. Si rivolga alla casa editrice d/visual, che lo ha stampato in Italia (insieme al prototipo Mao Dante e ai seguiti DevilLady e Violence Jack) in 5 bei volumi. Per sfatare, infine, una leggenda metropolitana, Amon: Apocalypse of DevilMan, uscito  nel 2000, non è l'atto conclusivo della trilogia. È l'adattamento del primo volume del manga omonimo di Yu Kinutani, una rilettura di DevilMan a cui Go Nagai non ha minimamente lavorato, una semplice fan-fiction.


Edizione italiana, risalente alle VHS pubblicate negli anni 90 da Granata Press e Dynamic Italia, di discreto livello, con un buon adattamento rovinato però da un doppiaggio rivedibile, troppo volutamente tetrale, al punto di rendere a tratti irrealistici il tenore dei dialoghi. La voce di Ivo de Palma su Akira, poi, è completamente fuori personaggio. In attesa del recupero degli OVA da parte di una casa distributrice italiana, attualmente l'unica loro fonte di reperibilità degli OVA di DevilMan è il fansub in inglese a cura di Anime-FanRips.

Voto: 8,5 su 10

giovedì 21 gennaio 2010

Recensione: Le Situazioni di Lui e Lei (Karekano)

LE SITUAZIONI DI LUI E LEI
Titolo originale: Kareshi Kanojo no Jijō
Regia: Hideaki Anno (ep.1-18), Kazuya Tsurumaki (ep.19-26)
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Masami Tsuda)
Sceneggiatura: Hideaki Anno
Character Design: Tadashi Hiramatsu
Musiche: Shiro Sagisu
Studio: GAINAX, J.C. Staff
Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep. 25 min. circa)
Anno di trasmissione: 1998 - 1999
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Dynit


Yukino Miyazawa è bella, posata, eccellente nello studio e nello sport, adorata da tutti. In verità la sua facciata è una totale montatura, essendo in verità una ragazza energica e scatenata, senza peli sulla lingua, che ama farsi elogiare e vive nel suo egocentrismo. La sua vita cambia quando conosce Soichiro Arima, ragazzo ancora più bravo di lei a scuola e ancor più idolatrato. Iniziato come un turbolento conflitto misto a rivalità, il rapporto tra i due si evolverà sempre più ed entrambi scopriranno di indossare delle maschere ben distanti dal loro vero Io.

Per la sua prima trasposizione manga e la nona opera animata, nel 1998 l'ormai blasonata GAINAX decide di donare colore e animazioni all'omonimo shoujo manga di Masami Tsuda (attualmente rieditato in Italia da Dynit in 11 maxi-volumi). E Hideaki Anno, già consacrato nell'Olimpo per GunBuster, Nadia ed Evangelion, si sbizzarrisce nuovamente in uno stile registico all'avanguardia, scrivendo nuove pagine della Storia dell'animazione. Le situazioni di Lui è Lei (o Karekano com'è conosciuto più facilmente all'estero) è un suo energico concentrato di creatività, un susseguirsi di invenzioni visive assenti nel fumetto, che nell'alternarsi di fisionomie reali e super deformed, colori tradizionali e a pastello, onomatopee e baloon che disegnano su schermo i pensieri e voci, silhouette degli attori disegnate su fogli di carta, fotografie vere e inserti live, metafore animalesche, sagome definite e sfumate e ogni genere di idee grafiche, illustra una storia briosa e dirompente fedelissima al bel manga d'origine.

La vicenda portante, divertente e pirandelliano gioco delle maschere rivitalizzato nel contesto di una commedia sentimentale vissuta da due azzeccati protagonisti, è tratteggiata in modo appassionante da loro e dalla splendida regia. Karekano infatti, lungi dal definirsi una banale storiella romantica che parla di due ragazzi che si mettono insieme, esattamente come il fumetto esplora il loro rapporto dopo il fidanzamento parlando delle difficoltà del rapporto, delle prime esperienze sessuali, dell'iniziare a scoprirsi e capirsi. Soprattutto, inizialmente giocato sull'evolversi del loro rapporto amoroso, inizia poi a focalizzarsi anche sulle vicissitudini similari dei loro amici e/o conoscenti. Leggerezze e ingenuità, visto il target del manga originale, non possono ovviamente mancare, concretizzandosi nell'irritante, continuo ribadirsi di pensierini rosa da parte dell'eroina sul quanto è bello essere baciati, abbracciati, tenuti per mano, etc (la classica idealizzazione dei sentimenti da shoujo manga). Vista l'assoluta freschezza con cui viene raccontata una storia divertente e spesso, e in più punti, addirittura esilarante, si può tuttavia lasciar correre: la protagonista Yukino nella perfida vitalità del suo Real Self è davvero adorabile, prestandosi a gag fulminanti, fracassoni e demenziali che strappano più di una risata. Riusciti sono anche i vari comprimari che ruotano attorno a lei e Arima, caratterizzazioni parossistiche con propri tormentoni e vizi puntualmente esaltati dalle invenzioni registiche di Hideaki Anno.


Il primo, grosso limite de Le situazioni di Lui e Lei è la pessima distribuzione del suo budget, fonte di una fortissima discrepanza tra la prima metà della serie, animata magistralmente, e la seconda, martoriata da recap ed episodi realizzati con soluzioni visive tendenti all'ultra-risparmio più o meno insopportabili (replicando il risultato dei due famosi episodi finali di Evangelion). Altro problema è l'abbandono di Anno alla regia dall' episodio 18, dovuto a litigi con l'autrice del manga originale insoddisfatta dei suoi sperimentalismi, con conseguente rimpiazzo al suo posto di Kazuya Tsurumaki, altro pregevole regista GAINAX privo però dell'inventiva del predecessore, che torna a uno stile di direzione ortodosso e senz'arte nè parte (nonostante questo la sceneggiatura rimane fino alla fine quella originale di Anno, che a questo punto può vantare l'intero script della serie). Problemi su cui si potrebbe correre sopra volentieri se il gioco valesse la candela, e per buona parte della visione in effetti in effetti avviene questo visto il divertimento evocato (merito anche, qui in Italia, di un doppiaggio grandioso e un adattamento maniacale, comprensivo di trascrizione in italiano di tutte le numerosissime scritte giapponesi nelle invenzioni grafiche). Purtroppo il finale, o meglio non finale rovina veramente tutto quel che c'è di buono, troncando la carica dirompente della storia con una conclusione barbara che lascia mille domande ad aspettare inutilmente una risposta, a meno che non si abbia letto il manga (di cui copre neanche 1/4 della durata).

E così alla fine, pur con molti pregi, Karekano si ricorda solo come una probabila gran bella serie uccisa da bassi budget e ascolti che lo portano a una chiusura amputata, tra le più indecenti di umana memoria. Visione piacevolissima e divertente, per carità, ma solo finchè dura, ossia poco, pochissimo. Imperativo recuperare e leggersi il manga originale di Masami Tsuda per scoprire la vera facciata di Karekano, quella cupa e introspettiva che purtroppo viene appena accennata in tv.

Voto: 5 su 10

mercoledì 20 gennaio 2010

Riccardo Rudi R.I.P.

E' con immane tristezza che comunico la prima, triste dipartita del blog.

Riccardo Rudi, di anni imprecisati, per cazzi vari etc abbandona a malincuore la sua collaborazione con Anime Asteroid.
Il suo ricordo rimarrà sempre vivo in noi: ogni tanto, quando siete sereni, spero potrete dedicare alla sua triste figura un sorriso, pensando al suo operato svolto con encomiabile dedizione.

Un rigraziamento dunque a lui, e un abbraccio forte anche alla sua famiglia.

lunedì 18 gennaio 2010

Recensione: Chaos;Head

CHAOS;HEAD
Titolo originale: ChäoS;HEAd
Regia: Takaaki Ishiyama
Soggetto: (basato sul videogioco originale di 5pb & Nitroplus)
Sceneggiatura: Toshiki Inoue
Character Design: Mutsumi Sasaki (originale), Shuichi Shimamura
Musiche: tOkyO
Studio: Mad House
Formato: serie televisiva di 12 episodi (durata ep.24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2008


Takumi Nishijo è un hikikomori, un disadattato che non ha il coraggio di legarsi alle persone e che vive in un perenne mondo di sogni cullato da videogiochi, manga, anime e internet. La sua vita subisce una svolta quando sarà sospettato di essere il terribile assassino che negli ultimi tempi ha dato via a una brutale scia di delitti. Sempre più incapace di distinguere la realtà dalla sua immaginazione, il ragazzo non sa neanche se fidarsi delle persone a lui più vicine, sopratutto alcune ragazze che, oltre a essere misteriosamente legate a lui, sembrano combattere una misteriosa organizzazione segreta a colpi di spada magici...

Il primo decennio del nuovo secolo sembra aver conosciuto un boom di popolarità per quel che riguarda le storie che parlano di otaku e hikikomori, dopo il successo dei vari Genshiken e Welcome to the NHK animati. Una moda forse derivante dall'entusiasmo degli spettatori nel vedere in animazione protagonisti con i loro stessi hobby, seppur estremizzati e cause di una vita da perdenti. Qualsiasi siano le motivazioni, nel 2008, made in Mad House, arriva sugli schermi televisivi nipponici una nuova storia con eroe disadattato, ChäoS;HEAd, trasposizione del primo capitolo della trilogia di visual novel fantascientifiche sviluppate da 5pb e Nitroplus. Una serie tv orribile, che ha il pregio di iniziare in modo accattivante e il demerito di sviluppare nel ridicolo tutti i suoi spunti interessanti.

Un approccio iniziale decisamente positivo, addirittura coinvolgente: sarà il protagonista malaticcio e sfigato, molto più del Tatsuhiro Sato di NHK, che trascina per tutta la serie due occhiaie da paura e fa colossali figuracce nella vita reale, tali da far vergognare chi guarda; sarà l'atmosfera cupa, sospesa tra giallo e horror con innumerevoli sequenze sanguinolente; sarà l'originale alternarsi di realtà e immaginazione nella testa di Takumi, comprensivo di lunghe sequenze dialogate tra lui e le sue illusioni mentali... Rimane da sé che Chaos;HEAd intriga parecchio interrogando perennemente lo spettatore sulla direzione che prenderà una storia a prima vista incredibilmente misteriosa. Un mystery estremamente adulto nella narrazione, dove il totale estraneamento dalla realtà del protagonista lo vede trasformare in feticci erotici le poche ragazze in carne e ossa che lo degnano di attenzione, sfogando nella sua mente le pulsioni sessuali che le sue algide, provocanti action figure negano. Temi adulti e drammatici affrontati con coraggio e anche una certa sensibilità, attraverso dialoghi credibili e un'attenta caratterizzazione dei processi mentali che colgono lo sventurato eroe, portando quantomeno a capire i suoi disgraziati punti di vista. Il tutto, tra l'altro, ben diretto, con diverse sequenze di tensione, in riferimento alle indagini di Takumi sul serial killer che si spaccia per lui. Peccato tutto svacchi, e di brutto, quando sono chiariti gli enigmi della storia.


Nel momento in cui i misteri e le visioni del ragazzo si rivelano per quel che sono, pretestuosi artifizi per giustificare un'incomprensibile, orripilante virata action-fantasy, sfruttando anche a tal scopo componenti fantascientifici come antimateria, paradossi temporali e il mare di Dirac per far figo (ma in realtà questi elementi, usati in una storiaccia simile, aggiungono solo ulteriore senso di ridicolo), ci si rende conto umiliati di quanto Chaos;HEAd offenda l'intelligenza umana. Anche perché le spiegazioni arrivano nelle battute finali, fungendo da terribile climax a una parte iniziale/centrale lodevole e interessante. Sei episodi di segoni mentali e inutili verbosismi enunciano, con un fantastico colpo di scena, che Takumi non è un normale essere umano, facendo decadere nel vuoto il rigoroso processo di caratterizzazione con cui si sono trattate realisticamente le sue manie di nerd compulsivo. In questo modo anche le sue fantasie, nella realtà parto di una mente deviata come può essere quella di un otaku, perdono di importanza visto il nuovo ruolo che finisce con l'assumere. Ugualmente annichilite nel demenziale sono anche tutte le atmosfere mysteriose, che tra sanguinosi omicidi, sospetti, schizofrenia, amiche d'infanzia di cui non si ha memoria, spade che si materializzano dal nulla e ogni delirio e nonsense, superano nelle fasi finali, con lunghissimi quanto atroci spiegoni, le vette del trash, risolvendo tutta la sostanza in guerriere provenienti da Ikkitousen combattere con spade e magie contro cattivoni da burletta che comandano associazioni segrete da burletta in vista di scopi malvagi da burletta. Un epilogo atroce che umilia quanto di buono era costruito prima.

Chaos;HEAd si rivela, insomma, una memorabile presa in giro, una produzione animata a cui calza a pennello l'aggettivo di spazzatura. Ignobile in quasi tutti i suoi aspetti, non solo narrativi, tant'è che anche quei pochi amanti dell'orrido che ne apprezzeranno l'assurda svolta fantastica si ritroveranno comunque delusi dalle animazioni legnosette, dal mediocre comparto tecnico generale (alla faccia dello studio Mad House) e dall'assoluta mancanza di fantasia nel chara design dei personaggi, adagiati a look di una banalità incredibile tra cloni di Rei Ayanami, Fate Tesarossa etc (anche se bisogna ammettere che questa è una colpa da rinfacciare agli sviluppatori del gioco originale).


Pur ambientati nello stesso universo narrativo di Chaos;HEAd, ma diversi anni dopo, vale la pena citare i due seguiti Steins;Gate (2011) e Robotics;Notes (2012), decisamente di un altro livello e fortunatamente, grazie a cast nuovi di zecca e storie privi di rimandi a Chaos, pienamente vedibili stand alone. Curiosamente tutte e due animati da studios diversi da Mad House, in questo caso WHITE FOX e Production I.G.

Voto: 4,5 su 10

SEQUEL

giovedì 14 gennaio 2010

Recensione: Lady Oscar

LADY OSCAR
Titolo originale: Versailles no Bara
Regia: Tadao Nagahama (ep. 1-18), Osamu Dezaki (ep. 19-42)
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Riyoko Ikeda)
Sceneggiatura: Yoshimi Shinozaki, Masahiro Yamada, Keiko Sugie
Character Design: Shingo Araki, Michi Himeno, Akio Sugino (ep. 19-42)
Musiche: Koji Magaino
Studio: Tokyo Movie Shinsha
Formato: serie televisiva di 42 episodi (durata ep. 25 min. circa)
Anni di trasmissione: 1979 - 1980
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Yamato Video


Parigi, fine XVIII secolo. Addestrata fin da tenera età all'arte della spada attraverso una rigida educazione maschile, Oscar François de Jarjayes, di nobile famiglia francese, diviene presto capitano della guardia reale della regina Maria Antonietta, stringendo con lei rispettosa amicizia. Assieme al fido amico d'infanzia André Grandier, innamorato di lei, vivrà diverse avventure difendendo la regina dagli intrighi di corte e dalle invidie del popolo, le quali le faranno anche conoscere le condizioni di estrema povertà nelle quali riversano i sudditi. Distrutta dalle incertezze sulla sua identità maschile e irresistibilmente attratta dal conte Hans Axel Von Fersen, già amante della sua regina, Oscar dovrà capire quale strada scegliere per la sua vita, ma anche da quale parte schierarsi all'avvento della Rivoluzione Francese...

La serie animata La Rosa di Versailles (o Lady Oscar, seguendo il più conosciuto titolo internazionale) è esempio rappresentativo di uno degli assunti più antichi del mondo: l'importanza nulla, cioè, che deve rivestire in qualsiasi opera d'arte o ingegno l'appoggio o meno del grande pubblico. Le sue risalgono al 1972, anno in cui debutta sulla rivista Margaret il manga di riferimento scritto da una appena 24enne Riyoko Ikeda. La giovane autrice, letto al liceo una biografia molto romanzata di Maria Antonietta pubblicata in Giappone (Maria Antonietta - Una vita involontariamente eroica, Stefan Zweig, 1932) e affascinata dalla personalità dell' "Austriaca", bambina viziata e immatura finita quasi per gioco a governare la Francia, odiatissima dal popolo parigino per i suoi folli sperperi di soldi pubblici ma che, diventata madre e vittima dei grandi turbamenti sociali di fine XVIII secolo, sa ritrovare la dignità dei grandi regnanti verso le ultime fasi di vita, con un solenne discorso davanti al tribunale rivoluzionario e una morte stoica e solenne sulla ghigliottina, decide di tributare alla vita della "Rosa di Versailles" una sua personale versione a fumetti1, umanizzando con la sua sensibilità un personaggio storico così scomodo e, in generale, tutt'oggi ricordato in modo abbastanza negativo.

Disegna così un manga che si rivela fin da subito una delle grandi, intramontabili hit dello shoujo manga di sempre e tra le sue più grandi pietre miliari: la prima storia per ragazze ad ambientazione storica (scelta ferocemente osteggiata dalla sua casa editrice che la definiva un'idea anti-commerciale al massimo, ma i lettori le daranno ragione2), e tra le prime (dopo, ovviamente, La Principessa Zaffiro di Tezuka del 1953) a creare l'archetipo della protagonista gender bender, l'eroina femminile che assume identità e atteggiamenti dell'altro sesso. A incarnare questo archetipo di personaggio non è però Maria Antonietta bensì il personaggio immaginario (benché plasmato sulla vita di due personalità storiche, François Augustin Reynier, cavaliere e conte de Jarjayes, e il caporale Pierre Hulin3), Oscar François de Jarjayes, vero protagonista della storia, nobile educata a essere un uomo, abile spadaccina e capitano della guardia reale, personale amica-confidente della regina: dal suo punto di vista privilegiato (che le permette di svolgere la professione nei salotti di Versailles come nelle sporche strade parigine) la Ikeda dà il suo personale ritratto della regnante come l'ha percepito lei. A parte questi tratti biografici, è per la trama che il manga parla per sé: una tragica, epica storia d'amore interclassista, ambientata in un contesto crudele come quello della Francia di fine XVIII secolo in procinto di abbracciare la guerra civile, che lancerà l'idea di raccontare storie in periodi storici ben definiti e spesso drammatici. Per merito del carisma degli eroi, la bellezza della storia e la realistica rappresentazione del periodo analizzato (tra salotti della reggia di Versailles, dove nobili esprimono tutta la loro bassezza pugnalandosi alle spalle con pettegolezzi e cattiverie,  sperperando in lusso le tasse del popolo, e una Parigi che vive nella miseria, dove i sudditi tirano avanti di giorno in giorno senza sapere se avranno di che sfamarsi la mattina dopo), La Rosa di Versailles e Oscar diventano un autentico fenomeno sociale, originando negli anni successivi ogni genere di incarnazione crossmediale, tra musical, rappresentazioni teatrali al Takarazuka, film con attori in carne e ossa, elogi ufficiali (nel 2009 l'autrice riceve la Legion d'onore, il massimo riconoscimento della repubblica transalpina, meritata per aver diffuso significativamente in Giappone la cultura e la Storia della Francia4), e altro ancora.

È solo però nel 1979, ben sei anni dopo la conclusione dell'opera e innumerevoli rifiuti da parte dell'autrice a una trasposizione animata (bisogna ringraziarla, alcuni di questi danno vita, nel 1975, alla bella serie La Stella della Senna), che si arriva finalmente alla concretizzazione anche di questa, da parte dello studio Tokyo Movie Shinsha. Ne esce un capolavoro dell'animazione, flop tanto tremendo in Giappone nella prima trasmissione televisiva5 (l'opera verrà riscoperta solo con le repliche6), quanto successo di culto in Italia e in altri Paesi del mondo, che ancora una volta applaudono qualsiasi opera disegnata da Shingo Araki e dalla moglie Michi Himeno. Cosa ci sarà di buono in una produzione animata che non solo l'autrice non è mai stata interessata a guardare7, che non solo è stata aborrita dalle fan del manga, ma si è ritrovata anche impietosamente mutilata, nelle versioni estere, degli originali episodi di rimontaggio 24 e 418? Alla luce della visione, la soluzione non può che essere lapidaria: al pubblico italiano si riconosce una volta tanto più buon gusto di quello nipponico.


Lady Oscar è uno di quegli adattamenti manga-anime le cui differenze si rivelano di gran classe, le cui caratteristiche del media (colori, musiche, animazioni) valorizzano ulteriormente le atmosfere originali. Lo staff di sceneggiatori dello studio Tokyo Movie Shinsha rilegge La Rosa di Versailles rimuovendone gli inserti umoristici originali (frequentemente utilizzati dall'autrice per stemperare i vari drammi), modificando tratti di trama e approfondendo notevolmente le psicologie dei personaggi, per rendere ancora più drammatica e soprattutto inedita la vicenda: un lavoro di voluta e benvoluta infedeltà, che presenta La Rosa di Versailles sotto una nuova luce. In questo modo, le struggenti storie d'amore e guerra in esso rappresentate, tratteggiate dagli stupefacenti, elegantissimi disegni di Shingo Araki e consorte, ne escono potenziate oltre ogni limite.

Non basterebbero fiumi di inchiostro a rendere la perfezione del tratto estetizzante e gotico degli inseparabili character designer, in questo caso addirittura (precedente UNICO nella Storia degli anime) direttori dell'animazione di tutti e 42 gli episodi, autori di un aspetto visivo raffinato, espressivo e aggraziato che fa assumere ai personaggi un aspetto lirico e dannato da tragedia greca, perfetto nel tratteggiare cupe relazioni amorose e psicologie turbate. L'atmosfera malinconica che si crea risulta indimenticabile, partendo dalla prima metà di serie puramente introduttiva, con Oscar e Andrè che affrontano macchinazioni nobiliari ai danni della regina, per arrivare al magnifico, commovente finale, con i due che, trovato l'amore, come novelli Paolo e Francesca ruotano loro malgrado nel turbine della Storia, indecisi se adempiere il loro ruolo di difensori del popolo portandolo fino alle più estreme conseguenze, o cercare serenità pensando a se stessi e alla loro vita privata. Tra le commoventi tracce della bella colonna sonora di Koji Magaino e una sontuosa confezione visiva, data principalmente dalle invenzioni estetiche del secondo regista Osamu Dezaki (con i suoi classici, memorabili sfondi-cartolina, affidati ad Akio Sugino e alla Himeno9), la ciliegina sulla torta è rappresentata dalle aggiunte all'intreccio originale, un crogiolo di avventure nuove di zecca che aumentano la tragicità, caratterizzano meglio il background storico e inseriscono attivamente nella trama personaggi marginali nel manga o addirittura assenti, come il duca d'Orléans o i famosi rivoluzionari Maximilien de Robespierre e Louis de Saint-Just. Tutte le modifiche operate all'intreccio originale del manga hanno più di un motivo per risultare interessanti, visto che sono molto legate ai nomi dietro la loro creazione. I retroscena dietro la genesi del capolavoro sono, per molti versi, interessanti quasi quanto lui.

L'anime nelle intenzioni iniziali doveva essere affidato alla regia di Dezaki, dal prestigio ormai acclarato, solo che quest'ultimo all'epoca sta co-dirigendo Le avventure di Marco Polo (1979) prodotto dalla NHK e non se ne fa niente. Si sceglie allora un altro veterano di comprovata esperienza, Tadao Nagahama, famoso per la quadrilogia robotica Toei Animation/Sunrise composta da Super Electromagnetic Robot Combattler V (1976), Super Electromagnetic Machine Voltes V (1977), General Daimos (1978) e Daltanious il robot del futuro (1979). Daltanious è iniziato giusto sette mesi prima, ma Nagahama lo abbandona senza problemi appena scopre di avere la possibilità di lavorare nuovamente con Araki. In Voltes V Nagahama parla della guerra tra i terrestri e i boazaniani, una nobiltà extraterrestre che ha ridotto alla fame e alla miseria il suo popolo, dando ai cattivi un aspetto fisico e un vestiario palesemente basati su quelli dell'aristocrazia francese ai tempi della Rivoluzione. Letto quindi il manga della Ikeda, non deve perciò stupire il suo grande entusiasmo nel riscoprire una vicenda in cui trattare quel periodo storico ancora più in dettaglio, ed è così che farà, enfatizzando in Lady Oscar (titolo internazionale della serie), rispetto al manga, gli intrighi di corte nella reggia di Versailles e i duelli di spada all'interno di ambienti nobiliari10. Quella del regista è una reinterpretazione semi-avventurosa che porta subito, addirittura fin dal primissimo episodio, la serie a venire osteggiata: sia da migliaia di lettrici, infuriate per le infedeltà e il basso tenore romantico11 (e che già in precedenza avevano intimato lo studio di produzione, con lettere minatorie, di seguire in modo tassativo la storia originale12), che dallo stesso produttore televisivo Shigeru Umeya, che chiedeva invece un maturo dramma psicologico più focalizzato sulla psiche di Oscar che sulle sue schermaglie13. Il basso share e, si legge spesso in giro, anche forti dissapori tra Nagahama e la doppiatrice di Oscar, Reiko Tajima14, sono infine le gocce che fanno traboccare il vaso: il regista è allontanato e rimpiazzato al 19esimo episodio da Dezaki15, che ha nel frattempo completato quello che stava facendo. Quest'ultimo, nel tentativo di cambiare le cose e rendere la serie più vicina ai gusti di Umeya, imporrà agli sceneggiatori la scrittura di nuovi copioni che sostituiscano quelli già pronti16, chiede e ottiene la sostituzione di tutto lo staff di disegnatori e del direttore artistico17, e dice ad Araki e Himeno di evolvere il loro stile disegnando i personaggi con fattezze molto più adulte e realistiche, in contrapposizione ai  "pupazzi da fumetto per ragazze"18 viste in precedenza  (da qui la famosa "crescita di capelli" della protagonista), in modo che somiglino a come li farebbe il suo chara designer di fiducia, Akio Sugino19, oltretutto convocato per dare loro una mano20. Ripetendo, quindi, quello già fatto a suo tempo con la versione animata di Aim for the Ace! del 1973 (altro shoujo manga serializzato sempre su Margaret), Dezaki porterà avanti la storia senza comunque rinunciare a rileggerla anche lui personalmente, aumentando i drammi psicologici, focalizzando l'attenzione su atmosfere intimiste, modificando il ruolo di alcuni personaggi (uno in particolare: il soldato giacobino Alain de Soisson, che come in tutti gli anime diretti da Dezaki diventa la spalla da affiancare al protagonista per esprimere un punto di vista esterno che lo inquadri oggettivamente21) e apportando nuove modifiche all'intreccio: anche se questi fatti non incideranno sullo share e al conseguente, brutale tonfo commerciale della serie, questi inserti rimangono comunque, come quelli precedenti, ben fatti, con criterio e a manga abbondantemente concluso da anni, tanto da integrarsi perfettamente nell'intreccio senza creare contraddizioni.


Al Lady Oscar animato si potrebbero giusto rinfacciare alcune licenze storiche, come la morte di alcune personalità storiche mai avvenuta in un certo modo e alcuni attori (madame de Polignac, Rosalie, Jeanne) non fedelissimi alle proprie controparti reali. Quasi tutto è comunque semplice retaggio del manga e, di riflesso, della biografia di Zweig letta dalla Ikeda, oggi riconosciuta come poco attendibile22 (sarebbe più giusto lamentarsi del destino che viene riservato al personaggio di Alain, sorte, ripudiata dall'autrice quando l'ha saputa23, che renderebbe impossibile l'eventuale trasposizione del seguito del manga, Eroica - La gloria di Napoleone). Lady Oscar affascina nella sua storia drammatica, rattrista negli splendidi e tragici personaggi sublimemente caratterizzati, meraviglia l'occhio con un tratto raffinatissimo: è una grande serie animata che, nonostante le animazioni modeste del periodo (controbilanciate dallo sfarzo visivo), non ha semplicemente tempo e risulterà, per sempre, un capolavoro. L'ennesimo di Dezaki. Classico senza età.

Intenso il doppiaggio della versione italiana, teatrale e adattato in modo tutto sommato coerente, seppur sbiadito da uno sparuto numero di discutibili adattamenti che infantiliscono un po' il contesto ("ti voglio bene" invece che "ti amo", "preferita del re" invece di "amante del re", rimozione dei riferimenti a prostituzione e lesbismo etc). Fortuna che i due DVD Box editi in Italia da Yamato Video sono tra i pochissimi, della casa distributrice milanese, a contemplare sottotitoli fedeli ai dialoghi originali (oltre a due booklet ricchi di ghiotti retroscena). Unico neo dell'edizione è la sigla d'apertura italiana cantata dai Cavalieri del Re, addirittura impostata in automatico se si seleziona la nostra lingua: seppur orecchiabile è lontana anni luce dalla poesia dell'epica, struggente Bara wa Utsukushiku Chiru, quest'ultima disponibile solo per la visione in giapponese. The Lady Oscar Story, uscito straight-to-video in Giappone il 21 maggio 1987, in periodo di rivalutazione della serie TV, è l'immancabile, inutile riassunto-rimontaggio condensato dell'intera storia.

Voto: 10 su 10

ALTERNATE RETELLING
The Lady Oscar Story (1987; OVA)


FONTI
1 Intervista a Riyoko Ikeda pubblicata su "Le Rose di Versailles" n. 4 ("Intervista a Riyoko Ikeda - Parte quarta", d/visual, 2008)
2 Intervista alla Ikeda pubblicata pubblicata su "Le Rose di Versailles" n. 1 ("Intervista a Riyoko Ikeda - Parte prima", d/visual, 2008)
3 Vedere punto 1
4 Anime News Network, "Rose of Versaille's Ikeda Riyoko Receives France's Top Honor", http://www.animenewsnetwork.com/news/2009-03-12/rose-of-versailles-ikeda-receives-france-top-honor
5 Booklet allegato al Memorial Box 1 dell'edizione in DVD Yamato Video di "Lady Oscar" (2009, pag. 5)
6 Come sopra
7 Intervista alla Ikeda pubblicata pubblicata su "Le Rose di Versailles" n. 3 ("Intervista a Riyoko Ikeda - Parte terza", d/visual, 2008)
8 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese, Tunuè, 2012, pag. 131
9 Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit).
10 Il corposo retroscena viene dal booklet del punto 5, a pag. 2
11 Come sopra, a pag. 5
12 Booklet allegato al Memorial Box 2 dell'edizione in DVD Yamato Video di "Lady Oscar" (2009, pag. 1-2)
13 Saburo Murakami, "Anime in TV", Yamato Video, 1998, pag. 63
14 Vedere punto 5, a pag. 4
15 Vedere punto 8
16 Vedere punto 5, a pag. 4
17 Come sopra
18 Come sopra
19 Sito internet ufficiale di Yamato Video, "Addio al maestro Shingo Araki", http://www.yamatovideo.com/news_int.asp?idEntita=4340
20 Vedere punto 8. Confermato da Garion-Oh
21 Booklet del punto 12 (pag. 3)
22 Volume 1 de "Le Rose di Versailles", "Introduzione", d/visual, 2008
23 Vedere punto 1

lunedì 11 gennaio 2010

Recensione: Black Blood Brothers - Fratelli di sangue

BLACK BLOOD BROTHERS: FRATELLI DI SANGUE
Titolo originale: Black Blood Brothers
Regia: Hiroaki Yoshikawa
Soggetto: (basato sui romanzi originali di Kohei Azano)
Sceneggiatura: Yuu Sugitani
Character Design: Yuuya Kusaka (originale), Toshiyuki Sugano
Mechanical Design: Nishiki Itaoka
Musiche: Toshihiko Sahashi
Studio: Group TAC, Studio Live
Formato: serie televisiva di 12 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2006


Jiro, conosciuto come Lama D'Argento per le straordinarie capacità di combattimento con l’uso della spada, è un vampiro molto temuto, sia dagli umani che dalle creature della sua stessa razza. Assieme al fratello Kotaro decide di entrare nella cosiddetta Zona Speciale, una città nella quale convivono vampiri e umani secondo una ferrea logica di reciproco rispetto: le creature della notte sono organizzate in alcune gilde, che garantiscono ordine notturno e tengono d’occhio gli esseri umani, mentre i mortali possono contare sulla Order Coffin Company, sorta di ente che vigila sulla correttezza dei vampiri. Jirou, tutt’altro che benvoluto, fa la conoscenza di Mimiko, negoziatrice tra mortali e non-morti, e con lei scoprirà quale sia il segreto che custodisce la Zona Speciale...

In un preciso momento come quello attuale, tanto critico per l’horror, che sminuisce sempre più la figura del vampiro con esili, irritanti versioni sciaguratamente romantiche di una creatura tanto affascinante, morbosa e sanguinaria, Black Blood Brothers è una serie anime che potrebbe riappacificare i cuori polverosi di chi è rimasto deluso da tanti romanzi e film. Se la sinossi potrebbe apparire tutt’altro che invitante, poco più di un pretesto per mettere in scena 12 semplici episodi di combattimenti tra sanguisughe, bisogna ammettere che era impossibile accennare in poche righe alla quantità esasperante di personaggi, situazioni, eventi, intrighi e in generale tonnellate di risvolti di un intreccio tremendamente complesso, contorto e sempre, sempre imprevedibile. Non c’è un momento di pausa, nell’odissea di Jiro e Kotaro, ed è impresa ostica anche solo respirare in una solidissima struttura episodica che continua ad aggiungere informazioni e tasselli a un mosaico complessivo spaventosamente intricato che, paradossalmente, invece di elargire risposte un po’ alla volta, trattiene i pilastri su cui si basa la storia, necessari ma sconosciuti, fino ai minuti conclusivi dell’ultima puntata, quando finalmente tutto torna e il rischio di scoppiare per i troppi meccanismi mentali in funzione viene evitato in extremis.

Non è certo l’originalità il fattore vincente di Black Blood Brothers, né il riconoscimento a cui aspira la serie, ma è innegabile che una certa atipica curiosità traspare da ogni singola puntata. L’insolita scelta di non spiegare alcunché, se non nell’apoteosi informativa finale, appare rischiosa e vincente allo stesso tempo, e se una certa laboriosità poteva essere scansata alleggerendo il carico di misteri, bisogna comunque dire che il congegno narrativo, sulla carta, rasenta la perfezione, ed effettivamente non ci sarebbe motivo per criticare tale azzardo strutturale se non per una certa confusione in cui è naturale smarrirsi saltuariamente.


Se c’è un elemento da criticare, invece, pur nella più che buona impressione generale ottenuta tramite eccellenti rapporti disegni/animazioni e una OST gotico/sinfonica qualitativamente incantevole, è proprio la caratterizzazione di Jiro, che, al di là del facile accostamento al ben più famoso ibrido D, si perde tra momenti buffi (esilarante, però, davvero esilarante la sequenza in cui picchia suo fratello) e altri di estrema serietà che letteralmente spaccano a metà il protagonista dell’anime, rendendolo incerto, zoppicante e a tratti addirittura stupido. Resta comunque invariato il giudizio finale di un anime criptico ma avvincente, che volge a suo favore una mancanza di originalità marginale e sa anche sorprendere lo spettatore. Non è cosa da poco.

Voto: 7 su 10

venerdì 8 gennaio 2010

Recensione: Arion

ARION
Titolo originale: Neo Heroic Fantasia Arion
Regia: Yoshikazu Yasuhiko
Soggetto: Yoshikazu Yasuhiko (basato sul suo fumetto originale)
Sceneggiatura: Yoshikazu Yasuhiko, Chiaki Kawamata, Akiko Tanaka
Character Design: Yoshikazu Yasuhiko, Ryoko Yamagishi
Musiche: Joe Hisaishi
Studio: Sunrise
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 119 min. circa)
Anno di uscita: 1986
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Yamato Video

 
Tracia, età del mito. Rapito in giovanissima età da suo zio Ade, il piccolo Arion, figlio delle divinità Poseidon e Demetra, viene addestrato, nell'oltretomba, all'arte della spada per poter fare, un giorno, la sua parte nella guerra che i suoi parenti intendono dichiarare a Zeus. Cresciuto, il ragazzo prende parte al conflitto, affrontando il signore dell'Olimpo e la sua armata di Titani guidata da Atena, Ares e Apollo. Presto il ragazzo, involontario burattino di cospirazioni e intrighi delle parti, deciderà di rinnegare la sua razza e combattere contro di loro prendendo le parti degli esseri umani.

Bisogna rendere più di un merito a Yoshikazu Yasuhiko: non solo di essere l'artefice di uno dei design più artistici e pittorici dell'animazione nipponica di tutti gli anni '70-80 dello scorso secolo, fondamentale nel rendere indimenticabili titoloni come Mobile Suit Gundam (1979) e Mobile Suit Z Gundam (1985); ma anche di essere uno dei primi autori di manga a realizzare un sogno comune a molti appassionati del fantastico, ovvero quello di ambientare una storia a fumetti nei magici scenari della mitologia greca, anticipando di svariati anni il Saint Seiya (1985) di Masami Kurumada. Sto parlando di Arion, il suo primo manga, serializzato tra il 1979 e il 1984 in risposta ai tanti suoi progetti personali respinti dai produttori di anime1, che deve avere avuto un buon successo se l'autore ha poi la possibilità di realizzarne un adattamento cinematografico, curato in modo certosino e che esce, sotto egida Sunrise, il 15 marzo 1986 nei cinema giapponesi, convincendolo poi a intraprendere ufficialmente in parallelo anche la carriera di mangaka. Come Crusher Joe: The Movie (1983), anche questo film trova una confezione che può definirsi senza dubbio un capolavoro grafico.

Il buon Yas è ancora una volta all'altezza della sua fama e, al timone di chara design, regia e regia dell'animazione (e ha il tempo di metttere anche mano alla sceneggiatura!), è praticamente scontato che non possa deludere in questo senso: sforna inevitabilmente una nuova meraviglia estetica, 119 minuti stellari di animazioni fluidissime, fondali magnificenti e disegni dall'immensa gestualità ed espressività tali che ogni fotogramma meriterebbe di finire in un libro di illustrazioni. Non esagero, siamo di fronte a uno degli apici della sua arte, in Arion si avvertono tutte le ambizioni di un regista frustrato che voleva riscattarsi del magro raccolto di Crusher Joe dirigendo un film, se possibile, ancora più visivamente sontuoso e spettacolare, che scolpisse nella Storia il suo tratto così bello e caratteristico e fosse finalment ricompensato con una giusta gratificazione economica. Non è proprio un caso che lo stesso manga fosse concepito con una regia delle tavole che lo avvicinasse a un anime2, in modo da poterlo eventualmente adattare facilmente mantenendo intatta la qualità dei disegni. In aggiunta a questo, Yas si diverte con una regia briosa, zeppa di piani sequenza che rendono epiche le grandi battaglie e le scene di massa, e per essere sicuro di non sbagliare nulla chiama come consulenti esterni Chiaki Kawamata, noto scrittore di fantascienza, per chiedergli, nel ruolo della composizione dello script, di adattare nel migliore dei modi i 5 volumi del fumetto3, e l'autrice shoujo Ryoko Yamagishi, per aiutarlo, in ambito di chara design, nel disegno del vestiario antico (chitoni, pepli etc.), con cui aveva difficoltà4. Per finire, sceglie come compositore Joe Hisaishi, reduce dal megasuccesso di Nausicaä della Valle del Vento (1984), domandandogli un brano portante eccezionale che entri nella Storia5, e viaggia in Grecia e Turchia per documentarsi sui luoghi, sui paesaggi e sulle abitazioni che si vedranno nella storia, per essere sicuro di renderli al meglio6. Cos'è allora che è andato nuovamente male? Perché il duo Sunrise/Yas ha continuato a non piacere al pubblico e il film è stato accolto, ancora una volta, molto tiepidamente al box office7?


È presto detto: nonostante la confezione ineccepibile e la magnifica resa delle location (sembra davvero di essere lì, nella Culla della Civiltà, con quel mare dai colori cristallini, le ambientazioni rocciose e aride e villaggi di fango posti in cima a dirupi o a sporgenze di pendii ripidi), il problema è, abbastanza prevedibilmente, una sceneggiatura non all'altezza: si possono chiamare come consulenti tutti i grandi scrittori che si vogliono, ma adattare una storia epica e articolata di 5 tankobon in un film di due ore significa per forza di cose tagliare tantissimo materiale fondamentale. Lo script di Arion non può che venire fuori massiccio e infarcito di fatti e avvenimenti, ma affrettato in ogni cosa, martoriato da una pressoché elementare caratterizzazione di tutti i personaggi del cast. La perizia estetica è impagabile, la trama sarà anche abbastanza coerente nel suo sviluppo e certe sequenze erotiche e violente regalano audaci connotazioni adulte, ma l'impossibilità di trovare interessanti i bambolotti-protagonisti elimina alla radice l'interesse per le loro intricate vicissitudini, decade tutto l'impianto emotivo dato dallo strazio interiore di Arion nel cercare la bella Lesphina, dalla frustrazione sessuale dell'orgogliosa Atena nei confronti dell'uomo che non la degna di considerazione, dalla machiavellica personalità di Apollo o dalle conclusive rivelazioni familiari sui due eroi. La visione è insomma abbastanza all'acqua di rose, non si può fare altro che assistere abbastanza indifferenti al suo dipanarsi superficiale e a storcere il naso per svariate trovate narrative che, trattate così malamente nel poco spazio a disposizione, sembrano più illogiche che sensate (i magheggi di Apollo su Atena per farle odiare Lesphina, l'incredibile ruolo che ha quest'ultima nella conclusione come improbabilissima deus ex machina, Arion che di punto in bianco si ritrova a capo di un esercito che lo venera chissà perché, il destino di Atena che si compie nel momento peggiore per le sorti della guerra, deciso da chi è dalla sua parte e questo lo sa bene, l'insignificante comprimario Seneca, etc.). Si ammirano imbambolati, certo, le fastose animazioni, i disegni, le strabilianti scene di guerra e magari si apprezza pure il filosofico scambio di battute finali sul modo di vivere della razza umana, ma si continua a maledire il regista di aver fatto il passo più lungo della gamba, scegliendo di trasporre una storia troppo intricata che era impossibile trattare bene in due ore di girato (ma Yas non imparerà la lezione e tornerà sui suoi errori tre anni dopo, con Venus Wars, ancora più terribile).

Altre perplessità potrebbero essere ricondotte ai brani della colonna sonora di Joe Hisaishi, più elaborati che belli da sentire o ricordare (nonostante l'uso di strumentazione dal chiaro sapore ellenico come arpa, flauti e cetre), al monster design scarno e anonimo e un po' (ma questa è certamente una voluta scelta di Yas) ai rapporti familiari chiaramente falsati delle divinità greche, con parentele mai sentite prima e del tutto incompatibili con quello che discende dalla tradizione. Sempre per rimanere in ambito delle "invenzioni" di Yas, bisogna sottolineare il suo approccio del tutto originale nel trattare la sua storia di divinità greche. Nella vicenda appaiono le Erinni, Prometeo, Pandora, Ercole, Poseidon e diversi altri eroi della mitologia che faranno la gioia di chi l'adora... ma umanizzati. Si sa, sin dai tempi dell'Iliade, che gli dèi hanno loro i vizi, le debolezze e le virtù degli esseri umani e molto spesso, vista la loro condizione di immortalità, si rivelano ben più crudeli e capricciosi di loro, e tale assunto è rispettato ed esplorato fino alle più estreme conseguenze dal regista, al punto da poter  indispettire qualcuno, visto che arriva al punto di togliere loro quei poteri elementali con cui sono noti. Conosceremo sì, quindi, divinità dalle sfaccettature molto umane o interessanti, che possono essere coraggiose o vigliacche (inguardabile Zeus, vecchio, codardo e mingherlino), nobili o invidiose, ma niente tuoni lanciati dalle mani, niente tsunami evocati da un tridente, nessun superpotere: sono ridotti alla stregua di semplici esseri umani, anche di aspetto banale (Ares), e sicuramente deluderanno chi si aspettava qualcosa di fedele all'iconografia. Sono altrettanto fuori dai canoni le bestie divine come Cerbero (un cucciolotto), l'Idra (ha solo due teste) etc.


Insicurezze a parte, il film di Arion si fa ricordare per spunti narrativi isolati qua e là e, ovviamente, il magnifico aspetto visivo (un crimine l'assenza in Italia di una bella versione Blu-ray, fondamentale nel dare ulteriore e meritato smalto alla pellicola, dobbiamo accontentarti del modesto DVD Yamato Video), ma nella conclusione dà l'impressione,  più che di un lungometraggio compiuto (nonostante il finale chiuso), di essere il modesto sunto di un'opera che in origine aveva molto, molto più da dire. La meraviglia estetica controbilancia un po', ma rimaniamo fermi su un'opera che testimonia in modo lapidario tutti i problemi dello Yas regista.

Voto: 6,5 su 10


FONTI
1 Backstage di "Arion" presente come extra nell'edizione italiana in DVD a cura di Yamato Video (2009)
2 Come sopra
3 Come sopra
4 Come sopra
5 Come sopra
6 Come sopra
7 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 186. Confermato a pag. 133 del saggio "Anime al cinema" (Francesco Prandoni, Yamato Video, 1999)

lunedì 4 gennaio 2010

Recensione: Steamboy

STEAMBOY
Titolo originale: Steamboy
Regia: Katsuhiro Otomo
Soggetto: Katsuhiro Otomo
Sceneggiatura: Katsuhiro Otomo, Sadayuki Murai
Mechanical Design: Makoto Kobayashi
Musiche: Steve Jablonsky
Studio: Studio 4°C
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 122 min. circa)
Anno di uscita: 2004
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Sony

 
Manchester, 1866. Le ricerche scientifiche e tecnologiche mostrano progressi sempre più all’avanguardia e il giovane Ray Steam, piccolo genio meccanico, riceve una misteriosa sfera di metallo dalle qualità tecniche rivoluzionarie. L’oggetto è infatti molto ambito, sia dai ricercatori senza scrupoli che lavorano per Eddy, padre di Ray, che dagli scienziati che lavorano per lo stato. Ray, costretto a fuggire, viene però catturato e imprigionato nella gigantesca fabbrica di suo padre, dove vengono costruite incredibili macchine da guerra, pronte per essere vendute ai maggiori acquirenti di tutto il mondo. Alleatosi con suo nonno, Ray riesce a liberarsi ed è pronto a mettere fine, in un modo o nell’altro, alla follia del genitore.

Calato in un’insolita ambientazione anglosassone, Steamboy (2004), come suggerisce il titolo stesso, è il contributo nipponico, da parte del guru dell'animazione Katsuhiro Otomo, a un genere, lo steampunk, che sa sempre offrire trovate ingegnose e di fresca curiosità. E di intuizioni, Steamboy ne cattura molte, per poi frullarle e rilasciarle in una sensazionale meraviglia visiva, che permette alla tecnica animativa dagli occhi a mandorla di raggiungere uno dei suoi vertici massimi.

Lo stupore di fronte a un simile incanto colorato è continuo, un inarrestabile crescendo di animazioni strepitose che più di una volta sbalordiscono per tecnica, precisione, esuberanza. Sequenze impressionanti come l’inseguimento della motrice, l’assalto degli androidi di latta o ancora la ventata di fumi ghiacciati che ibernano Manchester sono momenti che fanno brillare gli occhi grazie a una resa visiva, e a un vincente connubio di disegni e creatività, che addirittura annichilisce, stordisce, ubriaca. È il risultato di un film che assume, sedici anni dopo Akira (1988), il primato di essere il più costoso kolossal della Storia dell'animazione nipponica, con 180.000 disegni, 440 sequenze in CG e un budget di quasi 2 miliardi e mezzo di yen. Otomo già dai tempi di Memories (1995) comincia a pensare a una storia ambientata nella Londra vittoriana che parli di macchine a vapore, e deve lavorare dieci anni per permettere al sogno di diventare realtà, mettendo insieme uno staff artistico di livello clamoroso (addirittura Steve Jablonsky alle musiche, il pupillo del compositore hollywoodiano Hans Zimmer) e le più avveniristiche tecnologie per riprodurre in modo perfetto gli sbuffi di fumo, veri protagonisti della pellicola nel trionfo tecnico della parte finale. Ma se la straordinaria perfezione visiva è caratteristica fondamentale e, per certi versi, prevedibile in un lavoro cinematografico targato Otomo, è lecito aspettarsi una maggior solidità narrativa, che permetta a Steamboy di garantire incredulità anche laddove l’eccellente animazione deve scansarsi per far posto alla trama. E così, purtroppo, non avviene, ben giustificando all'epoca la tiepida accoglienza di critica e pubblico.


Il lavoro a quattro mani di Otomo e Sadayuki Murai riesce solo in parte, e questo grazie a un soggetto di per sé insolito, che a una riuscita prima metà avventurosa fa seguire un secondo tempo spiazzante dove si ribaltano i ruoli (niente più buoni con cui schierarsi e cattivi da odiare, ma solo due perfide facce della stessa medaglia sociale) e l’azione diventa necessaria per rappresentare una lunghissima battaglia tra androidi di terra, androidi subacquei, aeroplani, navi da guerra, cannoni e molto, molto altro ancora. Ciò che non sempre scorre con la dovuta fluidità è un intreccio che, complice il montaggio terribilmente incerto di Takeshi Seyama, che taglia e incolla scene con imbarazzante dondolio, lascia un leggero amaro in bocca per una certa superficialità nel marchiare i caratteri (impossibile, in questo caso, la coerenza nella progressione intellettiva di Scarlett o nella follia del padre di Ray) e nel mordere laddove la stupore animativo ruba ogni centimetro di pellicola (la macchina da guerra definitiva).

Non che questo aspetto influisca poi molto in un film che, inutile negarlo, punta quasi tutto soltanto sulla resa grafica, e infatti la piacevolezza nel seguire queste due ore abbondanti è sempre garantita, ma dispiace percepire una certa esitazione narrativa, soprattutto perché si tratta di una lacuna che, dati i nomi coinvolti, poteva essere facilmente evitata. Un lungometraggio visivamente magnificente che, però, pur con le sue aspirazioni adulte (con le classiche morale sul potere cinico della scienza che non si pone limiti nello stuprare la natura), paga tutto lo splendore tecnico nei riguardi di una storia che non decolla praticamente mai.

Voto: 6 su 10

venerdì 1 gennaio 2010

Recensione: Gurren Lagann (Bilogia cinematografica)

GURREN LAGANN (BILOGIA CINEMATOGRAFICA)
Titoli originali: Gekijōban Tengen Toppa Gurren Lagann - Guren-hen; Gekijōban Tengen Toppa Gurren Lagann - Lagann-hen
Regia: Hiroyuki Imaishi
Soggetto: GAINAX
Sceneggiatura: Kazuki Nakashima
Character Design: Atsushi Nishigori
Mechanical Design: You Yoshinari
Musiche: Taku Iwasaki
Studio: GAINAX
Formato: serie di 2 lungometraggi (durata film 118 min. circa)
Anni di uscita: 2008 - 2009
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Dynit 


Il piccolo Simon e l'amico del cuore Kamina vivono nel villaggio di Jiha, in un pianeta Terra desertico e governato con pugno di ferro dall'impero dei gunmen che costringe gli umani a vivere sottoterra. Simon è uno timido scavatore, Kamina uno scavezzacollo che non vede l'ora di uscire in superficie e andare all'avventura. L'incontro con la bella Yoko, provieniente dall'esterno, e il ritrovamento di una piccola e misteriosa trivella, capace di attivare il buffo e potente robot Lagann, cambiano le loro vite: usciti dal villaggio, vivranno una straordinaria avventura che li porterà a guidare una ribellione contro l'esercito dei gunmen.

Come di norma, serie di successo = film riassuntivo, e neanche Gurren Lagann sfugge alla regola. Ecco quindi uscire, giusto un anno dopo l'avveniristica serie televisiva, due lungometraggi celebrativi nati con l'originalissimo e indispensabile intento di riassumerla. Ambizioni artistiche (migliorare il secondo discusso arco narrativo) o voglia di spremere fino all'inguardabile la gallina dalle uova d'oro? L'uno e l'altro.

Il primo che ne esce nel 2008, Childhood' End, pende maggiormente nel primo punto, posizionandosi qualitativamente al ribasso dell'arco narrativo originale (ep.1-13) per la mancata presentazione di molti elementi dell'imponente cast. Rimane comunque tangibile la cura con cui è realizzato, non perdendosi troppo in lungaggini, scorrendo con ritmo e mantenendo una coerenza narrativa, pienamente apprezzabile anche dai neofiti visto che i personaggi principali (Simon, Kamina, Yoko) sono presentati bene e male solo quelli secondari. Non mancano poi 20 minuti di animazione inedita, usati per presentare in modo diverso l'episodio iniziale ma sopratutto a narrare, se possibile con ancora più spettacolarità, lo scontro finale tra la Brigata Gurren e i generali gunmen poco dopo l'arrivo di Nia nel gruppo, protagonisti di un'unica maxi battaglia dove si susseguono nuove trasformazioni impossibili e strabilianti mazzate. Lo scopo del film è bene o male raggiunto: la qualità tecnica è fuori discussione (invero eccellente, degna delle animazioni action mozzafiato della serie tv e del maggior budget per l'uscita nelle sale) e c'è poco altro da dire se non che si è di fronte a un filmone di montaggio di buon livello, che riporta i fan ad assaporare il sense of wonder originale, a riemmergersi nelle curve della procace Yoko e ad apprezzare alcune spettacolari sequenze inedite, deliziando i neofiti con un buon antipasto del folle mondo di Gurren Lagann la cui visione rimane però, per solidità narrativa, decisamente imprescindibile per apprezzare pienamente la storia di Kazuki Nakashima.


Innegabilmente più corposo e ispirato il secondo che esce nel 2009, The Lights in the Sky are Stars, dove si esprimono per davvero le nuove ambizioni del regista Hiroyuki Imaishi. Se il primo rinarra a sufficienza l'arco iniziale della storia, non soffermandosi particolarmente nelle caratterizzazioni dei personaggi, questo li dimentica ancor più strada, ma in compenso trasformandosi in qualcos'altro. Riducendo al minimo spazio possibile la macchiavellica personalità di Rossiu, le ragioni di Yoko per tornare a combattere e i numerosi quanto inutili comprimari, utilizza il budget per privilegiare ancora più enfasi su combattimenti, esplosioni e fusioni gigantesche, rendendo il secondo arco narrativo un matrioska di colori ed effetti speciali che, in cambio di caratterizzazioni sui generis di quasi tutti i personaggi chiave, ulteriormente appiattiti, si esprime nei più lunghi, frenetici, estenuanti e ammalianti scontri mai visti, un memorabile inno al fanservice robotico, alla sboroneria più estrema e alle soluzioni registiche più incredibili.

Invenzioni grafiche, orge di esplosioni apocalittiche, trip psichedelici a base di cazzotti e powerball che si scontrano con violenza esorbitante in un caleidoscopo di colori sgargianti, lunghissimi piano sequenza, una regia frenetica dall'inizio alla fine che non conosce MAI pausa... La meraviglia visiva del film è impossibile da rendere a parole. Guardare questo film significa assistere alla summa visiva estrema del genere, la spettacolarità totale fatta film, con robot colossali che a furia di strabilianti trasformazioni e fusioni arrivano a ingigantirsi fino a divenire più grandi dell'universo stesso devastandosi in modo bestiale e scagliandosi contro pianeti. Di grande impatto le aggiunte inedite: diversi personaggi questa volta non muoiono, e anzi partecipano allo scontro finale con il signore degli Anti-Spiral attraverso nuove memorabili evoluzioni del Lagann. Si arriva così al più lungo scontro finale tra robot di umana memoria, quasi 40 minuti di ininterrotte esplosioni cosmiche e devastazioni. Finale purtroppo identico all'originale (un sad ending palesemente gratuito), ma il film va visto. Di certo per meriti NON narrativi e sotto questo punto di vista si potrebbe rinfacciare a GAINAX di non riuscire a migliorare i difetti dell'originale ampliandoli pure, ma vogliamo davvero perderci la più grande sboronata robotica di tutti i tempi? Prima di qualsiasi altra cosa, The Lights in the Sky are Stars è un'esperienza.

 

Inclusi come extra, nei due dvd Dynit, anche gli 8 episodi che compongo la prima stagione del progetto Gurren Lagann Parallel Works. Otto tracce video, dalla durata variabile dai tre ai sei minuti, in cui il folto cast di animatori di GAINAX rilegge i migliori brani musicali di Gurren Lagann costruendoci sopra vicende inedite ambientate in universi paralleli. Una produzione riuscita, sia musicalmente che dal punto di vista creativo. Peccato manchi la seconda, composta da altri sette videoclip.

Voto a Gurren Lagann Movie I - Chilhood's End: 6,5 su 10
Voto a Gurren Lagann Movie II - The Lights in the Sky are Stars: 7 su 10

RIFERIMENTO
Gurren Lagann (2007; tv)

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