lunedì 19 marzo 2012

Recensione: Gear Fighter Dendoh

GEAR FIGHTER DENDOH
Titolo originale: Gear Senshi Dendoh
Regia: Mitsuo Fukuda
Soggetto: Hajime Yatate
Sceneggiatura: Chiaki Morosawa
Character Design: Hirokazu Hisayuki
Mechanical Design: BEE CRAFT, Junichi Akutsu
Musiche: Toshihiko Sahashi
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 38 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 2000- 2001
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Dynit

 
La Terra, attaccata dall’impero meccanico dei Gulfer, è protetta dall’organizzazione G.E.A.R. Ad affrontare le bestie nemiche è Dendoh, un robot che sceglie come suoi piloti due ragazzini, Hokuto Kusanagi e Ginga Izumo. Il loro compito, oltre ad affrontare le varie battaglie, è anche quello di impadronirsi delle Armi Elettroniche, in grado di diventare le armi del robottone. Ben presto la battaglia apre inedite rivelazioni su Vega, vicecomandante della G.E.A.R., dietro la cui maschera si nasconde la madre di Hokuto. Non è tutto: la donna è infatti una delle poche superstiti del pianeta Alktos, assoggettato da Gulfer. Dallo stesso mondo proviene anche Arthea, fratello di Vega che l’impero meccanico ha condizionato spingendolo ad affrontare Dendoh con il robot gemello Ogre. I legami affettivi e il rapporto fra la Terra, Gulfer e Alktos diventeranno la posta in gioco e il segreto da comprendere per sconfiggere i nemici.

La fissità dei canoni che regolano il genere robotico nell’animazione giapponese sembra permettere una scarsa permeabilità del filone a influenze esterne, ma nell’ultimo decennio stiamo assistendo a interessanti tentativi di ibridazione tra format e storie tra loro differenti. Se ad esempio il remake di Gaiking il robot guerriero (1976) (Gaiking - Legend of Daiku-Maryu, 2005) mostra alcuni riferimenti precisi al clamoroso successo di Dragon Ball, una serie come Gear Fighter Dendoh (2002) tenta di far proprio il tema delle creature digitali derivate dal popolare filone di serie come Pokémon (1997) o Digimon (1999).

Tale scelta ha provocato alcuni snobismi nei confronti di quest’ottimo prodotto targato Sunrise, ma a una visione priva di pregiudizi il risultato si rivela convincente e geniale per come riesce a governare un elemento apparentemente fuori contesto senza snaturare eccessivamente il genere principale che, anzi, risulta guadagnarne e mostrare così evidenti segni di progressione. La fusione di elementi tra loro difformi avviene nel segno della coesistenza di opposti già rintracciabile nei caratteri dei due protagonisti: Hokuto Kusanagi, calmo e riflessivo, capace di ponderare ogni scelta anche con la giusta dose di freddezza e una maturità che farebbe invidia a ogni coetaneo (ma anche a molti adulti) appare infatti totalmente diverso dall’amico Ginga Izumo, passionale, istintivo e che non a caso dimostra una spiccata predilezione per le arti marziali. Mente e braccio, intelligenza e forza, insomma, per due eroi scelti dal destino e che devono, inevitabilmente imparare a convivere alla guida del robot. Questo canone, peraltro, non è distante dai molti che abbiamo visto negli anni dare forma ai vari piloti dei giganti meccanici dell’animazione giapponese. Imparare a governare una macchina di tali dimensioni per affrontare una dura battaglia è infatti un chiaro racconto di formazione: la lotta è soprattutto contro le proprie debolezze e riecheggia quella molto più concreta che ogni giovane spettatore deve imparare quotidianamente ad affrontare contro le avversità, ma qui si lega a un concetto più ampio che investe direttamente i rapporti affettivi, in particolare l’amicizia, la fratellanza, ma anche il legame fra l’uomo e la natura e, ovviamente, l’amore.


Il rapporto che pertanto i due protagonisti stabiliscono con le Armi Elettroniche è di tipo squisitamente empatico, con le bestie virtuali che “cercano” determinate caratteristiche nel cuore dei loro padroni. Si crea pertanto un ponte fra l’idea del legame storicamente codificato fra l’uomo e il robot (con il pilota che “sente” sulla sua pelle i danni inferti al gigante meccanico) e l’empatia fra personaggi e mostri digitali alla base di serie come Pokémon e Digimon. In un certo senso, Dendoh diventa quindi tanto una evoluzione del filone robotico, quanto di quello dei mostri virtuali, ed entrambi i generi si ritrovano sul campo, affiancati nella battaglia. Il resto lo fa una struttura da soap-opera che rimanda ovviamente ai fasti di Mobile Suit Gundam (1979), su cui peraltro lavoreranno, nel successivo Mobile Suit Gundam SEED (2002), il regista Mitsuo Fukuda, la sceneggiatrice Chiaki Morosawa (sua moglie) e il compositore Toshihiko Sahashi. Proprio alla saga del Mobile Suit bianco si rifà poi l’uso espressivo dello split-screen, con le inquadrature a “finestra” che si aprono rivelando i piloti durante le scene di battaglia. Scelta espressiva pertinente, poiché riflette la volontà di “aprire” letteralmente un varco nella fissità dei canoni codificati dal genere robotico nella sua accezione più classica, ovvero quella creata da Go Nagai (cui rimanda la storia dei fratelli di Alktos, chiaro riferimento a Ufo Robot Grendizer, 1975).

In virtù della già evidenziata coesione affettiva fra i personaggi, la G.E.A.R. finisce quindi per assumere non soltanto il ruolo di base operativa, ma anche quello di famiglia allargata dove si creano legami, sbocciano coppie (ad esempio fra il pilota Kirakuni e l’analista di dati Aiko), nascono nuove amicizie e si rivelano inaspettati segreti che arrivano a coinvolgere fin dentro l’alveo della famiglia reale. Ciò permette ai personaggi di riscattare l’apparente semplicità della storia e di essere sfaccettati e in grado di generare grande coinvolgimento: si resta pertanto catturati dal tormentato destino di Arthea, dal fascino e dal coraggio di Vega, dal triste destino di Subaru e dalla buffa caratterizzazione dei Gulfer pasticcioni Absolute, Gourmei e Witter. Le loro azioni sono calate in un contesto sicuramente scientificamente disinvolto, ma che guarda comunque alla realtà del pubblico contemporaneo, ai problemi e alle passioni dei più giovani (la scuola, Internet, gli idoli musicali), senza eccessiva furbizia.


Su tutto poi domina l’azione: incalzante, barocca, in un crescendo narrativo irresistibile che si giova della riconoscibilità iconica dei momenti topici (l’installazione dell’Arma Elettronica, l’Attacco Finale) e reitera gli stessi con convinzione, intercalando molto bene il tutto allo svolgimento della narrazione. Alla fine il risultato è estremamente spettacolare e offre un enorme divertimento con le battaglie, le tecniche e i comandi nuovamente urlati a squarciagola, lasciandoci con la convinzione che una storia semplice e memore del passato è riuscita a rinnovare i furori di un genere aggiornandoli al presente. Una serie molto sottovalutata e assolutamente da recuperare.

Voto: 7 su 10

2 commenti:

Andrea8877 ha detto...

Ecco Dendoh è davvero uno di quelle serie che dicono chiaramente "non ti offro una trama fantastica o personaggi memorabili ma voglio intrattenere, nulla di più". Beh obiettivo pienamente raggiunto, serie che intrattiene dannatamente bene e che riguardo volentieri. Ho davvero poco da recriminare a questa serie anzi mi pento ai tempi della trasmissione sulla Rai di averla inizialmente sottovalutata definendola come "per bambini" invece la serie si è rivelata dannatamente divertente da seguire accompagnata poi da un episodio finale decisamente da cardiopalma!!! Era veramente da tanto tempo che una serie robotica non mi appassionava così tanto.

Sam ha detto...

Si , l'ultimo episodio è dsvvero pazzesco come dovrebbero essere tutti gli episodi finali.
Dendoh è poco originale, segue la moda dei filone Pokemon dell'epoca ( come molti robotci Sunrise , che innestano al robotico formule vincenti di altri manga/anime , coem Gaogaigar che riprendeva Sailormon, o Metal Jacket City Hunte ) prende anche un 'pò qua e là ingredienti vincenti da svariate serie del passato mischiandoli in un minestrone molto saporito .
Insomma, non sarà il trionfo dell' originalità (( e magari potevano fare le tute dei protagonisti meno simili a quelle degli OVA di Cyber Formula, che avevano lo stesso Chara Design ), ma è fatto dannatamente bene.

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