giovedì 28 giugno 2012

Recensione: La città delle bestie incantatrici

LA CITTÀ DELLE BESTIE INCANTATRICI
Titolo originale: Yoju Toshi
Regia: Yoshiaki Kawajiri
Soggetto: (basato sul romanzo originale di Hideyuki Kikuchi)
Sceneggiatura: Yoshiaki Kawajiri
Character Design: Yoshiaki Kawajiri
Musiche: Osamu Shoji
Studio: Mad House
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 82 min. circa)
Anno di uscita: 1987
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Dynit


Yoshiaki Kawajiri è uno di quei rari nomi, legati all'animazione nipponica, stranamente celebri in ambito internazionale a discapito di una popolarità mai veramente "importante" in patria. Esordio alla regia nel 1983, con l'altalenante film antologico Manie-Manie - I racconti del labirinto, co-diretto insieme a Rintaro e Katsuhiro Otomo, ma debutto ufficiale come regista titolare solo l'anno dopo, con lo sconosciuto Lensman, ambiziosa trasposizione filmica della nota science fiction di Edward Elmer Smith (Manie-Manie viene distribuito solo nel 1987, per questo spesso si legge che è Lensman la sua prima opera). È con il successivo La città delle bestie incantatrici del 1987, costato un anno di realizzazione e 100 milioni di yen1, che inizia a farsi conoscere dal pubblico giapponese per i suoi noir action-erotici (gli incassi sono sorprendentemente ottimi per il genere di cui si parla2), offrendo il bis nel 1988 con l'OVA Demon City Shinjuku - La città dei mostri,  prima di venire consacrato all'estero, nel 1993, per il famosissimo Ninja Scroll (sorprendentemente, invece, un grosso flop in madrepatria), il migliore tra tutti i suoi lavori. Novello John Woo delle produzioni cinematografiche espressamente rivolte agli adulti, Kawajiri esprime il suo amore per la Settima Arte e in essa lascia il segno per le inconfondibili illuminazioni oscure delle sue opere, date da fortissimi contrasti tra il nero e tinte rosse/bluastre (i suoi sono spesso thriller urbani ambientati in metropoli decadenti, senza un solo attimo di luce solare), per le coreografie d'azione e arti marziali dal montaggio serrato, per innovativi e spettacolari movimenti di camera, per personaggi dal design orientale molto sensuali e per un immaginario erotico a suo modo di pessimo gusto (trova le sue basi nei più classici topos dell'eros nipponico, con tentacoli stupratori, vagine dentate, mostri che richiamano metafore sessuali e una rigida misoginia di fondo nel raccontare di seducenti ragazze spesso a letto con l'eroe "maschio" di turno e spesso violate da mostri con compiaciuta cattiveria), ma al contempo filmato in modo decisamente elegante. Narrativamente siamo ai livelli della spazzatura, ma è trash di serie A, diretto con epicità, con grande stilosità e con quel caratteristico aspetto visivo folgorante (per merito di tutti quei contrasti, sembra che i personaggi si muovano in ambienti perennemente caratterizzati da luci al neon) che maschera la bassezza intellettuale. La città delle bestie incantatrici è un rappresentante ideale dei tratti della "poetica" kawajiriana, tanto che lo stesso regista lo considera il suo lavoro più bello3 (insieme a Ninja Scroll) e la sua migliore esperienza cinematografica4 (in quanto in essa ha scoperto e battezzato il suo stile).

Basato sui romanzi horror del ciclo Wicked City (1985), a opera del popolare scrittore noir Hideyuki Kikuchi, a detta di più di qualcuno lo "Stephen King" giapponese (le altre sue opere ispireranno, in ambito anime, anche il successivo Demon City Shinjuku sempre di Kawajiri, nonché la nota saga OVA/filmica di Vampire Hunter D e i lungometraggi Il vento dell'amnesia e Darkside Blues), La città delle bestie incantatrici è la storia di mondi umani e infernali che convivono attraverso millenari patti di pace, il cui equilibrio è però messo in pericolo da "terroristi" demoniaci che vogliono scatenare una guerra tra le due razze uccidendo l'attuale ambasciatore umano, l'italiano Giuseppe Maiato. Ai governi delle due dimensioni la cosa non va molto a genio e così incaricano due agenti speciali, il protagonista umano Taki Renzaburo e la bella diavolessa Makie, di proteggerlo.

Pur con un interessante twist finale, il film non prova neanche minimamente a prendersi sul serio, sfruttando l'incipit per parlare - e soprattutto mostrare - i baldi eroi alle prese con "caldi" incontri e agguati di emissari nemici (quasi sempre demoni femminili in incognito), qualche sporadico combattimento e un simpatico stupro di Makie, così, tanto per gradire. Sesso e violenza a volontà e un umorismo decisamente sboccato e perverso sovrastano l'esile spunto di partenza, trasformando più di una volta la "trama" in un semplice ammassarsi di sequenze erotiche, un po' di splatter, inserti squisitamente trash (vittime di sevizie sessuali che ovviamente godono nell'atto secondo l'immancabile tradizione maschilista nipponica, il combattimento in chiesa contro la statua della Madonna posseduta, etc.) e una bella scorpacciata di demoni, mostruosità e trasformazioni disgustose che splendono grazie a un monster design eccelso, che preleva e reinterpreta suggestioni lovecraftiane e la celebre Cosa (1982) di John Carpenter.


Di B (C?) movie si tratta, è inutile aspettarsi approfondimenti psicologici o chissà che intreccio: l'importante è lo stylish registico, le atmosfere goticheggianti e la potente estetica visiva (lo dice anche Kawajiri che per lui questa viene prima della storia5). Da questo punto di vista non ci si può proprio lamentare e il film farà in un certo senso scuola (piacerà anche allo stesso autore originale Kikuchi6). L'originalità grafica non basta tuttavia a giustificare la durata spropositata di un'ora e 22 minuti di girato dato da dialoghi sterili, narrativa inesistente, protagonisti insignificanti, comprimari dalle potenzialità non sfruttate, poca azione (per quanto eccelsa e animata divinamente, ma la sontuosità tecnica si vede solo in questi brevi istanti) e inserti hot poco pruriginosi in quanto "poco approfonditi" (siamo sempre dalle parti del softcore), ma che si vuole fare? Il regista è agli inizi della carriera e deve ancora trovare un soggetto degno di essere rielaborato. La città delle bestie incantatrici è una visione assolutamente mediocre ed estremamente tediosa, impossibile negarlo, ma rimane un interessante debutto nel genere che fornisce la base di partenza  per il perfezionamento artistico di Kawajiri dispensando poche ma intriganti iniezioni di grande cinema. Il dado è tratto.

Voto: 4,5 su 10


FONTI
1 Francesco Prandoni, "Anime al cinema", Yamato Video, 1999, pag. 131
2 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 189
3 Intervista a Yoshiaki Kawajiri pubblicata su Anime News Network alla pagina web http://www.animenewsnetwork.com/convention/2012/sakura-con/4
4 Come sopra
5 Intervista a Kawajiri pubblicata su Matrixfans.net alla pagina web http://www.matrixfans.net/the-animatrix/world-record/interview-with-writer-yoshiaki-kawajiri/#sthash.IlxOcNgp.lcxjkg7l.dpbs
6 Vedere punto 3

5 commenti:

babordo76 ha detto...

questo l'ho visto!Me lo ricordo,hanno fatto pure il film con gli attori in carne ed ossa. L'ho visto 14 anni fa più o meno,ma direi più,andavo alle superiori

Trvsco ha detto...

Appena visto su VVVID, l'ho trovato come da recensione un B movie come storia molto piatto e poco snocciolate sui caratteri dei protagonisti. Poteva svilupparsi meglio.

zio998 ha detto...

Forse troppo severo: una sera di queste me lo riguardo, ma ricordo che tempo fa l'avevo trovato d'occasione in una trilogia (c'erano anche cyber oedo e un altro film che ora mi sfugge) e mi era sembrato perfino fantasioso e "scary". Potrebbe essere perché, di questo genere, ho visto relativamente poco. Tu sei sicuramente più esperto e molte cose Ti sembreranno banali. Secondo me la sufficienza la merita già solo sul piano visivo e, con un poco di tara per l'età del prodotto, anche qualcosina in più. Ma il blog è Tuo ;-))))

Sam ha detto...

Che sia trashoso ok, che ci siano moneti ridicoli ( come Makie che dopo essere stato vittima di uno stupro di gruppo , si concede tranquilla Taki ) che abbia un animazione sufficiente un pò meno.
Opera che ha avuto un certo impatto sul mercato occidentale e non: basti pensare alle citazioni/omaggi che quest' opera ha avuto : da un episodio della serie tv di What's Micheal a prodotti occidentali come il nostrano Nathan Never ( l'episodio "Demoni" )
Un supercult insomma, pazzo, esagerato, violento ,trash e folle come solo l'animazione jap anni 80 sapeva fare.
Curioso che esistano 2 versioni italiane: la prima edita da Granta Press , mentre il secondo è un parziale ridoppiaggio ( o forse lo hanno ridoppiato tutto e non me ne sono accorto ?) a cura di Dynamicm Italia.

Jacopo Mistè ha detto...

La rece è una delle tante che devo riaggiornare.
Forse aumenterò il voto, ma i difetti rimarranno i medesimi.
Tutta apparenza e zero sostanza.

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