lunedì 3 febbraio 2014

Recensione: Planet Robot Danguard Ace

PLANET ROBOT DANGUARD ACE
Titolo originale: Wakusei Robo Danguard Ace
Regia: Tomoharu Katsumata
Soggetto: Leiji Matsumoto
Sceneggiatura: Soji Yoshikawa, Tatsuo Tamura, Mitsuru Majima
Character Design: Leiji Matsumoto (originale), Shingo Araki, Michi Himeno
Mechanical Design: Iwamitsu Ito, Dan Kobayashi
Musiche: Shunsuke Kikuchi
Studio: Toei Animation
Formato: serie televisiva di 56 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 1977 - 1978
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Yamato Video
 

In un vicino futuro, i problemi di inquinamento della Terra portano l'umanità a vedere come sua ultima salvezza l'appena scoperto pianeta Prometeo, completamente abitabile e presto ribattezzato Stella della Speranza. Purtroppo, Prometeo interessa anche a un'organizzazione para-militare nazista capitanata dal führer Doppler, che intende farne un paradiso riservato unicamente alle élite dei migliori scienziati e militari. La lotta per il possesso di Prometeo diventa così una guerra civile tra i nazisti e la base Jasdam, ultimo baluardo del governo terrestre. Eroe della vicenda è il giovane Takuma Ichimonji, pilota numero uno di Jasdam che vuole riabilitare il nome di suo padre, il geniale scienziato Dantetsu, che inspiegabilmente, anni prima, sembra aver tradito l'umanità sabotando una missione di ricognizione su Prometeo. Aiutato dallo staff della sua base, Takuma dovrà affrontare gli sgherri e i giganteschi automi da guerra di Doppler e imparare presto a pilotare il Danguard Ace, potente robottone in grado di dare un grosso contributo alla causa del governo terrestre.

Anno importante, il 1977, per un forte sviluppo evolutivo del genere robotico, fino a quel momento ancorato alla classica formula nagaiana e ultimamente in procinto di ridimensionarsi in un magro periodo di stagnazione, dopo la fine del sodalizio tra Nagai e Toei Animation e il flop di quest'ultima in Gackeen il robot magnetico (id.) e Balatack1 (1977). Lo studio volge il suo interesse nella figura di Leiji Matsumoto, dietro la poesia della sfortunata, bellissima Corazzata Spaziale Yamato (1974), e, disperatamente desideroso di ristabilire la supremazia nel genere, affida alle sue mani soggetto, design e ambientazioni di una nuova serie, che sostituisca sulla rete Fuji TV l'appena concluso Ufo Robot Grendizer (1975). Pur provando così poco interesse nel mondo dei mecha2 da abbandonarlo presto per non dedicarsene mai più, l'autore risponde con tutta la sua professionalità e crea Planet Robot Danguard Ace. Pur con queste premesse negative e la scarsa considerazione di cui Danguard Ace gode presso gli stessi fan di Matsumoto, la serie è decisamente significativa, riscuote un buon successo in patria3 e fa la sua parte nel 1977, insieme a L'invincibile Zambot 3, Super Electromagnetic Machine Voltes V e il lungometraggio cinematografico di Yamato, a creare le premesse per quello svecchiamento di stereotipi che porteranno il robotico a modificarsi sempre più fino alla rivoluzione rappresentata dai grandi capolavori Sunrise.

Numerosi, numerosissimi sono gli accorgimenti adoperati dall'autore per aggiornare i consueti stilemi in Danguard Ace, accompagnandoli a invenzioni originali molto interessanti. Innanzitutto la struttura della serie, basata su una forte enfasi nella psicologia dei protagonisti e una notevole continuity: nessun rinnegamento dello schema "mostro della settimana", ma, pur molto lentamente (similarmente a Yamato), la storia si sviluppa in modo deciso nell'arco dei suoi 56 episodi, è in costante evoluzione, in parallelo con la crescita di Takuma, che, da pilota problematico, insicuro e viziato, diventa sempre più bravo a guidare il suo mezzo e sempre più un uomo nel maturare e imparare a prendersi le proprie responsabilità. E come nella Corazzata Spaziale, a un certo punto è lo spazio siderale a diventare l'ambientazione principale della storia, facendo di Danguard Ace il primo esponente mecha a trovare questo scenario (anche se la moda delle ambientazioni spaziali scoppierà in seguito al successone del film di Yamato, di poco successivo). In questo spiazzante cambio di ambientazione si nota decisamente la mano del creatore, quel Matsumoto amante di quel gelido universo che in futuro sarà fecondo delle storie che formeranno il suo Leijiverse. L'apporto di un artista esterno, per nulla legato alle logiche dell'epoca del genere mecha, è attestato in Danguard Ace anche in altri modi, come, ad esempio, in una commovente ricerca del realismo che si configura in ben dieci puntate di rigorosi addestramenti militari di volo per Takuma, prima di poter guidare per la prima volta il Danguard Ace (ebbene sì, il mezzo che dà il titolo alla serie appare la prima volta solo nella puntata numero 11!). Questo significa che fino a quel momento affronterà i mecha nemici guidando semplici caccia militari: si può ben immaginare la sorpresa del pubblico dell'epoca nell'aspettare così tanto tempo - quasi 1/5 della serie! - prima di vedere in azione il robottone. Takuma poi non saprà guidarlo fin da subito al massimo delle sue potenzialità, ma dovrà attendere ulteriori, svariati episodi prima di poterlo padroneggiare con sicurezza, al che la sua curiosità di conoscerne il potere è lo stesso degli spettatori. Sempre seguendo un approccio votato alla ricerca di verosimiglianza, in Danguard Ace l'arrivo del secondo pilota attenderà addirittura mezza serie prima di concretizzarsi (salutando prima vari candidati).


Tra le novità più eclatanti inaugurate dalla serie, un ruolo importante lo riveste anche il nemico, non più rappresentato da malvagi extraterrestri invasori o antichi padroni della Terra ma, originalmente, da altri esseri umani. Lo scopo degli eroi non è più proteggere la Terra da conquistatori, bensì arrivare per primi al pianeta Prometeo, moderno Eden che può rappresentare un'occasione di rinascita dell'umanità, al posto di colonizzatori ben peggiori di loro. Il tutto assume un connotato più umano, drammatico ed ecologico, soprattutto nell'idea di una Terra così rovinata dall'inquinamento portato dall'uomo che il perfido Doppler neanche è interessato conquistarla. Ancora, è in Danguard Ace che appare, per la prima volta nel genere, un archetipo di personaggio già visto anni prima in Mach Go! Go! Go! (1967) di Tatsunoko Productions: l'uomo mascherato dall'identità segreta, che aiuta l'eroe nei momenti difficoltà ed è legato a lui da un misterioso rapporto che il protagonista ignora. Il ruolo è rivestito dal misterioso capitano Dan, ex schiavo di Doppler che abbraccia gli ideali della Base Jasdam, pronto a fare del giovane e immaturo Takuma un grande pilota a costo di durissimi e spartani allenamenti. Inutile dire l'influenza che avrà nel robotico questo personaggio romantico e pieno di mistero, particolarmente in una certa opera del 1979. Sempre quest'ultimo titolo "misterioso" riprenderà da Danguard Ace un altro personaggio-archetipo ancora, il cattivo (in questo caso, il braccio destro di Doppler, Tony Harken) biondo e bellissimo, amatissimo dal pubblico femminile.

Esaurita la lunga sfilza di innovazioni, Danguard Ace rimane un robotico tradizionale che racchiude in sé il meglio e il peggio del genere. Immancabilmente gli schematismi, nonostante la continua evoluzione della trama, rimangono quelli: il setting, cambio di scenario a parte, è sempre il solito (l'avveniristica base scientifica sempre attaccata dalle forze nemiche, il combattimento tra Danguard Ace e il Mechasatan di turno che chiude ogni puntata); i villain, rispetto ai protagonisti, monocaratterizzati; gli aiutanti dell'eroe sempre gli stessi (la ragazza innamorata di lui, lo scienziato buono che sa cosa fare in ogni situazione, il grassone che mena le mani, la mascotte del gruppo). Quello che fa digerire gli stereotipi è la loro riproposizione in modo più elaborato e creativo, oltre a un affascinante impianto drammatico che non viene mai meno, dato dal gran numero di puntate tragiche (tra cui almeno un paio di bellissime, compresa quella che parla della Seconda Guerra Mondiale e della bomba atomica, realizzata con inserti live) e alcuni isolati momenti registici di gran classe (la sequenza finale della commovente puntata 35). Il cambio di scenario contribuisce anche a rinforzare il carisma della serie, che da quel momento si trasforma in una specie di rifacimento della Corazzata Spaziale Yamato, con le base Jasdam e quella di Doppler che spiccano letteralmente il volo per dirigersi verso Prometeo, incrociando sulla propria strada affascinanti pianeti abitati da bizzarre razze aliene e incontrando buchi neri, asteroidi e trappole varie. Alla buona riuscita della serie va annoverata anche la bellezza dei disegni affidati al tratto della Araki Prodution, anche se i tratti di Araki e della Himeno, per quanto pregevoli, sembrano più grezzi rispetto allo splendore di quelli di Ufo Robot Grendizer (1975) e delle opere che firmeranno in futuro. Ottima, come di consueto in quegli anni del resto, la cifra tecnica di Toei Animation, con animazioni vigorose e continuative, interamente fatte a mano, che ben rappresentano i disumani sforzi a cui erano sottoposti i poco pagati animatori dello studio.

Il risultato finale, soppesando pro e contro, rimane di buon livello, pieno di sorprese e carico di una freschezza tangibile ancora oggi, ma deve scontare l'inevitabile, precoce invecchiamento dello schema tokusatsu, più una parte finale di serie (l'ultima decina di episodi) davvvero molto svogliata a livello di sceneggiatura, che in un finale facilotto, scontato e privo di pathos (nonostante molti indizi facessero presagire il contrario). Danguard Ace è una serie che nel 1977 fa di tutto per differenziarsi dalla massa dei suoi colleghi e ci riesce bene, ma, vedendo cosa è stato capace di fare prima e dopo Leiji Matsumoto e il poco della sua poetica che è riuscito a trasporre nella serie (lo scenario spaziale, l'ambiente militare, qualche tentativo di umanizzare e rendere profondi i personaggi, ma è poca roba), non risulta difficile capire perché l'artista non abbia più voluto dare alcun contributo al genere, preferendo dire poi la sua in opere con meno regole e paletti. Se a questo aggiungiamo, per lo spettatore odierno, un numero davvero alto di puntate che portano la serie inevitabilmente, nonostante i buoni propositi, talvolta a irrigidirsi in riempitivi svogliati e inutili, si può ben capire come la visione sia fortemente a rischio noia per chi non ha la dimestichezza e la pazienza necessari a contestualizzarlo. Dei due mediometraggi usciti nei cinema giapponesi, il primo, contemporaneo (Danguard Ace contro l'armata degli Insetti Robot), rappresenta il classico film celebrativo fuori continuity, il secondo dell'anno dopo (La grande battaglia spaziale) un riassunto/aggiornamento degli episodi 44-45.


Nota: non si può, purtroppo, parlare di Danguard Ace senza aprire un paragrafo sul terribile cruccio di guardarlo in italiano. L'adattamento nostrano del 1978, a cura dello Studio Monachesi, è un esempio ideale dei peggiori doppiaggi "rustici" dell'epoca. All'inevitabile cambio di nomi di buona parte dei personaggi e all'addolcimento degli "elementi scomodi" della storia (Doppler da führer diventa Cancelliere), bisogna purtroppo segnalare voci in forte contrasto con quelle originali, spesso così squillanti e infantili da essere odiose; il mancato doppiaggio degli episodi 30 e 49; ma soprattutto dialoghi quasi sempre inventati, inventatissimi da cima a fondo, non si sa se per assenza di copioni ufficiali o vaneggiamenti del direttore del doppiaggio. Se di quasi ogni episodio si capisce almeno il senso di quello che si è visto, è lampante che le frasi sono nel 70% dei casi totalmente false, rese più approssimative che mai, e questo impoverisce notevolmente la caratterizzazione dei personaggi, la drammaticità delle situazioni, la comprensione della storia. Basti pensare che è più facile capire la trama leggendo il mediocrissimo manga sviluppato in contemporanea dallo stesso Leiji Matsumoto (2 volumi pubblicati anni fa da Planet Manga, in procinto di essere rieditati da Goen), piuttosto che guardare le 56 puntate italiane dell'anime. Si può aggiungere tra i nostri demeriti anche una certa ignoranza in materia sci-fi/militare da parte dello stesso adattatore, basti pensare a "velocità mach 5" che diventa "forza 5", meteoriti definiti "pianeti", e altre perle indecenti. Tale adattamento, unito alla già difficoltà intrinseca di reggere la pesantezza degli automatismi tokusatsu e all'alto numero di episodi, rende a talvolta insostenibile la visione dell'opera, tanto che, a meno che lo spettatore non conosca già la storia e possa intuire quello che dicono realmente i personaggi, al voto finale consiglio di togliere un punto e di lasciare perdere la visione. Quello di Danguard Ace è uno dei tanti esempi di doppiaggi storici italiani che rovinano in modo irreparabile l'opera originale. Visto che i DVD-Box Yamato Video possiedono sottotitoli fedeli ai dialoghi originali, non posso fare altro che raccomandare caldamente loro agli interessati.

Voto: 7 su 10

ALTERNATE RETELLING
Planet Robot Danguard Ace: The Great Space War (1978; film)

ALTRO
Planet Robot Danguard Ace VS the Army of Insect Robots (1977; film)


FONTI
1 Volume 3 de "La regina dei 1000 anni", d/visual, 2008
2 Come sopra. Confermato a pag. 121 di Kappa Magazine n. 18 (Star Comics, 1993)
3 Fabrizio Modina, "Super Robot Files: 1963/1978", J-Pop, 2014, pag. 161
4 Mangazine n. 21, Granata Press, 1993, pag. 37

4 commenti:

Alberto Dolci ha detto...

Quindi a te la parte "spaziale" è piaciuta, io dopo una prima parte per certi versi piuttosto innovativa ed anche drammatica (lungo addestramento per controllare il robot cadetti che cadevano l'uno dopo l'altro ecc..) l'ho trovata davvero noiosa piena di filler e lontana anni luce qualitativamente dal viaggio di una Yamato (o un Arcadia) a caso. Vabbe certo non mi ha aiutato a digerirla il fatto che bisogna andare alla cieca in una selva di dialoghi a caso nel cercare di dare un senso a buona parte degli avvenimenti...

Jacopo Mistè ha detto...

A fasi alterne mi è piaciuta.
Di quella parte, la prima metà imho si fa apprezzare molto nella suo tragicità esasperata (penso all'episodio col polipo extraterrestre che subisce il lavaggio del cervello ed è crudelmente ucciso nel finale, oppure quello della ragazza aliena che ho postato come screenshot, o addirittura l'assurda avventura dove si scoprono i resti di Atlantide in un asteroide O.O). Sono episodi che mi hanno ricordato abbastanza le atmosfere della Corazzata Spaziale Yamato.

Poi, comunque, è inevitabile che a lungo andare la fantasia sia scemata sempre più, tant'è che anche io ho fatto una certa fatica ad arrivare in fondo agli ultimi episodi, tutti basati su soli combattimenti inutili. Il finale insignificante, poi, è stato l'apice della delusione.

Sull'adattamento lasciamo stare, voci così idiose e dialoghi così palesemente inventati penso di non averli mai sentiti a questi livelli.

Sam ha detto...

L'idea di un personaggio mascherato che salva il protagonista nei momenti di pericolo ( e spesso ha legami di sangue con esso) è apparsa la prima volta non nei Gatchman ma in Super Auto Mach 5, sempre della Tatsunoko.

Jacopo Mistè ha detto...

C'hai ragione, mi era passato completamente di mente! E sì che avevo visto la rilettura hollywoodiana dei Wachowski!
Grazie della info, correggo!

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