venerdì 31 dicembre 2010

Un brindisi al 2011


Il 2011 sta arrivando di corsa, quasi non ce ne accorgiamo, e Anime Asteroid, scavalcando un 2010 ricco di soddisfazioni, si tuffa nell’anno nuovo a testa alta. Non sono passati che poco più di sessanta giorni dal compleanno del blog in cui avevamo tirato le somme di quei primi dodici mesi di vita, c’è poco quindi da aggiungere se non che le visite continuano ad aumentare e, per chi si fosse scordato, Anime Asteroid ha la sua fan page su Facebook (divenite nostri fan e in cambio vi daremo ricchi premi e cotillons!). Ma ci teniamo, ancora una volta, a ringraziare tutti i nostri lettori, anche chi capita qui cercando le immagini porno più improbabili e poi, vedendo che ci sono un sacco di parole, fugge via indignato.

Nel 2011 continueremo a proporre recensioni delle opere più importanti della Storia dell’animazione, sia vecchia che recente, e magari quelle meno conosciute come quel Fang of the Sun Dougram di cui abbiamo parlato pochi giorni fa. Se la sorte ci è propizia, e dato il buon riscontro del dossier sull’animazione robotica, ci imbarcheremo anche nella stesura di alcuni nuovi, lunghi articoli, come il pezzo sul maestro Go Nagai che da troppo tempo progettiamo ma sempre rimandiamo. Voi intanto continuate a seguirci, mi raccomando!

Il brindisi finale è d’obbligo, buon 2011!

mercoledì 29 dicembre 2010

Recensione: Il Violinista di Hamelin

IL VIOLINISTA DI HAMELIN
Titolo originale: Hamelin no Violin-Hiki
Regia: Junichi Nishimura
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Michiaki Watanabe)
Sceneggiatura: Yasuhiro Imagawa
Character Design: Atsuko Nakajima
Musiche: Kouhei Tanaka
Studio: Studio DEEN
Formato: serie televisiva di 25 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 1996 - 1997


Siamo a Hamelin, fantasioso pianeta dove umani e demoni convivono temendosi. Molto tempo è passato dopo la tragica guerra che li ha visti affrontarsi e che terminò con la sconfitta di Chestra, re dei diavoli, ma ora Bass, il suo braccio destro, intende iniziare un nuovo conflitto e così, con il suo rinato esercito, attacca il regno di Sforzando, cercando di recuperare la misteriosa Scatola di Pandora che può determinare la svolta. La chiave per aprire lo scrigno però la possiede Flute, bella ragazzina del villaggio di Staccato, che si dirige al castello accompagnata da Hamel, suo amico d'infanzia dal misterioso passato...

Miglior Imagawa di sempre nella peggiore produzione a lui associata: molto si può dire sulla serie televisiva de Il Violinista di Hamelin, se non che Studio DEEN lascia ai posteri un capolavoro di carisma narrativo reso nel peggior modo umanamente concepibile. Il manga di riferimento, serializzato nell'arco di undici anni da Michiaki Watanabe in 37 tankobon (giunto anche in Italia per mano di Comic Art, interrotto però al nono volume), è noto: Il Violinista di Hamelin narra le divertenti avventure di Flute e Hamel in viaggio verso il regno di Hamelin per evitare una catastrofe, in un curioso mondo fantasy dove individui e città hanno nomi di strumenti musicali e i fantasiosi combattimenti avvengono attraverso gli elementali, evocati dall'uso di flauti, violini, pianoforti etc. Una simpatica avventura colma di omaggi al mondo della musica classica (i vari "attacchi" musicali consistono in rappresentazioni di Beethoven, Mozart, Tchaikovsky etc.) e adagiata su atmosfere solari e scanzonate, colma di spassosi siparietti comici. Arriva il 1996, e Studio DEEN decide di portare in animazione il mondo di Michiaki Watanabe, ancora in corso di serializzazione su rivista, chiamando alla sceneggiatura addirittura Yasuhiro Imagawa, già nella Storia con Giant Robot. Il lavoro dell'artista, addirittura tra i più ispirati della carriera, finisce quindi massacrato dal più inconsistente budget che si sia mai visto nell'intera Storia dell'animazione.

Nessuna esagerazione: più che un'opera animata, Il Violinista di Hamelin bisognerebbe con più onestà definirlo una sorta di visual novel sperimentale, retta da una mancanza pressoché assoluta di animazioni. Uno "spettacolo" di un livello così becero da far impallidire anche brutture del livello di Saint Seiya The Hades Chapter - Inferno e Mao Dante. Si parla di episodi lunghi 24 minuti di cui venti di sole immagini statiche, con dialoghi di sottofondo o inquadrature pietrificate su volti che muovono le labbra, giusto legate di raccordo con un quattro/cinque scene "movimentate" e pure male. Uno squallore indicibile che si ripercuote anche sui fondali, indecenti e poverissimi, portando l'opera a guadagnarsi il premio di serie animata più inguardabile di sempre, fatta per davvero con zero yen per chissà quali ragioni. Un peccato mortale, che limita la visione di questa gemma ai soli fan dello sceneggiatore.


Imagawa fa sua la storia originale e, con il consueto genio, la trasforma in una personale rivistazione dark: pur mantenendo i rapporti interpersonali dei protagonisti, sopprime senza pietà qualsiasi concessione alla buffoneria, incupisce l'intero cast rendendolo serio e drammatico come non mai, e lo cala in atmosfere tenebrose e depressive. Come nelle sue migliori prove, anche qui scrive una sceneggiatura articolatissima con molteplici ribaltamenti di posizioni, sviluppi imprevedibili, segreti dolorosi, trilioni di colpi di scena, flashback e flashback e nei flashback, milioni di personaggi e quant'altro rende famose le sue opere, senza rinunciare a intermezzi horror, cattiveria e sadismo, scene splatter, personalità macabre e indimenticabili (il drammatico co-protagonista Raiel e la bella angiolessa Sizer dal passato tragico), addirittura un finale ben poco consolatorio. Imagawa è questo, e sul Violinista di Hamelin confeziona uno dei suoi lavori più freschi e ispirati. L'altra faccia della medaglia sono le non-animazioni: se per taluni il voto più corretto sarebbe un n.v., a suggellare un "tecnicamente inguardabile ma la storia è così potente da farsi apprezzare comunque", chi scrive non la pensa così. A suo giudizio, la mancanza di budget ha ripercussioni devastanti sulle primizie narrative.

Il ritmo registico è lento oltre ogni limite di sopportazione, questo perché per reggere i fatidici 24 minuti di puntata il regista Nishimura si abbandona a ogni artifizio possibile e immaginabile pur di tirare avanti e far passare il tempo. Via, quindi, a inquadrature immobili, personaggi che si abbandonano ad esclamazioni e commenti su tutto ciò che vedono, immagini ripetute e ogni genere di furbizia permetta di diluire il ritmo. Si finisce così con lo sbadigliare più volte, anche tenendo conto dell'assoluta perfezione dello script, al punto da essere certi che, con un minimo di soldi in più, anche solo per animare le battaglie o rendere più spigliate le sequenze dei dialoghi, si parlerebbe di un gran capolavoro. Purtroppo non è così: per tornare all'apertura, Il Violinista di Hamelin è il miglior Imagawa nella peggiore opera in assoluto a lui associata, sembra un controsenso ma è così.

Bisogna dire che personalmente non mi sento comunque di sconsigliare la visione dell'opera: per il piacevole chara design dai menti appuntiti, le straordinarie musiche (pezzi provenienti dai grandi compositori classici, che come intuibile rendono particolarmente evocative le scene più drammatiche) e la sua magnifica storia, alla sfortunata creatura di Imagawa va imperativamente data un'occhiata. Rimane un'assoluta vergogna che sia stata realizzata in questo modo (e per questo quasi certamente nessuna casa distributrice, né italiana né estera, si sobbarcherà mai l'impresa di acquistarne i diritti per un'eventuale distribuzione internazionale), ma non guardandola ci si perderebbe un'affascinante avventura, grande lavoro a opera di uno dei migliori registi/sceneggiatori anime contemporanei.


Nota: la serie non ha nulla a che vedere con l'omonimo film uscito qualche mese prima, sempre realizzato da Studio DEEN ma con un budget superiore e atmosfere maggiormente fedeli a quelle del manga.

Voto: 6 su 10

lunedì 27 dicembre 2010

Recensione: Fang of the Sun Dougram

FANG OF THE SUN DOUGRAM
Titolo originale: Taiyou no Kiba Dougram
Regia: Ryousuke Takahashi (ep.1-31), Takeyuki Kanda (ep.32-75)
Soggetto: Hiroyuki Hoshiyama, Soji Yoshikawa
Sceneggiatura: Hiroyuki Hoshiyama, Sukehiro Tomita, Soji Yoshikawa
Character Design: Soji Yoshikawa, Norio Shioyama
Mechanical Design: Kunio Okawara
Musiche: Tooru Fuyuki
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 75 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 1981 - 1983



Space Century, anno 153: il pianeta Deloyeran, da sempre colonia della Federazione Terrestre con aspirazioni di indipendenza, è retto con pugno di ferro dal suo ultimo presidente corrotto, fortemente sostenuto dai federali e a loro legato. I moti sono pronti a esplodere in una guerra civile. Crinn, figlio di Denon Cashim, governatore federale, sposa la causa dei suoi amici deloyerani e, abbandonata la facoltosa famiglia, si unisce all'insurrezione entrando nel gruppo partigiano Zanna del Sole, diventando presto pilota del potentissimo robot Dougram. Il conflitto sarà lungo e terribile, e in esso si intrecceranno molteplici interessi politici ed economici.

È una serie animata dall'importanza non certo relativa, Fang of the Sun Dougram: primo, vero figlio della concezione robotica realistica/matura inaugurata da Mobile Suit Gundam (realizzato, d'altro canto, proprio dallo studio Sunrise, sulla scia del successo tardivo coltivato dall'opera del 1979), e, soprattutto, primo grande capolavoro del genere realizzato dal talentuoso Ryousuke Takahashi, già dietro la direzione di una delle primissime opere animate mai prodotte dallo studio (Zero Tester, 1973) e del popolare Cyborg, i nove supermagnifici (1979). È una Prova, la sua, con la P maiuscola, una visione di culto che oggi, riscoperta dopo decenni di oblio, si aggiunge a quella decina di opere robotiche davvero fondamentali. Il lettore si starà certamente domandando come trovare la forza di guardare una serie animata così vecchia, dai disegni funzionali e poco attraenti (prima, unica prova di chara design da parte del soggettista/sceneggiatore Soji Yoshikawa, con l'aiuto del veterano Norio Shioyama) e composta da ben 75 episodi: l'unica risposta che mi sento di dare è che Dougram trascende la sua età, risultando tutt'oggi coinvolgentissimo grazie allo sterminato numero di pregi. Tra il 1981 e l'83 uno scettico Takahashi, che, come Yoshiyuki Tomino, non è mai stato interessato ai lavori mecha1, racconta il primo, storico dramma di guerra robotico dove il conflitto è analizzato nel modo più pragmatico possibile, in tutte le sue sfaccettature politiche, economiche, sociali e militari: è con questo titolo che diventerà uno dei uomini più importanti di Sunrise, costruendosi nell'ambiente un nome che è e sarà per sempre sinonimo di titoli mecha dall'impressionante e curatissimo background politico/militare.

Come da trama, l'incipit di Dougram è essenzialmente un riciclo di quello di Gundam a parti invertite (gli eroi stanno questa volta dalla parte degli indipendentisti), ma è il modo di narrare che è antitetico: mentre Tomino racconta la guerra calandola in una storia di formazione dai toni epici, avventurosi e ancora abbastanza eroici, Takahashi lo fa in un modo così distaccato e privo di esaltazione da farle perdere ogni residuo spettacolare, attraverso una regia così arida de rasentare il reportage documentaristico - e il film riassuntivo che esce un paio di anni dopo, seguendo questa dichiarazione d'intenti, si presenterà esattamente come tale. L'attenzione è principalmente focalizzata sui giochi politici ed economici dei pezzi grossi e dei leader che decidono le sorti del conflitto. Gli eroi della Zanna del Sole stanno sullo sfondo, combattono in prima linea ma da spettatori passivi della Storia e delle grandi decisioni che influenzano il conflitto. Il regista esprimerà tutto quello che c'è da dire in una sola frase: ha voluto raccontare di come si sarebbe comportata la società nel mezzo di una guerra condotta con i robot2. Estremamente realistico in queste tematiche (memorabili le critiche rimediate all'epoca sulla rivista Animekku, secondo cui non potevano funzionare in una serie robotica3), Dougram si configura come una perfetta metafora della Guerra Fredda: un Paese dell'America Latina (il pianeta Deloyer) tenta di liberarsi dalle odiose interferenze degli USA (l'immaginario Stato di Medoul, ovviamente uno dei principali Paesi che reggono la Federazione Terrestre), che vi hanno instaurato un governo fantoccio sottomesso alle loro direttive; durante il conflitto i ribelli sono militarmente supportati, per ragioni ideologiche, da URSS e Cina (Kohod e Rodia), e la loro lotta ha quindi ripercussioni sulla politica, sull'economia e sull'opinione pubblica mondiali. Quest'intuizione segna quello che sarà il tratto fondamentale di tutte le future opere mecha di Ryousuke Takahashi: il setting ispirato o basato su vicende politiche contemporanee; e Dougram più di qualsiasi altro suo lavoro trasmette l'impressione di assistere a un vero scorcio di Storia: più e più volte la guerra d'indipendenza dei deloyerani, per effetto di ambientazioni, abbigliamenti e dettagli minori (la canzonetta rivoluzionaria cantata dai componenti di Zanna del Sole, sorta di Bella Ciao fantascientifica) fa rivivere echi di guerra civile spagnola e/o cubana. Lo stesso protagonista, Crinn, che abbandona la vita benestante in favore della guerriglia per i suoi amici poveri, ricorda Ernesto Guevara - e il rivoluzionario argentino viene citato esplicitamente più volte, esteticamente raffigurato nella figura dell'eroico J. Locke.

 
Dougram pone in primissimo piano, con rigore ed esemplare cura dialogica, relazioni interpersonali, tattiche militari e macchinazioni politiche: ne sono prova le numerose discussioni della famiglia di Crinn sugli esiti e le conseguenze del conflitto (la vendite di armi, il consumo di materie prime, le opinioni politiche dei vari Stati), o le strategie con cui Zanna del Sole e i suoi avversari portano avanti le loro battaglie, pensando a mille variabili come l'umore delle truppe, le munizioni rimaste, le implicazioni morali di una sconfitta, la conformazione geografica del terreno, le spese militari, lo stress del pilota Crinn... addirittura lo stato del carburante del gigantesco Dougram. In questo senso, per l'appassionato di Storia robotica, Dougram segna un altro passo in avanti verso la creazione del Robot Realistico teorizzato da Yoshiyuki Tomino: come in Gundam, anche in questo caso il robottone protagonista è invincibile e palesemente superiore ai suoi avversari come potenza bellica (i veri robot realistici continuano a essere le unità prodotte normalmente in serie, i Combat Armor Soltic), ma è sempre più smitizzato nel suo ruolo, sempre più vulnerabile, sempre più dipendente dalle debolezze psicologiche del suo pilota, tanto che in più di un'occasione è costretto a ritirarsi o addirittura a fuggire dai campi di battaglia perché rimasto disarmato, o senza più carburante. Sul piano estetico, poi, i robottoni sono tutt'altro che attraenti, ben diversi dagli affascinanti Zaku o GM gundamici: hanno design funzionali, sobri e insignificanti, e, nonostante le fattezze umanoidi, somigliano più ad autentiche macchine che a colossi bipedi. Esemplare a tale riguardo lo stesso Dougram, il primo robottone protagonista della Storia a essere del tutto privo di faccia, quest'ultima sostituita da un cockpit che ricorda, come dice Takahashi4, un elicottero d'attacco. Le unità sono perfettamente in linea con i dettami di "realismo futuristico" imposti dall'azienda Takara, che incaricava esplicitamente Sunrise di realizzare una serie che sponsorizzasse modellini rivolti agli appassionati di oggettistica militare5. Doveroso ricordare il "furto" del design di diverse unità di questa serie - insieme ad altre di Fortezza Super Dimensionale Macross (1982) e Crusher Joe: The Movie (1983) - a opera dell'editore statunitense FASA, che nella prima versione del celebre gioco da tavolo BattleTech le riciclò spudoratamente confidando che queste opere non erano mai uscite fuori dal Giappone6.

Il forte realismo di fondo è ricorrente in ogni aspetto della trama, toccando caratterizzazioni psicologiche complesse e sfaccettate (non si vedono spesso connotazioni profonde date a spie, dittatori  o traditori), profonde analisi dei rapporti familiari e delle visioni della politica, discussioni filosofiche sul ruolo delle idee, delle rivoluzioni e della mentalità dell'essere umano nella Storia, rapporti interpersonali di qualsiasi tipo lontani da artifizi da romanzo d'appendice, tragiche e inaspettate morti dovute a eventi fortuiti e non a immolazioni eroiche, crudo realismo degli scenari di guerra (ospedali militari, campi minati, soldati impazziti per lo stress)... Interessante poi il ruolo dei componenti di Zanna del Sole, non passivi spettatori delle battaglie del Dougram ma alleati importanti che, anche senza pilotare robot, con le loro armi (solitamente fucili o bazooka) intervengono attivamente aiutando il Dougram e Crinn a sopravvivere agli scontri. Si può forse parlare, per davvero, di una storia robotica ambientata in un contesto estremamente attendibile.

Quello che tuttavia stupisce dell'opera è come Takahashi imbastisca una storia lunga, minuziosa e dai tempi narrativi pachidermici (il soggetto principale procede con una lentezza esasperante, salvo poi "esplodere" nelle ultime quindici puntate) senza annoiare mai. Rispetto ai lavori successivi, maniacali e rigorosi a livelli tanto estremi da risultare gelidi, quasi "ibernati" nella loro fermezza dialogica assolutamente non "user friendly", il regista trova in Dougram il perfetto equilibrio tra intermezzi action e didascalici, presentando un coinvolgente dramma che, nonostante la "densità" di contenuti e la voluta assenza di elementi di facile spettacolarità, non tedia risultando sempre intrigante, anche a dispetto di una veste grafica vintage e non particolarmente attraente (ma non per questo inespressiva), comprimari (quelli della Zanna del Sole) insignificanti e una colonna sonora dimenticabile e ripetitiva. Non può del resto essere un caso se, pur così "difficile", Dougram rimedierà all'epoca un indice di ascolto medio davvero eccellente (8.40%7), oltre a registrare alte vendite di merchandising modellistico8. Evidentemente il pubblico deve aver percepito la novità rispetto ai soliti rituali del passato: Dougram è una cronaca appassionante di una immaginaria guerra civile, seria e attenta ai personaggi e alla loro psicologia anziché persa in infinite battaglie tra robot - quasi sempre relegate, invece, agli ultimi tre minuti di episodio, giusto per fornire un contentino al produttore.


Un finale amaro e disilluso, in piena linea con le premesse di realismo politico della vicenda e che chiude per sempre l'età dell'innocenza per gli spettatori dei cartoni robotici, è la ciliegina finale che rende la visione di Dougram a indimenticabile e benedice la totale carta bianca che Takahashi ha ricevuto dallo studio (poteva fare esattamente come voleva e con tutto il numero di episodi di cui aveva bisogno, a patto che la serie vendesse bene)9. Decisamente, si tratta di una serie memorabile, che si spera conosca tardivamente la dovuta consacrazione internazionale a serie tra quelle imprescindibili del genere, fosse anche solo per la sua estrema unicità (escluso Legend of the Galactic Heroes del 1988, non c'è traccia di altre opere animate simili per tematiche).

Voto: 9 su 10

ALTERNATE RETELLING
Dougram: A Documentary of the Fang of the Sun (1983; film)

ALTRO
Choro Q Dougram (1983; corto)


FONTI
1 Fabrizio Modina, "Super Robot Files: 1979/1982", J-Pop, 2016, pag. 156
2 Intervista a Ryousuke Takahashi pubblicata in "Anime Interviews: The First Five Years of Animerica Anime & Manga Monthly (1992-97)" (Cadence Books, 1997, pag. 167)
3 Wikipedia giapponese di "Fang of the Sun Dougram"
4 Intervista/discussione con Takahashi, pubblicata nella pagina web http://www.forbes.com/sites/olliebarder/2016/09/06/ryosuke-takahashi-on-directing-anime-and-how-his-works-have-defined-mecha-for-over-three-decades/#556598907c73
5 Vedere punto 1
6 Vedere punto 4, integrato con la pagina web http://www.qqmercs.com/now-you-see-me-and-now-you-dont-a-brief-history-of-the-unseen/
7 Sito internet (in giapponese), http://toro.2ch.net/test/read.cgi/shar/1336141685/
8 Vedere punto 4
9 Come sopra

sabato 25 dicembre 2010

venerdì 24 dicembre 2010

Recensione: Blue Submarine No. 6

BLUE SUBMARINE NO.6
Titolo originale: Ao no roku-go
Regia: Mahiro Maeda
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Satoru Ozawa)
Sceneggiatura: Hiroshi Yamaguchi
Character Design: Takuhito Kusanagi (originale), Range Murata
Beast Design: Takuhito Kusanagi
Mechanical Design: Shoji Kawamori, Mahiro Maeda
Musiche: The Thrill
Studio: GONZO
Formato: serie OVA di 4 episodi (durata ep. 30 min. circa)
Anni di uscita: 1998 - 2000
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Dynit


Futuro prossimo: il pianeta è interamente sommerso dall’acqua, e l'umanità è ormai sull’orlo dell’estinzione. A governare i mari sono infatti delle creature per metà uomo e per metà animale, create in laboratorio dal misterioso Zorndyke, che i sopravvissuti cercano di combattere con le poche risorse a loro disposizione, ovvero uno squadrone di sottomarini corazzati. La loro ultima missione punta alla distruzione dell’Antartide dove sembra risiedere la base operativa di Zorndyke, ma il tempo è agli sgoccioli e l’arma segreta del nemico sta per essere scagliata...


Il 1998 è l’anno dello studio GONZO. Ma ogni promessa di sfarzosità visiva, di innovazione tecnologica, di capace costruzione narrativa che si respiravano in questo buon Blue Submarine No.6, prima opera in assoluto dello studio nipponico dal bizzarro nome, verrà poi incrinata nei lavori successivi: GONZO, salvo rarissimi casi, ci abituerà infatti a serie mediocri, a volte addirittura disastrose. Peccato, perché esordiva, dopo 17 mesi di lavorazione, con uno studio interessante e coraggioso, ricco di potenziale e su cui si poteva scommettere per una nuova era dei disegni animati, essendo Blue Submarine No.6 la prima, pioneristica serie a a prevedere un'integrazione continua - non più a scatti, come poteva essere un Macross Plus (1994) - tra disegni tradizionali e CG. Sebbene il risultato della mistura oggi non sia dei migliori, si premiava lo sforzo, l’idea, l’originalità, lungi dall'immaginare la degenerazione artistica che avrebbe colto lo studio più in là.

Fantascientifica, catastrofica rivisitazione de L’isola del dottor Moreau (1895), non è nella trama, tratta dall’omonimo manga del 1967, che Blue Submarine No.6 offre il meglio di sé, ma negli elementi di background, con cui serve sin da subito portate di notevole golosità visiva. Il bestiario, prima di tutto, sprigiona grande fascino mostruoso nella sua varietà creativa: creature antropomorfe come squali, cani, lupi, scimmie, dotate di armature e vocalizzatori per convertire i loro versi in linguaggio umano, catturano l’occhio tanto nella forma fisica quanto nella loro classica ma credibile personalità, suddivisa tra un’incontrollabile aggressività istintiva e un amore reverenziale per il loro creatore. Verg, in particolar modo, figlio prediletto di Zorndyke e capo dell’esercito di bestie, si mostra come villain carismatico e ben costruito: pazzo e violento, ma soggiogato da una mentalità infantile che lo porta a battere capricciosamente i piedi per terra quando non ottiene ciò che vuole. A loro si aggiungono, ed è qui che Blue Submarine No.6 strega veramente, un buon catalogo di giganteschi esseri marini trasformati in armi da guerra: balene, capidogli e altre colossali creature diventano sottomarini, cannoni, immense navi da battaglia. Interessante anche l’esercito di macchinari corazzati, di cui si intuisce la presenza ma che viene mostrato soltanto in minuscoli spiragli arrugginiti, come macchine aracniforme e mecha insettoidi, ma anche, nella fazione umana, sottomarini di morbida forma e navette dotate di arti semoventi. È qui che fa il suo ingresso la CG, scelta forse spericolata ma avveniristica, che si apprezza nonostante la bruttina, spartana messa in scena. Pochi poligoni, texture che stridono tremendamente con la ricchezza dei disegni, la CG offre il peggio di sé quando dipinge le acque, fin troppo finte e sgradevoli.

 

In questo scenario, dove i mari coprono interamente il mondo e mostri e robot si scontrano con gli umani, prende vita una trama piuttosto semplice ma ben gestita nel dipanarsi di quattro episodi. Chiaro e scontato il messaggio ecopacifista, così come il susseguirsi degli eventi e il ricorso a cliché ordinari (il protagonista ribelle richiamato in azione, la pseudo storia d’amore che nasce tra uomo e bestia, il lungo spiegone conclusivo e il finale che ne consegue), ma il regista Mahiro Maeda, grazie a una discreta caratterizzazione dei personaggi (una figura come l'eroe Hayami, per quanto vista e stravista in ogni tipo di prodotto, ha sempre un certo fascino carismatico), una giusta, opprimente atmosfera drammatica (addirittura commovente nell’ultimo episodio), una regia dinamica e soprattutto il già citato, fantastico bestiario che realmente ruba la scena a qualsiasi cosa, rende piuttosto coinvolgente la vicenda. Si sente la mancanza di maggior spazio, forse di almeno un altro episodio, alcune situazioni slittano via con eccessiva velocità e qua e là un certo senso di compressione appare fastidiosamente, ma è fattore facilmente assimilabile, soprattutto di fronte a scene di grande impatto, in special modo due lunghe sequenze, nella parte conclusiva, come il toccante salvataggio di Hayami e il triste, teatrale, lunghissimo combattimento finale, davvero sentito.

Al contrario dell’inadeguata CG, disegni e animazioni sono magnifici, queste ultime armoniose, fluide, dettagliate e con una cura per il particolare davvero meticolosa. Alto budget sfruttato quindi a meraviglia, anche in questo si ponevano giuste speranze per il futuro dello studio GONZO. Ma sappiamo com’è andata a finire.

Voto: 6,5 su 10

mercoledì 22 dicembre 2010

Recensione: Kyashan Sins

KYASHAN SINS
Titolo originale: Casshern Sins
Regia: Shigeyasu Yamauchi
Soggetto & sceneggiatura: Yasuko Kobayashi
Character Design: Yoshihiko Umakoshi
Musiche: Kaoru Wada
Studio: Mad House
Formato: serie televisiva di 24 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 2008 - 2009

 
In Giappone l'importanza rivestita dal brand Casshern (Kyashan in Italia) dev'essere di tutto rispetto, se la celebre opera di studio Tatsunoko genera, negli anni, ben tre rifacimenti dopo l'originale televisivo del 1973: una sorvolabile serie OVA nel '94, un lungometraggio live altrettanto deludente del 2004 (Kyashan: La rinascita, arrivato anche nei nostri cinema e dileguatosi, giustamente, alla velocità della luce) e nel 2008 un terzo restart ancora, una nuova serie televisiva sviluppata questa volta da Mad House, con Tatsunoko che si limita alla produzione. Kyashan Sins, questo il suo nome, inizialmente sembra una rilettura moderna di incredibile levatura: un remake che, sapientemente, evita di replicare la solita storia di Casshern che combatte contro gli androidi del crudele Briking Boss, ma reinventa il tutto in un universo alternativo privo di alcuni personaggi storici (il dott. Azuma e sua moglie) dove l'eroe, questa volta addirittura agli ordini del dittatore, causa la distruzione della Terra e dell'umanità uccidendo la giovane Luna, simbolo e speranza dei terrestri contro l'oppressione. Cento anni dopo il giovane si risveglia, sopravissuto, in un mondo in rovina, dove gli umani sono quasi tutti morti e i robot, nuovi abitanti del pianeta, sono preda di un irreversibile processo di usura. Persa completamente la memoria, il giovane inizia a vagare per le lande desolate, cercando di capire cosa può fare di concreto per aiutare il suo mondo a rivivere e soprattutto come aiutare gli abitanti a sopravvivere, riscattando il suo peccato mortale che dà il titolo all'opera. In compagnia dell'inseparabile cane-robot Friender e della bella e vendicativa Lyuze, sorella di una servitrice di Luna uccisa da lui stesso, dovrà affrontare Dio, altro vecchio servitore di Briking Boss che anela al dominio, e scoprire il segreto della vita e della morte che governa la sua realtà.

Il cammino verso la redenzione del tragico eroe si avvale di una confezione sublime, con litanie crepuscolari dell'acclamato compositore Kaoru Wada che esprimono il silenzioso dolore di scenografie desolate, sfondi espressionisti di rara potenza visiva - le ambientazioni si possono fisicamente identificare in un immenso fondale marino dalle variegate suggestioni lovecraftiane - che concretizzano l'annichilimento del pianeta e lo stato d'animo tormentato del ragazzo. A celebrare la nostalgia per la classica serie tv provvede lo splendido chara design dell'artista Yoshihiko Umakoshi, ancorato a uno stiloso ed essenziale tratto vintage anni '70, mentre animazioni di livello eccelso, fluide e di grande fisicità, e una regia lenta e d'atmosfera di Shigeyasu Yamauchi, amante di giochi di sguardi e lunghi silenzi, seducono gli occhi garantendo la grande perizia autorale della produzione. Se la storia è interessante e l'aspetto visivo straordinario, è purtroppo lo sviluppo dell'intreccio che potrebbe essere preso come perfetto esempio di sceneggiatura da evitare. Nella sua lunga strada per l'espiazione Casshern dovrà farsi perdonare soprattutto la noia imperante che coglie la serie da metà della sua durata fino alla fine, con quasi la totalità del racconto giostrata su semplici avventure riempitive. In ogni puntata l'eroe vaga per le rovine, incontra un sopravissuto più o meno tragico, si interessa alle sue vicissitudini, combatte contro alcuni robot/saccheggiatori che lo vessano, e il suo amico muore dopo aver trovato la felicità. Sins propone una stuucchevole ricerca del melodramma facile, ripetuto instancabilmente fino quasi alla fine, che, va bene, è fedele alla formula originale del '73, ma se quest'ultima era figlia dei tempi, è assurdo replicarla ancora nel 2008. Questo canovaccio tragicissimo diluisce fortemente lo sviluppo della trama principale, l'annacqua diluendo a dismisura una vicenda che potrebbe durare molto meno. Suddetti riempitivi sono spesso ben fatti e commoventi, ma, ripetuti un'infinità di volte, dimostrano solo una totale assenza di idee.


Davvero un peccato che Kyashan Sins sia scritto così, perché le potenzialità che reca in sè sono enormi, sapendo veicolare con maestria messaggi profondi sulla vita e sulla morte che valgono da soli l'intera visione. Inizialmente privo di scopi ed emozioni per ciò che lo circonda, Casshern inizia a formarsi come individuo proprio conoscendo i vari superstiti che protegge volta per volta, ognuno depositario di una particolare qualità dell'animo umano (speranza, giustizia, pentimento, innocenza...) che concorrerà a fornirgli una base morale. Con queste esperienze imparerà qual è il significato della vita, la chiave per salvare il mondo dalla paura della morte e il primo seme da piantare per la sua rinascita. Una favola poetica nei suoi temi, raffinata nelle magnifiche atmosfere decadenti, intensa nelle sue personalità tragiche e splendidamente tratteggiate; e, pur brillando di luce propria anche solo per questi meriti, andrebbe visto obbligatoriamente da tutti i fan dei Cavalieri dello zodiaco rimasti delusi dall'incompiuto Capitolo del regno dei cieli.

Come è facile supporre e si vocifera, pur in assenza di conferme o smentite ufficiali che forse mai ci saranno, infatti,  Sins altri non è altri che la rielaborazione della sceneggiatura dei mai realizzati film conclusivi della trilogia filmica iniziata qualche anno prima con Ouverture, mai completata visto l'enorme flop al botteghino  Dall'originale progetto provengono il regista Shigeyasu Yamauchi, unico custode dello script completo; gli stessi seiyuu a prestare la voce, e soprattutto il volto di Casshern, modellato palesemente su quello del Saint di Pegaso (e qualche anno dopo il disegnatore Umakoshi diverrà il chara designer ufficiale della serie tv Saint Seiya Ω, sarà un caso?). Ecco perché la storia inizia, idealmente, proprio da dove si conclude il film del 2004, evolvendosi nella direzione da lui originariamente auspicata: Seiya/Casshern perde la memoria per effetto del colpo di Febo, vaga senza meta e abbatte, nel suo cammino, i 12 dei dell'Olimpo (i vari "boss" che affronta il ragazzo androide hanno i nomi delle divinità romane), arrivando infine a scoprire l'origine della vita e della morte del pianeta risalenti all'operato di Urano/Briking. Anche il mood è rispettato, con un Casshern apatico e moralmente distrutto che replica i sentimenti Seiya dopo essere stato abbandonato da Atena.


Con le sue imparreggiabili atmosfere tragiche, la storia intrigante e l'affascinante ipotesi, per niente campata in aria, che si possa defnire il vero "seguito" di Ouverture, Sins ha tutti i presupposti per piacere al grande pubblico, specialmente ai fan del titolo storico degli anni '70 che si ritrovano tra le mani un remake molto originale e tecnicamente all'avanguardia. Proprio un peccato, quindi, che il risultato finale venga fortemente ridimensionato da una sceneggiatura irritante, così ripetitiva da rendere talvolta durissimo reggere la visione di più di un episodio a giornata, a cui non contribuisce anche il ritmo molto lento. Sins, fosse stato più breve e un filo più spigliato, non avrebbe avuto alcun problema a ritagliarsi un giudizio estremmamente più lusinghiero, addirittura surclassando l'originale. Così com'è venuto fuori è "solo" un ottimo titolo, ma dal potenziale non pienamente espresso.

Voto: 7,5 su 10

lunedì 20 dicembre 2010

Recensione: Kyashan - Il mito

KYASHAN: IL MITO
Titolo originale: Robot Hunter Casshern
Regia: Hiroyuki Fukushima
Soggetto: Tatsunoko Production
Sceneggiatura: Shou Aikawa, Hiroyuki Fukushima, Emu Arii, Hideki Kakinuma
Character Design: Yasuomi Umetsu
Mechanical Design: Kimitoshi Yamane
Musiche: Michiru Oshima
Studio: Tatsunoko Producion
Formato: serie OVA di 4 episodi (durata ep. 30 min. circa)
Anno di uscita: 1993


Una Terra del futuro è dominata dai neoroidi, minacciosi robot che si sono ribellati in massa al loro costruttore, il dott. Azuma, riducendo l'umanità in regime di schiavitù. Solo la leggenda del salvatore dà ai sopravissuti e alla resistenza la speranza di sopportare il duro regime di vita: il messia si rivelerà essere Casshern, figlio di Azuma, ragazzo mezzo androide che, in compagnia del fedele, letale cane-robot Friender, possiede una forza incredibile in grado di competere con quella del temibile Briking Boss, leader dell'esercito meccanico.

A dispetto della sua brevità e dello scomodo, impossibile paragone con la serie televisiva del '73, Kyashan: Il mito (in tutte le edizioni italiane bisogna tenersi come titolo la trascrizione sbagliata di Casshern) non è un lavoro propriamente scadente, pur facendo poco per emergere, trovando un minimo interesse giusto come classica opera celebrativa di brand di successo rivolta unicamente agli appassionati. Rappresenta, nel '93, il primo dei tre revival OVA che Tatsunoko dedicherà, negli anni seguenti, alle sue vecchie glorie supereroistiche degli anni '70: i risultati sono produzioni sorvolabili, il cui unico motivo di interesse consiste nel rappresentare il più noto elemento di popolarità dell'epoca del chara designer Yasuomi Umetsu, che nel tempo verrà ricordato principalmente per loro e per essere il futuro papà del controverso A-Kite.

La storia di Kyashan: Il mito non può che essere una futile rielaborazione di quella storica, un remake che ribadisce tutte le tematiche dell'originale: la critica all'inquinamento umano, la speranza nelle energie rinnovabili, il pericolo dell'eccessivo progresso tecnologico e le metafore politiche sul totalitarismo. Tutto rivive in 4 episodi di mezz'ora l'uno che trattano questi temi visivamente in modo ancora più esplicito, drammaticizzando il contesto (la Terra è ormai stata ormai interamente conquistata da Briking), aumentando i richiami al nazismo (si arriva addirittura ai campi di sterminio e all'idea di una Soluzione Finale), accompagnando il tutto con l'horror (le fattezze demoniache dei gerarchi neroidi, distantissime da quelle buffe di Kunio Okawara) e innaffiando con il nichilismo (adesso non c'è alcun fulmine che manda in corto circuito Briking Boss, il programma installato in lui da Azuma per preservare l'ambiente gli impone proprio di eliminare la razza umana che è il più grande pericolo per il pianeta). A condire il tutto, il chara design adulto e sexy di Umetsu, che ben presagisce i lavori che l'artista realizzerà poi in produzioni animate a luci rosse: abbandonate le reminiscenze americanoidi originali di Yoshitaka Amano a favore del classico stile orientale, scolpisce vistosi addominali a Casshern - rendendo aderentissimo il suo costume - e abbandona il look "acqua e sapone" dell'amica d'infanzia Luna trasformandola, coi suoi abiti scollatissimi, in una sorta di prostituta. Il vecchio cane Friender, infine, perde le sue capacità di trasformazione rivelando solo l'aspetto canino.


Il mood più maturo e il sufficiente accompagnamento musicale di Michiru Oshima (niente di che, ma è orchestrale) sono, alla fine, gli unici aspetti che rendono interessante l'opera, che per il resto non offre nulla di particolarmente interessante, con le sue animazioni tutt'altro che irresistibili - dalle movenze rigide e irreali - e la trama sviluppata in modo dimenticabile: Casshern è il salvatore dell'umanità, fortissimo e imbattibile, e in ogni episodio, dopo qualche stucchevole monologo interiore su quant'è sfortunato,  libera alcuni gruppi di umani crudelmente schiavizzati dalle macchine. Contorno di qualche flashback per ricordare la sua triste condizione e l'amore impossibile per Luna e, per concludere, scontro finale con un monocaratterizzato Briking Boss. Fine.

Se nel 1973 l'originale riscattava la ripetitività del canovaccio tokusatsu con la sua tragicità esasperata, in Kyashan: Il mito ne presenta giusto il corollario. Tanta azione e mini-avventure autoconclusive, ma nessuna caratterizzazione degna di nota, con comprimari puramente funzionali alla vicenda ed eroi-adoni immortalati in pose plastiche che non fanno altro che combattere o commiserarsi del destino del loro pianeta e delle loro esistenze con dialoghi di una superficialità clamorosa. Una storiella patinatissima - per quanto non manchi, all'evenienza, un po' di fanservice ecchi e qualche spruzzata di sangue - e mal diretta che consegna ai fan dell'indimenticabile ragazzo androide un protagonista dimenticabile, brutta copia del tormentato personaggio tanto amato. Kyashan: Il mito, per quanto guardabile, è una pigra, banale rilettura di una bella serie, fatta così tanto per fare.

Edizione italiana a cura di Yamato Video tra le prime a conoscere riversamento DVD in Italia. Peccato l'opera sia assente di sottotitoli, presentata in bassa qualità video e funestata da un doppiaggio che si rifà all'adattamento americano Harmony Gold pieno di frasi totalmente false e inventate (un 50% abbondante1). Lasciamo perdere.

Voto: 6 su 10


FONTI
1 Consulenza di Garion-Oh  (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)

venerdì 17 dicembre 2010

Recensione: Saint Seiya The Heaven Chapter ~ Overture ~ (Saint Seiya Tenkai-hen; I Cavalieri dello Zodiaco: Le Porte del Paradiso; I Cavalieri dello Zodiaco: Capitolo del regno dei cieli - Overture)

SAINT SEIYA THE HEAVEN CHAPTER ~ OVERTURE ~
Titolo originale: Saint Seiya Tenkai-hen Jousou ~ Overture ~
Regia: Shigeyasu Yamauchi
Soggetto: Masami Kurumada
Sceneggiatura: Akatsuki Yamatoya, Michiko Yokote
Character Design: Masami Kurumada, Shingo Araki, Michi Himeno
Musiche: Seiji Yokoyama
Studio: Toei Animation
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 83 min. circa)
Anno di uscita: 2004


È passato un po' di tempo dalla sofferta vittoria delle forze di Athena su quelle di Hades, momento di gioia funestato dalla morte di tutti i Gold Saint e dal destino di Seiya, colpito dalla spada del Dio agonizzante e per questo finito in stato vegetativo, vittima di una sua maledizione. Purtroppo non è ancora finita: gli Dei dell'Olimpo sono sdegnati dal fatto che semplici esseri umani abbiano ucciso in modo definitivo un loro fratello, e così la Dea Artemis, insieme ai suoi Sacri Guerrieri Theseus, Odysseus e Icarus, intima ad Atena di giustiziare tutti i suoi uomini. Saori rifiuta, offrendole però, in cambio della loro salvezza, il suo posto ufficiale di dominio della Terra, e torna quindi con lei all'Olimpo. Pur rinnegati dalla loro stessa divinità, e in aperta ostilità con i loro stessi compagni che hanno prontamente accettato il cambio di comando ai vertici, i cinque Bronze Saint non sono d'accordo sulla decisione e tornano a combattere per restaurarne il potere.

È un lungometraggio più che discreto, Saint Seiya The Heaven Chapter ~ Overture ~, sarebbe sciocco negarlo, ma tuttavia la sua buona qualità, a posteriori, si può ben dire che non valga la visione, se si pensa a quanto sia stato inconcludente e quante conseguenze negative abbia avuto la sua esistenza sul brand Saint Seiya. Partiamo dall'inizio: come si sa, il progetto di realizzare in animazione la saga dei Cieli, voluta da Masami Kurumada ma mai disegnata nel manga storico1, nasce dalle eccellenti vendite home di Saint Seiya The Hades Chapter: Sanctuary (2002). A quel punto, Bandai Visual e Toei Animation si mettono d'accordo con l'autore per creare quest'incredibile esclusiva riservata al solo mondo dell'animazione, da affiancare in contemporanea alla trasposizione della saga di Hades. L'operazione consisterà in un lungometraggio che faccia da prologo, a cui farà poi seguito una serie televisiva2. Il tutto godrà degli stessi ingenti capitali di Sanctuary e del suo medesimo staff, e giustamente a scrivere il soggetto sarà Kurumada in persona. Il mangaka, per l'occasione, creerà anche il design3 di uno dei personaggi principali della storia, Toma di Icarus, uno dei guerrieri di Artemis, destinato a un legame importante e particolare con Marin, precettrice di Seiya. I fan di Saint Seiya che non hanno mai letto il fumetto, che hanno atteso per oltre un decennio di sapere come finiva la storia, non possono a quel punto che esplodere di felicità, visto che i primi anni del nuovo secolo permetteranno loro non solo di assaporare l'arco narrativo di Hades, ma addirittura, contemporaneamente, di godere del suo seguito nuovo di zecca.

Il tutto seguirà il suo corso con le migliori intenzioni, ma troverà risultati catastrofici su cui verranno dette, scritte e riportate centinaia di cose. I fatti nudi e crudi diranno solo che il lungometraggio sarà un flop stratosferico al box office4 (pur di riuscire a rifilarlo, Bandai metterà in vendita il DVD al risibile prezzo di 9.000 yen5), Kurumada sarà estremamente deluso dalla sua qualità6, il progetto salterà definitivamente (si penserà di chiudere la storia con altre  due pellicole, ma non se ne farà più niente7) e il milionario sodalizio fra Toei e Bandai Visual si interromperà, trovando atroci ripercussioni nel prosieguo dell'adattamento di Hades (la serie OVA Saint Seiya The Hades Chapter: Inferno del 2005). Che poi Kurumada dica che la sua storia è stata quasi del tutto ignorata e modificata senza il suo consenso8, o che Yamauchi sostenga invece che l'autore avrebbe accettato serenamente la cosa a patto che il lavoro fosse un successo nelle sale9, sono scuse (rigorosamente prive di conferma dall'altra parte) che lasciano il tempo che trovano: Overture sarà un insuccesso e la saga dei Cieli si chiuderà in modo tronco. Fine. Triste cosa, visto il suo valore e le tante domande che lascia senza risposta.


La sua trama, semplice ma non banale come nei quattro storici film Toei degli anni '80, offre un notevole divertissement rispetto alle solite carneficine "cinque Bronze Saint vs cinque nemici per salvare Athena in tempo". Risvegliatosi dal coma e appreso di essere stato abbandonato dalla propria Dea, Seiya, apatico e senza quasi più forze (scenario che rievoca molto il soggetto del terzo lungometraggio, La leggenda dei guerrieri scarlatti, da cui proviene anche l'antagonista Phoebus), inizia una lotta disperata e quasi solitaria con i guerrieri di Artemis, aiutato senza saperlo dai suoi compagni. Interessanti rivelazioni su lui, Marin e Saori, protagonisti assoluti per la prima e unica volta, e un certo spazio dialogico dato anche a personaggi ripescati dal dimenticatoio del livello di Shaina, Jabu e Ichi, donano una volta tanto una certa profondità al cast, i cliché si riducono o vengono rielaborati (i consueti combattimenti di Shun e Ikki), e il carisma della storia è maggiormente fatto risaltare dalla soppressione di numerosi combattimenti degli altri quattro Bronze Saint, per focalizzare meglio l'interesse sull'enfasi narrativa (anche se, si apprenderà, sarà una mossa involontaria, dettata solo dall'interesse a far uscire il film in tempo per il giorno di San Valentino10, giorno degli innamorati che sicuramente apprezzeranno la love story più approfondita del solito tra Seiya e Saori). Il quinto film del brand è in effetti un Saint Seiya inedito, che oltre agli scontri tenta anche di dare un certo peso al racconto. Proprio in questo trova la sua forza, e il comparto tecnico avanzatissimo diventa quel qualcosa di "più" che lo rende quasi memorabile: adagiato sulla perfezione visiva di Sanctuary, Overture ne eguaglia la spettacolarità tecnica, fortissima dall'inizio alla fine di stupendi disegni a mano e una CG di altissimo livello, strabiliante nel creare affascinanti fondali - santuari immersi sott'acqua, canyon, deserti - e realistici effetti ambientali. Le animazioni fluidissime e vigorose e, anche, una seconda grande prova registica di Shigeyasu Yamauchi, funambolica nei combattimenti e innamorata dei primissimi piani - che con i disegni meravigliosi di Shingo Araki e Michi Himeno sfociano abbondantemente nel non plus ultra - fanno il resto, regalando agli spettatori un nuovo capolavoro estetico. Menzione obbligatoria anche per la colonna sonora di un ritrovato Seiji Yokoyama, finalmente inedita (non più ricicli di quella classica come in Hades) e pronta a stupire con nuovi, immortali brani orchestrali dati da raffinate composizioni di organi e viole con l'accompagnamento di cori lirici.

Sfortunatamente il cliffhanger finale, esaltante e pieno di intriganti spunti per il prosieguo, che ben adempie alla funzione di "prologo" nel creare le premesse per un'avventura estremamente più lunga, articolata ed epica di quella che si è vista (in cui Seiya e compagni si troveranno ad affrontare le divinità dell'Olimpo e torneranno in vita i Gold Saint, come spesso anticipato da Kurumada11 e come alcuni indizi lasciano presagire nel film), si risolve in una bolla di sapone, visto che l'opera non ha poi seguito. Si vocifera che la ragione più eclatante del flop sia derivata dalla soppressione dei combattimenti degli altri Bronze Saint al di fuori di Seiya, e questo amareggia visto che sarebbe bastato poco (magari non impuntarsi a farlo uscire il 14 febbraio 2004) per convincere il pubblico a guardarlo in massa, mandando così avanti l'operazione (sembra quasi una beffa il come, negli anni, Overture abbia poi venduto bene nell'home video12, quando ormai era troppo tardi per riparare il giocattolo). Per quanto di un certo livello, insomma, per la sua natura incompleta la pellicola offre grandi motivi di delusione. Quantomeno, chi ha fame della saga dei Cieli può consolarsi col manga Saint Seiya: Next Dimension, iniziato a disegnare nel 2006 da Masami Kurumada e che la riscrive da capo (tenendo per buone svariate idee di Overture), e con l'annuncio di Toei sul fatto che un giorno intenderà animarlo13. Chi invece vuole sapere come Yamauchi intendesse mandare avanti la pellicola, può rivolgersi a Kyashan Sins (2008): serie televisiva Mad House in cui, si dice, abbia concluso la storia adattandola ai personaggi del popolare franchise Tatsunoko (invito alla lettura dell'apposita recensione per maggiori dettagli).


Nota: tramesso sul canale italiano a pagamento Hiro come I Cavalieri dello Zodiaco - Le Porte del Paradiso, Overture ha lì trovato il solito adattamento ignobile in linea con tutti gli altri "carabelliani". La sua licenza è stata acquistata nel 2013 da Yamato Video, che ne ha cambiato il nome in I Cavalieri dello Zodiaco: Capitolo del regno dei cieli - Overture e che ne ha annunciato una futura proiezione nei nostri cinema. Non si sa ancora se nella successiva edizione in home video il film godrà almeno di sottotitoli fedeli ai dialoghi originali.

Voto: 7 su 10

RIFERIMENTO
I Cavalieri dello Zodiaco (1986-1989; TV)
Saint Seiya The Hades Chapter: Elysion (2008; serie OVA)


FONTI
1 Sito ufficiale del film, pagina di introduzione alla pellicola. http://www.toei-anim.co.jp/movie/2004_seiya/seiya.htm. In alternativa, intervista a Masami Kurumada pubblicata nel 2002 dalla rivista brasiliana Henshin, riportata nella pagina web http://blood.cyna.net/interviewkurumada.htm
2 Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)
3 Come sopra
4 Come sopra
5 Come sopra
6 Intervista del 2005 a Masami Kurumada pubblicata nel num. 117 della rivista spagnola Animeland. Tradotta in italiano e pubblicata su Cavalieridellozodiaco.net. http://www.icavalieridellozodiaco.net/informazioni/articoli/KuruInt.htm
7 Vedere punto 2
8 Come sopra
9 Come sopra
10 Come sopra
11 Come sopra
12 Come sopra
13 Come sopra

giovedì 16 dicembre 2010

Recensione: I Cavalieri dello Zodiaco - L'ultima battaglia

I CAVALIERI DELLO ZODIACO: L'ULTIMA BATTAGLIA
Titolo originale: Saint Seiya - Saishûseisen no senshitachi
Regia: Masayuki Akihi
Soggetto & sceneggiatura: Yoshiyuki Suga
Character Design: Shingo Araki, Michi Himeno, Masahiro Naoi
Musiche: Seiji Yokoyama
Studio: Toei Animation
Formato: mediometraggio cinematografico (durata 43 min. circa)
Anno di uscita: 1989
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Yamato Video

 
Gli spiriti rancorosi di Eris, Phoebus e Poseidon risvegliano dal suo lungo sonno il demoniaco Lucifer. Attraverso l'opera dei suoi Angeli Decaduti, il sovrano dell'oltretomba sconfigge i Gold Saint rimasti in vita, erige un suo personale tempio nel Sanctuary e, fatto questo, inizia a devastare il pianeta con la furia delle acque e della terra insieme ai poteri delle altre tre divinità. Dietro la promessa di chiudere il suo disegno apocalittico Athena gli offre la propria vita, ma ovviamente i suoi cinque Bronze Saint non glielo permetteranno, e sono pronti a entrare in azione.

Ce ne voleva a sfornare un pessimo film di Saint Seiya (1986), di quelli insalvabili anche dai fan, e Toei Animation adempie alla missione il 18 marzo 1989 con L'ultima battaglia, mediometraggio che, uscito lo stesso giorno della terzultima puntata televisiva dell'anime (ep.112), affossa in un colpo solo la buona qualità delle precedenti incarnazioni diventando, per lungo tempo, l'ultimo lungometraggio ufficiale del brand. In soli 45 minuti - ritorno a un basso minutaggio dopo La leggenda dei guerrieri scarlatti (1988), in coincidenza con il ritorno al Toei Manga Matsuri e alla solita politica di un esagerato numero di proiezioni nella stessa giornata (altre tre sono i film Suika no Hoshi Kara Konnichiwa Plaisance! della serie Osomatsu-kun, quello de Lo Specchio magico e infine quello del telefilm supereroistico Kousoku Sentai Turboranger) - delinea, oltre alla classica trama-pretesto delle pellicole precedenti, i nemici e i combattimenti più banali e noiosi della saga, riuscendo anche ad annoiare nell'arco di così poco tempo.

Il film scade subito nel ridicolo già dalla sequenza introduttiva, che mostra i Gold Saint sopravvissuti venire abbattuti istantaneamente dai soliti guerrieri nemici che appaiono dal nulla: vengono sconfitti in un secondo senza riuscire a fare nulla se non una figura barbina, da quegli stessi sgherri che verranno distrutti successivamente, in pochi minuti, dai ben più deboli Seiya e compagni. Uno schiaffo alla continuity di quelli più eclatanti. Si possono accettare armature che finiscono polverizzate e non si sa come vengono ricostruite nel film successivo (e la cosa avviene puntualmente anche in quest'occasione), ma non idee che snaturano così palesemente il mondo inventato da Masami Kurumada. Non contento, lo sceneggiatore Yoshiyuki Suga umilia anche la mitologia greca, fondendola con quella induista e cattolica attraverso la figura di Lucifer, che, oltre a essere stato scacciato dal Paradiso da Dio, scopriamo aver subito la stessa sorte anche, in passato, da parte di Athena e di divinità indiane (?). Come fanno a convivere nello stesso mondo divinità monoteiste e politeiste? E che fine fa Hades visto che è Lucifer a presiedere l'Inferno? Terribile. Gli eroi che a inizio film affrontano gli Angeli Decaduti senza neanche indossare la Cloth, venendo giustamente distrutti, e l'assurda alleanza del loro signore con Eris, Poseidon (non è morto come viene detto!) e Phoebus, vano tentativo di incastonare nella continuity televisiva anche il mondo filmico di Saint Seiya, sono le gocce che fanno traboccare il vaso umiliando per la terza volta il senso e le regole del manga, facendo intuire fin da subito l'assenza nello staff, in quest'occasione, dell'autore originale (che abbia rifiutato di prendere parte al disastro perché impegnato a disegnare la saga di Hades1 che da sola rendeva impossibile l'avverarsi delle premesse del film? È bello pensarlo). Assenza che si sarebbe notata comunque viste le armature nemiche dal senso estetico tendente al ributtante (menzione d'onore per l'oscena corazza indossata dall'Angelo Decaduto Eligor).


La poltiglia che rimane consiste nel solito Saint Seiya filmico degli stereotipi, dei combattimenti brevissimi e svogliati, di Shun che non riesce a vincere uno scontro che sia uno senza essere salvato dal fratello, dell'insulsa Saori che non fa altro che creare problemi ai suoi ragazzi e delle armature d'oro che entrano in scena quando vogliono loro senza seguire alcuna logica, come se si potessero chiamare a comando. Quasi imbarazzante il cattivissimo Lucifer, che per tutto il film si crogiola della sua statura morale e dei suoi torbidi piani e poi in battaglia fa una figura di rara vergogna.  E in tutto questo, a rovinare per davvero la saga dei film fuori-continuity di Saint Seiya, si inseriscono ambientazioni una volta tanto prive di attrattiva e dai fondali particolarmente anonimi, animazioni giusto modeste per il formato (e che si permettono addirittura ricicli), disegni non particolarmente belli o curati (Shingo Araki non è più direttore dell'animazione e la cosa si nota molto, nonostante il suo apprezzamento per il risultato) e infine, e questa è la cosa più incredibile, musiche di Seiji Yokoyama davvero insignificanti, composizioni nuove di zecca che hanno la stessa intensità di una colonna sonora ambient. L'ultima battaglia è un film evidentemente nato così perché sì, con zero ambizioni, sceneggiatura da compitino di classe e cura neanche sufficiente nelle fasi di contorno. A parte, anche in quest'occasione, alcune idee che riappariranno nella saga cartacea di Hades (le 12 Gold Cloth che sprigionano tutto il loro potere nella freccia di Sagittarius, o i nemici Eligor e Moa che ricordano molto alcuni Specter dell'armata del Signore dell'Oltretomba), parliamo di un film stupido, ignorante e indifendibile, anche a guardarlo col doppiaggio fedele rimediabile nel consueto DVD (prima tiratura) Yamato Video.

Voto: 4 su 10

RIFERIMENTO
I Cavalieri dello Zodiaco (1986-1989; TV)

PREQUEL
I Cavalieri dello Zodiaco: La Dea della Discordia (1987; film)
I Cavalieri dello Zodiaco: L'ardente scontro degli Dei (1988; film)
I Cavalieri dello Zodiaco: La leggenda dei guerrieri scarlatti (1988; film)


FONTI
1 Consulenza di  Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)

mercoledì 15 dicembre 2010

Recensione: I Cavalieri dello Zodiaco - La leggenda dei guerrieri scarlatti

I CAVALIERI DELLO ZODIACO: LA LEGGENDA DEI GUERRIERI SCARLATTI
Titolo originale: Saint Seiya - Shinku no Shônen Densetsu
Regia: Shigeyasu Yamauchi
Soggetto: Yoshiyuki Suga, Masami Kurumada
Sceneggiatura: Yoshiyuki Suga
Character Design: Shingo Araki, Michi Himeno
Musiche: Seiji Yokoyama
Studio: Toei Animation
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 70 min. circa)
Anno di uscita: 1988
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Yamato Video


Phoebus, Dio del Sole e delle Arti, reincarnatosi nell'angelico Abel, diventa il nuovo nemico di Athena: la convince, infatti, a ripudiare i suoi guerrieri e ad aiutarlo nella costruzione di un nuovo mondo divino che rimpiazzerà quello umano. Questo è però quello che pensa lui: in verità la Dea, temendo per la vita dei suoi ragazzi, li ha allontanati per poterli salvare dalla lotta, e mira invece a sconfiggere il fratello da sola, approfittando di un suo eventuale momento di debolezza. Ovviamente non ci riuscirà, finendo addirittura uccisa. Seiya e compagni correranno dunque in Grecia per affrontare Phoebus nel suo tempio, nella speranza di salvare lo spirito della loro Dea prima che questo finisca nell'Oltretomba. Dovranno sconfiggere i suoi uomini, i Corona Saint, e anche alcuni Gold Saint resuscitati che hanno cambiato schieramento...

Cinque mesi dopo il pregevole L'ardente scontro degli Dei (1988), quando su rivista Shiryu sta affrontando Chrysaor Krishna nella saga di Poseidon1 e in TV si è arrivati alle battute conclusive di Asgard (episodio 87), Toei Animation fornisce il nuovo contributo filmico al brand Saint Seiya con un terzo film celebrativo che, con la sua durata di ben 115 minuti (uscito in doppia proiezione col lungometraggio animato di Classe di ferro, stavolta al Weekly Jump 20th Anniversary Festival invece che al consueto Toei Manga Matsuri), sembra finalmente correggere il difetto più eclatante delle precedenti puntate: la bassissima durata dei combattimenti. Non contento, lo studio decide di fare le cose in grande osando qualcosa in più del solito canovaccio, e si inventa ben sette nemici da far affrontare ai cinque eroi, tirando in ballo addirittura alcuni Gold Saint resuscitati da Abel e ora schierati dalla sua parte. Quest'idea, suggerita dallo stesso Masami Kurumada2 (che non mette mano stavolta al chara design, ed è facile accorgersene guardando le bizzarre "armature" dei Corona Saint volute dal regista Shigeyasu Yamauchi3, più somiglianti a tuniche che a corazze), insieme a quella del ruolo che avrà in  tutto questo Saga, Gold Saint di Gemini, è inutile dire che gli forniranno lo spunto per la saga di Hades che inizierà a disegnare qualche mese dopo. La leggenda dei guerrieri scarlatti rientra di certo nel novero dei film riusciti di Saint Seiya, una visione che i fan apprezzeranno molto, pur inferiore nel complesso al prequel visto il suo continuo oscillare tra ottime intuizioni, riuscite sequenze ed evocativi passaggi contrapposti a deficienze narrative o problemi di natura tecnica.

La trama è sempre il solito pretesto, privo di reale interesse e con antagonisti, coerentemente con la natura "picchiaduro" della saga, adagiati su piatte caratterizzazioni. Non è un problema. Come ne L'ardente scontro degli Dei, i veri protagonisti sono ambientazioni e musiche, fedelmente replicati ad alti livelli. Il tempio di Phoebus, con le sue rovine e architetture decadenti, fa ancora la sua parte nel rievocare i fasti della Grecia ellenica, e la colonna sonora di Seiji Yokoyama eguaglia lo splendore della soundtrack precedente, nuovamente pendendo tra moderne influenze rock dagli assoli di chitarra elettrica e tastiere, ritmiche marziali e magnifiche suite ancestrali. Yokoyama è autore di composizioni d'orchestra che con arpe, cetre, violini, pianoforti, flauti e tamburi traghettano l'orecchio in un tempo magnifico che non esiste più, testimoniando la caratura del compositore come uno dei migliori, se non IL migliore, della Storia dell'animazione nipponica.


Spiccano, narrativamente, anche parziali elementi di novità che svecchiano una saga filmica logora di cliché, ed è così che si può salutare, di contralto al solito Shun distrutto in un secondo dal nemico di turno e salvato dal fratello, anche un semplice tirapiedi in grado di tenere testa a tutti i Bronze Saint contemporaneamente, un Seiya non più perennemente invincibile, l'armatura d'oro di Sagittarius che non arriva da sola a salvare l'eroe e, ovviamente, lo spiazzante ritorno di alcuni Santi d'Oro, protagonisti di combattimenti, una volta tanto, che non  avvengono in un lampo ma durano svariati minuti, il giusto per non perdere in epicità. Avvengono così tanti scontri sanguinosi che l'eroica sofferenza dei protagonisti è resa in modo ben tangibile, con corpi feriti, tumefatti, insanguinati e sempre più privi di protezione (visti i danni riportati dalle armature) che si dirigono, deboli ma incuranti del pericolo, verso la loro Dea, pronti ad affrontare nuovi nemici in condizioni sempre più disperate. Il rovescio della medaglia vede proprio l'enfasi esasperata di queste sofferenze, con il protagonista principale che, non capacitandosi inizialmente di essere stato abbandonato dalla propria Dea, per buona parte della durata continua a piangere e lamentarsi a voce alta, una lagna che ribadisce per tutta la durata dell'avventura - dolore che il regista spaccia per sofferenza virile ma in verità è solo infantile e poco credibile.

Negativi sono anche i consueti elementi fuori continuity (la storia è temporalmente ambientata, nell'immaginazione dello sceneggiatore Yoshiyuki Suga, più o meno dopo la saga di Poseidon), che, a parte le solite Cloth disintegrate negli scontri, si fanno ricordare principalmente per l'idea che tornino in vita alcuni Gold Saint traditori il cui corpo fisico dovrebbe essere disperso negli Inferi o fluttuante nello spazio. Ridicola, per proseguire, una falsissima rivisitazione mitologica Made in Japan del mito di Phoebus, mentre è reso in modo discontinuo il chara design di Shingo Araki e della Michi Himeno, meraviglioso come sempre nei primi piani ma talvolta approssimativo nei campi medi e lunghi. Neppure la regia di Shigeyasu Yamauchi è immune alle critiche, troppo compiaciuta in inquadrature e sequenze di puro onanismo autorale che tolgono pathos, dilungandosi esageratamente in raffinate quisquiglie che non c'azzeccano molto con la natura action del titolo (Abel che veglia sul corpo della sorella, Abel che suona la cetra, momenti inutili come il lungo prologo dove Seiya e compagni subiscono l' "abbandono di Athena"). Le animazioni, infine, sono di buon livello ma un po' più statiche di quelle della meraviglia precedente. Questi sono, tuttavia, piccoli nei che non inficiano troppo il risultato positivo della pellicola, come sempre avvincente, esteticamente sontuosa e che può vantare combattimenti più intensi e riusciti rispetto ai precedenti, oltre ad una regia più ricercata.


Nota: edito in Italia in DVD da Yamato Video, questo e gli altri tre film degli anni '80 trovano, nella prima tiratura del 2007 (quella contraddistinta dalla copertina dallo sfondo bianco, non quella dallo sfondo blu), oltre all'orrendo doppiaggio storico italiano (solita porcheria in linea coi dettami aulici di Enrico Carabelli che già hanno rovinato la serie TV) anche una traccia audio alternativa data dal ridoppiaggio operato anni dopo dalla defunta Dynamic Italia, fedelissimo nell'adattamento (nomi, luoghi, addirittura i colpi lasciati in giapponese) e ai dialoghi originali e oltretutto ben interpretato, con voci azzeccate e in linea con quelle giovanili originali. Questa l'unica versione per cui valga la pena vedere queste opere.

Voto: 7,5 su 10

RIFERIMENTO
I Cavalieri dello Zodiaco (1986-1989; TV)

PREQUEL
I Cavalieri dello Zodiaco: La Dea della Discordia (1987; film)
I Cavalieri dello Zodiaco: L'ardente scontro degli Dei (1988; film)

SEQUEL
I Cavalieri dello Zodiaco: L'ultima battaglia (1989; film)


FONTI
1 Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)
2 Come sopra
3 Come sopra

martedì 14 dicembre 2010

Recensione: I Cavalieri dello Zodiaco - L'ardente scontro degli Dei

I CAVALIERI DELLO ZODIACO: L'ARDENTE SCONTRO DEGLI DEI
Titolo originale: Saint Seiya - Kamigami No Atsuki Tatakai
Regia: Shigeyasu Yamauchi
Soggetto & sceneggiatura: Takao Koyama
Character Design: Masami Kurumada, Shingo Araki, Michi Himeno
Musiche: Seiji Yokoyama
Studio: Toei Animation
Formato: mediometraggio cinematografico (durata 45 min. circa)
Anno di uscita: 1988
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Yamato Video


La scomparsa di Hyoga, nei pressi del regno nordico di Asgard, porta lì Saori e i suoi inseparabili Bronze Saint a indagare. Un'udienza con Dorbal, sovrano del Paese e sacerdote del culto di Odin, li convince che l'amico non è più lì, ma, mentre si apprestano a tornare a casa, il perfido regnante, per uccidere Athena e instaurare il culto del suo Dio nel mondo, la rapisce e invia i God Warrior a eliminare i suoi guerrieri. Insieme ai nemici, incredibilmente, sembra essersi schierato lo stesso Hyoga...

Non si può non amare il secondo film cinematografico di Saint Seiya (1986), anche se riproposizione sputata, tale e quale, della "storia" del primo. Lo sceneggiatore Takao Koyama decide che le ambientazioni glaciali sembrano offrire un buon potenziale per sviluppare una vicenda dalle atmosfere insolite, e così, ispirato, incrocia la mitologia greca con quella norrena, creando un'affascinante commistione. Nasce un'avventura ambientata ad Asgard, terra dal freddo perenne dove rivivono i fasti di Odin, del Valhalla, dell'Yggdrasil e di tutte le leggende tanto care ai vichinghi, arena dove Seiya e compagni devono lottare per salvare la loro dea affrontando i God Warrior del perfido sacerdote Dorbal, in un nuovo mediometraggio proiettato al Toei Manga Matsuri (il 12 marzo 1988, insieme ai film animati di Lady!! e Bikkuriman e a quello del telefilm Kamen Raider Black). Molte voci definiscono questa pellicola "ispirata" dalla one-shot di Masami Kuramada The Cygnus Story,  apparsa nel manga di Saint Seiya (volume 10 della Perfect Edition edita in Italia da Star Comics) e che vede Hyoga combattere in Siberia, nella sconosciuta Bluegrad, contro i Blue Warrior dell'ambizioso Alexer, ma la diceria è falsa visto che quella storia, pubblicata per festeggiare il millesimo numero di Shounen Jump (interrompendo lo scontro tra Seiya e Saga), esce nello stesso numero della rivista che annuncia il film1, che era quindi già in avanzata fase di produzione (è più giusto pensare il contrario, ossia che l'autore sia stato ispirato da esso nel disegnare quel capitolo). In compenso, anche in questo mediometraggio il chara design ufficiale dei God Warrior è firmato da Masami Kurumada, ed è vero che l'opera ha fornito successivamente le basi per la saga-filler di Asgard della serie TV (ep.74-99), vero e proprio rifacimento televisivo di questa pellicola.



Ovvio che, con la sua (nuovamente) breve durata, L'ardente scontro degli Dei non possa vantare chissà che profondità, ma il film si fa ricordare, ben più di quello precedente, per una confezione che mi azzardo a definire eccezionale, da lasciare a bocca aperta, la migliore tra quelle delle varie incarnazioni di Saint Seiya. Con le sue animazioni spaccamascella, sinuose e dalla possente fisicità, i suoi disegni elegantissimi (nel 1993 lo stesso Araki ammetterà che, fra tutte le sue infinite opere, solo questa e quella dei tre film successivi sono davvero ben fatte2), fondali-cartolina e suggestive invenzioni visive (gigantesche statue di Odin, castelli incastonati nel ghiaccio, picchi innevati, architetture sospese nel vuoto, steppe ricoperte di neve, fiordi e ogni genere di ambientazione a tema), il mediometraggio dona un granitico sense of wonder che si ricorderà anche negli anni a venire. Una meraviglia che non è solo visiva ma anche uditiva, rappresentando a mio parere il canto del cigno del grandissimo compositore Seiji Yokoyama: il titolo si avvale di una colonna sonora solenne e indimenticabile, grazie a magnifiche tracce affidate a un'orchestra di archi, pianoforti, trombe, clarinetti, tastiere e chitarre che evocano guerra, civiltà dimenticate, draghi e mitologia norrena sottolineando con solennità la solitudine degli eroi nella loro corsa silenziosa verso Athena attraversando desolate ambientazioni glaciali. Non mancano neppure esplosioni di trombe e cori lirici, a suggellare combattimenti così devastanti da evocare l'apocalisse di un Ragnarok. Insomma si è  al cospetto di un lavorone, una festa per occhi e orecchie a cui prende parte con gioia uno spettatore del tutto disinteressato ai personaggi-macchietta di una trama nuovamente insignificante.

Quest'ultima si perde, banalmente, nei medesimi difetti di quella del film precedente. Se ormai è impossibile stupirsi di come la Dea Athena finisca continuamente rapita dal nemico di turno, è ancora fonte di sbalordimento negativo il come tutta la progressione della storia e le sue idee siano riciclate da quelle de La Dea della Discordia, evidenziando la totale mancanza di fantasia negli script Toei: il sacro guerriero di Andromeda che continua a non riuscire a sconfiggere neanche un avversario senza essere aiutato dal fratello, gli eroi che dopo il rispettivo combattimento perdono i sensi per non farsi vedere quasi più, Seiya che è inizialmente distrutto dal suo nemico ma poi risolve la questione in un secondo grazie all'armatura d'oro di Sagittarius... I combattimenti continuano a essere troppo corti - cinque minuti di media - per farsi ricordare, con i contendenti che si colpiscono un paio di volte, si affrontano col colpo segreto e vince chi è il più forte (con eccezioni negative come la battaglia tra Seiya e Loki, meno di due minuti di durata), e il consueto incipit che apre la storia (Hyoga che sparisce dalle scene e poi riappare come nemico), seguendo le modalità di quello de La Dea (la possessione di Eri), è nuovamente futile e privo di ripercussioni. Il ragazzo, soggiogato da Odin, indossa una Robe appartenuta a chissà chi e che non gli serve (visto che usa i soliti attacchi della costellazione del cigno) e, dopo aver perso il duello coi suoi compagni, decide di tornare tra le fila di Athena senza spiccar parola. Così, senza spiegazioni sul perché ha tradito e perché ha deciso di tornare. Non è importante, è la solita storiella fuori continuity (in TV, quello stesso giorno è trasmessa la puntata 69, che vede il prosieguo dello scontro fra Shun e Aphrodite nella Casa di Pisces), così come fuori continuity sono le armature degli eroi che per l'ennesima volta vengono disintegrate dalla ferocia dei combattimenti. Pazienza.

Il lungometraggio è da vedere unicamente per gli elementi di contorno, così folgoranti da sfondare lo schermo. Quarantasette minuti di sfarzo sensoriale che danno i brividi, permettendo di compiere un viaggio immaginario in una terra fredda e suggestiva, con edifici, statue e ambientazioni che richiamano la gloria dei vichinghi e delle loro leggende. Pur con le sue pecche di sceneggiatura, il mediometraggio, in definitiva, si fa vedere con un gran piacere, dimostrando per l'ennesima volta come il manga di Masami Kurumada, shounen mal disegnato nonostante tutti i suoi pregi storici, in animazione diventi un cult mondiale non tanto per la riproposizione della stessa storia (con l'aggravante di nuove contraddizioni narrative), ma tanto più per il disegno, davvero eccezionale e bellissimo, del chara designer Shingo Araki, che ne L'ardente scontro degli Dei dà il meglio di sé, trovando il capolavoro. Must see.


Nota: edito in Italia in DVD da Yamato Video, questo e gli altri tre film degli anni '80 trovano, nella prima tiratura del 2007 (quella contraddistinta dalla copertina dallo sfondo bianco, non quella dallo sfondo blu), oltre all'orrendo doppiaggio storico italiano (solita porcheria in linea coi dettami aulici di Enrico Carabelli che già hanno rovinato la serie TV) anche una traccia audio alternativa data dal ridoppiaggio operato anni dopo dalla defunta Dynamic Italia, fedelissimo nell'adattamento (nomi, luoghi, addirittura i colpi lasciati in giapponese) e ai dialoghi originali e oltretutto ben interpretato, con voci azzeccate e in linea con quelle giovanili originali. Questa l'unica versione per cui valga la pena vedere queste opere.

Voto: 8 su 10

RIFERIMENTO
I Cavalieri dello Zodiaco (1986-1989; TV)

PREQUEL
I Cavalieri dello Zodiaco: La Dea della Discordia (1987; film)

SEQUEL
I Cavalieri dello Zodiaco: La leggenda dei guerrieri scarlatti (1988; film)
I Cavalieri dello Zodiaco: L'ultima battaglia (1989; film)


FONTI
1 Queste informazioni derivano da una consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)
2 Intervista a Shingo Araki pubblicata su Mangazine n. 21 (Granata Press, 1993, pag. 50)

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