lunedì 31 gennaio 2011

Recensione: Scrapped Princess

SCRAPPED PRINCESS
Titolo originale: Scrapped Princess
Regia: Soichi Masui
Soggetto: (basato sui romanzi originali di Ichiro Sakaki)
Sceneggiatura: Reiko Yoshida
Character Design: Takahiro Komori
Musiche: Hikaru Nanase
Studio: BONES
Formato: serie televisiva di 24 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2003

 
Pacifica, 15 anni, fugge senza meta assieme ai due fratelli, Shannon e Raquel. Lei è la Scrapped Princess, la principessa abbandonata, la più grande paura di tutta la popolazione: la profezia dice infatti che, quando compirà 16 anni, genererà l’apocalisse e la conseguente fine del mondo. I fedeli della Chiesa del dio Mauser e tutti i soldati dell’esercito dell’ordine religioso sono impegnati in una caccia costante, Pacifica dev’essere uccisa al più presto. Ma ai tre fuggitivi si aggiungono insperati alleati, come un timido cavaliere, un vanitoso custode di antiche tecnologie e una dolce locandiera, e molti altri ancora rinnegheranno la cecità ecclesiastica per schierarsi dalla parte di Pacifica...

Tra il fantasy e la fantascienza, tra buffa ironia e cupa drammaticità, ricco di atmosfere e meccanismi che richiamano il mondo videoludico dei J-RPG, Scrapped Princess (2003) è un piacevolissimo prodotto che, seppur poggiandosi su certi cliché e schematismi, garantisce ore di delizioso intrattenimento. Gli appassionati di giochi di ruolo nipponici, preferibilmente quelli dell’era SNES/PSX come il sottoscritto, non impiegheranno molto per intuire scalette, strutture e costruzioni che sorreggono la trama: dallo spunto di partenza al cast di personaggi in continua, rapidissima crescita, dalla creazione del party alla graduale rivelazione della natura dei villain, passando per le musiche folkeggianti e l’immancabile snodo centrale, dove le avventure narrate assumono tradizionalmente proporzioni immense, Scrapped Princess sembra un gioco sfornato dalla Square dei tempi d’oro. E chi, come me, detesta gli RPG di nuova generazione non potrà che goderne a piene mani.

L’impatto iniziale non è tuttavia dei migliori. Complice un chara design sempliciotto e poco stimolante, molto derivativo nella creazione di volti, vestiti e armature e addirittura irritante nel tratteggiare il seno femminile come una perfetta, rotondissima pallina, i primi episodi di Scrapped Princess non offrono granché e incuriosiscono poco nel loro aggrapparsi a soluzioni eccessivamente standardizzate. Protagonisti già visti (dall’eroe schivo e musone alla maga tutta sorrisi e occhi felici, dal cavaliere coraggioso ma imbranato alla ragazzina dispettosa ma fragile), comprimari incolori, una trama che fatica a esprimersi per la scelta forse azzardata di buttare nel mezzo decine di personaggi non sempre necessari. Basta però poco, e l’opera di Soichi Musai sembra ingranare la marcia giusta e spingere sul pedale dell’acceleratore. I personaggi, pur rimanendo ancorati a personalità di certo non memorabili acquisiscono una pregevole tridimensionalità, i loro ruoli in apparenza fumosi trovano un posto inatteso nel puzzle generale, alcuni nuovi innesti si rivelano perfetti e carismatici, e l’antipatia di una prima impressione diventa simpatia tanto per Pacifica (personaggio davvero irresistibile e fonte di risate a voce alta) quanto per i suo alleati, da Shannon e Raquel in primis.


Ci si affeziona, ci si affeziona tanto, e nel piacere della visione, scaturito ora da un buon equilibrio tra azione, umorismo e tasselli misteriosi che lentamente vengono a galla, quasi non ci si accorge di come l’intreccio si faccia sempre più contorto abbandonando il fantasy per addentrarsi nella sci-fi pura, lasciandosi dietro magie e credenze popolari per parlare di astronavi e alieni, conflitti spaziali e addirittura mecha da combattimento. Per mezzo di un’ottima sceneggiatura, capace di costruire episodi tutto sommato snelli e agevoli nonostante la mole di informazioni e la corposità dei dialoghi (favolosa la trovata per giustificare i lunghissimi momenti di spiegazioni, ovvero l’imbarazzante incapacità di comprensione di Pacifica, che continua a chiedere il fatidico “ma perché?”), Scrapped Princess tiene costantemente alto un ritmo fatto di fughe disperate e combattimenti annichilenti contro avversari invincibili, e semplicemente cattura, coinvolge e diverte. Piacciono, in particolar modo, il ricorso ad alcuni colpi bassi che innalzano il livello di tragedia che si respira (un paio di decessi che fanno male), e una sorta di inaspettato “restart” a tre quarti dell’opera, con un nuovo personaggio che assurge a ruolo di protagonista.

Teso e drammatico, curioso e avvincente anche nei momenti più monolitici (i due episodi centrali che raccontano i vari retroscena sepolti nel passato del pianeta), Scrapped Princess soffre forse soltanto nel ricorso all’utilizzo dei draghi, elemento davvero troppo classico del fantasy e a cui, a conti fatti, si poteva preferire qualunque altra cosa. Manca anche una certa cattiveria nella conclusione e, nonostante una manciata di sequenze feroci, si poteva premere un po’ più in fondo il simbolico pugnale. Ciò non toglie la buona impressione finale, un mix di duelli di spada, magie, cyborg, missili e raggi laser tutto sommato ben riuscito nonostante la placida comodità nel portare a termine una storia che non va mai oltre le aspettative.


Il marchio BONES è ben visibile, le animazioni sono eccellenti anche nei momenti in cui l’azione rallenta drasticamente, i colori sono sgargianti e luminosi, a non piacere fino alla fine è il già citato chara di Takahiro Komori, poco stuzzicante, poco appariscente, si chiedeva di certo qualcosa in più sul mero aspetto visivo, quanto meno una maggior varietà di volti e capelli. Impossibile non consigliarne la visione, aggiungete pure mezzo punto in più al voto finale se rimpiangete gli RPG di una volta e avete ormai giocato fino allo sfinimento i primi due Star Ocean.

Voto: 7 su 10

venerdì 28 gennaio 2011

Recensione: After War Gundam X

AFTER WAR GUNDAM X
Titolo originale: Kidō Shin Seiki Gundam X
Regia: Shinji Takamatsu
Soggetto: Hajime Yatate
Sceneggiatura: Hiroyuki Kawasaki
Character Design: Nobuyoshi Nishimura
Mechanical Design: Kunio Okawara, Junya Ishigaki
Musiche: Yasuo Higuchi
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 39 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 1996

 
In un lontano futuro, una terrificante guerra tra la United Nations Earth e l'Armata Spaziale Rivoluzionaria, conflitto contraddistinto dall'uso in battaglia dei miracolosi soldati Newtype, si conclude nell'apocalisse, provocata da numerose colonie spaziali che si schiantano sulla Terra estinguendo oltre il 90% dell'umanità. Fortunatamente, la razza umana riesce a sopravvivere e a dare inizio a un lento processo di ripopolamento del pianeta. After War, anno 015. Il quindicenne Garrod Ran, vagabondo-mercenario e geniale pilota di Mobile Suit, è incaricato di salvare la coetanea Newtype Tiffa Adill dai pirati-rigattieri Vulture dell'astronave Freeden. Finisce, invece, con l'innamorarsi di lei e scoprire che, in realtà, la ciurma che l'ha rapita, capitanata da Jamil Neate, lo ha fatto per salvarla: ciò che rimane dei due eserciti, infatti, vuole ridare inizio alle ostilità, mettendo insieme una nuova forza prodigiosa a cui mettere a capo proprio i Newtype superstiti. Lo scopo di Jamil (a sua volta un Newtype reduce di guerra), quindi, è proprio quello di viaggiare in lungo e in largo per il mondo per portarli al sicuro, in modo da scongiurare l'insorgere di un nuovo conflitto. Sposata la causa del Vulture, Garrod si unisce alla Freeden diventando presto il pilota del GX-9900 Gundam X, uno dei Mobile  Suit più potenti della scorsa guerra.

Nel 1996 il veterano regista Sunrise Shinji Takamatsu, noto nell'ambiente mecha per aver diretto le serie televisive Brave Police J-Decker (1994), The Brave of Gold Goldran (1995) e la seconda parte di Mobile Suit Gundam Wing (id., ma non è stato ufficialmente accreditato), sembra sia pronto per il gran salto di qualità.  È scelto come regista titolare della prima (e al contempo, ultima) opera del terzo Universo Alternativo di Gundam, le cui trasmissioni iniziano il 5 aprile di quell'anno, giusto una settimana dopo quelle del terribile predecessore. Le premesse di After War Gundam X - questo il nuovo titolo - sono indubbiamente intriganti: cosa sarebbe successo se la classica Guerra Di Un Anno avesse portato alla quasi completa distruzione della Terra? E se per vincere entrambi gli eserciti avessero puntato tutto sui Newtype? Da queste premesse nasce un What If della serie storica ambientato in un inedito futuro post-apocalittico, che vede un gruppo di pirati/anarchici rischiare la vita per mettere al sicuro tutti quei ragazzi prodigio tanto noti nelle storie dell'Era Spaziale. Takamatsu e lo sceneggiatore Hiroyuki Kawasaki sono i primi autori di Gundam a narrare una storia di Newtype priva dell'apporto del creatore originale Yoshiyuki Tomino, e proprio per questo, dopo decine di serie che in un modo o nell'altro ridicolizzavano l'Uomo Nuovo tominiano dandogli poteri sempre più assurdi e soprannaturali, si spingono addirittura a osare l'inosabile: provare a spiegare cosa sono per davvero. Tutto sommato, però, le aspettative dietro questi misteri saranno, come si vedrà, molto più allettanti delle risposte: Gundam X è un'altra brutta serie, non orripilante come Gundam Wing ma sempre mediocre, e di questo se ne accorgeranno eccome in casa Bandai, visto che si tratterà, per l'epoca, del Gundam più fallimentare di sempre, tanto da venire ridotto da 50 a 39 episodi per colpa dei bassi ascolti1 (3.51% medio per i primi 20 episodi e 1.21% per i successivi per un totale del 2.75%2, i primi trasmessi il venerdì pomeriggio, gli altri spostati al sabato mattina3) e per le probabili, quasi certe (non serve una fonte ufficiale per arrivarci) vendite deludenti di merchandising allegato. Non troverà mai nessuna riabilitazione né ulteriore incarnazione animata, finendo di fatto "dimenticato" e ignorato da tutti, fan e Sunrise stessa (unica eccezione il manga After War Gundam X - Under the Moonlight del 2004, sequel ufficiale di 4 volumi, che è stato comunque un caso isolato e privo di seguito).

Come si è riusciti a dissipare così tanti spunti intriganti? È presto detto: con una narrazione stanca e sonnolenta che voleva vivere di rendita del nome del brand, una sceneggiatura che girava ripetutamente intorno ai punti focali della storia con mille lungaggini e scontri inutili senza mai diventare interessante (affidando alle parti davvero conclusive della storia le varie risoluzioni), un generale senso di superficialità nella trattazione di setting e un' "interpretazione" della trama affidata a personaggi monodimensionali tendenti all'insulso. Questi quattro punti sono stati micidiali nel determinare il fiacchissimo gradimento della serie da parte di un po' tutti gli spettatori. Inutili due sigle di apertura rock-elettroniche bellissime e trascinanti, disegni molto particolareggiati e ricchi di dettagli (sia in personaggi che mecha, quasi ai livelli di un OVA) e un comparto tecnico molto buono (con animazioni medio-alte che danno particolare vivacità alle battaglie), se fin dal primo episodio la visione è così fredda, arida e distaccata e continua così fino alla conclusione.


Guardiamo al contesto post-apocalittico: PERCHÈ sembra non sia successo nulla dopo questo Armageddon? Bastano solo quindici anni affinché tutto torni come prima? Non si vedono scenari di distruzione e desolazione, la gente sembra vivere felice (alla faccia dell'anarchia) e, addirittura, chiunque entra in possesso con insolita facilità dei Mobile Suit sopravvissuti al conflitto e in dotazione agli eserciti, come se procurarseli non fosse chissà che gran problema. Visto che, tolto qualche "signore feudale" che ha costruito un piccolo regno portando l'ordine con la forza, vige ancora la totale assenza di Diritto per milioni di persone, possibile che siano così rari i predoni (appaiono in 2/3 puntate totali, forse anche meno) che razziano i deboli, patrimonio universale di qualsiasi titolo del genere? Dovrebbero essere una realtà ben affermata. Non fosse che viene detto, sarebbe difficile rendersi conto che la serie è ambientata in un simile contesto. Cambiando discorso: PERCHÈ, con le belle animazioni e i dettagliati Mobile Suit, si è voluto dare una mazzata alla cornice spettacolosa tirando fuori una regia così anonima e una colonna sonora ambient tanto ampia (tantissimi brani) quanto dimenticabile, che rende un mortorio di insignificanza uditiva ogni battaglia o (teorico) momento di pathos? Perché il registro della narrazione non è così tragico come ci si attende ma ha un cast abbastanza allegro (domanda un po' retorica in effetti, considerando quant'è positivo e tranquillo questo mondo post-apocalittico)? E come giustificare personaggi così piatti? Sono privi della minima attrattiva, sanno di già visto sin dalla prima apparizione e i dialoghi messi loro in bocca seguono un copione prefissato, non sono spontanei o credibili, sembra che tutto avvenga perché deve avvenire. Garrod incontra Tiffa? Nella puntata successiva è già innamorato perso di lei. Incontra Jamil che gli spiega i suoi scopi? Accetta senza fiatare di lavorare per lui senza porsi alcun dubbio. Queste interazioni surreali colpiscono il giovane protagonista come un po' tutti i componenti dell'altrettanto mediocre cast: Tiffa deve stare antipatica a Sala Tyrrell? Inventiamoci un risibile pretesto ed ecco spiegato l'odio! Ennil En deve diventare un nemico giurato di Garrod? Facciamola innamorare istantaneamente di lui (nonostante sia difficile che una 19enne prenda una sbandata per un ragazzino di 15), ed ecco un rifiuto che la trasforma in un'assassina! O ecco un altro cattivo che per ravvedersi incontra PER UN PURO, INCREDIBILE CASO nel bar un buono che gli diventa amico, etc. Parliamo di bambolotti messì lì con uno scopo e che rispondono solo  quello, per niente naturali o realistici nel contesto della narrazione (da lodare giusto qualche sparuto tentativo effettuato, ironicamente, con i due piloti Gundam dei Vulture che affiancano Garrod ma che non hanno invece quasi nessuna ripercussione sulla trama se non figurare nello sportper il loro rispettivo Gunpla, ossia Witz Sou e Roybea Loy), al punto che sembra quasi di saltare pezzi interi di narrazione. Tremendi, poi, i due antagonisti fighetti, i fratelli gemelli Frost, che realizzano tutti i loro intrighi sulla base di un motivo tirato per  i capelli.

Qua e là saltano fuori, per carità, delle idee interessanti. Il robottone protagonista, il Gundam X, è decisamente insolito e affascinante coi suoi pannelli solari "a X" che, ricaricati di energia solare da un satellite posto sulla Luna, permettono al mezzo di sprigionare un super colpo potentissimo (il Satellite Cannon) in grado di distruggere una colonia spaziale (lascio immaginare le conseguenze del possedere un simile asso nella manica e del non poterne usufruire quando si vuole, magari durante gli scontri più duri e nelle notti in cui non si vede la Luna). Belle anche certe intuizioni: quella del co-protagonista Jamil, clone di Amuro Ray, che, pur essendo stato un asso nel pilotaggio di Mobile Suit, ne ha ora la fobia; quella dei reduci del conflitto che, per dare senso a un'intera vita dedicata alla guerra, preferiscono rifiutare la pace e scaricare sulle nuove generazioni il loro odio; o infine quella per cui la maggior parte dei Newtype che si vedono nella serie sono artificiali, creati sulla base di molti fallimenti e molti sacrifici di vite umane poiché si credeva che non ne esistessero di "veri" (da qui il dramma interiore del potentissimo Carris Nautilus, antagonista di una mini-saga di 5 episodi), ma sono spunti buttati così senza convinzione, non sfruttati particolarmente bene, messi lì per dare un tono un po' adulto a una vicenda che rimane molto prevedibile, monotona e sempre ferma su sé stessa.

Le stesse rivelazioni conclusive sui Newtype, con annesso (e interessante) messaggio finale sul fatto che, per migliorarsi, l'umanità deve rifiutare la guida di sedicenti superuomini/ragazzi prodigio e impegnarsi con le proprie forze a cambiare le cose, è - a testimonianza della superficialità nella trattazione di certi temi - oscurata dall' "idiozia filosofica" sul come solo le nuove generazioni che non hanno mai conosciuto la guerra potranno rendere il mondo davvero migliore (evidentemente la ciclicità della Storia non è contemplata da regista e sceneggiatore). Gundam X è tutto così: ideuzze qua è là sfruttate male, tanta  noia, e un cast del tutto indifferente come mai si è visto prima (non so se siano peggio eroi insignificanti come questi o odiosi come quelli di Gundam Wing).


Giustamente condannata all'oblio, l'opera non può che pentirsi di aver dissipato tutto il suo potenziale in questo modo, rappresentando il secondo Universo Alternativo davvero mediocre e indigeribile per i fan - e che, non per nulla, col suo risultato convincerà Bandai a non farle seguire immediatamente un quarto titolo, ma anzi a prendersi una pausa temporanea di un annetto buono. Questi, fortunatamente, in quegli anni potranno consolarsi coi pregevoli OVA che compongono la serie Mobile Suit Gundam: The 08th MS Team.

Voto: 5 su 10


FONTI
1 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 261-262
2 Sito web (in giapponese), http://toro.2ch.net/test/read.cgi/shar/1336141685/
3 Kappa Magazine n. 79, Star Comics, 1999, pag. 10

mercoledì 26 gennaio 2011

Recensione: Mobile Suit Gundam 0080 - War in the Pocket

MOBILE SUIT GUNDAM 0080: WAR IN THE POCKET
Titolo originale: Kidō Senshi Gundam 0080 - Pocket no Naka no Senso
Regia: Fumihiko Takayama
Soggetto: Hajime Yatate
Sceneggiatura: Hiroyuki Yamaga, Kyousuke Yuuki
Character Design: Haruhiko Mikimoto
Mechanical Design: Kunio Okawara (originale), Yutaka Izubuchi
Musiche: Tetsuro Kashibuchi
Studio: Sunrise
Formato: serie OVA di 6 episodi (durata ep. 30 min. circa)
Anno di uscita: 1989


Era Spaziale, fine dell'anno 0079. La Guerra Di Un Anno tra il Principato di Zeon e la Federazione Terrestre volge ormai al termine. Nella colonia di Side 6, apparentemente neutrale, sta venendo collaudato dai federali l'RX-78NT-1, un Gundam specificatamente designato per i Newtype, con l'idea di affiancarlo presto a quello pilotato da Amuro Ray per fare la sua parte nella battaglia finale. Tuttavia i Cyclops, i servizi segreti nemici, non vogliono stare ad aspettare la loro rovina e, per questo, si infiltrano nella colonia per distruggere in tempo la minaccia. Tre saranno gli attori principali di questa battaglia in piccolo che culminerà nella tragedia: la spia zeoniana Bernard Wiseman; la bella Christina Mackenzie, pilotessa del Gundam e di cui Bernie è innamorato (contraccambiato), ignorando il ruolo della ragazza; e il piccolo Alfred Izuruha, abitante della colonia e amico di entrambi, affascinato dall'epica della guerra e dalla possibilità di vedere combattere dei Mobile Suit.

War in the Pocket è davvero un Gundam che non ci si aspetta, bellissimo e lontano dai canoni. Nel 1988 Bandai e Sunrise, dopo aver realizzato nel complesso un buon incasso con Mobile Suit Gundam: Il contrattacco di Char (1987), lungometraggio nato per chiudere per sempre il franchise, decidono di tornare sui propri passi. Le precedenti serie televisive, funestate dai bassi ascolti, hanno dimostrato che il pubblico, che fosse composto da adulti, da otaku, da bambini o da nostalgici appassionati dell'indimenticabile, primissima serie del 1979, non ha gradito intrecci esageratamente complessi, mecha trasformabili e improbabili (in contrapposizione a quelli sobri e credibili della serie madre) e comicità infantile. Viene perciò deciso di riesumare il franchise nel mercato dell'home video, per celebrare il decimo anniversario della nascita della saga1, e per questa occasione produttore e studio decidono di riavvicinare gli adulti e i fan storici allo spirito del Gundam capostipite, creandone una storia collaterale ambientata durante le ultime fasi della Guerra Di Un Anno tra Federazione Terrestre e Zeon e rimuovendo sceneggiature cervellotiche, robot eccessivamente spettacolari, poteri ESP dei Newtype sempre più soprannaturali, Cyber Newtype, tecno-bubbole, schianti di colonie e amenità assortite2. Il nuovo Gundam dev'essere schietto, semplice e sincero, basato, come ai tempi d'oro, su personaggi più che su epiche battaglie. Con tutte queste premesse, Sunrise mette insieme uno staff nuovo di zecca e gli dà carta bianca nel creare quello che sente più affine all'originale, e ne esce così il primo titolo della saga in cui non solo l'apporto del creatore originale, Yoshiyuki Tomino, è nullo, ma, addirittura, non se ne rimpiange l'assenza: Mobile Suit Gundam 0080 - War in the Pocket, 6 OVA dalle qualità tecniche e narrative addirittura eccelse, che danno vita al terzo capolavoro gundamico che chiude nel migliore dei modi gli anni '80 del Novecento.

Rottura col passato, questa è la dichiarazione d'intenti degli sceneggiatori Hiroyuki Yamaga e Kyousuke Yuuki nello scrivere un Gundam mai visto prima: pochi combattimenti tra robot, zero senso di epicità, zero Newtype o emuli di Char e Amuro. Il titolo, insolito, e la opening giocosa ben esemplificano i contenuti della storia: La guerra in tasca, metaforizzata nel tenero undicenne Alfred che, come tutti i bambini della sua età, cresce coi soldatini e sogna di diventare un asso nel pilotare qualche splendente Mobile Suit, magari il fighissimo Zaku che tanto ama. In tasca gli entreranno invece i gradi del Principato, che attesteranno la sua temporanea appartenenza ai servizi segreti di Zeon, i cui uomini sono appena entrati nella colonia. Preso il tutto come un'avventura fantasmagorica (anche grazie al rapporto di complicità che si instaura praticamente subito con lo zeoniano Bernie), Alfred si darà attivamente da fare per aiutare i suoi nuovi amici a raccogliere informazioni per distruggere il Gundam custodito nel posto, ignaro che il suo operato darà forte contributo alla violenza che si abbatterà sul luogo e che, nel suo straziante culmine, gli farà capire quanto sia in realtà spaventosa la guerra.


Gundam 0080 è il primo Gundam non ambientato nei campi di battaglia e non raccontato dal punto di vista dei soldati: ha invece luogo dentro una colonia pacifica, e il suo protagonista è un bambino (non un ragazzo come Amuro o Kamille Bidan) che non pilota alcun mezzo, un semplice civile, puro spettatore della guerra, innamorato, com'è ovvio, del suo lato "eroico". Come intuibile, la vittima maggiore del bagno di sangue che si consumerà sarà proprio la sua innocenza, la cui crudele perdita lo porterà a diventare un uomo ben prima del previsto. Accostabile per più di un verso, come tematiche principali, al bel lungometraggio storico-drammatico di Steven Spielberg uscito un paio di anni prima, L'Impero del Sole (citato, del resto, dal co-sceneggiatore Kyousuke Yuuki come fonte d'ispirazione3), War in the Pocket è una miniserie inevitabilmente tragica e commovente: la storia di un'amicizia profonda e di un amore in procinto di sbocciare (tra Bernie e Christina), che dovranno scontrarsi col lato più brutale delle ostilità, quello della contrapposizione nemico/amico che può solo rovinare le persone che sognano una vita tranquilla. Parliamo di un dramma pacifista delicato e toccante, elegantemente diretto, che racconta la sua storia con grande semplicità e linearità, dotando i suoi personaggi di un grande spessore psicologico che li rende umani come non mai, e che trova tutta la grandezza nei messaggi, nello splendido cast e nella straordinaria cornice grafica.

I superlativi disegni sono opera di un ritrovato Haruhiko Mikimoto, l'indimenticabile artista dietro a Fortezza Super Dimensionale Macross (1982), Do You Remember Love? (1984) e Punta al top! GunBuster (1988). Sfruttato, fino a quel momento, da Sunrise unicamente per illustrare romanzi e artwork ufficiali legati al mondo di Gundam, Mikimoto può finalmente scolpire anche il suo nome tra i grandi BIG del disegno che hanno lavorato sulle incarnazioni animate del Mobile Suit bianco più famoso del globo. Le atmosfere sognanti della vicenda, vissute dal punto di vista di Alfred, sono splendidamente rese dal pennino dell'artista, che con cromatismi caldi, a tratti ustionanti, e una bravura eccezionale nel rendere espressivi i sentimenti visivi dei personaggi, per l'ennesima volta caratterizza i toni della storia con uno una poesia estetica paragonabile a tavole di acquerello animate di vita propria. Le tinte calde e le raffinata bellezza profuse da Mikimoto in corporature, visi ed espressioni facciali, contribuiscono a far risaltare con ancora più shock e crudezza i momenti cupi della trama, quando il sangue inizia a scorrere nella vita dello scioccato ragazzino e il suo sogno si tramuta in un incubo.

Accettata la dubbia credibilità dello spunto della vicenda (ossia i servizi segreti zeoniani che prendono con loro un bambino che li ha appena scoperti, piuttosto che toglierlo di mezzo come scomodo testimone), presupposto su cui bisogna necessariamente sospendere l'incredulità, pena l'implosione della storia (ma al contempo, non c'era probabilmente altro modo per raccontare una simile storia interrazziale), c'è ben poco da recriminare su questa piccola gemma. Si potrà certo dire che il pacifismo sbandierato così esplicitamente, con tanto di accompagnamento musicale strappalacrime, forse non sarà molto rispettoso del pensiero di Tomino (il suo primo Gundam era sicuramente critico sul militarismo, ma certo non si azzardava a dire che era stato uno sbaglio combattere la Guerra Di Un Anno, dal momento che entrambe le parti avevano le loro giustificate ragioni per parteciparvi), ma francamente, visto quali "degenerazioni" della sua poetica verranno portate avanti nel tempo da Sunrise con Gundam molto più "traditori", si può tranquillamente dire che War in the Pocket ha ereditato, dal creatore originale della saga (che non per nulla lo loderà pubblicamente, pur non rinunciando a criticare, come sempre, l'eccessivo realismo negli elementi mecha4), gli intenti di raccontare più il dramma umano del conflitto, che non il corollario di distruzioni spettacolari e combattimenti che esso comporta.

A tale riguardo, forse l'unico difetto concreto da rinfacciare alla produzione consiste nelle (pur) poche sequenze di battaglia, basate sui soliti Mobile Suit federali e zeoniani che si affrontano in taluni momenti. Questi inserti sono l'ovvia esigenza dallo sponsor Bandai, che li ha imposti per vendere una nuova linea di modellini basata sui nuovi robot che appaiono nella storia. Quali nuovi robot, visto che la serie replica le unità già viste un decennio prima nella prima serie? Tutti, visto che in questo lavoro sono riaggiornati dal mecha designer Yutaka Izubuchi, che rovina un po' la coerenza fantascientifica della prima serie offrendo gli stessi Mobile Suit vistosamente carichi di dettagli meccanici in più (ovviamente mai visti nell'originale)5. Non si capisce il perché di questa mossa, abbastanza inutile e che stona col ricercato impianto umano della trama, anche contando che i prezzi di vendita dei 6 OVA, all'epoca, già bastavano da soli a rifarsi abbondantemente delle spese di produzione del progetto (e infatti, con le sue grandi qualità, War in the Pocket venderà in madrepatria la bellezza di mezzo milione di VHS6), senza doversi ridurre a sfruttare questo dramma anche per ampliare il solito merchandising legato ai modellini.


Imposizioni inopportune dello sponsor a parte, War in the Pocket rimane un piccolo capolavoro che vive per trasmettere la sua morale, e in questo centra il bersaglio grazie al cast sopraffino e a dialoghi talmente umani da tridimensionalizzare e rendere memorabili i protagonisti della sua tragedia: coinvolge come non mai e nel finale è impossibile che non strappi una lacrimuccia. Visione obbligata, insomma, per qualunque appassionato del mezzo animato e non solo, e speriamo che un giorno Dynit si decida a distribuirlo in Italia.

Voto: 9 su 10

PREQUEL
Mobile Suit Gundam: The Origin (2015-2016; serie OVA)
Mobile Suit Gundam (1979-1980; TV)
Mobile Suit Gundam The Movie I (1981; film)
Mobile Suit Gundam The Movie II: Soldati del dolore (1981; film)
Mobile Suit Gundam The Movie III: Incontro nello spazio (1982; film)
Mobile Suit Gundam MS IGLOO 2: The Gravity Front (2008-2009; serie OVA)
Mobile Suit Gundam MS IGLOO: The Hidden One-Year War (2004; corti)
Gundam Evolve../ 01 RX-78-2 Gundam (2001; OVA)
Mobile Suit Gundam Thunderbolt (2015-2016; serie ONA)

SEQUEL
Mobile Suit Gundam: The 08TH MS Team (1996-1999; serie OVA)
Mobile Suit Z Gundam (1985-1986; TV)
Gundam Evolve../ 12 RMS-099 Rick Dias (2005; OVA)
Gundam Neo Experience 0087: Green Divers (2001; corto)
Mobile Suit Gundam ZZ (1986-1987; TV)
Mobile Suit Gundam: Il contrattacco di Char (1988; film)
Mobile Suit Gundam Unicorn (2010-2014; serie OVA)
Mobile Suit Gundam Unicorn RE:0096 (2016; TV)
Mobile Suit Gundam Unicorn: One of Seventy Two (2013; corto)
Mobile Suit Gundam F91 (1991; film)
Mobile Suit Victory Gundam (1993-1994; TV)
∀ Gundam Called Turn "A" Gundam (1999-2000; TV)
∀ Gundam I: Earth Light (2002; film)
∀ Gundam II: Moonlight Butterfly (2002; film)
Gundam: Reconguista in G (2014-2015; TV)
Gundam: Reconguista in G - From the Past to the Future (2016; corto)


FONTI
1 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 204
2 Kappa Magazine n. 16, Star Comics, 1993, pag. 114
3 Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)
4 Come sopra
5 Vedere punto 2, a pag. 115
6 Vedere punto 3

lunedì 24 gennaio 2011

Recensione: Memories

MEMORIES
Titolo originale: Memories
Regia: Koji Morimoto, Tensai Okamura, Katsuhiro Otomo
Soggetto : Katsuhiro Otomo (basato sul suo fumetto originale)
Sceneggiatura: Satoshi Kon, Katsuhiro Otomo
Character Design: Katsuhiro Otomo
Musiche: Yoko Kanno, Jun Miyaki, Hiroyuki Nagashima
Studio: Studio 4°C, Mad House
Formato: lungometraggio cinematografico (durata ep. 30 min. circa)
Anno di uscita: 1995
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Columbia Tristar


Progetto sentito e messo in piedi da Katsuhiro Otomo che nel 1995 lo cura meticolosamente in ogni aspetto, Memories è un prodotto di strabiliante qualità grafica ma tutt’altro che perfetto da un punto di vista squisitamente narrativo, nonostante veda coinvolti nomi altisonanti dell’animazione come lui, Satoshi Kon, Yoko Kanno e Yoshiaki Kawajiri. A meno che non ci sia una precisa costruzione portante, un’attenta e significativa configurazione, trovo ahimè abbastanza insipido il concetto di un film a episodi: in questo insieme di mini-storie a sé stanti, mancanti di un ordine generale, di collegamenti strutturali e, come in questo caso, anche di un tema comune nonostante il titolo indicasse tale direzione, fatico a vederci un nesso, a ravvisare un’idea vincente. Memories presenta infatti tre episodi, ma nonostante la comunque piacevole visione complessiva, dovuta forse più che altro alle straordinarie, straordinarie animazioni, resta più che altro un certo amaro in bocca nel vedere, soprattutto nelle prime due parti, buone idee sacrificate sull’altare di un basso minutaggio quando, da sole, avrebbero potuto reggere un intero film.

In La rosa magnetica, tratto dal breve e omonimo fumetto dello stesso Otomo (pubblicato in Italia da Star Comics nell'antologia Memorie), un’astronave addetta al recupero dei detriti spaziali riceve un disperato segnale d’aiuto. L’equipaggio, un po’ sospettoso, si reca alla sorgente del messaggio, uno stranissimo ammasso di frammenti metallici: una volta entrati, vengono catturati da una continua serie di visioni che alterano l’ambiente, mentre la voce di una famosa cantante lirica sembra piangere un amore perduto e allo stesso tempo guidarli da un incubo all’altro… Scritto da Satoshi Kon per la regia di Koji Marimoto, delle tre parti del progetto è indubbiamente la più ambiziosa e altrettanto indubbiamente quella che necessitava di più spazio e minor compressione per esprimere in pieno le proprie potenzialità. Ispirato alla straziante storia d’amore vissuta da Maria Callas, da fantascienza pura, ricca di inaspettate suggestioni horror (l’esplorazione iniziale), La rosa magnetica diventa presto un lungo, straniante, obliquo trip onirico. Lo spettatore rimbalza infatti da uno scenario inspiegabile a un altro (un rigoglioso giardino, un sala settecentesca, l’abitazione di uno degli astronauti) e, così come i poveri protagonisti, prima della giusta svolta finale non riesce mai ad afferrare le redini della situazione, ritrovandosi spaesato, ubriacato da flashback improvvisi e bruschi ribaltamenti. Se l’idea è notevole e il fascino onirico crea una perfetta atmosfera di mistero e inquietudine, manca tuttavia un certo mordente narrativo: troppo elevata la velocità di narrazione, troppo aspri i cambiamenti visivi, e ciò comporta una sorta di caos sì voluto ma non perfettamente controllato, elemento che lascia in parte insoddisfatti.


Si cambia registro con La bomba puzzolente: venuto accidentalmente in contatto con un virus letale, al quale è immune grazie a un raffreddore, un giovane chimico tontolone si aggira per Tokyo ignaro di stare sterminando migliaia di persone. Governo ed esercito intervengono al più presto, ma nessuno sembra in grado di fermare l’ingenuo ragazzo, all’oscuro di tutto... Dopo la tragica teatralità dell’episodio iniziale Otomo scrive, sotto la supervisione di Yoshiaki "Ninja Scroll" Kawajiri, questa gustosa, catastrofica commedia nera, e serve a Tensai Okamura un assist magnifico per imbastire un impatto grafico da bava alla bocca. Dal punto di vista visivo, infatti, La bomba pubbolente è un meraviglioso, frenetico, incontenibile susseguirsi di esplosioni, invenzioni registiche, apocalittica comicità, un fragoroso vortice di azione e colori. Dopo i primi simpaticamente amari minuti, dove il nostro povero protagonista inizia involontariamente a decimare la città con il fetore mortale che emana, quando entra in gioco l’esercito il nostro povero protagonista fugge, senza saperne il perché, da stormi di soldati agguerriti, colonne di carro armati, missili intelligenti e addirittura militari protetti da fantascientifici esoscheletri meccanici, continuando assurdamente a sfangarla. Si gioca sull’assurdità e sull’esasperazione di una situazione drammatica, la regia pirotecnica e roboante dà il giusto tono esaltato e inverosimile all’episodio, le animazioni da infarto completano un quadro molto divertente e, sebbene una maggior densità alla base narrativa non avrebbe affatto guastato, risulta tutto sommato riuscito.

Termina il trittico Carne da cannone: in una città-fortezza votata alla guerra, dove ogni abitazione dispone di armi e artiglieria pesante, dove tutti gli abitanti lavorano al fine di far funzionare il meccanismo bellico, e dove chiunque odia un fantomatico nemico invisibile a cui danno continuamente battaglia, un bimbo cresce con il mito del Generale, colui che, a capo dei combattenti, preme ogni giorno il pulsante che aziona un immenso cannone… Ispirato all’immortale 1984 di George Orwell, con Carne da cannone Otomo scrive e dirige un interessantissimo esperimento che non riesce a scintillare, né a convincere pienamente, ma che gratifica per inventiva e professionalità. Strutturato in un solo, lungo piano sequenza, e disegnato e animato con uno stile volutamente grottesco e spiazzante che richiama scenari sovietici e universi grafici di un’era perduta, in Carne da cannone assistiamo alla giornata tipo del piccolo protagonista, il cui desiderio più grande è di diventare, un giorno, il Generale in persona, e non, come il padre, un semplice, tormentato operaio che lavora nel gigantesco meccanismo necessario a mettere in funzione il super cannone. Evidente il messaggio antimilitarista e il ripudio della guerra, Otomo crea una magnifica, dettagliatissima ambientazione e opera bene nel rendere tanto altisonante e credibile la lotta verso questo nemico che mai si vede né, probabilmente, esiste. Carne da cannone sembra però più che altro un abbozzo, uno sfizio personale, un divertissment per testare determinate idee registiche e animative forse impossibili da mettere in pratica in altri progetti.


Riassumendo, abbiamo a che fare con tre mediometraggi ricchi di ottimi spunti, che piacciono però fino a un certo punto, colpa di una certa rapidità narrativa e di una sorta di mancanza di scopo che, in fondo, lascia indifferenti.

Voto: 6 su 10

venerdì 21 gennaio 2011

Recensione: Mobile Suit Gundam Wing - Endless Waltz

MOBILE SUIT GUNDAM WING: ENDLESS WALTZ
Titolo originale: Shin Kidō Senki Gundam W - Endless Waltz
Regia: Yasunao Aoki
Soggetto: Hajime Yatate
Sceneggiatura: Katsuyuki Sumizawa
Character Design: Shukou Murase
Mechanical Design: Kunio Okawara, Hajime Katoki, Junya Ishigaki
Musiche: Kô Ôtani
Studio: Sunrise
Formato: serie OVA di 3 episodi (durata ep. 26 min. circa)
Anno di uscita: 1997


After Colony, anno 196. Sono passati dodici mesi dalla guerra tra White Fang, la Fazione Treize e le colonie, e la pace sembra essersi realizzata, data dal nuovo status politico mondiale ricercato da Relena Peacecraft e concretizzatosi nella nascita della Nazione Unita della Sfera Terrestre, che basa la sua legittimità su un governo unico e mondiale totalmente demilitarizzato. Coerentemente coi propositi di pacifismo totale propugnati dalla ragazza, i cinque piloti di Gundam spediscono le loro unità verso il Sole per distruggerle. Purtroppo una nuova minaccia si profila all'orizzonte: Treize Khushrenada aveva una giovanissima figlia illegittima, Mariemaia, educata ai suoi stessi valori aristocratici, e quest'ultima appare sulle scene a capo di un grande esercito composto dai fedelissimi del padre, pronta a conquistare la Terra ormai priva di armi e difese. La piccola mira a instaurare un nuovo ordine sul pianeta e per questo è alleata con Dekim Barton, l'originale orchestratore dell'Operazione Meteor. Heero Yui e gli altri ragazzi, gli unici in grado di lottare, non possono fare altro che riprendersi le proprie unità.

Quant'è vero che non c'è limite allo schifo, Mobile Suit Gundam Wing, nato nel 1995 per fare breccia principalmente nel cuore delle teenager giapponesi, riesce nel suo deprecabile intento, umiliando come mai prima d'ora la saga e trasformandola in una telenovela mecha che troverà un certo impatto, nonostante i bassi ascolti, su migliaia di adolescenti, pronte a comprare ogni genere di prodotto ufficiale che risalti le suggestioni omosessuali dei cinque Gundam Boys. Nonostante le perplessità del produttore Bandai, deluso dalle scarse vendite di Gunpla, Sunrise è invece soddisfattissima della vendite di merchandise alternativo, e nei due anni che seguono alimenterà ancora questo Universo Alternativo dando impulso alla creazione di numerosi manga (tutti pubblicati in Italia da Panini Comics un decennio fa) che amplieranno la storia con nuove avventure e retroscena. Si iniziano a creare le premesse per un seguito. Anche se il produttore Hideyuki Tomioka e il regista originale Masashi Ikeda ritengono che la trama non abbia più nulla da dire, lo sceneggiatore storico Katsuyuki Sumizawa è del parere contrario, ritiene che il finale televisivo sia stato veloce e improvviso ed è entusiasta di dare una nuova conclusione alla storia. I tre si mettono d'accordo e decidono di chiudere definitivamente tutto con una miniserie OVA di 3 episodi1, che inizia a uscire nei negozi il 25 gennaio 1997: Mobile Suit Gundam Wing - Endless Waltz. Si tratterà, come vedremo, di un'opera tecnicamente sontuosa, molto ben fatta sotto il profilo grafico e animato, tanto da venire premiata al festival di Kobe2, ma al di là di questo i temi e i contenuti rimarranno sempre pietosi, una nuova offesa all'intelligenza e un nuovo grande spreco di soldi e talento dello staff.

Checché ne dica Sumizawa, Endless Waltz è quasi interamente una brodaglia allungata che non aggiunge nulla al finale storico: come in tutti i sequel fatti così per fare, si limita ad alterare lo status quo precedentemente raggiunto (la pace fra la Terra e le colonie e il nuovo ordine instaurato) creando un nuovo nemico che fa un gran casino (con nuovi Mobile Suit rimediati chissà come), salvo ripristinare tutto alla fine, senza ripercussioni, come se nulla di concreto fosse accaduto. È morto l'aristocratico Treize, che voleva far piombare la Terra in una guerra perenne, virile e cavalleresca in spregio al pacifismo? Tiriamo fuori l'immancabile figlia segreta che ragiona come lui, ha i suoi stessi scopi ed è a capo di un nuovo esercito di cattivi (ed è pure manovrata come un burattino dal VERO cattivo, insomma Mineva Zabi insegna, e senza fantasia). A questo punto facciamo tornare i Gundam Boys e i loro robottoni per una mega-battaglia spettacolare (special guest star Zechs Merquise, che ovviamente non fa nulla di utile nell'economia della storia se non apparire ogni tanto per sboroneggiare un po' ai comandi della sua unità), dopo, ovviamente, aver sprecato un po' di tempo in lungaggini/preamboli/scontri inutili, ed è fatta. Le uniche novità reali consistono nelle origini e nel nome di Trowa Burton e nei veri obiettivi della celebre Operation Meteor, spiegazioni che suoneranno interessanti per i pochi spettatori che seguono Gundam Wing per (ehm) trama e personaggi, ma che comunque potevano essere date in modo più creativo, nel contesto di una storia che aveva davvero qualcosa da dire e non un simile pretesto per un'orgia di azione fine a sé stessa e colma, stracolma, ahimè, di tutte le deficienze narrative del predecessore che, secondo lo sceneggiatore, dovevano ancora una volta essere "una figata".


Largo, dunque, fino al finale (buonista e banale come d'ordinanza), ancora una volta a cambi di fazione per motivazioni alquanto assurde, voluti per un temporaneo "effetto sorpresa" (e un nuovo antagonista da affrontare) che scadono immediatamente nel ridicolo, a protagonisti insopportabili che giocano a fare i fighi con dialoghi e atteggiamenti involontariamente patetici (tremendo Duo Maxwell che, col sorriso sulle labbra, parla di fare una strage dei tecnici del suo Gundam e del suicidarsi affinché il team non possa venire usato dai militari), a gente che ride e fa la spaccona sotto piogge di proiettili, a lunghe inquadrature fisse sugli eccitanti occhi vitrei dei Gundam Boys, e infine a una risibile demonizzazione assoluta della guerra e penose riflessioni pseudo-filosofiche sulla pace. Immancabili, quindi, look, abbigliamenti, pose, capelli che sventolano poeticamente e sguardi languidi diversamente etero per solleticare istinti pruriginosi a orde di ragazzine, pesanti iniezioni di inverosimilità (Quatre Winner che, chiuso in un ambiente che raggiunge gli 80 gradi centigradi, si limita a constatare che è come essere in una sauna, così, senza troppe preoccupazioni, come se la cosa non lo riguardasse) e rapporti amorosi platonici e laccati che fanno sbellicare dalle risate da quanto sono artificiosi. Molto glamour i soldati di Maremaia, che lottano, combattono e muoiono indossando eleganti camicie rosa con tanto di cravatta (!), e nessuna spiegazione, infine, dell'assurdità di un mondo retto da un unico governo mondiale che rifiuta le armi e l'esercito (come fa a garantire l'ordine? Nessuno saprà mai rispondere a questa domanda), status politico largamente auspicato dal regista come il migliore al mondo possibile. Non manca proprio nulla di quello che ha reso orribile Gundam Wing, e queste idiozie sono giustamente replicate per nuove frontiere dell'involontario comico.

La stessa Bandai lo sa bene, ed è per questo che ordina a Sunrise di mascherarlo con una veste grafica avveniristica e un fanservice tecnologico "sfrenato" che possano indirizzare l'opera anche al pubblico che aveva ignorato l'originale, grosso modo i fan storici di Gundam e quelli dei Gunpla3. Rimpiazza Masashi Ikeda con il regista Yasunao Aoki (già dietro la direzione di alcuni episodi di Gundam Wing), molto più a suo agio negli inserti pirotecnici e d'azione e dotato di un gusto maggiore nell'enfatizzazione della spettacolarità, e ordina un prodigioso restyling a chara e mecha design, portandolo negli imbattuti lidi dell' "ipertecnicismo", dell'iperdettaglio, degli iper-fondali e delle iper-ombreggiature di Mobile Suit Gundam 0083: Stardust Memory (1991). In barba alla continuity, i Gundam dei cinque protagonisti sono del tutto rimodernati e aggiornati da Hajime Katoki, senza spiegazione alcuna sul perché il loro look sia così diverso dall'originale: il già macabro XXXG-01D Gundam Deathscythe si trova ora dotato pure di gigantesche, spaventose ali nere da pipistrello, il XXXG-01H Gundam Heavyarms è così carico di armi che viene da domandarsi come faccia a sopportare tutto il loro peso, e le famose "ali da angelo" del XXXG-00W0 Wing Gundam Zero non sono mai state così tecnicamente complesse ed elaborate (e ridicole). Gli stessi combattimenti sono molto più focalizzati su sboroneria e vigorose animazioni, e la colonna sonora di Kô Ôtani è stata rifatta da zero e sottolinea con molta più potenza e solennità gli scontri (infinitamente migliore di quella realizzata precedentemente per la serie televisiva).

Rimane indecoroso, tuttavia, tessere esageratamente le lodi delle prelibatezze visive del prodotto quando i suoi contenuti sono come sempre così patetici. La storia principale, se tutte le critiche già sollevate ancora non bastassero, è addirittura esageratamente corposa di avvenimenti (inutili, per carità, messi lì ad allungare il brodo per evitare che la storiella minimale si esaurisca subito, ma questo non cambia la sosta nza che ogni fatto meriterebbe più spazio per essere adeguatamente narrato), denotando bene la mancanza di un altro episodio che le permetta di svilupparsi con scioltezza. Questo porta a un ritmo narrativo abbastanza sbrigativo che fa mancare qualsiasi introspezione psicologica ai protagonisti e alle motivazioni delle loro azioni (anche se bisogna dire, perfidamente, che le caratterizzazioni ridicole e contraddittorie sono coerenti con quelle televisive). Tutto quello che si è tanto odiato in passato è quindi, in Endless Waltz,  intelligentemente riproposto: nuovo giocattolo high budget per bambini che si credono adulti nel guardare cartoni animati che parlano di guerra e morte, per mantenere coerente quest'orribile linea temporale dell'After Colony, Universo Alternativo davvero nefasto e che troverà modo di fare ancora danni.


Nota: come il predecessore, Endless Waltz è stato trasmesso in televisione da Mediaset con un adattamento molto impreciso e dimenticabile, per giunta non trovando mai un'edizione nostrana in DVD. I suoi "fan" possono comunque farne a meno, visto che la sua versione "definitiva", la Special Edition del 1998, è stata pubblicata in DVD da Dynit nel 2011, "forte" (come se cambiasse qualcosa) di un ridoppiaggio fedele.

Voto: 4,5 su 10

PREQUEL
Mobile Suit Gundam Wing (1995-1996; TV)
Mobile Suit Gundam Wing: Operation Meteor (1996; serie OVA)
Gundam Evolve../ 07 XXXG-00W0 Wing Gundam Zero (2004; OVA)

SEQUEL
Mobile Suit Gundam Wing Endless Waltz: Special Edition (1998; film)


FONTI
1 Questi retroscena li ha rivelati lo staff in un'intervista presente nel DVD Memorial Box della serie del 2007, qui (http://www.gundam-w.jp/special/taidan.html) rintracciabile. Sintesi in inglese: http://www.mechatalk.net/viewtopic.php?f=9&t=12003#p263317
2 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 272
3 Kappa Magazine n. 79, Star Comics, 1999, pag. 9 (confermato dall'intervista sopra riportata)

mercoledì 19 gennaio 2011

Recensione: Mobile Suit Gundam Wing

MOBILE SUIT GUNDAM WING
Titolo originale: Shin Kidō Senki Gundam W
Regia: Masashi Ikeda, Shinji Takamatsu (non accreditato)
Soggetto: Hajime Yatate
Sceneggiatura: Katsuyuki Sumizawa
Character Design: Shukou Murase
Mechanical Design: Kunio Okawara, Hajime Katoki, Junya Ishigaki
Musiche: Kô Ôtani
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 49 episodi (durata ep. 23 min. circa)
Anni di trasmissione: 1995 - 1996


After Colony, anno 195. In risposta alla tirannia dell'Alleanza Unita della Sfera Terrestre, che, in nome dell'ordine e della pace fra le nazioni, instaura una feroce dittatura che governa con il pugno di ferro soprattutto le colonie spaziali, queste ultime danno il via all'Operazione Meteor: muovere guerra alla madrepatria spedendole contro cinque fortissimi Gundam, realizzati con le più avanzate tecnologie belliche, che li rendono di fatto imbattibili. Alla guida delle unità sono quindi messi altrettanti ragazzi, addestrati fin dalla tenera età in vista di questo giorno. Riusciranno, da soli contro il mondo, a dare così tanti grattacapi al nemico da convincerlo a trattare la pace, e in secondo luogo a smascherare le finalità della Fondazione Romefeller che, dietro l'organizzazione para-militare OZ, amministra in segreto il governo dell'Alleanza?

Penso che "squallida" sia l'unico aggettivo accostabile a una serie televisiva quale Mobile Suit Gundam Wing, secondo Universo Alternativo, dopo Mobile Fighter G Gundam (1994), con cui Bandai e la neo-acquisita Sunrise tentavano, a metà anni '90 del XX secolo, nuovamente di rivoluzionare il fluviale franchise robotico per rivolgerlo a nuove generazioni di spettatori. Se al predecessore andava quantomeno il merito - indipendentemente dal risultato, che poteva piacere o meno - di avere avuto il coraggio di staccarsi nettamente dalla saga storica, proponendone una parodia action/fracassona che non si prendeva troppo sul serio e che con essa non c'entrava proprio niente, il nuovo Gundam del 1995, pur cercando di recuperare alcune formule e temi del passato, paradossalmente merita una Damnatio Memoriae senza clemenza per il modo in cui ha combinato queste caratteristiche, trasmettendo a nuovi spettatori un'idea chiaramente falsa e irreale di cosa è stato (ed è ancora) la creatura di Yoshiyuki Tomino.

Gundam Wing riprende, dalla classica Era Spaziale, l'idea di un conflitto fra colonie spaziali e Federazione terrestre, e da Mobile Suit Z Gundam (1985) l'idea di invertire le tradizionali posizioni: ora sono gli spazionoidi gli eroi della storia, e devono affrontare un tirannico pianeta Terra in una inedita, surreale e curiosa guerra che vede cinque soli ragazzi affrontare l'esercito dell'intero globo, alla guida di Gundam più potenti che mai (l'idea di ben cinque Gundam protagonisti invece del canonico uno, si saprà poi, sarà ispirata dall'Alleanza Shuffle, gli eroi di G Gundam1). Lo spunto servirà da preambolo a un thriller politico pieno zeppo di fazioni, rovesciamenti di potere, cambi di bandiera, golpe militari e colpi di scena assortiti. Nulla di sbagliato, se non fosse che il tutto viene affrontato in un'insopportabile ottica fighetta e modaiola, dove contano di più i twist in quanto tali che la loro plausibilità e le motivazioni dei vari voltafaccia e delle assurde caratterizzazioni dei personaggi. Questo si spiega dal peccato originale, palese, di Sunrise di rivolgere la serie al pubblico ormonale delle teenager giapponesi, target in cui si annida quello non meno importante (a livello di tornaconto economico, basti pensare all'enorme successo che riscuotono i manga shounen-ai) delle fujoshi, le ragazze che si eccitano sessualmente pensando a protagonisti maschili inquadrati in pose, atteggiamenti e sguardi  ambigui che richiamo un immaginario chiaramente omosessuale. L'intero Gundam Wing, all'epoca ironicamente soprannominato "Gundam Boys" sia dai fan che dai detrattori2, basa infatti la sua totale attrattiva suoi suoi cinque protagonisti, plasmati sugli efebici look bishounen da fotoromanzo (così richiesti dal regista Masashi Ikeda3 per compiacere il sesso femminile) inaugurati da Captain Tsubasa (1983) e portati avanti da Saint Seiya (id.) e I cinque samurai (1988, diretto, tra l'altro, dallo stesso Ikeda). Le loro interazioni ricordano, con quegli sguardi suadenti, più che un'amicizia dura e virile, il preambolo a un amplesso.

Gli eroi di questa storia sono Heero Yui, dark di poche parole, cinico e che pensa unicamente alla sua missione; l'angelico pacifista biondo Quatre Raberba Winner, che non vuole fare del male a nessuno pur pilotando una sconvolgente macchina di morte; il buffone-fighetto Duo Maxwell, che ride mentre i proiettili gli sfrecciano a un centimetro dal viso; l'emo calcolatore (dal ciuffo improponibile) Trowa Burton; e infine il cinesino esperto di kung-fu Chang Wu Fei, fissato col culto della forza e dei sofismi virili e qualunquisti che fanno tanto figo (chi è forte è nel giusto, chi è debole è un rifiuto umano e merita di morire). I cinque, col loro aspetto effeminati (Heero è modellato sull'attrice Yuki Uchida4), i vestiari sexy e attillati e le personalità incredibilmente estremizzate e che fino alla fine tenderanno a un "bianco o nero" urlato che non concede spazio a sfumature, sono così fuori dalla realtà, con i loro patetici discorsi che vorrebbero sembrare profondi ma sono filosofia spicciola, gli atteggiamenti "da duro" incompatibili con la loro età e i loro sguardi languidi e pensierosi che tentano di evocare fierezza e invece sono una puerile strizzata d'occhio all'immaginario fujoshi (addirittura a un certo punto così, senza alcuna ragione, due di loro si ritrovano dentro una stanza e, invece di parlare di qualcosa, si mettono a suonare insieme il flauto - e non potrebbe essere stato altro strumento musicale!), da diventare quasi subito odiosi come la morte. Addirittura peggio i comprimari, tra cui spiccano l'immancabile, fiacco clone di Char Aznable, un ancor più patetico "esteta" della guerra che guida OZ e soprattutto le classiche ragazze innamorate dei protagonisti (non possono certo mancare rapporti sentimentali in una serie rivolta alle ragazze! Non importa se sono inutili nell'economia generale) e trattate come spazzatura da loro, perché - in linea con il qualunquismo femminile - i veri uomini pensano al dovere e non hanno tempo da perdere in smancerie. Tra queste ultime spicca l'insulsa Relena Peacecraft, l'unica ragazza capace di innamorarsi a prima vista del ragazzo che promette di ucciderla (meno male che almeno Ikeda avrà poi la decenza di ammettere che le relazioni tra uomo e donna non sono il suo forte!5) e, destinata, ahinoi, a fungere da archetipo per un tipo di personaggio che si vedrà spesso in animazione: la "principessina pacifista" che pensa di poter risolvere ogni problema con la diplomazia, rifugge il conflitto armato come fosse il Male in terra e si sente in dovere di fare la morale a chiunque non la pensi come lei.


Pur vantando uno spunto di partenza quantomeno interessante (ragazzi in lotta contro l'intero pianeta Terra), che verrà giustamente ripreso e raccontato meglio in futuro (nel 2007, da Mobile Suit Gundam 00), in Gundam Wing non c'è nient'altro di salvabile: oltre al cast detestabile, anche la sceneggiatura - a opera dello scrittore Katsuyuki Sumizawa, prestato all'animazione - è un disastro su tutta la linea. L'accettabile soggetto generale è annacquato da molteplici archi narrativi zeppi di twist inverosimili, con l'aggravante di un altissimo, indefinito carico di idiozie, tali che viene spontaneo ridere pensando a come Ikeda presenti il titolo dicendo che lo ha sviluppato pensando a come avrebbe fatto al suo posto Tomino6. Abbiamo tante inutili e senza senso, ma anche di personaggi immortali per dovere di copione (Heero può anche cadere da una scogliera alta cinquanta metri, sopravviverà a prescindere senza spezzarsi un'unghia), ripetute e ridicole autoimmolazioni per aumentare il dramma e che alla fine si risolvono in un un "scherzavo!" (con "resurrezioni" inspiegate), infiniti cambi di bandiera da parte di un po' tutti tanto per fare figo (senza presupposti concreti), mecha ripetutamente cambiati più e più volte nell'arco della storia e capaci di prodezze davvero impossibili in battaglia (da sonoro schiaffo in faccia al realismo della saga), come persino di resistere a cannonate prese in pieno o di sparare raggi dalla gittata impossibile. Il tutto, poi, è definitivamente distrutto da un contorno indigesto di smielatissima, banalissima e atrocissima retorica sul pacifismo.

Il franchise di Gundam, pur al prezzo di un po' di ipocrisia, non ha mai voluto nascondere una certa presa di posizione contro la guerra, ma lascio intuire come i ripetuti discorsi di Relena sul "com'è bella la pace, com'è brutta la guerra" siano così ridondanti, asfissianti e sognatori da risultare intollerabili, soprattutto perché troppe volte si avverte chiaramente che sono così usati per tentare di dare tono e far sembrare più impegnata di quello che è realmente una storia che rimane, per le sue cazzate, assurda, del tutto implausibile e ipocrita (per la solita questione del parlare di questo mostrando con esaltazione i Gundam strafighi che distruggono tutto in una pioggia di effetti speciali ed esplosioni). Se Tomino raccontava la crudeltà della battaglia senza pipponi filosofici e lasciando parlare le sole immagini, Ikeda non fa altro che mettere in bocca alla sua Relena pistolotti retorici di bassa lega, facendole sognare e pronosticare un demenziale mondo del tutto de-militarizzato - che poi, con spregio verso l'intelligenza dello spettatore... non dico niente. Dialoghi surreali appesantiscono ulteriormente la visione, che in tutta la sua interminabile, dolorosa durata di 49 episodi non trova modo di riscattarsi praticamente mai, annoiando sempre più col suo carico di bestialità e fighetterie e stupendo in negativo per i discorsi e le azioni ridicole che compiono i suoi vergognosi protagonisti. Non mancano neppure i classici antagonisti idealisti (guarda caso, adoni anche loro), quei romantici sognatori che "fanno del male in verità per compiere del bene" anch'essi tanto cari al pubblico femminile, presentati sotto risvolti così esagerati da raggiungere (letteralmente) livelli paradossali del "distruggo mezzo pianeta per far capire alla razza umana quant'è cattiva la guerra".

Oltre a essere atroce fino alla fine (poco importa se a metà serie Ikeda si limiti a fare da consulente venendo sostituito da Shinji Takamatsu alla regia, incaricato di fare assomigliare un po' di più Gundam Wing al capostipite del 1979 come sviluppo della trama7, il risultato è insalvabile), l'opera è anche irritante oltre ogni limite, nel suo continuo uso di fanservice per ragazzine come specchietto per le allodole. La storia fa schifo? Consoliamoci con il bellissimo chara design di Shukou Murase, dall'alto fattore sexy. È noiosissima? Rispondiamo con uno strabiliante, maniacale livello di mecha design, quasi al livello di un OVA (e coronato da un XXXG-00W0 Wing Gundam Zero dalle improbabili, quasi esilaranti ali angeliche che fanno così "poetico" presso le ragazze), e con un budget medio-alto che permette buone animazioni. Storia piena di forzature clamorose? Ci sono però le splendide, davvero bellissime opening elettroniche dei TWO-MIX, prima commistione del brand Gundam con lo scoppiettante mondo del J-Pop. E via così. Indecoroso sguazzo nei territori della sterile fighetteria che maschera una totale assenza di contenuti, Gundam Wing è, banalmente, uno dei punti più bassi mai raggiunti dal brand (ancora oggi, a vedere gli artwork officiali che mostrano i cinque protagonisti più o meno svestiti e appiccicati l'uno all'altro a toccarsi su tutto il corpo, è impossibile non provare un brivido scorrere lungo la schiena), che ben si merita il modesto risultato televisivo rimediato all'epoca della trasmissione (la serie fu ignorata dai fan storici - come G Gundam - e contraddistinta da basse vendite di Gunpla8 e mediocri ascolti del 4.25%9) e pone legittime domande sui gusti degli americani, che lo hanno salutato con un successo stellare aprendo le porte al recupero degli altri titoli10. Peccato che, nonostante questo, la serie otterrà, come sperava, una grande popolarità presso le ragazze11 (comprese quelle che non guardavano la serie), e ciò si tradurrà nella fortunata vendita di merchandising non legato al collezionismo, in particolare artbook e illustrazioni dei cinque Gundam Boys12 ("ogni commento positivo sulla serie deve essere rivolto a Murase" dice Ikeda13, e davvero, come dagli torto? La popolarità dell'anime deriva per il 90% dai disegni accalappiafemmine) e questo convincerà Sunrise ad allungare l'agonia dando un seguito alla storia.


Nota: Gundam Wing, dopo essere stato trasmesso in Italia da Mediaset con un adattamento traballante, che italianizzava i nomi dei Gundam e modificava un sacco di dialoghi per renderli più politicamente corretti (celebre quel "ti ucciderò" detto da Heero Yui a Relena alla fine della prima puntata, che diventa "la tua vita è in pericolo"), è stato poi raccolto in DVD da Shin Vision, con quantomeno sottotitoli fedeli. Purtroppo (ma forse, per fortuna) la casa distributrice è poi fallita, non riuscendo a portare a termine la serializzazione. I 4 OVA che compongono Mobile Suit Gundam Wing: Operation Meteor (1996), in alcun modo visionabili in lingua comprensibile, rappresentano il riassunto della serie TV con qualche approfondimento del background dei protagonisti.

Voto: 3,5 su 10

SEQUEL
Mobile Suit Gundam Wing: Operation Meteor (1996; serie OVA)
Gundam Evolve../ 07 XXXG-00W0 Wing Gundam Zero (2004; OVA)
Mobile Suit Gundam Wing: Endless Waltz (1997; serie OVA)
Mobile Suit Gundam Wing: Endless Waltz - Special Edition (1998; film)


FONTI
1 Lo dice lo staff dell'opera in un'intervista presente nel DVD Memorial Box della serie del 2007, qui (http://www.gundam-w.jp/special/taidan.html) rintracciabile. Sintesi in inglese: http://www.mechatalk.net/viewtopic.php?f=9&t=12003#p263317
2 Kappa Magazine n. 79, Star Comics, 1999, pag. 9
3 Vedere punto 1
4 Come sopra
5 Intervista a Masashi Ikeda pubblicata su Animerica Anime & Manga Monthly (Vol. 8) n.4, Viz Media, 2000, pag. 11
6 Come sopra, a pag. 10
7 Wikipedia giapponese di "Mobile Suit Gundam Wing"
8 Vedere punto 2, a pag. 5
9 Pagina web (in giapponese), http://toro.2ch.net/test/read.cgi/shar/1336141685/
10 Anime Nation News Blog, http://www.animenation.net/blog/2007/10/12/ask-john-which-gundam-series-have-had-the-most-impact-on-anime/ 
11 Vedere punto 2. Cosa confermata anche dallo staff della serie nell'intervista del punto 1 (pur non specificando il fatto che ebbe risonanza verso quel determinato sesso)
12 Vedere punto 2
13 Vedere punto 5

lunedì 17 gennaio 2011

Recensione: Paranoia Agent

PARANOIA AGENT
Titolo originale: Mousou Dairinin
Regia: Satoshi Kon
Soggetto: Satoshi Kon
Sceneggiatura: Seishi Minakami
Character Design: Masashi Ando
Musiche: Susumu Hirasawa
Studio: Mad House
Formato: serie televisiva di 13 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2004
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Panini Video



Tsukiko Sagi è una famosa disegnatrice dalla cui penna è nata la mascotte Maromi, amatissima in tutto il Giappone. Una sera, mentre torna a casa, viene aggredita da un ragazzino sui pattini a rotelle che impugna una mazza da baseball. Due detective, il burbero Ikari e il giovane Maniwa, si mettono subito sulle tracce del criminale, ribattezzato Shonen Bat, che, giorno dopo giorno, continua a mietere le sue vittime e a sfuggire sorridente alle forze dell'ordine. Chi è veramente? Qual è il suo progetto?

Paranoia Agent (2004) è la prima, e purtroppo unica, incursione televisiva del compianto Satoshi Kon. Opera folle e multigenere, costantemente in bilico tra momenti di tensione e divertenti parentesi, capace di abbracciare tanto l’horror quanto il fantasy, sfaccettata e critica nei confronti dell’iperattiva società giapponese, è, come ogni altro lavoro del maestro recentemente scomparso, una straordinaria, iperbolica, visionaria miscela di realtà e sogno, concretezza e schizofrenia onirica. Kon ne firma soggetto e regia, lasciando l’ottima sceneggiatura a Seishi Minakami e il chara design a Masashi Ando, e graffia, stupisce, commuove, scuote, incanta.

Paranoia Agent è strutturato in 13 episodi, molti dei quali autoconclusivi, che dilatano, gonfiano, approfondiscono una vicenda che, nei momenti iniziali, sembra essere un semplice thriller venato di elementi soprannaturali. Ogni puntata presenta infatti uno o più nuovi personaggi, costruisce attorno a loro storie spesso a se stanti, singole avventure che studiano e analizzano personalità, comportamenti, idee e modi di vivere sia dei veri protagonisti dell’opera (Tsukiko e i due detective) sia dei comprimari, più o meno importanti ai fini dell’intreccio prettamente thrilleristico. Avremo pertanto vicende che esulano totalmente (i due studenti Shogo e Yuuichi, l’insegnate Maria, i tre ragazzi che tentano disperatamente di suicidarsi), ma che completano un mosaico estremamente complesso, dove le coincidenze inattese si sprecano, dove si scoprono raggiri e doppie vite, storie nelle quali il mistero legato a Shonen Bat è fattore scatenante, è una miccia che si accende, è una rabbia che esplode, è un segreto che viene svelato.


Ne nasce così uno schema insolito e progressivamente curioso, ogni episodio scavalca il precedente e cambia le carte in tavola, le capovolge, mostra cosa c’è dietro lo specchio, e di volta in volta muta i colori della serie: dal meccanismo investigativo iniziale alla parodia videoludica, dalla commedia tragicomica al dramma legato a sessualità e pedofilia, per terminare con clamoroso accento supereroistico e una fragorosa tentazione catastrofica, e ancora molto, molto altro. In tutto questo universo, in tutte le sue sfumature, è facile perdersi domandandosi quale sia la direzione da seguire, soprattutto quando vengono innestate certe enigmatiche parentesi oniriche, se ci sia un vero filo conduttore o se si tratti di puro compiacimento artistico nel destrutturare le vicende, nel richiamarle a tradimento, nel presentarle in una veste che verrà tolta più e più volte. Ma ogni elemento, pur non essendo sempre necessario alla trama in sé, è importante, se non fondamentale, nella creazione simbolica dello scenario globale, così, così, così simile alla triste realtà di tutti i giorni. Ad esempio un episodio come ETC, dove quattro signore si perdono in chiacchiere sui possibili delitti commessi da Shonen Bat, pur, di fatto, bloccando la storia, diventa vitale per capire le proporzioni del mito del criminale sui pattini, come si sia espanso, fin dove abbia ferito con i suoi artigli. Una vicenda invece come quella raccontata in Maromi dolce-sonno, un noir autoconclusivo in parte scollegato dal plot principale ma fortissima critica all’industria dell’animazione, è essenziale per comprendere uno degli scopi che spinge Shonen Bat a uccidere, ad ammazzare anche là dove Ikari e Maniwa non possono raggiungerlo, dove nessuno, in realtà, può raggiungerlo. E via così.

Un’originale catena di eventi, un imprevedibile susseguirsi della trama, un’inarrestabile macchina che obbliga a spingere il tasto play in continuazione, per vedere cosa succede nell’episodio successivo, come Kon camufferà la storia, come collegherà certe situazioni, come farà a inserire nuovi elementi ancora, come dissezionerà la cultura nipponica parlando di frenetico consumismo, spietata economia, isolamento suicida, chiusura mentale. E il motivo stesso che guida Shonen Bat a impugnare la mazza da baseball, la spinta che lo porta a spaccare teste di persone che apparentemente nulla hanno in comune, è puro, potentissimo simbolismo.


Ci si potrebbe addentrare ancora e ancora nel mondo di Paranoia Agent, sviscerare puntata dopo puntata perché tutte recipienti di messaggi ed estrosità creativa, ma si entrerebbe in territori spoileranti e si toglierebbe il piacere della visione, un piacere che inizia sin dalla splendida e sperimentale opening, un pezzo irresistibile più volte richiamato nell’opera, un piacere che continua con gli splendidi disegni, tanto realistici quanto caricaturali, e le fantastiche animazioni, di altissimo livello, curate da Madhouse. Paranoia Agent è un’opera da vedere, da vedere nonostante la difficoltà, la bizzarria, questo stravagante ma intelligente e profondissimo modo di raccontarci (perché questo in fondo fa Kon) il Giappone e il mondo intero.

Voto: 8 su 10

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