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lunedì 25 aprile 2016

Recensione: Macross Dynamite 7

MACROSS DYNAMITE 7
Titolo originale: Macross Dynamite 7
Regia: Tetsuro Amino
Soggetto: Shoji Kawamori
Sceneggiatura: Sukehiro Tomita
Character Design: Haruhiko Mikimoto (originale), Takeshi Ito
Mechanical Design: Shoji Kawamori
Musiche: Shiro Sagisu, Yoko Kanno
Studio: Production Reed
Formato: serie OVA di 4 episodi (durata ep. 29 min. circa)
Anni di uscita: 1997 - 1998


Con un coraggio tanto incosciente da essere quasi invidiabile, fino al 1998 Shoji Kawamori e Bandai continuano imperterriti a tenere vivo il marchio Macross rilasciando sempre più prodotti, animati e non, legati all'ultima incarnazione televisiva del periodo, quell'inguardabile Macross 7 (1994) già in origine indegno di esistere coi suoi oltre 50 episodi super low-budget, le milioni di lungaggini e un  protagonista tra i più atipici e odiosi di ogni tempo. Nel 1997 escono dunque i 4 OVA di Macross Dynamite 7 (1997),  il seguito ufficiale della serie, ambientato un anno dopo la guerra tra il gigantesco vascello stellare Macross 7 e l'armata aliena di Geppernich, ma la storia non cambia, anzi, rimane fondamentalmente identica in tutto e per tutto e nelle solite cose, tanto da potersi definire quasi un remake spirituale del precedente The Galaxy's Calling Me!. Avremo di nuovo Basara che finisce su un ennesimo pianeta dove, come al solito, è conosciutissimo per i suoi concerti dal comprimario extraterrestre di turno, come sempre partecipa all'evento portante del posto (in questo caso, la caccia alle balene dello spazio) e come sempre farà la sua parte con le canzoni rock, perché con esse può penetrare l'animo umano ed entrare, come un Newtype di Gundam, in risonanza con qualsiasi razza, comprendendola e portando la pace e l'ordine come un messia, anche se preso in mezzo a due eserciti che si fanno la guerra (la polizia del posto che deve difendere i cetacei e i bracconieri a loro interessati).

In soldoni, ancora una volta, sempre le stesse, identiche cose: vagiti animalisti e new age modaioli sulla bellezza universale della natura e della musica che non conosce barriere razziali; battaglie spaziali tra Variable Fighter irrilevanti per la trama e messe lì per stupire; Basara che con la solita faccia monoespressiva canta e suona la chitarra in ogni situazione, sia che gli stia parlando qualcuno, sia che venga sfiorato da proiettili vaganti, sia che si trovi un'arma da fuoco puntata in faccia, incrollabile col suo orgoglioso pacifismo; stacchi musicali sui concerti dei Fire Bomber, orfani del frontman; ovvi riflettori sulla solita Mylena Jenius che non capisce se il suo cuore le dica di cercare Basara o accettare il fidanzamento con Gamlin (almeno sapremo in modo definitivo come andrà a finire!), e due belle ragazze aliene che in un modo o nell'altro gironzolano attorno al protagonista. C'è anche qualche eco di Moby Dick in un personaggio interessato a uccidere una balena in particolare, ma è un'allusione messa lì più per fare intellettuale che per reali esigenze narrative. That's all folks, è sempre la solita minestra che non cambierà di un'unghia il giudizio di chi legge: se si ha amato (esiste davvero qualcuno che possa arrivare a tanto?) Macross 7, si amerà anche questo, sennò si continuerà a odiare ogni sua versione perché la pappardella è sempre ripresentata in modo identico e senza alcuna fantasia. Un'altra beffa? La visione è da accompagnare alla lettura del manga Macross Dynamite 7 - Mylene Beat scritto e disegnato in contemporanea da Mizuho Takayama, sennò non si saprà come viene risolta una scena-chiave della puntata 2 (il tentativo di stupro lesbo di un certo personaggio femminile).


Almeno, vale la pena citare come tecnicamente l'opera sia, se non una gioia per gli occhi, quantomeno un buonissimo lavoro che ancora una volta fa dimenticare lo scandalo televisivo: Dynamite 7 è animato più che bene (addirittura molto nelle schermaglie spaziali tra robot) e risaltano in modo impeccabile i bei disegni di Haruhiko Mikimoto, sempre più sgargianti grazie alle vivacissime colorazioni, alle realistiche ombreggiature e al medio livello di dettaglio. Sono molto ispirati e ben disegnati anche i fondali, soprattutto il pianeta alieno Zola  con le sue case simil-trulli che ricordano a tratti alcune delle meraviglie grafiche Ghibli. Infine, finalmente avremo modo di ascoltare canzoni nuove e non i soliti 2/3 brani riciclati mille volte. Tuttavia, una storia vuota, inutile e mediocre rimane vuota, inutile e mediocre, inutile negarlo, e come tutto il materiale legato a Macross 7 non posso che sconsigliarne caldamente la visione a tutti, fan della saga e non.

Voto: 5 su 10

PREQUEL
Macross Zero (2002-2004; serie OVA)
Macross 7 (1994-1995; TV)

SEQUEL
Macross Frontier (2008; TV)
Macross Frontier The Movie: The False Diva (2009; film)
Macross Frontier The Movie: The Wings of Goodbye (2011; film)
Macross FB7: Listen To My Song! (2012; film)
Macross Delta (2016; TV)

lunedì 14 marzo 2016

Recensione: Macross 7 The Movie - The Galaxy's Calling Me!

MACROSS 7 THE MOVIE: THE GALAXY'S CALLING ME!
Titolo originale: Gekijōban Macross 7: Ginga ga Ore wo Yondeiru!
Regia: Tetsuro Amino
Soggetto & sceneggiatura: Shoji Kawamori
Character Design: Haruhiko Mikimoto (originale), Kenichiro Katsura
Mechanical Design: Shoji Kawamori, Kazutaka Miyatake
Musiche: Shiro Sagisu, Yoko Kanno
Studio: Production Reed
Formato: mediometraggio cinematografico (durata 33 min. circa)
Anno di uscita: 1995


Non c'è nulla che valga la pena di salvare del film di Macross 7 (1994), uscito nei cinema giapponesi sei giorni dopo la conclusione della serie televisiva: è insignificante nel poco che ha da dire e non aggiunge nulla alla parabola mortificatrice dell'orribile originale, e anzi, aumenta ancora di più a noia e il senso di ridicolo nonostante a scriverne personalmente la sceneggiatura si incarichi lo stesso Shoji Kawamori e il budget sia, una volta tanto, decente.

Per l'occasione, nel 1995 non abbiamo avuto il classico filmone riassuntivo della serie (dovremo aspettare oltre quindici anni per quello, si concretizzerà nel 2012), bensì una storia collaterale, ambientata in un anonimo pianeta ghiacciato durante un imprecisato periodo temporale (più o meno dopo le apparizioni dei Protodeviln Gavil e Gravil), dalla durata poco più lunga di un'ordinaria puntata TV, che ricorda molto una delle classiche produzioni anni '70 del Toei Manga Matsuri. The Galaxy's Calling Me! in effetti non è altro che un timido e inutile extra, concepito per accompagnare la proiezione del ben più "importante" Macross Plus - The Movie. C'erano le premesse per dire qualcosa di diverso dal solito? Ovviamente no, e infatti la vicenda si riduce a un banale riempitivo che ripete come un pappagallo le solite cose: Basara, rimasto da solo nel posto a bordo del suo rosso Valkyrie, si ritrova a dialogare con un'entità sconosciuta apparentemente aggressiva attraverso le sue solite canzoni, riesce nel suo intento, ci stringe amicizia, e col nuovo alleato affronta i soliti due Gavil e Gravil. Chiudono l'avventura le comparsate, come guest star, della Sound Force e del solito Gamlin, giusto per non farsi mancare nulla. Niente, non c'è nulla da commentare: abbiamo un episodio qualunque di Macross 7, identico agli altri sterminati filler che compongono quella storia, interpretato dai consueti piatti personaggi, in cui ascoltiamo sempre le stesse canzoni che ormai abbiamo imparato a odiare, con l'unica differenza che The Galaxy's Calling Me! è stavolta effettivamente animato e non si riduce più alle solite sequenze e fotogrammi riciclati uno sproposito di volte, mostrando una volta tanto delle sequenze action gradevoli da vedere. Può bastare solo questo? Ne dubito. Kawamori inserisce poi addirittura due personaggi nuovi nella vicenda: oltre all'entità misteriosa di cui si parla, troviamo anche un bambino appassionatissimo dei Fire Bomber, che segue Basara nelle sue peregrinazioni. Il primo rivelerà addirittura un risvolto familiare importante, ma sarà sprecato visto che nell'economia della storia principale questa apparizione non avrà ripercussione (è come se non fosse mai avvenuta, assume giusto il ruolo del "sapevi che esisteva anche lei?"); il secondo invece, sbandierato nella sigla d'apertura e nelle varie locandine del film, non avrà proprio il minimo senso e basta.


Il duello "canzonatorio" tra Basara e l'entità penso sia il punto più basso raggiunto fino a quel momento dal brand: non tanto per la cosa di per sé (se si ha guardato Macross 7, non ci si stupisce più di nulla, la musica rock usata per combattere, per quanto assurda, fa parte delle regole di quel mondo e la si accetta), ma per il fatto che risulterà incoerente quando si apprenderanno l'identità, la razza e il passato dell'essere - ma tanto chi se ne importa, se per Kawamori è solo un pretesto per deliziare gli appassionati con una chicca fanservice concernente Do You Remember Love? (1984). Serve aggiungere altro? Non si possono vedere queste cose.

Voto: 5 su 10

PREQUEL
Macross Zero (2002-2004; serie OVA)
Macross 7 (1994-1995; TV)

SEQUEL
Macross Dynamite 7 (1997-1998; serie OVA)
Macross Frontier (2008; TV)
Macross Frontier The Movie: The False Diva (2009; film)
Macross Frontier The Movie: The Wings of Goodbye (2011; film)
Macross FB7: Listen To My Song! (2012; film)
Macross Delta (2016; TV)
The Super Dimension Fortress Macross II: Lovers Again (1992; serie OVA)

lunedì 8 febbraio 2016

Recensione: Macross 7

MACROSS 7
Titolo originale: Macross 7
Regia: Tetsuro Amino
Soggetto: Shoji Kawamori
Sceneggiatura: Sukehiro Tomita
Character Design: Haruhiko Mikimoto (originale), Kenichiro Katsura
Mechanical Design: Shoji Kawamori, Kazutaka Miyatake
Musiche: Shiro Sagisu, Yoko Kanno
Studio: Production Reed
Formato: serie televisiva di 49 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 1994 - 1995


Nell'anno 2045 prosegue ancora, ininterrottamente, l'esplorazione dell'universo da parte di coloni terrestri, figli della nuova umanità nata sulla Terra dagli incroci fra umani e zentradi dopo la guerra di 35 anni prima. Vengono costruiti tanti nuovi vascelli Macross, ognuno contenente milioni di persone, che navigano nello spazio alla ricerca di pianeti abitabili. Seguiremo le vicende della flotta del Macross 7, che durante le sue peregrinazioni incontra e combatte una nuova, misteriosa razza aliena, i Protodeviln, vampiri cibernetici interessati a risucchiare l'energia spirituale, o Spiritia,  dalle loro vittime per non meglio precisati motivi. In questo conflitto, la parte da protagonista spetta a Nikki Basara, chitarrista e vocalista del gruppo J-rock dei Fire Bomber, non facente parte dei ranghi dell'esercito, che affronta nelle battaglie spaziali i nemici a bordo del suo personale VF-19 Fire Valkyrie, non a colpi di armi ma bensì di canzoni.

Partiamo da un assunto. Se è ridicolo pensare di impostare una qualsiasi incarnazione di Macross senza un grosso budget, è addirittura inconcepibile pensare di farlo nell'ottica di una lunga serie televisiva: viene meno proprio il suo unico marchio di fabbrica, ovvero quello di contenitore, oltre che di storie d'amore adolescenziali e stacchi musicali, anche di animazioni spaccamascella e regie spettacolari. Questa è, a mio modo di pensare, una considerazione lapalissiana, ma evidentemente non tutti devono essere stati d'accordo con me se nel 1994 abbiamo avuto Macross 7, lunga produzione televisiva (la seconda nel franchise) che arrivava a collezionare ben 52 episodi (ripartiti nei 49 ordinari e nei tre mai trasmessi, i cosiddetti Encore, usciti solo nell'edizione casalinga della serie), a trovare OVA, fumetti, film collaterali e addirittura 21 (!) album discografici, firmati col nome della band fittizia dei Fire Bomber a cui appartiene l'eroe Nikki Basara, il tutto nonostante una qualità tecnica così povera, così assurdamente scandalosa, da rappresentare una visione di interminabile, impensabile masochismo. Eppure Macross 7 deve evidentemente aver lasciato un segno: tanti prodotti a esso associati e così tanti album musicali non possono essere un caso, e addirittura nel 2012 abbiamo avuto il filmone riassuntivo, a 17 anni di distanza dalle fine delle trasmissioni. Sconvolgente.

C'è tanto da domandarsi sul senso della serie e sul come proprio Shoji Kawamori abbia dato il beneplacito a un simile orrore, ideandone la storia e realizzandone il mecha design sulla semplice base del voler riportate alla ribalta, nelle vesti di co-protagonista, lo storico, insipido personaggio di Maximilian Jenius, il pilota-quattrocchi genietto della serie madre, che il soggettista, durante un viaggio negli USA, apprese essere così adorato dal pubblico americano da volerlo resuscitare in loro onore1. Macross 7 nasce in contemporanea con Macross Plus (1994), durante le stesse riunioni con Bandai (l'idea dell'eroe-pilota cantante viene proprio dal primissimo soggetto del fratellone maggiore2), ma lo studio d'animazione ingaggiato per realizzarlo non è la Triangle Staff di Plus ma l'ahimè nota Ashi Productions (oggi Production Reed), da sempre specializzata in serie a basso budget. Bandai peggiora pure le cose stanziando fondi ancora più risibili del previsto e il danno è infine fatto: signore e signori, la serie è pronta, ma arrivare in fondo alla visione non sarà la cosa più facile del mondo, sia per la scarsissima qualità tecnica che per le disumane lungaggini di sceneggiatura di un soggetto tutt'altro che esaltante.


Si può cominciare con l'accennare come la storia di Macross 7 sia, come spesso accade a seguiti di opere famose, un brodo allungato che riprende gli elementi narrativi vincenti del predecessore (ovviamente mi riferisco all'originale del 1982), inventando un nuovo nemico ancora più terribile e antico degli zentradi e della protocultura, ancora una volta pronto a farsi sconfiggere dalla musica. In quest'ottica, Kawamori cerca di essere ancora più creativo che in passato, ideando un eroe hippy, pacifista e che odia i militari secondo i più noti stereotipi, che combatte senza usare missili o fucili, ma sparando alle unità nemiche dei mega-amplificatori che fanno sentire ai Protodeviln le sue canzoni rock. Vedere Basara (e successivamente anche il resto dei Fire Bomber) pilotare i Variable Figher, suonando e cantando allo stesso tempo e cianciare boiate del tipo di usare le note per raggiungere il cuore degli abitanti dell'intero universo, può sembrare un affronto all'intelligenza (e lo è), ma dopo un po' ci si abitua a una storia volutamente bizzarra, che si prende poco sul serio e vuole quasi porsi come una sorta di parodia estremizzata delle dinamiche musicali del primo capitolo.  Purtroppo, a lungo andare la cosa inizia a risultare odiosa: se si può ancora accettare la musica usata beceramente come arma per sconfiggere i nemici (nel capostipite la cosa aveva un senso, in quanto gli zentradi erano del tutto privi di cultura e perciò sentire canzoni provocava loro uno shock intellettuale, mentre qui per chissà quale motivo i loro successori non la sopportano), in battaglie dove vediamo gente pilotare mezzi suonando chitarre e batterie (!), non è concepibile l'assoluta nonchalance con cui Basara e compagni si mettano a cantare col sorriso sulle labbra anche nelle situazioni di estremo pericolo, giusto per ribadire l'odiosa moraletta della cultura che monda gli animi dalla malvagità: si scade nel ridicolo involontario più e più volte. Non aiutano in questo senso i pessimi personaggi del cast, piattissimi (buoni e cattivi), in particolare proprio i componenti dei Fire Bomber, privi di alcuna evoluzione e difensori di un buonismo pacifista (specialmente Basara, il nemico giurato del sistema, quello che suona per il suo piacere e non per i soldi e che non scende a compromessi con nessuno, sigh!) in più riprese inverosimile: durissima reggere 49 episodi organizzati intorno a questo antipaticissimo complesso J-Rock sempre dietro a concerti e a tentativi di affermarsi nell'ambiente (si apprende3 che la serie ricicli per la maggiore parte elementi scartati dalla sceneggiatura del primo Macross, meno male ci sono stati risparmiati quando c'era Lynn Minmay), senza che ci sia mai un filo conduttore tra i loro spostamenti e le avventure. Non scherzo: la serie si basa quasi interamente su riempitivi e sciocchezze, insomma sulla vicende di vita quotidiana del gruppo che culminano, con un pretesto o l'altro, negli ultimi 4 minuti della puntata, ove viene inscenata l'ennesima battaglia spaziale con gli invasori, così, tanto per, sempre inutilissima ai fini di trama e sempre visivamente oscena come tutte le altre, in cui non morirà nessuno come al solito.

"Visivamente oscena" è anche riduttivo per definire la piattezza tecnica del titolo. I vivaci, bellissimi disegni di Haruhiko Mikimoto, adattati a regola d'arte in animazione in fotogrammi enormemente espressivi, dettagliati e colorati che molto probabilmente rappresentano la spesa maggiore del progetto, sono il vergognoso specchio per le allodole per mascherare una confezione di uno squallore indicibile e l'assenza di una vera e propria regia (cosa c'è da dirigere se tutto è un susseguirsi di fotogrammi e qualche frame di movimento?): Macross 7 è la fiera del low budget quasi per eccellenza (nella Storia dell'animazione, penso che solo Il Violinista di Hamelin del 1996 riuscirà a fare peggio), con battaglie date da 3/4 scenette animate riciclate in ogni episodio, più un numero spropositato, addirittura incalcolabile, di singoli fotogrammi anch'essi riproposti con ostinazione a ogni puntata: ci si abitua presto all'idea di rivedere un centinaio di volte la stessa inquadratura del viso di Basara che canta, della gigantesca testa di Exsedol Folmo, di un ufficiale femminile del Macross 7 che si rivolge al capitano, o dei membri dei Fire Bomber che suonano. Tutta questa paccottiglia per QUARANTANOVE episodi (bene sottolinearlo, anche se non renderà mai a sufficienza l'idea). Tecnicamente l'opera è indifendibile dall'inizio alla fine, in molte riprese imbarazzante (addirittura il mecha design di Kawamori, campo in cui è una celebrità, è svogliato e anonimo, per certi versi addirittura bruttino), e non c'è alcun dubbio che la povertà dei mezzi influenzi in modo determinante il gradimento bassissimo della serie, visto che porta solo a seguire con noia, svogliatezza e poca attenzione la storia. Ancora più inspiegabile come, con un soggetto così semplice da prestarsi perfettamente a 26 episodi (forse anche meno) e  soprattutto con così pochi soldi, creatore e sponsor abbiano deciso di tirare fuori un tale sproposito di puntate. Un Macross senza battaglie spaziali decenti non è Macross, e anche in ottica romantica il titolo manca il bersaglio: come Plus, rovescia il triangolo "uomo conteso da due donne" focalizzando l'attenzione su una ragazzina (Mylene Flare Jenius, seconda vocalist dei Fire Bomber) che non sa se mettersi con Basara o il militare Gamlin Kizaki che le fa la corte, ma i tre, pur con una certa personalità (a parte Basara vero e proprio pezzo di roccia, così stereotipato negli slogan sinistrorsi e dalla risibile gamma facciale da sembrare quasi una parodia di un essere umano), non hanno un carisma o un interesse tali da far risultare coinvolgente la storia, neanche particolarmente approfondita ma lasciata per la maggior parte del tempo nelle retrovie. Il colpo di grazia è rappresentato dal fatto che dopo cinquanta episodi il triangolo è pure lasciato aperto: evidentemente non c'era spazio adeguato per svilupparlo (!). Sono inscenate pure altre storie d'amore ancora, sia tra altri umani che alieni, ma dall'esito così scontato che non vale neanche la pena accennarle.


In questa catastrofe tecnica e narrativa, che non manca neppure di inspiegate, patetiche resurrezioni miracolose di gente data per morta in battaglia ed eroici sacrifici di pupazzi (non so davvero come definirli) privi di anima per il bene dell'umanità, c'è davvero pochissimo di interessante. Gli appassionati troveranno, nel titolo, riferimenti e ammiccamenti visivi ai personaggi della prima serie, musiche provenienti da altri titoli Macross e vecchie glorie del passato nel cast (appunto, l'accennato Maximilian e sua moglie Milia Fallyna, genitori di Mylene, prima comparse e poi destinati ad avere sempre più spazio nell'evoluzione della vicenda, quando la guerra assume proporzioni più grandi), ma è comunque poco per convincerli ad apprezzare un simile orrore che non meriterebbe neanche di esistere. Gli spettatori occasionali, invece, neanche sono contemplati (nonostante Macross 7 sia ovviamente inteso come un reboot). Si salvano, oltre ai sempre eccellenti disegni (con una menzione d'onore per la carrellata di artwork originali di Haruhiko Mikimoto presente nelle due sigle di chiusura), giusto le decenti canzoni rock dei Fire Bomber che fungono da principale colonna sonora, ma, inutile dirlo, come quelle di Minmay del passato, anche queste sono riproposte una tale enormità di volte (praticamente, una a episodio) che presto si finisce con l'odiarle come la morte.

Apatici per una sofferenza così grande e inspiegabilmente infinita, a fine visione ci si domanda esterrefatti del successo dell'opera in questione, fra le serie televisive più mortalmente tediose mai viste nel genere, eppure destinata per lungo tempo a essere tenuta in vita da nuovi prodotti collaterali. Lo consiglio di cuore: lasciate stare.

Voto: 3,5 su 10

PREQUEL
Macross Zero (2002-2004; serie OVA)

SIDE-STORY

SEQUEL
Macross Dynamite 7 (1997-1998; serie OVA)
Macross Frontier (2008; TV)
Macross Frontier The Movie: The False Diva (2009; film)
Macross Frontier The Movie: The Wings of Goodbye (2011; film)
Macross FB7: Listen To My Song! (2012; film)
Macross Delta (2016; TV)
The Super Dimension Fortress Macross II: Lovers Again (1992; serie OVA)


FONTI
1 Intervista a Shoji Kawamori pubblicata su "Anime Interviews: The First Five Years of Animerica Anime & Manga Monthly (1992-97)" (Cadence Books, 1997, pag. 113-114)
2 Booklet "Macross Plus: The Ultimate Edition" (allegato al DVD/Blu-ray "Macross Plus", Dynit, 2013), "Ecco come è nato Macross Plus", pag. 3
3 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 238

mercoledì 14 settembre 2011

Recensione: Megazone 23 Part III

MEGAZONE 23 PART III
Titolo originale: Megazone 23 Part III
Regia: Kenichi Yatagai (ep.1), Shinji Aramaki (ep.2)
Soggetto: Shinji Aramaki
Sceneggiatura: Emu Arii
Character Design: Hiroyuki Kitazume, Haruhiko Mikimoto
Mechanical Design: Shinji Aramaki
Musiche: Keishi Urata
Studio: AIC, Artmic
Formato: serie OVA di 2 episodi (durata ep. 50 min. circa)
Anno di uscita: 1989
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Yamato Video


Non c'è che dire: con Megazone 23 Part II (1986) la storia ideata da Noboru Ishiguro negli anni '70 si chiudeva in modo più che soddisfacente, contribuendo a scolpire l'esaltante miniserie nella Storia dell'animazione home video. Dev'essere per questo motivo che tre anni dopo, quando AIC cerca disperatamente di lucrare ancora sulla saga realizzandone un terzo capitolo che non può che essere inutile brodo allungato, del vecchio staff e dei vecchi creatori non vi è rimasta traccia: sopravvive solo il mecha designer originale, Shinji Aramaki, che si incarica di scrivere il soggetto per una nuova avventura. Difficile inventare altri misteri nella vita di Shogo e Yui dopo che tutti i segreti di Bahamut sono stati svelati, e per questo la soluzione più facile per Aramaki è quella di chiudere definitivamente quelle vicende e ripartire da zero, con una storia e dei personaggi nuovi di zecca e un'ambientazione temporale posta cronologicamente molto tempo dopo, addirittura un secolo! Del vecchio Megazone 23 rimane giusto l'idol cibernetica Eve, a fungere da legame di continuità e a fornire il simbolo di riconoscimento della saga.

Negli anni del boom modaiolo del cyberpunk, Aramaki ne attinge a piene mani per inventarsi un thriller abbastanza derivativo (pur con qualche sorpresa). Cento anni dopo gli avvenimenti precedenti, la razza umana ricostruisce la sua civiltà nell'avveniristica megalopoli di Eden, paradiso artificiale contraddistinto dalla schedatura di ogni singolo abitante, registrato in un immenso network chiamato System. Eiji Takanaka, abile hacker in possesso del Garland appartenuto a Shogo, si ritrova al centro di una violenta guerra urbana tra le due potenti compagnie che si contendono la supremazia tecnologica della città, e durante gli scontri, in cui finisce suo malgrado, arriverà a risvegliare Eve. La vicenda, ripartita in due episodi, pur vantando un soggetto accettabile, è scritta in modo svogliato e confuso, trovando un risultato scialbo, sia per la mancanza di un'adeguata presentazione del background fantascientifico, sia per un brutto montaggio che taglia impietosamente sequenze funzionali alla comprensione dell'intreccio, sia per l'assenza di una presentazione quantomeno decente dei personaggi, tutti approssimativi e superficiali, specialmente il flebile protagonista Eiji. Lento e verboso, Megazone Part III racconta essenzialmente di come il ragazzo si sposti da un luogo all'altro, divertendosi con gli amici o in sala giochi, hackerando il System, parlando al contempo del mondo che gli sta attorno (con numerose, irritanti e indecifrabili terminologie tecniche) e facendo il filo - giusto per non farsi mancare nulla - alla bella cameriera Ryo Narahara di cui è invaghito. La contestualizzazione del background e delle ambientazioni viene affidata  a queste sue interazioni, affrontate da lui con un senso di indifferenza tale che sembra per il ragazzo siano le cose più tranquille e rilassanti del mondo - come se non avesse alcun timore delle conseguenze dei suoi gesti.



Non mancano, certo, i soliti ingredienti: scene di nudo e sesso gratuite e gustose (seppur sobrie, molto meno esplicite rispetto a quelle dell'episodio 2, con buona pace del coraggio dimostrato precedentemente), momenti d'azione a bordo del Garland e sparatorie con altri robottoni, qualche canzoncina J-Pop (stavolta dimenticabile), una nuova coltre di interrogativi sulle finalità dei due gruppi industriali che si spartiscono Eden e antagonisti ambigui che fanno il verso al vecchio B.D. Purtroppo, tutto sa di già visto, ed è ulteriormente appesantito da una regia anonima. Il risultato è una noia generale, a cui contribuisce anche il comparto tecnico. Non che le animazioni siano mediocri, ma sono più da media serie TV dell'epoca che da OVA, non reggendo il confronto con l'orgia tecnica delle puntate precedenti - cosa dovuta sicuramente alla scelta di un'avventura più dialogata che action, ma rimane il fatto che almeno nelle scene di azione era doveroso aspettarsi qualcosa di più. Dal superlativo si passa così al buono, e decade per questo motivo anche la nota, grande qualità passata delle movenze di mecha e personaggi. Il totale cambio di staff comporta anche il rimpiazzo del musicista Shiro Sagisu con Keishi Urata, non minimamente in grado di reggerne l'eredità (colonna sonora, quindi, del tutto insignificante), e infine colpiscono in negativo anche i disegni, con l'arrivo, dopo Toshiki Hirano e Yasuomi Umetsu, di Hiroyuki Kitazume, che negli anni precedenti si è costruito la fama con il chara design di Mobile Suit Gundam ZZ (1986), de Il contrattacco di Char (1988) e degli artwork di Mobile Suit Z Gundam (1985) e di Gaia Gear (1987).

Pur stimando molto lo stile laccato ed elegante dell'artista, ritengo che in questo caso il suo tratto non sia per niente adatto alla storia, contribuendo a renderla ulteriormente soporifera: così pulito e laccato, il suo segno infreddolisce una trama già di suo fin troppo lenta. Se anche è vero che la celebrità della saga di Megazone 23 derivi anche dalla sperimentazione grafica di ogni episodio, Kitazume, altrimenti adattissimo in altri contesti, qui è abbastanza fuori posto, in una vicenda che cercherebbe di essere seria e tenebrosa ma sembra solo un thriller patinato e fighetto. Da salvare, dell'artista, giusto i primi piani delle splendide ragazze, ma negli uomini (specialmente il protagonista Eiji) le linee così perfettine sono terribili, e aumentano gravemente il già ben marcato senso generale di aridità.

Totale fallimento? No. A dispetto di scomodi paragoni col passato, comunque, Megazone 23 Parte III raggiunge una stentata sufficienza. Pur noiosetto e con personaggi-macchietta, in più riprese si ricorda di far parte di una saga di un certo prestigio, e sotto questo punto di vista di esso sono apprezzabili il soggetto nella sua interezza (nonostante la brutta sceneggiatura), i rimandi al passato e specialmente la scoperta, nel finale, di che ne è stato di un certo personaggio-chiave. La conclusione, poi, è quantomeno accettabile. Tutto poteva essere realizzato infinitamente meglio e con scelte più ponderate nella composizione dello staff, ma in definitiva anche questo atto conclusivo ha un motivo di esistere e vale la sua visione per completezza - con la consapevolezza, a posteriori, che è stato comunque un bene che la saga si sia conclusa in questo modo prima di sputtanarsi ulteriormente, per "merito" dei suoi incassi inferiori a quelli già deludenti del predecessore1.


Edizione italiana in DVD, a cura di Yamato Video, in linea con quelle precedenti: ottimo doppiaggio e adattamento, ma totale assenza di extra.

Voto: 6 su 10

PREQUEL
Megazone 23 Part I (1985; OVA)
Megazone 23 Part II (1986; OVA)


FONTI
1 Kappa Magazine n. 6, Star Comics, 1992, pag. 125

martedì 13 settembre 2011

Recensione: Megazone 23 Part II

MEGAZONE 23 PART II
Titolo originale: Megazone 23 Part II
Regia: Ichiro Itano
Soggetto: Noboru Ishiguro
Sceneggiatura: Hiroyuki Hoshiyama
Character Design: Yasuomi Umetsu, Haruhiko Mikimoto
Mechanical Design: Shinji Aramaki
Musiche: Shiro Sagisu
Studio: Artland, Artmic, AIC
Formato: OVA (durata 81 min. circa)
Anno di uscita: 1986
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Yamato Video


Proseguono le avventure di Shogo e Yui, braccati dai militari della Megazone 23 e ora entrati nel gruppo di biker sovversivi capitanato dal ragazzo. L'eroe non ne può più di vivere nella gigantesca realtà illusoria creata da Bahamut, e così prende finalmente la decisione, coi suoi compagni, di attaccare la gigantesca Intelligenza Artificiale, per distruggerla e svelare l'inganno al resto della popolazione giapponese. Scoppia dunque una violenta guerra urbana tra i ragazzi e i militari sotto il comando di B.D. I motociclisti non sanno, però, che nello stesso tempo la guerra tra Megazone 23 e gli invasori extraterrestri sta volgendo al termine, e a breve la razza umana verrà estinta...

Nel marzo 1985 deve aver sorpreso un po' tutti lo strepitoso successo commerciale di Megazone 23, OVA schiaffato in vendita senza troppe aspettative e che condensava il materiale di un'abortita serie televisiva (dal finale addirittura aperto!), ma che, nonostante,questo, ha saputo entrare di diritto tra i best seller degli anime a pagamento, fornendo ai produttori la convinzione che, sì, esisteva un pubblico capace di spendere decine di migliaia di yen per una VHS di animazione. Si crea, grazie alle sue ottime vendite, una nuova moda, che inizia a dare vita a titoli sempre più numerosi rilasciati direttamente nell'home video, e la parte del leone viene ricoperta in questo senso da Anime International Company, tra i produttori di Megazone 23 e di svariati altri lavori che saranno rilasciati quell'anno (tra cui il fondamentale primo episodio di Fight! Iczer-1). Il merito della popolarità di Megazone 23 sicuramente consisteva nella sua trama avveniristica, ma anche per ciò che ha rappresentato: con i suoi colori sgargianti, le superbe animazioni e i disegni fighettosi, tutto realizzato da buona parte degli artisti di Fortezza Super Dimensionale Macross (1982) che potevano tornare a lavorare su un progetto esteticamente molto affine, era l'opera dava ufficialmente il via all'emigrazione nel mercato casalingo della "Seconda generazione di registi", che potevano così esprimere la loro passione e poetica trovando validi acquirenti tra i loro simili, gli otaku. Inevitabile, perciò, che con questo successo, l'anno successivo fosse la stessa AIC a promuovere un seguito del suo cult, per dare alla storia la sua agognata conclusione. Per l'occasione torna buona parte dello stesso staff, a eccezione dei chara designer originali Toshiki Hirano (presumibilmente impegnato in Iczer-1 e negli altri OVA che nel 1986 portano la sua firma) e Haruhiko Mikimoto (il nome di quest'ultimo nei credits, messo lì solo per questioni legali e per ricordare chi ha creato l'idol Eve, non deve trarre in inganno).


Megazone 23 Part II, per quanto controverso e, probabilmente per questo, dalle vendite sensibilmente inferiori al capostipite1, nonostante tutto rimane un ottimo episodio, che può vantare il grosso merito di dare un finale sensato e soddisfacente alla storia. La critica più comune che lo riguarda concerne il cambio di disegni, in riferimento al nuovo stile che stravolge quello precedente come un pugno in un occhio: dalle forme solari, deformed e "infantili" di Hirano si passa alle fisionomie realistiche e underground del nuovo arrivato Yasuomi Umetsu. Per il recensore, questa scioccante trovata significa personalità: alla sua prima prova assoluta in questa mansione, Umetsu, futuro papà dei discussi A-Kite (1999) e Mezzo Forte (2000), trova quel segno caratteristico che lo contraddistinguerà e renderà celebre, delineando personaggi dai look estremamente adulti, sexy e carnosi che non per nulla gli spianeranno la strada per il mondo delle produzioni erotiche. Il design non ha nulla in comune con il predecessore, tanto che i due eroi, fisicamente, neanche si riconoscono (a Yui sono cambiati pure forma e colore dei capelli), ma i disegni rimangono d'autore e davvero non si può davvero negare l'originalità del raccontare la stessa storia filtrata, graficamente, dalla sensibilità di artisti diversi e così distanti.

Anche lo spirito della trama cambia completamente: dal thriller robotico si passa all'action puro, raccontando la guerra tra bikers e militari vissuta in una spettacolare guerra urbana che, con vertiginosi inseguimenti in moto, sparatorie ed esplosioni, vale da sola il prezzo del biglietto. A questa meraviglia danno vita, come sempre, fluidissime animazioni (si sente l'apporto del neo-entrato studio d'animazione AIC), un'avvincente regia, le martellanti tracce musicali di Shiro Sagisu, la solita grandinata di brani j-pop cantati dall'idol fittizia Eve e fanservice vario (mecha splendenti e dettagliati come da tradizione e distruzioni ovunque). Come nel primo episodio, non mancano neanche stavolta intermezzi adulti, addirittura enfatizzati dal seducente chara design di Umetsu: le esplicite scene di sesso e violenza sono presenti in dosi ancora più massicce e contribuiscono a immergere lo spettatore nelle cupe atmosfere del racconto,  tra militari eviscerati dagli alieni in impressionanti scene splatter e fatiscenti centri sociali nei quali bazzica il gruppo di biker di Shogo, dove sono di regola nuvoloni di fumo, fiumi di alcool e disinibizione sessuale. Non mancano neppure echi tominiani nella filosofia - un po' spicciola, bisogna dirlo - del ragazzo buono che detesta il mondo cinico degli adulti e gli si ribella, risaltato dal rapporto di ostilità tra Shogo e il militare "tutto d'un pezzo" B.D., machiavellico ma anche nostalgico per le pulsioni idealistiche giovanili, basato su scambi di battute che sembrano provenire da una classica serie televisiva Sunrise (e non per nulla lo sceneggiatore Hiroyuki Hoshiyama viene proprio da lì...).

Le rivelazioni di Eve e un evocativo finale, perfetto (si risolvono tutti i misteri di Bahamut e del programma ADAM), che non sente il bisogno del secondo seguito che verrà realizzato anni dopo, chiudono nel migliore dei modi una storia intrigante e ottimamente realizzata, che non avrà avuto il successo commmerciale del primo capitolo ma ha fatto la sua parte nel dare gloria al mondo dell'animazione home video, unico mercato, ormai, dove il robotico d'autore poteva ancora dire qualcosa nella seconda metà degli anni '80, visto che in TV era ormai sparito dopo il 1985.


Come per gli altri episodi di Megazone 23, anche il secondo gode in Italia di un'ottima edizione in DVD curata da Yamato Video, con video perfetto e ottimi doppiaggio e adattamento.

Voto: 8 su 10

PREQUEL
Megazone 23 Part I (1985; OVA)

SEQUEL
Megazone 23 Part III (1989; serie OVA)


FONTI
1 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 178

lunedì 12 settembre 2011

Recensione: Megazone 23 Part I

MEGAZONE 23 PART I
Titolo originale: Megazone 23
Regia: Noboru Ishiguro
Soggetto: Noboru Ishiguro
Sceneggiatura: Hiroyuki Hoshiyama
Character Design: Toshiki Hirano, Haruhiko Mikimoto
Mechanical Design: Hideki Kakinuma, Shinji Aramaki, Takeshi Miyao
Musiche: Shiro Sagisu
Studio: Artland, Artmic
Formato: OVA (durata 81 min. circa)
Anno di uscita: 1985
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Yamato Video


Nel Giappone degli anni '80 vive l'allegro motociclista Shogo Yahagi, che da un giorno all'altro si ritrova a possedere e guidare Garland, una velocissima moto trafugata da un amico in una base militare, all'occorrenza trasformabile in un potente robot. Presto, messo alle strette dall'esercito che cerca di ritrovare il suo prototipo, il ragazzo apprende da un ufficiale, B.D., una sconvolgente verità: lui e l'intera popolazione giapponese vivono inconsapevolmente in una gigantesca astronave, la Megazone 23, governata da una potentissima A.I., Bahamut, che li culla in una solare realtà fittizia attraverso le canzoni e le rassicurazioni di Eve Tokimatsuri, immaginaria idol locale. Il popolo non immagina di stare navigando nello spazio, né, tantomeno, che i militari li difendono, giorno per giorno, dagli attacchi di una sanguinaria razza aliena. Bahamut è stata programmata per motivi ignoti, e ora i militari, pur di hackerarla per sfruttarne i poteri bellici contro i sempre più agguerriti extraterrestri, non esitano a usare la violenza su Shogo e i suoi amici, in modo da far sparire gli scomodi testimoni della verità. Disgustato da loro e dagli adulti, il ragazzo decide di ribellarsi...

Siamo all'inizio del 1984, il periodo in cui l'industria animata giapponese sta ancora scommettendo sulla rivoluzione estetica inaugurata da Fortezza Super Dimensionale Macross (1982). Non convinti della sua bontà, neanche dopo lo splendido Do You Remember Love? uscito lo stesso anno, sponsor e produttori decidono infine di sondare il terreno, esiliandone gli adepti nell'appena nato mercato degli OVA. Nel tempo, la Storia darà ragione a Shoji Kawamori e Studio Nue e la loro rivoluzionaria concezione verrà sdoganata anche nelle produzioni televisive, ma questo non deve far dimenticare i grandi pionieri che proprio nell'home video hanno permesso, coi loro lavori, una simile trasformazione. La trilogia di Megazone 23 ne è uno degli esempi più prestigiosi e significativi.

Il progetto nasce verso la fine degli anni '70, ideato dal regista de La Corazzata Spaziale Yamato (1974), Noboru Ishiguro, con forti influenze dal racconto Universo (1963) di Robert A. Heinlein (anche se Ishiguro lo nega). Si inizia a pensare di farne una serie televisiva di 26 episodi, affidata allo studio Artmic, ma le cose vanno per le lunghe. Arriva quindi nel 1982 Macross, diretto sempre dal regista, che diventa quel successo che ben sappiamo: la formula di romanticismo, robottoni, idol e musica diventa una moda, tanto che uno dei principali produttori della serie, Tatsunoko, la ricicla già nel successivo Genesis Climber Mospeada (1983), e Ishiguro modifica il suo soggetto riversandovi dentro anche lui questi elementi. Omega Zone 23 (questo il titolo provvisorio), destinato a prendere il posto di Mospeada, è annunciato ufficialmente al pubblico nel settembre 1984. Nello staff scelto figurano numerosi elementi provenienti proprio da Macross, tra cui regista, animatori vari, uno degli sceneggiatori e l'indimenticabile chara designer Haruhiko Mikimoto. Peccato che all'ultimo momento lo sponsor principale della serie abbandoni il progetto, quando sono già stati impostati 13 episodi. Viene quindi deciso, senza molta convinzione e con tante frustrazioni, di condensare il succo di quel materiale - privo ovviamente di finale - in una sorta di film di 81 minuti, da immettere nel neonato mercato degli Original Video Anime1. Così avviene: il 9 marzo 1985 è distribuito nei negozi, con il suo titolo definitivo, Megazone 23, rivelandosi un enorme successo commerciale (è trasmesso anche al cinema2) e vendendo ben 216.000 VHS3. L'opera, insieme a Le avventure di Leda (altro campione di incassi che che esce lo stesso anno), dà quindi ufficialmente il via al boom dell'animazione home video4: gli otaku, cresciuti con i cartoni animati e che hanno trovato il paradiso nel citazionismo e nella fighetteria estetica di Macross, solo nel mercato casalingo potranno riassaporare quelle emozioni, con Megazone 23. E dopo di lui, tutti i successivi OVA, visti i suoi incassi, si rifaranno a questo spirito guida.


Allo stesso modo del cult di Studio Nue, anche Megazone 23 (il Part I nel titolo è stato aggiunto a posteriori, quando sono usciti i vari seguiti) sfrutta un altissimo budget - a opera del nuovo sponsor, Idol Co. - per creare una trama corposa e avveniristica, nuovamente capace di spaziare fra più generi, animata divinamente e con una cura maniacale in tutti gli aspetti estetici e musicali che, Shoji Kawamori insegna, devono solleticare i sensi agli spettatori. Come intuibile dalla sinossi, pur riciclando idee da Macross (l'astronave gigantesca che trasporta l'umanità, la idol) e Mospeada (la moto trasformabile in un robottone), l'opera rappresenta in verità, in modo assolutamente originale per l'epoca, un antenato del The Matrix (1999) americano, il primo lavoro animato a ipotizzare una realtà fittizia dove vivono, inconsciamente prigioniere per effetto di un lavaggio collettivo del cervello (cullate dall'edonistica società del consumismo sfrenato degli anni '80, nuova Età dell'Oro secondo lo staff otaku5), le persone. Di interesse storico è anche il suo essere il primo OVA robotico, ed è degno di nota come la sua storia, dipanandosi nei successivi due episodi, arriverà a coprire un arco temporale immaginario di oltre 100 anni, dando vita a un ideale precursore animato della saga cartacea The Five Star Stories di Mamoru Nagano.

Questo Megazone 23, che alla fine fungerà da primo episodio della trilogia, è decisamente il migliore del gruppo. Fornisce la lunga introduzione alla storia portante, raccontando le avventure di Shogo alla scoperta delle potenzialità del Garland e del segreto di Bahamut. Quasi un'ora e mezza di azione, romanticismo (la storia del ragazzo con la bella Yui Takanaka) e battaglie robotiche, conditi da numerosi, irresistibili brani musicali j-pop cantati da Eve, la bella idol creata da Bahamut per addomesticare le masse, fil rouge che unirà tutti gli episodi della saga (e le affinità con Macross, sia per il ruolo della ragazza che per il suo essere l'unico personaggio creato e disegnato da Haruhiko Mikimoto, diventano più palesi che mai). In special modo, in Megazone 23 bisogna menzionare il coraggio di Ishiguro nel non risparmiarsi in dialoghi adulti, sesso e violenza fredda e brutale, perfettamente integrati nel contesto e mai gratuiti, che hanno la loro importanza nel fare intuire ai produttori che, in un simile formato a pagamento, rivolto a chi può permettersi di spendere molti soldi in cartoni animati (di fatto, gli otaku nati con Macross), si può osare molto di più, si possono inserire tutte le scene esplicite che si vuole, per esigenze di trama (come in questo caso) e non solo (non è un caso se poco tempo dopo nasceranno prima gli OVA erotici, e poi quelli propriamente pornografici). Considerazioni storiche a parte, Megazone 23 è proprio scritto bene: anche se costretto a basarsi su un riassunto di una mai vista serie TV, e anche se nel contesto di una storia tronca, lo sceneggiatore Hiroyuki Hoshiyama riesce a caratterizzare adeguatamente gli attori, donando carisma al militare "tutto d'un pezzo" B.D., alla sensuale Yu e all'insofferente eroe Shogo. È comunque grandemente aiutato dallo spettacolo grafico del titolo, così avanzato da rappresentare il principale elemento di meraviglia della produzione.

Gli 81 minuti di Megazone 23 esprimono infatti al meglio lo stanziamento monetario di Idol Co.: animazioni fluide e incredibilmente vigorose (soprattutto nei fisicissimi scontri tra robottoni e nelle scene d'azione) accompagnano ogni sequenza con vette di totale spettacolarità, mentre i disegni, bellissimi, ammaliano grazie all'Arte di Toshiki Hirano, uno dei più grandi artisti della "dottrina Kawamori", il cui debutto avviene proprio con questo lavoro, aprendogli la strada al design di molti dei più famosi OVA del periodo. Pur sicuramente debitore al tratto poetico di Haruhiko Mikimoto, Hirano se ne discosta, assumendo una sua precisa e inconfondibile identità, con quelle sue tinte calde, i tratti dolcissimi e i corpi sexy e quasi inverosimili delle sue giovani adolescenti dagli occhi languidi - bene adattate alla moda del complesso di Lolita (lolicon) nato nei primi anni '80 in Giappone con i manga di Hideo Azuma. Così sensuali e particolareggiati, i personaggi di Hirano trasudano un'espressività impareggiabile. Da applausi anche il mechanical design di Shinji Aramaki: non solo nella consueta sboronaggine dei robottoni usati dai militari, ma anche per la riproduzione perfetta delle moto da corsa usate da Shogo e amici, i più famosi modelli dell'epoca di Suzuki, Honda, etc. La colonna sonora rock di Shiro Sagisu, infine, è trascinante come giustamente si conviene allo spirito della storia.


Nel complesso, quindi, prima ancora che opera storica di un certo peso, Megazone 23 è in primis un ottimo titolo animato, tecnicamente ed esteticamente irresistibile e dall'intrigante storia, che si configura senza ombra di dubbio come visione irrinunciabile - insieme al contemporaneo Fight! Iczer-1 e a Dangaioh del 1987 - per tutti coloro che sono interessati a riscoprire i più importanti OVA della Storia, quelli che nel periodo d'oro dell'animazione home video hanno reso grande come non mai la "Seconda Generazione di registi".

Nota: come Macross, anche Megazone 23 ha conosciuto un tristissimo destino nel mercato statunitense, acquistato sempre da Harmony Gold, riscritto nuovamente in trama e dialoghi e fuso, per l'ennesima volta, a segmenti di Super Dimension Cavalry Southern Cross (1984). Da questo collage nasce l'orribile Robotech: The Movie (1986), film per cui addirittura lo studio d'animazione AIC ha creato, contattato dai produttori americani, un happy ending lungo 10 minuti (estremamente ben fatto, bisogna ammetterlo, non sembra affatto un'aggiunta a posteriori), visto che per questi ultimi la conclusione originale, tra l'altro aperta, era troppo oscura e inadatta al loro pubblico6. Almeno noi italiani abbiamo avuto più fortuna, visto che Yamato Video ha editato l'intera saga di Megazone 23 in 3 ottimi DVD, con video, adattamento e doppiaggio adeguati. Si sente la mancanza di contenuti speciali concreti (nessun accenno alla travagliata produzione dell'OVA), ma almeno ci si consola con il finale americano del primo episodio, visionabile come extra nel DVD di Megazone 23 Part II.

Voto: 8 su 10

SEQUEL
Megazone 23 Part II (1986; OVA)
Megazone 23 Part III (1989; serie OVA)


FONTI
1 Questi retroscena sono riportati nella pagina web "The Memory of Matrix: Megazone 23", http://www.robotech.patlabor.info/megazone.htm. L'info di Megazone 23 nato originariamente come serie TV è confermata anche dal saggio "Anime al cinema" (Francesco Prandoni, Yamato Video, 1999, pag. 116) 
2 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 178
3 Pagina web "The Memory of Matrix: Robotech The Movie Production History", http://www.robotech.patlabor.info/production.htm
4 Francesco Prandoni, "Anime al cinema", Yamato Video, 1999, pag. 115 
5 Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)
6 Vedere punto 3

mercoledì 26 gennaio 2011

Recensione: Mobile Suit Gundam 0080 - War in the Pocket

MOBILE SUIT GUNDAM 0080: WAR IN THE POCKET
Titolo originale: Kidō Senshi Gundam 0080 - Pocket no Naka no Senso
Regia: Fumihiko Takayama
Soggetto: Hajime Yatate
Sceneggiatura: Hiroyuki Yamaga, Kyousuke Yuuki
Character Design: Haruhiko Mikimoto
Mechanical Design: Kunio Okawara (originale), Yutaka Izubuchi
Musiche: Tetsuro Kashibuchi
Studio: Sunrise
Formato: serie OVA di 6 episodi (durata ep. 30 min. circa)
Anno di uscita: 1989


Era Spaziale, fine dell'anno 0079. La Guerra Di Un Anno tra il Principato di Zeon e la Federazione Terrestre volge ormai al termine. Nella colonia di Side 6, apparentemente neutrale, sta venendo collaudato dai federali l'RX-78NT-1, un Gundam specificatamente designato per i Newtype, con l'idea di affiancarlo presto a quello pilotato da Amuro Ray per fare la sua parte nella battaglia finale. Tuttavia i Cyclops, i servizi segreti nemici, non vogliono stare ad aspettare la loro rovina e, per questo, si infiltrano nella colonia per distruggere in tempo la minaccia. Tre saranno gli attori principali di questa battaglia in piccolo che culminerà nella tragedia: la spia zeoniana Bernard Wiseman; la bella Christina Mackenzie, pilotessa del Gundam e di cui Bernie è innamorato (contraccambiato), ignorando il ruolo della ragazza; e il piccolo Alfred Izuruha, abitante della colonia e amico di entrambi, affascinato dall'epica della guerra e dalla possibilità di vedere combattere dei Mobile Suit.

War in the Pocket è davvero un Gundam che non ci si aspetta, bellissimo e lontano dai canoni. Nel 1988 Bandai e Sunrise, dopo aver realizzato nel complesso un buon incasso con Mobile Suit Gundam: Il contrattacco di Char (1987), lungometraggio nato per chiudere per sempre il franchise, decidono di tornare sui propri passi. Le precedenti serie televisive, funestate dai bassi ascolti, hanno dimostrato che il pubblico, che fosse composto da adulti, da otaku, da bambini o da nostalgici appassionati dell'indimenticabile, primissima serie del 1979, non ha gradito intrecci esageratamente complessi, mecha trasformabili e improbabili (in contrapposizione a quelli sobri e credibili della serie madre) e comicità infantile. Viene perciò deciso di riesumare il franchise nel mercato dell'home video, per celebrare il decimo anniversario della nascita della saga1, e per questa occasione produttore e studio decidono di riavvicinare gli adulti e i fan storici allo spirito del Gundam capostipite, creandone una storia collaterale ambientata durante le ultime fasi della Guerra Di Un Anno tra Federazione Terrestre e Zeon e rimuovendo sceneggiature cervellotiche, robot eccessivamente spettacolari, poteri ESP dei Newtype sempre più soprannaturali, Cyber Newtype, tecno-bubbole, schianti di colonie e amenità assortite2. Il nuovo Gundam dev'essere schietto, semplice e sincero, basato, come ai tempi d'oro, su personaggi più che su epiche battaglie. Con tutte queste premesse, Sunrise mette insieme uno staff nuovo di zecca e gli dà carta bianca nel creare quello che sente più affine all'originale, e ne esce così il primo titolo della saga in cui non solo l'apporto del creatore originale, Yoshiyuki Tomino, è nullo, ma, addirittura, non se ne rimpiange l'assenza: Mobile Suit Gundam 0080 - War in the Pocket, 6 OVA dalle qualità tecniche e narrative addirittura eccelse, che danno vita al terzo capolavoro gundamico che chiude nel migliore dei modi gli anni '80 del Novecento.

Rottura col passato, questa è la dichiarazione d'intenti degli sceneggiatori Hiroyuki Yamaga e Kyousuke Yuuki nello scrivere un Gundam mai visto prima: pochi combattimenti tra robot, zero senso di epicità, zero Newtype o emuli di Char e Amuro. Il titolo, insolito, e la opening giocosa ben esemplificano i contenuti della storia: La guerra in tasca, metaforizzata nel tenero undicenne Alfred che, come tutti i bambini della sua età, cresce coi soldatini e sogna di diventare un asso nel pilotare qualche splendente Mobile Suit, magari il fighissimo Zaku che tanto ama. In tasca gli entreranno invece i gradi del Principato, che attesteranno la sua temporanea appartenenza ai servizi segreti di Zeon, i cui uomini sono appena entrati nella colonia. Preso il tutto come un'avventura fantasmagorica (anche grazie al rapporto di complicità che si instaura praticamente subito con lo zeoniano Bernie), Alfred si darà attivamente da fare per aiutare i suoi nuovi amici a raccogliere informazioni per distruggere il Gundam custodito nel posto, ignaro che il suo operato darà forte contributo alla violenza che si abbatterà sul luogo e che, nel suo straziante culmine, gli farà capire quanto sia in realtà spaventosa la guerra.


Gundam 0080 è il primo Gundam non ambientato nei campi di battaglia e non raccontato dal punto di vista dei soldati: ha invece luogo dentro una colonia pacifica, e il suo protagonista è un bambino (non un ragazzo come Amuro o Kamille Bidan) che non pilota alcun mezzo, un semplice civile, puro spettatore della guerra, innamorato, com'è ovvio, del suo lato "eroico". Come intuibile, la vittima maggiore del bagno di sangue che si consumerà sarà proprio la sua innocenza, la cui crudele perdita lo porterà a diventare un uomo ben prima del previsto. Accostabile per più di un verso, come tematiche principali, al bel lungometraggio storico-drammatico di Steven Spielberg uscito un paio di anni prima, L'Impero del Sole (citato, del resto, dal co-sceneggiatore Kyousuke Yuuki come fonte d'ispirazione3), War in the Pocket è una miniserie inevitabilmente tragica e commovente: la storia di un'amicizia profonda e di un amore in procinto di sbocciare (tra Bernie e Christina), che dovranno scontrarsi col lato più brutale delle ostilità, quello della contrapposizione nemico/amico che può solo rovinare le persone che sognano una vita tranquilla. Parliamo di un dramma pacifista delicato e toccante, elegantemente diretto, che racconta la sua storia con grande semplicità e linearità, dotando i suoi personaggi di un grande spessore psicologico che li rende umani come non mai, e che trova tutta la grandezza nei messaggi, nello splendido cast e nella straordinaria cornice grafica.

I superlativi disegni sono opera di un ritrovato Haruhiko Mikimoto, l'indimenticabile artista dietro a Fortezza Super Dimensionale Macross (1982), Do You Remember Love? (1984) e Punta al top! GunBuster (1988). Sfruttato, fino a quel momento, da Sunrise unicamente per illustrare romanzi e artwork ufficiali legati al mondo di Gundam, Mikimoto può finalmente scolpire anche il suo nome tra i grandi BIG del disegno che hanno lavorato sulle incarnazioni animate del Mobile Suit bianco più famoso del globo. Le atmosfere sognanti della vicenda, vissute dal punto di vista di Alfred, sono splendidamente rese dal pennino dell'artista, che con cromatismi caldi, a tratti ustionanti, e una bravura eccezionale nel rendere espressivi i sentimenti visivi dei personaggi, per l'ennesima volta caratterizza i toni della storia con uno una poesia estetica paragonabile a tavole di acquerello animate di vita propria. Le tinte calde e le raffinata bellezza profuse da Mikimoto in corporature, visi ed espressioni facciali, contribuiscono a far risaltare con ancora più shock e crudezza i momenti cupi della trama, quando il sangue inizia a scorrere nella vita dello scioccato ragazzino e il suo sogno si tramuta in un incubo.

Accettata la dubbia credibilità dello spunto della vicenda (ossia i servizi segreti zeoniani che prendono con loro un bambino che li ha appena scoperti, piuttosto che toglierlo di mezzo come scomodo testimone), presupposto su cui bisogna necessariamente sospendere l'incredulità, pena l'implosione della storia (ma al contempo, non c'era probabilmente altro modo per raccontare una simile storia interrazziale), c'è ben poco da recriminare su questa piccola gemma. Si potrà certo dire che il pacifismo sbandierato così esplicitamente, con tanto di accompagnamento musicale strappalacrime, forse non sarà molto rispettoso del pensiero di Tomino (il suo primo Gundam era sicuramente critico sul militarismo, ma certo non si azzardava a dire che era stato uno sbaglio combattere la Guerra Di Un Anno, dal momento che entrambe le parti avevano le loro giustificate ragioni per parteciparvi), ma francamente, visto quali "degenerazioni" della sua poetica verranno portate avanti nel tempo da Sunrise con Gundam molto più "traditori", si può tranquillamente dire che War in the Pocket ha ereditato, dal creatore originale della saga (che non per nulla lo loderà pubblicamente, pur non rinunciando a criticare, come sempre, l'eccessivo realismo negli elementi mecha4), gli intenti di raccontare più il dramma umano del conflitto, che non il corollario di distruzioni spettacolari e combattimenti che esso comporta.

A tale riguardo, forse l'unico difetto concreto da rinfacciare alla produzione consiste nelle (pur) poche sequenze di battaglia, basate sui soliti Mobile Suit federali e zeoniani che si affrontano in taluni momenti. Questi inserti sono l'ovvia esigenza dallo sponsor Bandai, che li ha imposti per vendere una nuova linea di modellini basata sui nuovi robot che appaiono nella storia. Quali nuovi robot, visto che la serie replica le unità già viste un decennio prima nella prima serie? Tutti, visto che in questo lavoro sono riaggiornati dal mecha designer Yutaka Izubuchi, che rovina un po' la coerenza fantascientifica della prima serie offrendo gli stessi Mobile Suit vistosamente carichi di dettagli meccanici in più (ovviamente mai visti nell'originale)5. Non si capisce il perché di questa mossa, abbastanza inutile e che stona col ricercato impianto umano della trama, anche contando che i prezzi di vendita dei 6 OVA, all'epoca, già bastavano da soli a rifarsi abbondantemente delle spese di produzione del progetto (e infatti, con le sue grandi qualità, War in the Pocket venderà in madrepatria la bellezza di mezzo milione di VHS6), senza doversi ridurre a sfruttare questo dramma anche per ampliare il solito merchandising legato ai modellini.


Imposizioni inopportune dello sponsor a parte, War in the Pocket rimane un piccolo capolavoro che vive per trasmettere la sua morale, e in questo centra il bersaglio grazie al cast sopraffino e a dialoghi talmente umani da tridimensionalizzare e rendere memorabili i protagonisti della sua tragedia: coinvolge come non mai e nel finale è impossibile che non strappi una lacrimuccia. Visione obbligata, insomma, per qualunque appassionato del mezzo animato e non solo, e speriamo che un giorno Dynit si decida a distribuirlo in Italia.

Voto: 9 su 10

PREQUEL
Mobile Suit Gundam: The Origin (2015-2016; serie OVA)
Mobile Suit Gundam (1979-1980; TV)
Mobile Suit Gundam The Movie I (1981; film)
Mobile Suit Gundam The Movie II: Soldati del dolore (1981; film)
Mobile Suit Gundam The Movie III: Incontro nello spazio (1982; film)
Mobile Suit Gundam MS IGLOO 2: The Gravity Front (2008-2009; serie OVA)
Mobile Suit Gundam MS IGLOO: The Hidden One-Year War (2004; corti)
Gundam Evolve../ 01 RX-78-2 Gundam (2001; OVA)
Mobile Suit Gundam Thunderbolt (2015-2016; serie ONA)

SEQUEL
Mobile Suit Gundam: The 08TH MS Team (1996-1999; serie OVA)
Mobile Suit Z Gundam (1985-1986; TV)
Gundam Evolve../ 12 RMS-099 Rick Dias (2005; OVA)
Gundam Neo Experience 0087: Green Divers (2001; corto)
Mobile Suit Gundam ZZ (1986-1987; TV)
Mobile Suit Gundam: Il contrattacco di Char (1988; film)
Mobile Suit Gundam Unicorn (2010-2014; serie OVA)
Mobile Suit Gundam Unicorn RE:0096 (2016; TV)
Mobile Suit Gundam Unicorn: One of Seventy Two (2013; corto)
Mobile Suit Gundam F91 (1991; film)
Mobile Suit Victory Gundam (1993-1994; TV)
∀ Gundam Called Turn "A" Gundam (1999-2000; TV)
∀ Gundam I: Earth Light (2002; film)
∀ Gundam II: Moonlight Butterfly (2002; film)
Gundam: Reconguista in G (2014-2015; TV)
Gundam: Reconguista in G - From the Past to the Future (2016; corto)


FONTI
1 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 204
2 Kappa Magazine n. 16, Star Comics, 1993, pag. 114
3 Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)
4 Come sopra
5 Vedere punto 2, a pag. 115
6 Vedere punto 3

lunedì 20 settembre 2010

Recensione: Punta al top! GunBuster

PUNTA AL TOP! GUNBUSTER
Titolo originale: Top Wo Nerae!
Regia: Hideaki Anno
Soggetto & sceneggiatura: Toshio Okada
Character Design: Haruhiko Mikimoto (originale), Toshiyuki Kubooka
Mechanical Design: Kazutaka Miyatake, Kouichi Ohata
Musiche: Kouhei Tanaka
Studio: GAINAX
Formato: serie OVA di 6 episodi (durata ep. 30 min. circa)
Anni di uscita: 1988 - 1989
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Dynit

 
Anno 2023: Noriko Takaya, figlia di un defunto ammiraglio della flotta spaziale terrestre, si iscrive alla scuola di pilotesse di Okinawa per poter pilotare gli RX-7, armi da guerra antropomorfe, con il fine ultimo di entrare a far parte dell'esercito in lotta contro una spaventosa invasione extraterrestre. Il suo insegnante, Koichiro Ota, scopre in lei e nella studentessa Kazumi Amano dei talenti incredibili: decide che saranno loro a pilotare in futuro il gigantesco robot GunBuster, arma segreta per sconfiggere gli alieni...

Titolo dall'importanza storica fondamentale GunBuster, miniserie OVA che nel 1988 diventa rappresentante imprescindibile della filosofia dello studio GAINAX. Il secondo lavoro di quello che diventa, in futuro, uno degli studios più importanti e acclamati del mondo, ma il primo veramente rappresentativo delle innovazioni e della poetica che sono fondate e poi portate avanti da Hideaki Anno e soci. Il titolo originale, già un programma (richiamo all'anime Aim for the Ace!, in Italia Jenny la tennista), ben ne sintetizza il contenuto: GunBuster è, a tutti gli effetti, figlio della rivoluzione culturale di Macross, sapiente opera di rielaborazione, da parte della "seconda generazione di registi" cresciuta con gli anime e non più con il cinema, di tutti gli stilemi e le tendenze viste e assimilate in oltre vent'anni di animazione, al servizio di una storia colma di citazioni e fanservice di ogni tipo per deliziare il palato agli appassionati. Ecco dunque un'inedita rilettura mecha, nel primo episodio, di Aim for the Ace!, per poi ritrovare echi di Gundam (il look del coach Ota, palesemente debitrice a Char Aznable), Getter Robot (il robottone componibile), Ideon (l'eyecatch, gli attacchi del Gunbuster), etc.

Facile lasciarsi ingannare dalla banale premessa del gruppo di eroine che affronta un'invasione di mostri spaziali, non degnando l'opera del giusto interesse: il focus della storia non è questo e, anzi, i perchè e per come del conflitto sono volutamente trascurati. GunBuster è essenzialmente la storia delle protagoniste Noriko e Kazumi alle prese con la loro vita privata, spesso in conflitto con le missioni militari che le vedono impegnate. Questo perché l'intero background fantascientifico ruota attorno alla teoria della relatività di Einstein, secondo cui il tempo scorre in modo completamente diverso per chi si muove a velocità prossime a quella della luce. In altri termini: più volte le due compiono balzi nell'iperspazio durante le ostilità, e la cosa ha così ripercussioni nelle leggi temporali della Terra e dei suoi abitanti, che invecchiano più o meno velocemente a seconda di quanto le due stanno lontano da casa. Le conseguenze per ciò che concerne i loro rapporti interpersonali sono immaginabili. Idea fonte di inesauribili sviluppi e la cui influenza dopo GunBuster è purtroppo relativa, ma che comunque è sfruttata benissimo per creare numerose situazioni intriganti e un finale intenso che ha ormai fatto la Storia dell'animazione. È, insieme alla realistica fisica di ballonzonamento dei seni delle ragazze (idea che poi, utilizzata dallo stesso studio altrove, conia il vocabolo "GAINAX bounce"), il vero elemento di rilievo di una storia che, pur geniale, non è sviluppata a dovere.


GunBuster fallisce, infatti, totalmente nel far immedesimare lo spettatore con la sua eroina. Noriko è troppo irritante, un'insopportabile piagnona che rende impossibile empatizzare con lei prendendo sul serio le sue disgrazie e i fatti drammatici che la vedono coinvolta. Anche il resto del cast rimane sul generico, e infine, anche se rielaborati, gli stereotipi che GunBuster omaggia rimangono tali a prescindere dalla citazione, portando quindi a una visione abbastanza sobria e mai troppo coinvolta, se si escludono quei due episodi in cui appare e combatte, in tutta la sua magnificenza, il gigantesco robottone che dà nome all'opera. Sopperiscono alla freddezza narrativa le splendide animazioni, sinuose e di grande realismo come solo negli anni 80 si potevano fare, e sopratutto l'acclamatissimo chara design di un Haruhiko Mikimoto al top della sua arte, con disegni che sembrano nuovamente acquerelli che prendono vita, caldi e sensuali. Elementi che garantiscono almeno una visione di grande suggestione visiva e che, insieme all'episodio conclusivo, magistrale, retto su un suggestivo b/n e diverse soluzioni registiche geniali, dispensano un climax clamoroso parzialmente capace di non far rimpiangere troppo la prima parte dell'opera. Difetti o meno, Punta al Top! è, a parere di chi scrive, diventato un cult più per originalità che reali meriti narrativi. Però, anche guardata oggi la prima opera cult di Hideaki Anno intrattiene con dovizia, e, pur non eccellendo, rappresenta una prova d'autore di tutto rispetto che, breve e importante com'è, rimane caldamente consigliata.


Nota: in Italia, come nel resto del mondo, GunBuster esce ufficialmente solo in sola lingua originale con sottotitoli. Causa di questo, che impedirà per sempre all'opera di venire doppiata, la perdita, da parte di GAINAX, dei master originali contenenti la traccia audio dei dialoghi.

Voto: 7 su 10

SIDE-STORY
Punta al Top 2! Diebuster (2004-2006; ova)

SEQUEL
GunBuster VS Diebuster Aim For The Top! The GATTAI!!! Movie (2007; film)

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