venerdì 29 aprile 2011

Recensione: Puella Magi Madoka Magica

PUELLA MAGI MADOKA MAGICA
Titolo originale: Mahō Shōjo Madoka Magica
Regia: Akiyuki Shinbo
Soggetto: Magica Quartet (Akiyuki Shinbo, Gen Urobuchi, Ume Aoki, studio SHAFT)
Sceneggiatura: Gen Urobuchi
Character Design: Ume Aoki (originale), Takahiro Kishida
Musiche: Yuki Kajiura
Studio: SHAFT
Formato: serie televisiva di 12 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2011
Disponibilità: edizione italiana in dvd & blu-ray a cura di Dynit


Le vite delle giovanissime Madoka e Sayaka cambieranno per sempre quando le due si troveranno, per puro caso, a salvare una buffa bestiola magica, Kyubey, da una loro introversa coetanea, Homura, che intende ucciderla. La creatura vede nelle ragazzine delle potenziali Puella Magi, guerrere magiche il cui scopo è uccidere le streghe che vessano il mondo con loro influsso e che sono all'origine delle recenti ondate di suicidi e omicidi. Kyubei offre alle bambine di diventarlo: in cambio di una vita intera dedicata a combattere le fatucchiere nella loro dimensione malvagia, potranno vedere esaudito un qualsiasi desiderio. Qual è il motivo, allora, per cui Homura, anch'essa una Puella Magi, cercava di uccidere Kyubey? E cos'è che la lega a Madoka?

Puella Magi Madoka Magica è, nel 2011, la consueta produzione animata sulla bocca di tutti, il più importante successo dell'anno che dà via a un nuovo fenomeno di costume e un imponente merchandising comprensivo di manga, novel, film e ipotizzati progetti futuri. All'origine di tanta popolarità non si possono certo ignorare i suoi elementi di sicuro richiamo commerciale - tra la OST operistica di una compositrice amatissima e uno splendido aspetto grafico -, ma certo il principale punto di forza dell'opera non può non risiedere nell'originalità di aver voluto rivoluzionare il classico, dimenticato genere majokko tutto sorrisi e cuoricini trasformandolo  in una sadica, tenebrosa e annichilente storia dark. Madoka Magica è la cupa reinvenzione delle classiche serie delle "maghette" che spopolavano negli anni Ottanta, quelle delle giovanissime protagoniste dalle faccine kawaii, delle cottarelle infantili, delle bacchette magiche, larghi sorrisi e aiutanti magici; elementi che sono ripresi e snaturati dallo scrittore nichilista Gen Urobuchi, che li disfa dalla loro originale valenza buonista/positiva rovesciandone la chiave di lettura, in una storia horror che dispensa morti di età scolare, pianti di dolore, atmosfere depressive e stregoneria. L'occasione di stravolgere il genere premendo sul pedale della cattiveria pura, ogni carta viene giocata per rendere sempre più alto il body count che martorizza in breve tempo il giovanissimo cast di eroine. Madoka Magica, più che la storia di tenere maghette che affrontano inquietanti streghe, è il racconto della loro lotta contro il proprio destino, in cerca di una vita normale ma impossibilitate a ritornarci visto il patto stretto con l'inquietante Kyubei, spiazzante e cinica spalla che all'occorrenza è anche villain. Se negli anni '80 la magia, nel majokko, simboleggia per le sue eroine l'occasione di scoprire il mondo per affrontare con coraggio e consapevolezza il proprio futuro, Akiyuki Shinbo e Gen Urobuchi ne propongono la spiazzante antitesi: è invece il male, simbolo di morte che azzera ogni progetto.

Una perfida dissacrazione che, nel contesto del suo soggetto ambizioso, comprensivo anche di viaggi nel tempo, paradossi temporali, rivistazioni storiche e atmosfere apocalittiche - per presentare una storia anche più felicemente complessa di quanto possa inizialmente apparire -, invoglia lo studio SHAFT a investire qualche yen più del solito per cercare un target più largo possibile. È così che va inquadrata la presenza nello staff della celeberrima tastierista Yuki Kajiura, a suo agio nella sua solita, impareggiabile, abusatissima ma deliziosa minestra di brani orchestrali e cori femminili - con grande enfasi su flauto e xilofono - che tanto potere magnetico attrae sulle sue legioni di fan urlanti. Sempre al pubblico femminile SHAFT rivolge anche le capacità artistiche del suo regista prediletto Akiyuki Shinbo, ancora una volta esemplare nell'ammaliare l'occhio con visionari collage di arte tipografica e inserti live, infondendo vita ai psichedelici scenari da incubo in cui si trovano a combattere le protagoniste, dentro architetture "impossibili" strabordanti di dettagli, motivi e creature che si attorcigliano tra di loro in un'orgia di animazioni pittoresche e sulfuree. Torte, vestiti, scope, televisioni, forbici, baffi e ogni genere di follia sono le mostruosità che si muovono in modo convulso nelle inquietanti dimensioni dove vivono le streghe affrontate dalle Puella Magi, visioni da incubo che spaventano e suggestionano ricordando più di una volta certe visioni oscure di Tim Burton.

 

Il limite di Puella Magi Madoka Magica è quello di riporre tutte le frecce del suo arco nella sua sola, portentosa originalità, dimenticando di curare un aspetto basilare di qualsiasi buona storia come la caratterizzazione dei personaggi. Per quanto, dal punto di vista dell'atmosfera, tutto sembri inizialmente intrigante, per merito sia della cupezza della storia che per il chara design minimalista e tenerissimo (scelta sagace per contribuire maggiormente allo shock nel momento delle scene di violenza), certe debolezze di script, certi pressapochismi non tardano a fare capolino. Tutto il cast non solo si ritrova martoriato da personalità dimenticabili, ma è pure antipatico: le bambine stanno quasi sempre a piangere e a ripetersi quanto sono sfortunate (sopratutto l'odiosa protagonista Madoka), diventando immediatamente tediose al punto tale che viene spontaneo disinteressarsi ai loro problemi, non riuscire più a trovare credibili i loro drammi vista l'enfasi esagerata che viene posta su di loro, in ogni occasione. Ma, e questo è il peggio, trovano tutte uno straccio di caratterizzazione e redenzione solo nel momento fatidico di morire, furba trovata per aumentare il pathos. Cessata l'iniziale impressione positiva per la scelta, sicuramente coraggiosa, di massacrare tenere bambine, i decessi successivi, per la loro ripetizione costante, prevedibile e del tutto gratuita e immotivata, stancano e comunicano ben poco, incidendo negativamente sul finale che, cercando di essere commovente a ogni costo con ogni artizio possibile, manca clamorosamente il segno. Inconcepibile poi, nonostante la cattiveria generale, l'assurda assenza di scene splatter, artifizio che avrebbe aumentato ancor più il lato cupo di una vicenda che vive solo per quello, enfatizzando l'orrore di queste poverette costrette controvoglia a combattere mostri e finire sbranate da loro. Evidentemente il rating faceva ancora più paura del soggetto allo staff SHAFT.

Da aggiungere poi la cura discontinua da parte di SHAFT negli aspetti squisitamente tecnici: Madoka Magica è apparentemente animato nella media, ma la qualità stessa delle animazioni in più occasioni va dall'ottimo all'estremamente mediocre, con punte di orrore in casi eclatanti (come gli orribili primi piani di piedi che camminano con movenze ridicole). Fortuna che almeno il budget risplende nelle veloci, spettacolari scene d'azione su cui non si può rimproverare nulla. Nonostante tutto sarebbe infelice liquidare Madoka Magica come un fallimento tout court: elementi di assoluto interesse ci sono, così come idee innovative (ad esempio il ruolo atipico assunto dalla protagonista Madoka, che rispetto alle sue amiche sembra non voler diventare una Puella Magi, limitandosi ad assistere alle loro prodezze in battaglia), musiche evocative e suggestive location. La perfidia dello script, poi, è talmente spiazzante da garantire una visione curiosa almeno per 3/4 di serie. È la conclusione senza mordente che ridimensiona abbastanza il giudizio positivo, basata su una drammaticizzazione esagerata degli eventi che non riesce a esprimersi pienamente per colpa delle protagoniste davvero dimenticabili e per nulla tridimensionali. Rimane da sè che Madoka Magica merita chiaramente la sua fama, i complimenti rivolti sulla trama sono ben meritati (tra i tanti cori entusiasti, anche Mamoru Oshii e Hideaki Anno), e anche se una produzione non perfetta, a mio modo di vedere, non le si può negare la sua grande carica di freschezza.


 
Edizione italiana a cura di Dynit da leccarsi i baffi. Il buon doppiaggio è solo il fiore all'occhiello di una delle edizioni più prestigiose che il mercato italiano abbia mai conosciuto, sopratutto in riferimento alla Limited Fan Edition che contempla, in tre mega box, tutti i dvd, tutti i blu-ray, la colonna sonora, un booklet con interviste, un'action figure e card da collezione. Dei tre lungometraggi usciti a posteriori e che sono tutti distribuiti da Dynit, i primi due rappresentano immancabili recap su cui si può sorvolare, mentre il terzo (La storia della ribellione) una storia inedita che troverà prosieguo in una nuova serie tv.

Voto: 7 su 10

ALTERNATE RETELLING
Puella Magi Madoka Magica Movie 1: L'inizio (2012; film)
Puella Magi Madoka Magica Movie 2: La storia eterna (2012; film)

mercoledì 27 aprile 2011

Recensione: I cinque samurai - Message

I CINQUE SAMURAI: MESSAGE
Titolo originale: Yoroiden Samurai Troopers - Message
Regia: Shigeru Ikeda
Soggetto: Hajime Yatate
Sceneggiatura: Shigeru Ikeda
Character Design: Norio Shioyama
Armor Design: Hideo Okamoto
Musiche: Osamu Totsuka
Studio: Sunrise
Formato: serie OVA di 5 episodi (durata ep. 27 min. circa)
Anno di uscita: 1991
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Yamato Video

 
Molto tempo è ormai passato dalla distruzione delle cinque armature e le strade dei cinque eroi, Nasty e Jun si sono completamente divise. Ci pensa un inquietante manoscritto rinvenuto da Toma a farli riunire: sembra che le loro avventure, le loro battaglie, le loro sofferenze e i loro sacrifici fossero già scritti dal destino, in quanto rappresentati teatralmente secoli prima. Dilaniati dall'angoscia e da dubbi esistenziali, i ragazzi si rinchiudono in se stessi isolandosi completamente, trovando così terreno fertile per gli inquietanti propositi di Suzanagi, misteriosa donna il cui triste passato l'ha portata a voler distruggere il mondo degli umani...

È ben raro trovare un alto voto dato a una produzione fatta con due soldi, addirittura incredibile se tale opera risulta composta per l'80% da immagini di repertorio riciclate dalle precedenti incarnazioni animate de I cinque samurai. Nonostante questo Message esiste, è di un certo livello artistico, e pur fatto al risparmio si rivela la migliore puntata in assoluto della saga, superiore anche all'originale. Impregnato di un'efficace atmosfera malinconica, si riconduce essenzialmente a cinque episodi più o meno identici, dove in ciascuno di essi la bella e misteriosa Suzanagi avvicina uno dei cinque samurai e si mette a rivangarne insieme il passato di combattente (qui l'opera di recap), affrontato dal suo personale punto di vista, per convincerlo attraverso lusinghe, inganni o violenza a risvegliare la sua armatura. A leggere il soggetto, un banale pretesto per rifilare una minestra allungata a dismisura con clip show e questo, da un certo punto di vista, non è distante dalla realtà. A controbilanciare però l'apparente banalità della trama ci pensano uno stuolo di elementi di assoluto valore: Message è in più punti toccante grazie alle tristi atmosfere evocate, addirittura straziante nel climax finale che cambia per sempre la storyline impedendo qualsiasi nuovo, ulteriore spin-off.

Gratifica poi l'abbondante uso di materia grigia che si rende necessario a decifrare la storia, basata com'è su affascinanti sequenze oniriche e condotto su un elevato registro linguistico (toni aulici ed estetizzanti) che sembra fantascienza rispetto ai classici dialoghi spigliati marchio della saga: un'incredibile sorpresa, che rende autoriale quella che è sempre stata un'ordinaria serie di combattimenti con protagonisti banali. Le iterazioni tra Suzanagi e il samurai di turno diventano infatti l'occasione per caratterizzare in modo definitivo gli eroi, che attraverso monologhi esistenziali trovano finalmente quella tridimensionalità da loro sempre ricercata. Ma sopratutto, complice un accompagnamento musicale maestoso e una ending bellissima e poetica (Tsukamaete Ite di Kaori Honma), ci si sente emotivamente coinvolti dal toccante passato del tragico villain, questa sofferente donna che ha vissuto una vita all'insegna del dolore e ora vuole distruggere il mondo per cancellare la sofferenza umana.


La forza espressiva di Message è sbalorditiva: è sicuramente da demonizzare il suo 75% di immagini riciclate da serie tv e OVA precedenti, ma riesce nell'impresa di sfruttarli nel contesto di un soggetto ambizioso e riuscito, una storia essenzialmente drammatica e toccante con sprazzi visionari e onirici. Troppo lungo, in più di un'occasione anche pesante e difficile da seguire, ma indimenticabile nel suo commovente, intenso ed epico finale. Da ricordare ancora l'intensa regia di Masashi Ikeda, il potenziamento grafico del chara design di Norio Shioyama, e sopratutto l'intrigante armor design delle nuove armature. Si potrebbe aver visto solo la serie tv disinteressandosi delle successive divagazioni di continuity, ma sarebbe un errore perdersi proprio Message. Da vedere, potrebbe sorprendere.

lunedì 25 aprile 2011

Recensione: I cinque samurai - La leggenda dell'Imperatore Splendente

I CINQUE SAMURAI: LA LEGGENDA DELL'IMPERATORE SPLENDENTE
Titolo originale: Yoroiden Samurai Troopers - Kikotei Densetsu
Regia: Mamoru Hamatsu
Soggetto: Hajime Yatate
Sceneggiatura: Toshi Gobu, Shigeru Ikeda
Character Design: Norio Shioyama, Shukou Murase
Armor Design: Hideo Okamoto
Musiche: Osamu Totsuka
Studio: Sunrise
Formato: serie OVA di 4 episodi (durata ep. 27 min. circa)
Anni di uscita: 1989 - 1990
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Yamato Video

 
Tokyo, quartiere Shinjuku: misteriosi fenomeni atmosferici fanno crescere un'incredibile vegetazione tropicale nella città, costringendo la popolazione all'evacuzione. Dirigendosi lì per indagare, i cinque samurai affrontano un misterioso guerriero africano chiamato Mukala, dotato di una forza mostruosa capace di tenere loro testa e sopratutto padrone di un'altra armatura dell'Imperatore Splendente, identica a quella bianca di Ryo ma di colore nero. Durante lo scontro Mukala crea un buco temporale che inghiottisce lui, Ryo e Seiji, trasportandoli nella Tanzania dove lui e la sua tribù vivono...

Pur rovinato dal solito finale affrettatissimo e senza mordente che è purtroppo il marchio di riconoscimento della saga, La leggenda dell'Imperatore Splendente è una buona incarnazione de I cinque samurai, addirittura un mst se rapportata alla precedente. Chi è Mukala? Perché è impossibile per i cinque eroi sconfiggere questo misterioso individuo che combatte privo di qualsiasi protezione? Perché le due armature dell'Imperatore Splendente non dovranno mai affrontarsi? Le domande più ricorrenti della miniserie tengono desta fino alla fine l'attenzione, sopratutto perché le risposte avranno grandissimo impatto nella continuity, fornendo importanti retroscena sul ruolo di Fiamma Nera e sull'origine dell'invincibile armatura bianca dell'Imperatore Splendente, ma sopratutto portando a un finale spiazzante che cambierà profondamente la storyline.

Complimenti quindi a Sunrise per sfruttare la carta dell'home video per ampliare attivamente la storia senza ripetere le stesse cose (come invece succede nel primo, mediocre Incubo a New York), ma sopratutto per offrire qualche divertissement rispetto alla semplicità estrema delle altre avventure. In quest'occasione infatti, oltre ai misteri portanti, trova luce anche la relativamente inutile ma originale idea di Shin in crisi depressiva che vuole abbandonare la sua vita di samurai: niente di memorabile, ma almeno un po' di novità per svezzare la serie dalla sua estrema linearità dando caratterizzazione a uno degli elementi da sempre meno sfruttati del cast. Il giudizio generale è così assolutamente positivo per 3/4 della miniserie: tanta azione, una storia semplice ma intrigante nelle sue molteplici domande, addirittura un ottimo disegno psicologico dei personaggi (cosa mai successa neanche nella serie tv). La stessa confezione è meritevole, con buone animazioni, un chara dettagliato e potenziato (fedele ai dettami dell'OVA precedente) e una notevole cura nelle ambientazioni.

 
Immancabile come sempre, purtroppo, una certa delusione riscontrabile nella parte finale dell'opera. Discontinua sia a livello grafico/tecnico (la cura per design e regia continua a viaggiare da un eccesso all'altro, da virtuoso a sempliciotto) che narrativo, con una certa confusione unita a sviluppi scontati della vicenda e quesiti mal spiegati. Senza contare, come già accennato, la solita rapidissima conclusione che ha il poco piacevole compito di concludere nel peggior modo ogni produzione dedicata a I cinque samurai. La leggenda dell'Imperatore Splendente rimane comunque un gradevole prodotto, di molto superiore al precedente, e pur scritto in modo altalenante, con i suoi personaggi interessanti e l'importanza che riveste ai fini della continuity rimane una visione obbligatoria per i fan. Per il doppiaggio e adattamento a cura di Yamato Video valgono le stesse identiche considerazioni di Incubo a New York.

Voto: 7 su 10

PREQUEL
I cinque samurai (1988-1989; tv)
I cinque samurai: Incubo a New York (1989; ova)

SEQUEL
I cinque samurai: Message (1991; ova)

venerdì 22 aprile 2011

Recensione: I cinque samurai - Incubo a New York

I CINQUE SAMURAI: INCUBO A NEW YORK
Titolo originale: Yoroiden Samurai Troopers Gaiden
Regia: Mamoru Hamatsu, Kazuki Akane
Soggetto: Hajime Yatate
Sceneggiatura: Mamoru Hamatsu
Character Design: Norio Shioyama, Shukou Murase
Armor Design: Hideo Okamoto
Musiche: Osamu Totsuka
Studio: Sunrise
Formato: serie OVA di 2 episodi (durata ep. 25 min. circa)
Anno di uscita: 1989
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Yamato Video


Poco tempo dopo la temporanea sconfitta di Arago i cinque eroi si apprestano a festeggiare il compleanno di Ryo. Terribili notizie turbano però la festa: a New York si sono perse le tracce di Seiji, e un notiziario mostra l'armatura del ragazzo intenta a uccidere passanti inermi nei quartieri della Grande Mela. Chi è che la sta usando? I quattro, insieme a Jun e Nasty, raggiungono la metropoli, dove incontrano la bella Luna, sorella di una delle vittime, e il malvagio negromante Shikaisen...

È sicuramente lodevole, da parte di Sunrise, l'intento di realizzare, dopo la conclusione de I cinque samurai, alcune miniserie OVA non semplicemente celebrative ma anche importanti all'economia della storyline. Un plauso almeno alle intenzioni, perché, se i successivi capitoli aggiungeranno notevoli elementi alla continuity ampliandone singnificativamente la trama, questa prima side-story di 2 episodi, Incubo a New York, è puro brodo allungato e anche mal bollito.

Sulla carta gli elementi di novità corrispondono all'introduzione di due personaggi dalle buone potenzialità, il simpatico zio di Shu e la bella Luna che fa innamorare Ryo, la sua prima "fiamma". Entrambi però male utilizzati, il primo in un ruolo ininfluente ai sensi di trama, la seconda come puro elemento tragico inserito per aumentare il tasso di dramma, peccato sia poco caratterizzata, con tale pressapochismo, da risultare insignificante. Ironicamente rimangono comunque l'unico elemento di rilievo in una storia noiosa e banale. Incubo a New York trasuda svogliatezza da ogni poro, retto com'è su combattimenti ininfluenti, villain da operetta che non si capisce bene cosa vogliono e perché lo fanno, persone uccise così, tanto per, e uno scontro finale affrettatissimo e noioso, seguito da un inqualificabile epilogo "fulmineo" degno di quelli della serie televisiva. Per quel che concerne trama, sceneggiatura e personaggi si registrano addirittura diversi passi indietro rispetto al passato, e queste deve far pensare visto che la serie televisiva non si è mai contraddistinta particolarmente in questi aspetti. Alla luce di tanta svogliatezza rimangono così perfettamente inutili gli aspetti di contorno, tra cui vale la pena menzionare un notevole upgrade tecnico (animazioni e regia molto più frizzanti rispetto a quelle tv) e disegni più dettagliati grazie al contributo di un secondo chara designer, il bravo Shukou Murase.


Ci si ritrova insomma delusi da Incubo a New York, che getta alle ortiche anche la sua unica speranza di redenzione nel fornire un briciolo di caratterizzazione aggiuntiva ai suoi protagonisti. necessitanti di maggior carisma fin dalla serie televisiva. Purtroppo anche in quest'ottica è da considerare un fallimento, con gli unici eroi attivi che si rivelano, come sempre, Ryo e Shun, gli altri a fare da tappezzeria sempre prigionieri di un imbarazzante anonimato. Meno male che con le due successive produzioni la cosa verrà parzialmente corretta.

Nota a parte per l'adattamento italiano, nel complesso più che buono e fresco di un discreto doppiaggio con nomi finalmente fedeli. Fa storcere il naso però l'urlo "vestizione!" quando gli eroi indossano l'armatura, parola assente nell'originale nipponico e messa lì come omaggio all'inutile doppiaggio storico italiano.

Voto: 5 su 10

PREQUEL
I cinque samurai (1988-1989; tv)

SEQUEL
I cinque samurai: La leggenda dell'Imperatore Splendente (1989-1990; ova)
I cinque samurai: Message (1991; ova)

mercoledì 20 aprile 2011

Recensione: I cinque samurai

I CINQUE SAMURAI
Titolo originale: Yoroiden Samurai Troopers
Regia: Masashi Ikeda
Soggetto: Hajime Yatate
Sceneggiatura: Ryousuke Takahashi
Character Design: Norio Shioyama, Akihiro Kaneyama
Armor Design: Hideo Okamoto
Musiche: Osamu Totsuka
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 39 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 1988 - 1989
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Yamato Video

 
Migliaia di anni fa i sentimenti negativi delle persone, alimentati da guerra e odio, portano alla nascita di Arago, possente demonio dotato di armatura indistruttibile, che tenta di conquistare la Terra con la sua armata di samurai. A stroncare la sua ambizione ci pensa il monaco combattente Kaosu che, dopo averlo sconfitto, scinde la sua corazza in nove parti per evitare che un suo malaugurato risveglio possa far ripiombare il caos. Nel presente Arago si risveglia, ricrea il suo impero maligno e mira nuovamente alla conquista: per farlo dovrà però riottenere i pezzi delle sue potentissime vestigia. Quattro sono già in suo possesso e li fa indossare ai suoi massimi generali, gli altri sono stati affidati da Kaosu a cinque giovani ragazzi...

Come intuibile leggendo la semplice trama, negli anni 80 il successo mondiale del Saint Seiya televisivo non lascia certo indifferente l'industria dell'animazione nipponica. Tra le diverse risposte al cult Toei Animation brilla solo la risposta di studio Sunrise, I cinque samurai, che pur non eguagliandone i fasti reca in sé idee intriganti che gli fanno ben meritare la visione,  spiegando il suo status di cult in Giappone, USA e Francia.

Volendo partire subito con le note stonate bisogna porre l'attenzione sull'assenza di personaggi memorabili, sulle animazioni sufficienti e nelle musiche sotto tono. L'opera non è realizzata con un alto budget e già questo la pone in deciso ribasso rispetto a Saint Seiya. Il classico chara design di Norio Shioyama, per quanto visivamente piacevole e d'autore, non è certo vistoso e sgargiante come quello di Shingo Araki, ma sopratutto lo script è decisamente discontinuo, per demerito di episodi riempitivi altalenanti e una infantile gestione del pathos e della regia nei pochi momenti davvero incisivi della storia (basti pensare agli epiloghi degli archi narrativi, estremamente affrettati e mediocri). In più di un'occasione, infatti, per la sua estrema linearità e i protagonisti adagiati su caratterizzazioni stereotipate (con punte di totale insignificanza nelle figure degli eroi Shin e Touma), la serie denota chiaramente di essere indirizzata a un pubblico più giovane di quello di Saint Seiya, in alcuni frangenti addirittura infantile. Deprimente se si pensa che dietro alla sua sceneggiatura vi è quel Ryousuke Takahashi che ha legato il nome alla Storia con Dougram, Votoms e Layzner, evidentemente non a suo agio in un genere che non gli appartiene. Fortunatamente la serie si riscatta almeno parzialmente da tutti questi nei, e lo fa nell'unico modo che le è possibile: denotando un grande carisma in alcune idee interessanti.


La storia, per quanto linearissima e basata sulle solite schermaglie tra i cinque protagonisti e gli sgherri di Arago, si divide in due piacevoli e imprevedibili archi narrativi, ciascuno dispensatore di diversi grandi momenti. Da menzionare combattimenti spettacolari, un assolutamente invincibile avversario che i nostri eroi, pur con gli immancabili Power-Up, non riescono mai a battere finendo sempre sconfitti, un inaspettato cambio di fazione e, sopratutto, le evoluzioni delle armature degli eroi. A questo riguardo urge aprire una parentesi, perché le varie corazze che indossano i personaggi, siano eroi o villain, rappresentano quell'elemento di successo su cui si è davvero edificata la notorietà della serie: dall'armor design bello e ruggente, sono così attraenti da donare addirittura carisma a chi le indossa. Ognuna di esse è infatti in sintonia, a livelli di colori e capacità, con i poteri del loro custode: questi sono ovviamente legati agli elementali, ed è immaginabile, a livello di coreografia degli scontri, la gratificazione di assistere a scontri tra guerrieri bardatissimi che si affrontano con spadate e ogni genere di arma bianca scatenandosi contro la furia di fuoco, vento, veleno, tenebre etc. Senza contare l'ormai celebre, splendida armatura bianca dell'Imperatore Splendente che inizia a far capolino nella nella seconda parte di serie, data dall'unione di tutte le altre in una spettacolare sequenza di "vestizione" (con tanto di potente ritornello heavy).

I cinque samurai  non è una storia che vuole focalizzarsi su grandi personalità o background mitologici. È una basilare serie totalmente action, con contorno di era feudale (il castello medievale di Arago che sorge in mezzo alla città di Tokyo e i numerosi flashback che spiegano l'origine del villain e delle armature) e zeppa di combattimenti, effetti speciali e armature scintillanti, con due sigle d'apertura roboanti (sopratutto la seconda, la ritmatisima Samurai Heart). Se si cerca qualcosa di meglio confezionato tanto vale buttarsi su Saint Seiya, ma se come chi scrive si è facilmente suscettibili a sboroneria estrema nelle fasi di contorno e di pura azione (che costituiscono il 70% di ogni puntata), è facile trovare ne I cinque samurai una valida scelta. Serie che, rispetto a tante altre di successo, ha anche la fortuna, negli immancabili OVA celebrativi, di apportare consistenti evoluzioni alla storyline.


Da guardare solo in lingua giapponese con sottotitoli fedeli, presenti nell'edizione italiana in dvd a cura di Yamato Video. L'adattamento italiano degli anni 90 è il classico stupro figlio dell'epoca, con un buon doppiaggio ma dialoghi stravolti e ulteriormente infantilizzati - al punto da rendere confusa la pur semplice narrazione - e nomi di personaggi/colpi stravolti.

Voto: 7 su 10

SIDE-STORY
I cinque samurai: Incubo a New York (1989; ova)

SEQUEL
I cinque samurai: La leggenda dell'Imperatore Splendente (1989-1990; ova)
I cinque samurai: Message (1991; ova)

lunedì 18 aprile 2011

Recensione: Blood+

BLOOD+
Regia: Junichi Fujisaku
Soggetto & sceneggiatura: Junichi Fujisaku
Character Design: Chizu Hashii (originale), Akiharu Ishii
Mechanical Design: Kenji Teraoka
Musiche: Hans Zimmer, Mark Mancina
Studio: Production I.G
Formato: serie televisiva di 50 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 2005 - 2006


Saya Otonashi sembra una normale studentessa quindicenne: non sa di essere, in realtà, una creatura dotata di forza sovrumana, il cui sangue può trasformare le persone in bestie infernali. Quando nel quartiere in cui abita verranno avvistate alcune mostruose figure Saya conoscerà David, esponente dell'organizzazione Red Shield, che la informerà sul pericolo rappresentato da quei mostri, meglio detti chirotteri. Presto la ragazza si troverà a fronteggiarne uno, e sarà quello il momento in cui incontrerà Haji, misterioso e silenzioso individuo che sembra conoscerla da sempre, che dopo averla salvata le insegnerà come usare in combattimento una letale spada...

Dopo il successo mondiale di Blood: The Last Vampire (2000), sfruttato da Sony e Production I.G. con videogiochi, romanzi e manga basati sul film, era forse inevitabile che la pellicola resuscitasse nuovamente, con interesse rivolto questa volta alla TV. Bisognerà infatti aspettare solo cinque anni prima che, nel 2005, lo studio animato che ha dato i natali a Ghost in the Shell (1995) annunci Blood+, serie televisiva di addirittura 50 episodi, a metà strada tra un sequel e remake del famoso lungometraggio (se la Saya protagonista potrebbe essere la stessa del film, difficile dire la stessa cosa di David della Red Shield dati i cinquant’anni trascorsi). Serie che stavolta, pur non coinvolgendo grandi nomi dell’animazione (Blood vedeva il veterano Mamoru Oshii al soggetto e la futura stella della Production I.G Kenji Kamiyama alla sceneggiatura), si accaparra le squisite sinfonie di Hans Zimmer, compositore alla corte di Hollywood e qui alla sua prima collaborazione con l’animazione nipponica, e la regia/sceneggiatura di Junichi Fujisaku, tra i creatori dell'originale.

Blood+ è superficialmente una storia di vampiri, ma assai interessante e curiosa è la scelta di non usare mai questo termine, tra l’altro oggigiorno tanto fastidioso, durante la lunga epopea di Saya e compari. E di vampiri così come li conosciamo, effettivamente non c’è alcuna traccia. Saya è una strana creatura risvegliatasi dopo un lungo letargo, ed è sostanzialmente simile agli essere umani se non per la sua proverbiale immortalità e per il pericolo che nasconde il suo sangue: bastano infatti poche gocce ingurgitate per trasformare una persona in un Cavaliere, esseri eterni che non hanno bisogno di mangiare e dormire né provano stanchezza e dolore, destinati a servire chi li ha resi tali e sensibili soltanto al plasma delle creature simili a Saya. L’opera, poi, è costellata di altre aberrazioni che rimandano ancora alla figura del vampiro, pur distanziandosene, come i chirotteri, enormi bestie dall’aspetto mostruoso, e i giovani esseri creati in laboratorio per essere sfruttati in guerra.


Strutturato nella prima metà come un serrato e coinvolgente thriller che vede la Red Shield e Saya indagare sulle correlazioni tra alcune creature apparse in Giappone, una scuola privata a Hong Kong, la produzione di un vino e delle foto riguardanti un misterioso massacro in Vietnam, Blood+ si apre nella seconda parte in un maggiormente proverbiale action horror, infarcito di combattimenti sanguinari e morti inaspettate. Tra le due, sono indubbiamente i primi 25 episodi a lasciare il segno: sostenuti da una sceneggiatura adrenalinica e magnificamente frammentata con flashback che vengono portati alla luce a poco a poco, è difficile sottrarsi alla visione continua di Blood+ e alla sua pioggia di intrighi e concatenazioni orrorifiche. La grande macchinazione che vede coinvolti l’esercito e il governo statunitense e gli incessanti riferimenti a fatti accaduti in passati densi di ambigue oscurità, calamitano l’attenzione dello spettatore con una serrata rapidità narrativa, una regia di grande impatto e una goduriosa, violentissima selezione di combattimenti (impressionante il lunghissimo primo scontro tra Saya e i vampiri creati in laboratorio), rilasciando quelle poche, giustissime informazioni necessarie a sprigionare curiosità in una storia che cresce con sicuro mestiere.

Che qualcosa non vada nella seconda parte è forse intuibile dall’episodio 26, concentrato di banalità che distrugge lo straordinario climax raggiunto nella puntata precedente e interrotto, con una precisa quanto sadica scelta narrativa, come il più tremendo dei coitus interruptus. Il ritmo vertiginoso inizia a calare, la complessità strutturale si sviluppa gradualmente in una linearità annacquata e superficiale (su tutto la gravidanza di Diva, gestita senza nessuna cura, e il bestiario sempre più povero) pur di raggiungere i 50 episodi previsti, e persino l’eccellente comparto tecnico sembra perdere colpi con disegni e animazioni sempre più statiche ed economiche. Ciò non toglie di certo il piacere complessivo dato dalla visione dell’opera, ma comporta un sofferente dispiacere e una leggera irritazione per quello che Blood+ nascondeva nella seconda metà e che spesso viene soltanto sfiorato. Il crescente senso di disperazione provato da una Saya sempre più provata e stanca, il doloroso, silente sostegno di Haji e la determinazione di ferro di Kai sono aspetti splendidamente curati e che sanno donare una bella tridimensionalità a personaggi e situazioni, senza contare certi colpi bassi che fanno il loro amaro dovere. È infatti grazie anche a questo lavoro che, sin dai primi momenti, si riesce a sorvolare su certe leggerezze in fondo perdonabili a una storia action come questa: vedere Haji vestito in frac anche durante la guerra in Vietnam fa un po’ sorridere, assistere a un filler inutile, malpiazzato e tremendamente sceneggiato come quello ambientato in Russia per scoprire che era-tutto-un-sogno fa venire il mal di stomaco, mentre un’organizzazione segreta che combatte dei mostri carnivori non può di certo essere composta soltanto da un timido ragazzetto, un proverbiale uomo d’acciaio e un ciccione che non sa fare niente.


Davvero encomiabile invece il lavoro di Hans Zimmer, autore di una colonna sonora memorabile, composta sì da pochi pezzi, ma ognuno dei quali dotato di una melodia portante spesso commovente (i due temi principali) e rivisti più e più volte in numerose e riuscitissime modifiche utili a suggellare ora i momenti più inquietanti ora quelli più drammatici (una melodia epica e di grande respiro che si frantuma in archi sinistri e impazziti, e via così). Splendido l’amalgama con il chara di Ishii, armonioso con i volti umani (graziosissime Saya e Diva) e gorgogliante con il bestiario (le trasformazioni finali dei Cavalieri di Diva sono fantastiche). Cinquanta episodi non sono pochi, e il graduale calo qualitativo non è di certo aspetto da sottovalutare, Blood+ resta però una visione per gran parte trascinante e, pur nei suoi alti e bassi, soddisfacente. Tra animazioni stellari, un alto tasso di splatter e musiche incantevoli, vale la pena di provarlo, allergia ai vampiri o meno.

Voto: 7 su 10

venerdì 15 aprile 2011

Recensione: Blood - The Last Vampire

BLOOD: THE LAST VAMPIRE
Titolo originale: Blood - The Last Vampire
Regia: Hiroyuki Kitakubo
Soggetto: Mamoru Oshii (basato sul suo stesso romanzo originale)
Sceneggiatura: Kenji Kamiyama
Character Design: Katsuya Terada
Mechanical Design: Atsushi Matsumoto
Musiche: Yoshihiro Ike
Studio: Production I.G
Formato: mediometraggio cinematografico (durata 48 min. circa)
Anno di uscita: 2000
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Panini Video

 
Ultima vampira rimasta della sua specie, Saya collabora con la Red Shield, un’organizzazione segreta, al fine di debellare la minaccia dei chirotteri, mostruose creature deformi che si cibano di sangue. Sviluppata la capacità di camuffarsi tra gli umani, un gruppo di chirotteri si è nascosto in una scuola e la ragazza, con l’unico scopo di stanarli, si iscrive come comune studentessa...

Assieme a Ghost in the Shell (1995), Blood: The Last Vampire è opera tra le più rappresentative e famose di Production I.G, tanto da partorire manga, romanzi, due serie TV (Blood+ e Blood-C), rispettivamente nel 2005 e 2011), trasposizioni videloudiche e addirittura un film con attori e carne in ossa (l'anonimo The Last Vampire - Creature del buio). Il segreto del suo successo mondiale, tutto meritato, si riconduce alla sua notevole sostanza data dal gran lavoro di una squadra affiatata: complici il semplice ma efficacissimo soggetto tratto dal romanzo Kemonotachi no yoru (La notte delle bestie) di Mamoru Oshii e integrato da idee dei suoi stessi allievi Junichi Fujisaki e Kenji Kamiyama, la sceneggiatura secca e vincente di quest'ultimo, la regia funambolica di Hiroyuki Kitabuto e il ricercato lavoro tecnico (è, tra le altre cose, il primo film d’animazione a essere interamente realizzato in digitale), nonostante i cinquanta minuti scarsi di durata Blood è una pellicola eccellente sotto molti aspetti.

Le atmosfere cupe, marce, degradanti e sanguinose, costante del film, appaiono nella loro grigia oscurità sin dalle scene iniziali (l’ottima quanto feroce sequenza sul treno) e formano una giusta cappa opprimente. Data la breve durata la pellicola non perde tempo, evira ogni tipo di lungaggini e si concentra sul nocciolo, sull’essenza di una storia sostanzialmente action-horror, in cui Saya ammazza i chirotteri uno dopo l’altro in un’orgia di sangue piuttosto insistente. Seppur privandosi di una progressiva immersione nella storia, evitando così di affrontare il contesto scolastico, gli insegnanti, il preside e il ballo di Halloween (situazioni ed eventi soltanto accennati), Blood non pecca nel dedicarsi esclusivamente alla grintosa ricerca di Saya. La rapidità narrativa è infatti dosata magistralmente, e non si sente il bisogno di un maggior approfondimento – chiaro che, con una durata più rilevante, magari con i canonici 90 minuti, Blood avrebbe avuto tutto il tempo per sviluppare aspetti che per ora fungono da scenario bidimensionale-. Spogliandosi degli orpelli, personaggi secondari compresi (come i due funzionari della Red Shield, trascurati e in fondo inutili), e incentrando tutto su Saya e un riuscitissimo comprimario alquanto singolare (un’insegnante di mezza età, grassoccia, impacciata, che frigna per tutto il tempo), Blood viaggia su binari estremamente dinamici, dove poveri disgraziati vengono maciullati da mostri alti tre metri, i quali a loro volta vengono fatti a fettine dalla spada della bella e inquieta Saya.


Gran gusto nell’inscenare morti colorite (l’infermeria e l’albero) ed energiche strategie di battaglia (praticamente perfetto lo scontro nell’hangar militare), senza dimenticare una certa verosimiglianza, tanto nei dialoghi serrati (micidiale l’aggressività verbale di Saya) quanto, soprattutto, nel momento in cui la psiche umana affronta l’orrore (e qui ancora una volta salta fuori l’insegnante con i suoi tremolii, le sue parole balbettate, il suo sguardo perso nel vuoto, il suo essere continuamente nel posto sbagliato), Blood: The Last Vampire è quindi visione brillante nei suoi scenari putridi e sanguinolenti, resa magnifica da animazioni di qualità, fluide e naturali, e dal chara adulto e realistico di Katsuya Terada. Un gioiellino, esemplare nel suo breve minutaggio che si rivela essere, assieme alla scolorita colonna sonora, unico punto debole dell’opera.

Voto: 8 su 10

mercoledì 13 aprile 2011

Recensione: My-Otome 0 ~S.ifr~

MY-OTOME 0 ~S.IFR~
Titolo originale: My-Z-Hime 0 ~S.ifr~
Regia: Hirokazu Hisayuki
Soggetto: Hajime Yatate
Sceneggiatura: Tatsuto Higuchi
Character Design: Hirokazu Hisayuki
Mechanical Design: Hiroyuki Taiga
Musiche: Kuniaki Haishima
Studio: Sunrise
Formato: serie OVA di 3 episodi (durata ep. 28 min. circa)
Anno di uscita: 2008

 
Ambientato anni prima degli aventi di My-Otome, 0~S.ifr~ racconta i retroscena sulla vita di Lena Sayers, futura madre di Arika e una delle più potenti Otome che il pianeta Earl abbia mai conosciuto. Sapremo come ebbe modo di conoscere il suo futuro marito, ma sopratutto di rievocare la sua lotta per difendere Sifr, giovane erede al trono di Windloom, dalle mire degli Schwarz e della stessa accademia Garderobe...

Nel 2008 Sifr parte da premesse tutt'altro che allettanti: terza incarnazione di My-Otome alla distanza di appena un anno dal pessimo Zwei; avventura di un personaggio di cui non si sa praticamente niente, e riproposta, con qualche variazione e cambio di personaggi, del soggetto della serie originale. Elementi che sembrano denotare una nuova opera di lucraggio senz'anima, ma fortunatamente, anche a fronte di qualche perplessità, alla fine funziona, rappresentando una serie spigliata che vale la pena vedere.

Distante dall'azione incessante e caciarona di Zwei, Sifr torna allo spirito di My-Otome premendo il pedale su caratterizzazione dei personaggi, gag e demenzialità, sfruttando dialoghi e il morbido chara design di Hirokazu Hisayuki (anche alla regia, rimpiazzo del regista "classico" della serie Masakazu Obara) per dare simpatia al nutrito cast di nuove guerriere. Ingredienti ben dosati che rendono scanzonate le atmosfere, pur non rovinando la seriosa storia portante: si tratta di un'opera molto piacevole, con giusti tempi dedicati a caratterizzarne le atmosfere e gli spunti di trama. Visione sicuramente inutile ai fini di storyline e che, come già accennato, non gode certo della trama più originale del mondo, ma quello di Lena è un personaggio di spessore, attraente, semplice e profondo, e ne viene fornito un bel ritratto. Da dimenticare invece i consueti clichè che buona parte di prequel si portano dietro e che anche Sifr ripropone senza fantasia: la voglia di stupire facendo conoscere per caso, durante la giovinezza e secondo la legge filosofica de "il mondo è proprio piccolo", personaggi che poi si incontreranno da adulti nella serie principale. Astuzie abusate un po' ovunque per aumentare il fascino della storyline celebrando i personaggi, ma che, usate senza prestare cura al mosaico narrativo, generano solo incoerenze. Si viaggia in questo caso nella seconda categoria, trovando come futuro cognato di Lena un chibi-Raito. Peccato che, come si apprende su My-Otome dallo stesso ragazzo cresciuto, il suo rapporto con la ragazza era solo di rivalità in tempo di guerra, nessun accenno a vincoli familiari... Desta stesse perplessità anche il cameo del re di Artai, futuro padre del maligno Nagi, anche lui interessato a usare i poteri dell'Harmonium per la conquista del mondo: personaggio minimale, schiaffato dentro per la durata di mezzo minuto tanto per fare figo e che contribuisce a generare confusione in una storia il cui unico, grande difetto, è di presentare troppa carne al fuoco.

 
Sifr soffre non poco dei suoi troppi personaggi (addirittura 18 tra new entry e personaggi storici in fase di giovinezza), caratterizzati in modo sufficiente, ma comunque abbastanza relativo per farli stare in sole tre puntate. Si assiste così, un po' come succede nella prima serie, all'intrecciarsi di più vicende da parte di più punti di vista, ma in ciascuna non ci sono personalità sufficientemente forti per reggere le ambizioni della storia. Unico elemento davvero di spessore rimane Lena, irresistibilmente sexy in corpo, semplicità e simpatia, protagonista ideale di qualsiasi storia. Ottimo l'aspetto tecnico, con animazioni veloci, briose e fisiche. Di tutt'altro capitolo purtroppo il comparto sonoro, che vede l'abbandono della compositrice storica della serie Yuki Kajiura a favore di un'anonima Kuniaki Haishima, fautrice di sonorità molto generiche che non ricordano per nulla i motivetti classicheggianti di My-Otome.

Troppo ambizioso o meno, dopo Zwei in pochi avrebbero retto un'altra aggiunta inutile al marchio, ma Sifr rimane colorato e divertente, con un'ottima eroina e una storia già vista ma ben confezionata, degno di essere accostato, come anima, a My-Hime e My-Otome. Niente di trascendentale, ma visti i più catastrofici presupposti ci si può accontentare di quella che rimane, ad oggi, l'ultima incarnazione del franchise.

Voto: 6,5 su 10

SEQUEL
My-Otome (2005-2006; tv)
My-Otome Zwei (2006-2007; ova)

lunedì 11 aprile 2011

Recensione: My-Otome Zwei

MY-OTOME ZWEI
Titolo originale: My-Z-Hime Zwei
Regia: Masakazu Obara
Soggetto: Hajime Yatate
Sceneggiatura: Hiroyuki Yoshino
Character Design: Hirokazu Hisayuki
Mechanical Design: Junichi Akutsu, Kazutaka Miyatake, Hiroyuki Taiga
Musiche: Yuki Kajiura
Studio: Sunrise
Formato: serie OVA di 4 episodi (durata ep. 27 min. circa)
Anni di uscita: 2006 - 2007


 
Un anno dopo gli avvenimenti di My-Otome Arika è diventata un'Otome a tutti gli effetti, salendo alla ribalta dopo aver scongiurato la collisione di un asteroide col pianeta. Presto però una nuovo e imprecisato pericolo minaccia la pace: il risveglio di più Slave mette a ferro e fuoco i vari regni, senza contare l'apparente ritorno in vita, in veste malvagia, di Fumi Himeno, la fondatrice dell'accademia Garderobe...

È arduo tentare di dare un senso all'incomprensibile trama di My-Otome Zwei, sequel del bel My-Otome distrutto da una sceneggiatura pessima sotto ogni punto di vista. C'è da domandarsi, innanzitutto, perché Sunrise abbia voluto inventarsi un seguito così insignificante: Zwei non aggiunge NULLA alla storia principale, limitandosi solo ad allungare il brodo con una storiella degna di un filler. Ma sopratutto, tale storiella è sviluppata malissimo nei 4 episodi che la compongono, compressa ai limiti dell'impossibile, al punto tale che se mi fosse chiesto di scrivere qualcosa di più nella trama d'apertura sarebbe difficile inventarsi qualcos'altro. Ci sono asteroidi che cadono, mostri che appaiono dal nulla e distruggono tutto, terroristi che vogliono liberare un tizio che non ha ripercussione, Otome misteriose che sconfiggono a caso le loro colleghe, altre Otome prigioniere in un'isola che pur potendo volare e tornare a casa attendono che qualcuno venga a salvarle, altre ancora che esplorano posti misteriosi e lo spettatore si domanda cosa è stato detto a proposito e perché stanno lì, etc. Un apparente nonsense regna sovrano in questa miniserie che vuole parlare di mille cose e lo fa malissimo, ma sopratutto che continua fino alla fine a stupire per assoluta mancanza di personalità.

Tutto è scritto alla membro di segugio, solo per lucrare spudoratamente sul successo del predecessore: ci sono scene ecchi più esplicite del solito, l'entusiasmante OST di Kajiura è mantenuta (termine buono per non dire riciclata senza fantasia e senza alcun brano inedito), la grintosa Mai occupa molta più scena rispetto al passato... ma tolto questo, il baratro. Storia raccontata in modo così affrettato che è incomprensibile (sarebbero serviti minimo altri 2/3 episodi, ma probabile che lo studio Sunrise per primo si sarebbe domandato se ne sarebbe valsa la pena), smielatissimi bei sentimenti sbandierati in ogni dove e quando al punto da provocare il diabete (un monarca che chiede scusa a un suo sottoposto perché le sue decisioni di politica interna non sono ben accolte da quattro gatti del popolo che protestano), migliaia di personaggi inutili alla vicenda buttati dentro solo per ricordarci della loro esistenza, un combattimento finale così orrido da risolversi con le due eroine che distruggono il villain ISTANTANEAMENTE con un colpo solo senza che lui abbia attaccato una sola volta, trovate addirittura trash (adesso le Otome lavorano anche come SWAT?!)... Anche le animazioni sembrano più spente, come se non si avesse avuto voglia di spenderci sopra troppi soldi.

 
Non c'è un solo motivo per consigliare questa serie genuinamente puerile a chicchesia, sopratutto ai fan che la troveranno, giustamente, un'operazione commerciale tra le più bieche che Sunrise abbia rifilato negli inizi del nuovo secolo. Basterebbe contare quante distruzioni, esplosioni e combattimenti sono qui presenti per farsi un'idea di quanto poco ha avuto voglia di lavorare Yoshino allo script, bravo solo a creare i presupposti per un'orgia di azione che se ne frega bellamente dell'eventalità di raccontare una storia. Zwei è semplicemente orribile: l'unica cosa veramente positiva è che dopo averlo visto la produzione successiva, il prequel 0 ~S.ifr~, per quanto "solo" decente sembrerà a chi la guarda una meraviglia.

Voto: 4 su 10

PREQUEL
My-Otome 0 ~S.ifr~ (2008; ova)
My-Otome (2005-2006; tv)

venerdì 8 aprile 2011

Recensione: My-Otome

MY-OTOME
Titolo originale: My-Z-Hime
Regia: Masakazu Obara
Soggetto: Hajime Yatate
Sceneggiatura: Hiroyuki Yoshino
Character Design: Hirokazu Hisayuki
Musiche: Yuki Kajiura
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 2005 - 2006
 
In un lontano futuro l'ordine mondiale del pianeta Earl è garantito dalle Otome, ragazze vergini che, in virtù delle nanomacchine presenti nel loro corpo, sono dotate di super poteri devastanti e il cui destino è combattere al servizio del regnante a cui giurano fedeltà. La nostra storia prende il via quando Arika Yumemiya, ingenua ragazzina dal passato misterioso che sogna di diventare Otome, entra nel Garderobe, accademia del regno di Windbloom che prepara le donzelle a tal senso, trovandosi ad affrontare, con le sue "colleghe", sia la minaccia degli Aswald, potente gruppo ribelle all'ordine costituito, che le macchinazioni politiche riguardo alla leggendaria arma da guerra Harmonium, creata dalla primissima Otome...

Sicuramente Sunrise starà ancora ringraziando Hiroyuki Yoshino dopo che nel 2002, alla prima vera esperienza di sceneggiatura, inventa e scrive il fortunatissimo My-Hime, primo capitolo di uno dei più fruttuosi e recenti franchise dello studio. Serie frizzante My-Hime, Sailor Moon moderno e ben scritto che si districa facilmente tra umorismo, dramma, intermezzi romantici e atmosfere magiche, insieme a disegni semplici e intriganti (Hirokazu Hisayuki) e musiche sublimi (Yuki Kajiura). Un successone che, logicamente, già l'anno dopo origina un seguito, che coglie però tutti di sorpresa: stupendo tutti My-Otome non ha alcun punto in contatto con il fortunato predecessore. Stessi identici personaggi e doppiatori; creato, animato e scritto dallo stesso staff, ma ambientato in un altro pianeta, con i protagonisti in ruoli diversi (per quanto mantengano gli stessi rapporti interpersonali). Il cast è accresciuto notevolmente con svariate new entries e, infine, la bella Mai, protagonista di My-Hime, è rimpiazzata dalla nuova Arika Yumemiya, svampitissima ragazzina petulante.

Il primo approccio non può che essere pessimo: la nuova irritante eroina non regge il paragone con la bella, dolce e formosa Mai, è difficile abituarsi al background sci-fi/fantasy dopo quello realistico di My-Hime, e sopratutto i carismatici personaggi "storici" hanno un peso minimale e relativo nella trama, oscurati da quelli nuovi, piatti e privi di interesse. Tanto più My-Otome viene accostato al predecessore, tanto più ne esce con le ossa rotte. Dimostra le proprie potenzialità quando si riuscirà finalmente a guardarlo in modo autonomo e senza guardare al passato. La sua grande forza, frutto di un nuovamente strepitoso lavoro di Yoshino alla sceneggiatura, è di raccontare una storia estremamente articolata e zeppa di personaggi, colpi di scena, rovesciamenti di posizione/fazione, cliffhanger e atmosfere drammatiche, senza disperdere in giro le sue numerosissime sottotrame. Gli attori sono veramente molti, e anche se la maggior parte di loro è puramente funzionale alle scene clou dell'intreccio, per merito di dialoghi mirati risultano approfonditi quel che basta per ispirare stati emozionali.

 
Non bisogna comunque omettere che la decina (!) di eroi principali è invece caratterizzata veramente bene: a dispetto delle apparenze Arika evolve divenendo presto quantomeno simpatica, così come la sua amica Nina Wong, importantissima ai fini della trama e alla cui presentazione anch'essa almeno inizialmente non convince (sia, ovviamente, per l'antipatico raffronto con i personaggi storici, che per la classica, abusata caratterizzazione della ragazzina tsundere). Infine, a Yoshino va dato il grandissimo merito di "riciclare" alcuni irritanti o incorporei attori di My-Hime, Shiho e Mashiro Kazahana, rendendoli molto più simpatici e profondi: la prima diventa l'esilarante elemento di comicità della serie (grazie al mitico tormentone del "maki maki"), mentre Mashiro, nelle vesti dell'infantile principessa del regno di Windbloom, conosce una toccante maturazione, grazie all'amicizia con Arika, a sovrana adulta e responsabile.

Come in My-Hime la storia, per almeno metà della sua durata, viaggia su binari leggeri, tratteggiando con lentezza i vari subplot. Tratta delle divertenti disavventure di Arika, Nina e Mashiro all'interno del Garderobe, tra intrighi di corte, gag varie e la costruzione degli immancabili intermezzi sentimentali (non mancano neanche qui storie a tematica lesbica, sempre affrontate con leggerezza ma senza scadere nel cattivo gusto). La storia portante ha luogo, preannunciato dalla nuova tonante opening, dall'episodio 15, quando come in My-Hime atmosfere tragiche, momenti commoventi, morti a profusione e addirittura amore incestuoso (!) la fanno da padrone, distruggendo tutta la solarità precedente e costruendo la premessa per la spettacolare e apocalittica seconda parte. È qui che My-Otome raggiunge il suo apice, districandosi e mettendo in correlazione le vicissitudini di almeno 4/5 gruppi differenti di personaggi fino a farle convergere insieme. Una trama corale talmente ambiziosa e satura, il cui unico difetto a essa riconducibile è che per farci stare tutto dentro, senza perderci in approssimazioni, le parti di azione e combattimento sono impietosamente soppresse o ricondotte a poco più di 10/20 secondi l'una. Un peccato, ma in effetti l'unica soluzione percorribile per compattare gli avvenimenti. Il pathos generale fortunatamente rimane ben presente grazie alle solite, ottime animazioni Sunrise e, sopratutto, ancora una volta alla compositrice Yuki Kajiura, che rinnova il suo talento elaborando nuovi brani magniloquenti, ora riflessivi, ora potenti, con una speciale predilizione, come sempre, per il cantato in latino.


L'unica nota stonata, che impedisce a My-Otome di prendersi quel voto maggiore di My-Hime che le spetterebbe di diritto, risiede nella fastidiosa vena politically correct che purtroppo è diventata un punto fermo della saga. Se in My-Hime fa storcere il naso solamente il "volemose bene" conclusivo, in My-Otome la sopravvivenza di più personaggi a quella che sembra una morte tragica o doverosa, giusto per ridurre il body count finale, irrita e indispettisce come non mai, al punto da abbassare il gradimento globale di addirittura un intero voto. Rimane da sé che, nonostante il buonismo disgustoso, la visione di My-Otome, per la bontà della sua trama e della sceneggiatura, rimane caldamente consigliata e non indispettirà troppo chi è emotivamente legato all'originale del 2002.

Voto: 7,5 su 10

PREQUEL
My-Otome 0 ~S.ifr~ (2008; ova)

SEQUEL
My-Otome Zwei (2006-2007; ova)

mercoledì 6 aprile 2011

Recensione: The Five Star Stories

THE FIVE STAR STORIES
Titolo originale: The Five Star Stories
Regia: Kazuo Yamazaki
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Mamoru Nagano)
Sceneggiatura: Akinori Endo
Character Design: Nobuteru Yuki
Musiche: Tomoyuki Asakawa
Studio: Sunrise
Formato: film cinematografico (durata 65 min. circa)
Anno di uscita: 1989

 
Pianeta Addler, anno 2988: il risveglio di Lachesis e Clotho, due nuove Fatima create dal dottor Ballanche, dà il via a una solenne cerimonia. Le Fatima sono intelligenze artificiali dalle splendide fattezze femminili, impiegate dai piloti Headd Liner per comunicare, attraverso una simbiosi, con i Mortar Headd, colossali mecha da guerra che costituiscono gli armamenti bellici della Galassia Joker. Lachesis e Clotho sono però prive del controllo mentale a cui tutte le loro simili sono sottoposte, e questo significa che potranno scegliere liberamente quale Headd Liner servire: la cosa infastidirà non poco il governatore Lord Juba, che tenerà in ogni modo di ostacolare la celebrazione. Ma Ladios Sopp, che nasconde una storia d’amore con Lachesis, non ci sta…

Sessantacinque minuti sono pochi, troppo pochi per trasportare in animazione anche la più piccola parte di uno tra i più imponenti manga fantascientifici mai creati. Un cast sterminato con centinaia di esseri umani, umanoidi, intelligenze artificiali e mecha da combattimento; una storyline che copre un periodo temporale lungo oltre 7.000 anni; una spaventosa complessità politica, sociale, geografica, economica e militare: questo è molto altro ancora è The Five Star Stories, impressionante space-opera che richiama ora Star Wars (al quale sopratutto in Giappone è spesso accostato) ora i cicli spaziali di Frank Herbert, scritto e disegnato da Mamoru Nagano fin dal lontano 1986 e che possiamo gustare in tempi recenti anche in Italia grazie alla splendida edizione Flashbook.

Basato interamente sul primo dei 13 tankobon di cui si compone il ciclo di storie di Nagano, l'ambizioso lungometraggio celebrativo di Kazuo Yamazaki è un allucinante e a suo modo coraggioso riassunto dell’immenso universo di FSS. Sin da subito è chiaro il target dell’opera, quello di chi ha già letto il capolavoro, impossibile altrimenti destreggiarsi tra decine di nomi bizzarri (di personaggi, città e pianeti) che vengono citati o appaiono anche solo di sfuggita. La rapidissima narrazione disorienta a causa del continuo cambio di scena, dell’intervento di volti nuovi che sembrano apparire dal nulla, e da ruoli e scopi che vengono spiegati velocemente allo spettatore anziché mostrarli con le giuste tempistiche. Credo che la sola comprensione del meccanismo che regola la guida dei Mortar Headd non sia facilmente accessibile, figuriamoci la mole di informazioni riguardanti Fatime, fabbricanti di Fatime, guardie reali, Headd Liner, costruttori di Mortar Headd e via dicendo.


Certo, allo spettatore sprovveduto è caldamente sconsigliato l'approccio filmico all'opera di Nagano, ma anche chi, come il sottoscritto, ritiene il manga una lettura fondamentale per ogni appassionato di fantascienza e intende vederselo per dovere morale, non avrà vita facile a districarsi con l'assurda complessità che è stata riversata in quest'oretta scarsa di girato, non per nulla osteggiata (e insultata) dallo stesso autore che non ha voluto averci nulla a che fare. Tolti gli aspetti esteriori come lo splendore grafico dato dall’espressività dei volti di Nobuteru Yuki, il monumentale e mastodontico mecha design dei Mortar Headd (meravigliosa evoluzione dei già favolosi Heavy Metal visti nel 1985 in Heavy Metal L-Gaim), l’ottima qualità delle animazioni o la pomposa colonna sonora, viene infatti a galla un certo senso di vuoto, mentre l’atmosfera maestosa del manga svanisce in favore di eventi così rapidi, frammentari e impalpabili da essere francamente difficili da giudicare. Dalla cerimonia iniziale alla battaglia conclusiva, passando per gli ultra sintetici flashback tra Ladios e Lachesis che riassumono in circa 30 secondi una storia d’amore, tutto appare molto freddo e per nulla coinvolgente, imprigionato com’è in una strettissima gabbia narrativa, davvero troppo piccola per contenere questa seppur minuscola parte dell’epopea. Una tristezza, ma d'altra parte sarebbe stato impossibile aspettarsi di meglio, da un progetto nato con l'unica funzione di rendere in minima parte la grandiosità del cult di Nagano.

Voto: 5 su 10

lunedì 4 aprile 2011

Recensione: Toradora!

TORADORA!
Titolo originale: Toradora!
Regia: Tatsuyuki Nagai
Soggetto: (basato sui romanzi originali di Yuyuko Takemiya & Yasu)
Sceneggiatura: Mari Okada
Character Design: Yasu (originale), Masayoshi Tanaka
Musiche: Yukari Hashimoto
Studio: J.C. Staff
Formato: serie televisiva di 25 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 2008 - 2009
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Dynit

 

Occhi taglienti e sguardo da delinquente: Ryuuji Takasu non gode certo di grande popolarità a scuola, pur avendo come migliore amico l'amatissimo vice-presidente del consiglio di classe, Yusaku Kitamura, e notevole feeling con la bella Minori Kushieda di cui è innamorato. Un giorno si compie il suo destino: incontra in modo burrascoso la piccola e aggressiva Taiga Aisaka, migliore amica di Minori e a sua volta cotta di Yusaku. I due decidono di stringere un rapporto di complicità per aiutarsi a conquistare i rispettivi partner...

Si sa, nel genere romantico trame semplici e lineari sono la norma. Come Maison Ikkoku insegna, la loro riuscita o meno dipende dalla capacità di far affezionare lo spettatore ai personaggi, portandolo a empatizzare e vivere le loro avventure sentimentali come fossero le sue. Alla luce di queste considerazioni appare molto arduo capire come un maschio possa immedesimarsi nel simpatico Ryuuji e accettare che  finisca a scegliere come fidanzata, nell'harem di ragazze che gli orbita attorno, proprio quella umanamente e fisicamente meno interessante, rinunciando ad altre due infinitamente più belle e carismatiche. No, non sono anticipazioni che rovinano la visione poiché fin dal primo episodio è chiarissimo dove andrà a parare la storia di Toradora!, e neanche maschilismo, visto che in una situazione reale dubito seriamente, con tutti i (pochi) distinguo del caso, che si possano avverare i presupposti di una storia tra persone così diverse. Il problema che impedisce l'empatia con Ryuuji, riallacciandomi al paragone in apertura con Maison Ikkoku, è proprio che la sua scelta finale non si avvicina lontanamente alla dolcezza e alla bellezza genuina di Kyoko Otonashi, al punto che è facilissimo rimanere delusi da un finale a mio modo di vedere difficilmente accettabile, seppur messo in discussione fino alla fine. Rimane, però - empatia mancata e finale controverso a parte - che Toradora! è una serie riuscita e ben fatta, garante di grandi e indimenticabili momenti di pathos che ben giustificano la sua visione.


Se la prima decina di episodi di presentazione dei personaggi scorre via senza stupire e seguendo le tipiche regole del genere (umorismo, demenzialità, situazioni da classica commedia romantica - i giovini che si perdono da soli in una grotta buia, triangoli amorosi... - e personaggi "alla Lui e Lei" dalla doppia maschera), lo sviluppo successivo si fa decisamente profondo e serioso. I personaggi principali, prima leggeri e frivoli, acquistano spessore, e sopratutto sono affrontati con la dovuta serietà un buon numero di temi forti. Si parla di genitori irresponsabili, di mancanza di progetti per il futuro da parte dei giovani, ma viene data una rappresentazione veritiera, spontanea e memorabile di come si fondano e portano avanti per davvero rapporti sinceri di amicizia, attraverso "ragazzate" e spacconate, ma all'occorrenza anche con confidenze e prese di responsabilità che portano a evoluzioni caratteriali.

È in questi aspetti che Toradora! tira fuori le sue carte migliori, soprattutto a serie inoltrata quando diverse delle sottotrame (non solo amorose) giungono al loro apice in emotivi climax. Il momento in cui J.C. Staff sfrutta un alto budget per realizzare sequenze di stampo cinematografico raramente eguagliate: non esistono parole per rendere, in quei momenti, la bellezza che raggiungono la regia dinamica di Tatsuyuki Nagai, l'espressività dei deliziosi e coloratissimi disegni, la toccante colonna sonora di Yukari Hashimoto e le animazioni che nei momenti clou da (già) ottime diventano il non plus ultra televisivo in termine di qualità e fluidità. E non si può davvero non parlare della  monolitica prova interpretativa delle voci originali, tra le migliori che si siano mai sentite: l'intensità recitativa è superlativa e, sopratutto nelle sequenze più drammatiche, di urla e pianti (lo "scontro" tra Taiga e Sumire), sembra che vivano davvero le stesse emozioni dei personaggi a cui prestano voce. Da brividi, e fonte massima dei diversi momenti di commozione che più volte colpiscono il toccato spettatore. Per lo stesso motivo il doppiaggio italiano, incolore ed estremamente mediocre, rappresenta un difetto non da poco nel gradimento complessivo della serie, al punto  che si potrebbe quasi togliere un mezzo punto solo per quello. Una di quelle serie che, come Code Geass, perde intensità e  carisma se non doppiata a livelli almeno vicini a quelli originali.


Alla luce di tutto questo, nevvero, è solo questione di gusti apprezzare o no il finale. Capita raramente in una commedia romantica di tifare contro la ragazza titolare e sperare fino all'ultimo che l'eroe si metta con un'altra: detto questo, quest'ultima non è un propriamente un personaggio orribile, anzi ha dei momenti in cui dimostra una dolcezza non trascurabile. Solo, è troppo palesemente forzato che venga scelta rispetto alle altre. Ma la conclusione rimane obiettivamente ben realizzata, e soprattutto la sequela di forti emozioni costruite mano a mano dalla storia sono sincere e bastano per un giudizio altamente positivo. Toradora! è in primis una gran bella serie, e come qualsiasi prodotto di qualità che ti fa affezionare ai suoi protagonisti, l'episodio finale è per forza di cose tristissimo nel momento che si constata che non si potranno più vedere quei personaggi. Non si può chiedere di meglio a una produzione animata.

Voto: 8 su 10

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