domenica 26 febbraio 2012

Recensione: SOS! Tokyo Metro Explorers: The Next

SOS! TOKYO METRO EXPLORERS: THE NEXT
Titolo originale: Shin SOS Dai Tokyo Tankentai
Regia: Shinji Takagi
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Katsuhiro Otomo)
Sceneggiatura: Sadayuki Murai
Character Design: Katsuhiro Otomo (originale), Hidekazu Ohara
Musiche: Yoshihiro Ike
Studio: Sunrise
Formato: film cinematografico (durata 40 min. circa)
Anno di uscita: 2007


Estate 2006. Il giovane Ryuhei Ozaki trova un diario giovanile del padre con la mappa di un antico tesoro ubicato nelle gallerie che corrono nel sottosuolo di Tokyo. Decide così di organizzare una missione esplorativa insieme agli amici Shun, Toshio e al fratello minore Sasuke: il viaggio metterà i giovanissimi eroi a confronto con un'autentica società sotterranea, e darà il via a una grande avventura.

Quaranta minuti sono più che sufficienti all’universo di Katsuhiro Otomo per riverberare ancora una volta se stesso, le proprie ossessioni e la sua importanza all’interno del panorama dell’animazione giapponese. In effetti è sorprendente notare la compattezza della materia forgiata dall’autore, anche quando il ruolo del regista è affidato, come in questo caso, a una persona terza, a testimonianza di una concezione del racconto forte e solida. SOS! Tokyo Metro Explorers: The Next è insieme trasposizione e ideale sequel di un fumetto breve realizzato da Otomo nel 1980 e incentrato sulle avventure di un gruppo di bambini-esploratori che da più parti ha fatto muovere paragoni con il celebre film I Goonies, realizzato da Richard Donner e Steven Spielberg nel 1986. E’ un paragone calzante e per nulla peregrino pur considerando come il fumetto originale preceda il film americano, poiché va considerato la profonda cinefilia di Otomo che quindi rende ogni possibile connessione con le opere altrui come una prova del carattere virtuoso della sua produzione, capace di rimettere in circolo con tocco estremamente personale ossessioni e temi pure esplorati da altri e di stabilire legami che travalicano lo spazio e il tempo.

Nel caso specifico, poi, risaltano evidenti l’importanza del contesto e dello stile con cui l’avventura viene narrata, tipici dell’opera di Otomo: immergendosi nel sottosuolo di Tokyo, infatti, i giovanissimi protagonisti sanciscono ancora una volta l’importanza primaria dell’ambiente urbano come cartina di tornasole per comprendere i caratteri dei personaggi e per radiografare gli umori che serpeggiano nella società tutta. Il mondo “di sotto” nel quale il gruppo si imbatte è quindi costruito attentamente come divertita parodia della società nipponica, dove emergono scontri di parte e una latente conflittualità tra antico e moderno, con tanto di vetusto carro armato a costituire il tesoro intorno al quale ruota tutta la vicenda. I legami che la sceneggiatura stabilisce fra i personaggi (e che fino alla fine riveleranno l’estrema interconnessione del mondo “di sotto” con quello “di sopra”) trova nell’isolamento degli stessi la chiave di volta per descrivere con una certa minuzia e molto divertimento gli atteggiamenti tipici delle microcomunità che animano una società complessa e stratificata come può essere appunto quella della grande megalopoli giapponese: lo sguardo innocente dei bambini permette allo spettatore di essere guidato e di ritrovare il gusto per la scoperta di un mondo del quale non si sospettava l’esistenza e che riverbera perciò, accanto alla componente più squisitamente satirica, anche il gusto per l’avventura in senso puramente spielberghiano, permettendo al cerchio di chiudersi.


Passato e presente dunque si mescolano nel resoconto di un’incredibile avventura, ma anche lo stile si adegua a questo approccio optando per una coesistenza di tecniche di animazione tradizionali e 3-D, secondo un modello che si può trovare nello splendido KakuRenBo (sul quale certamente si tornerà): ecco dunque che le figure, sebbene realizzate con programmi di grafica digitale, tentano di riprodurre lo stile “disegnato” tipico del 2-D. Il risultato è altalenante: fluido e molto spesso realistico nell’interazione dei personaggi, appare a tratti forzato e denuncia la sua natura di sintesi, ma nel complesso permette alla spettacolarità pure cara a Otomo di palesarsi in modo riuscito. D’altronde il regista Shinji Takagi si è fatto le ossa su kolossal del calibro di Steamboy, per il quale è stato direttore dell’animazione, e quindi dimostra di conoscere bene le regole dello spettacolo e sa costruire le sequenze con buon gusto, trasmettendo divertimento e un pizzico di tensione. Il tratto tondeggiante e i colori morbidi seguono ovviamente lo stile caro al maestro Otomo e contribuiscono a rendere l’insieme molto accattivante. Presentato al Future Film Festival 2009.

Voto: 7 su 10

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