lunedì 2 settembre 2013

Recensione: Psycho-Pass

PSYCHO-PASS
Titolo originale: Psycho-Pass
Regia: Katsuyuki Motohiro
Soggetto & sceneggiatura: Gen Urobuchi
Character Design: Akira Amano (originale), Kyoji Asano
Mechanical Design: Shinobu Tsuneki
Musiche: Yuugo Kanno
Studio: Production I.G
Formato: serie televisiva di 22 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 2012 - 2013
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Dynit


Il problema di un’opera come Psycho-Pass è quello di arrivare sostanzialmente tardi su una strada già battuta in passato, e soprattutto senza riuscire a imprimere quella sensibilità, quella ricerca differente, quella particolare attenzione che riescano a imprimere un qualche tipo di lascito per poter realmente rivaleggiare con quei capolavori, o comunque lavori significativi, che Gen Urobuchi sembra più che altro inseguire disperatamente. I fantasmi di Ghost in the Shell (1995) e Darker than BLACK (2007) non danno mai tregua durante la visione, ma se l’originalità è in fondo aspetto secondario paragonandolo alla qualità con cui una storia anche semplice può essere narrata, e conosciamo tutti l’abilità di Urobuchi, cadere e fallare laddove quei due notevoli lavori (più il primo che il secondo, per ovvie ragioni) traevano la propria forza è per me sinonimo di disattenzione o, peggio, di trascurabile imitazione, che di questi anni possiamo anche aspettarci dalla Production I.G. ma di sicuro meno dal papà di Puella Magi Madoka Magica (2011).

I luridi scenari cyberpunk di un futuro nipponico dominato da una I.A. che regola il benessere della popolazione con una scala di valori che determina chi è buono e chi no, sono pretesti di certo non nuovi alla fantascienza, anche occidentale – un domani in cui la salute e la felicità siano garantite attraverso un’oppressione sotterranea violentissima e spietata è spunto sempre intrigante nonostante la facile freccia critica con cui puntare il dito su istituzioni e impoverimento umano, e una narrazione frammentaria, dove storie multiple sul gruppo di protagonisti si intrecciano con una trama principale che si costruisce man mano con archi che si aprono e si chiudono con una serialità semi-episodica, è scelta ideale per mostrare un world-building ben pensato, tanto nei dettagli sociourbani quanto nel lifestyle quotidiano di chi vive la vita voluta dal Sybil system, ma per rendere il tutto davvero coinvolgente e realisticamente credibile, dato più che altro il taglio estremamente adulto dell’opera, servivano molta più sicurezza e maturità, molto più distacco e decisione, molto più coraggi autentico, e di sicuro molte, molte meno pippe filosofiche-letterarie che in fondo gran poca sostanza e ancor meno valore danno all’intreccio.

 

È proprio questo aspetto a risaltare tristemente all’occhio, quasi Urobochi fosse più interessato a una sovrastruttura di raffinata ma irritante intellettualità che a una vera e propria forma dove ambientare una storia, e infatti, nonostante la meticolosità dialogica e la ricchezza dello scenario, una certa superficialità organica è spesso visibile e fastidiosa, soprattutto nella costruzione dei personaggi che, tolti i due protagonisti Kogami e Akane (classica coppia di antieroe e novellina, comunque funzionale), hanno quasi sempre importanza relativa, strettamente legata all’avanzamento delle trame, e non vivono alcuna vita propria e indipendente, come succedeva invece nello stratificato Darker than BLACK che utilizzava lo stesso approccio, nonostante vengano dedicati loro appositi episodi utili a creare un background sempre più minuzioso che invece, una volta fatti i conti, appare fragile e sostanzialmente accessorio a una trama che infine appare particolarmente esile e prevedibile.

I vari omicidi che distruggono la tranquillità giornaliera sono perlomeno studiati con il giusto approccio, la complessità delle parti in gioco è superiore all’analisi utile a scoprire il colpevole, e si apprezza parecchio questa scelta perché coraggiosa nel costruire personalità interessanti, nel porre riflessioni e interrogativi che la freddezza investigativa spesso non sa rispondere. È però il progressivo delinearsi della figura criminale del villain a infrangere, di puntata in puntata, le buone basi di partenza, perché fa emergere un difetto ben più importante di certe falle narrative e di varie ambizioni mal strutturate: la ricerca di una maturità espressiva data da storie e tematiche che si trasformano in violenza, splatter, sesso e numerosi momenti fortissimi nell’inscenare un’inevitabile critica sociale (il pubblico occasionale che ride durante uno stupro in piena strada perché non sa pienamente inquadrare il significato della violenza, ma anche varie uccisioni inaspettate) non è infatti supportata da un’adeguata visione che sia abbastanza sobria per permettersi di trattare tale drammaticità: il brutto chara di Amano e Asano, troppo vago e indeciso tra una sorta di richiamo nineties e tenebrosità in latex, definisce volti che spesso stridono con la seriosità dell’opera (i capelli di Ginoza, la leggerezza di Kagari, e soprattutto il classico belloccio dannato come villain), così come alcune situazioni avrebbero dovuto staccarsi dalla standardizzata messinscena sopra le righe dell’animazione nipponica e premere sul realismo insistentemente evocato (non so, penso all’assurda capriola all’indietro durante la scontro finale).

 

Certo, rimangono una comunque piacevole storyline, con un’appropriata esplosione nella seconda parte che conduce a una dura conclusione, dialoghi lunghi e ben scritti (quando non scendono nella sterile deriva filosofica) e una sorta di cattiveria di fondo che raramente si trova in animazione (muoiono un sacco di personaggi in maniera molto brutta) – ma tutto, come scrivevo sopra, nonostante il tentato spessore e l’ambita serietà, rimane clamorosamente in una superficie che in fondo non colpisce più di tanto.

Voto: 6 su 10

SEQUEL
Psycho-Pass 2 (2014; TV)
Psycho-Pass: The Movie (2015; film)

8 commenti:

Antisistema ha detto...

Di solito commento le recensioni di God (Jacopo Mistè), ma visto che quest'opera non la recensisce lui...piacere di fare la sua conoscenze signor Corà.

Come voto lei è troppo basso, sicuramente un 7,5 sarebbe molto meglio. La regia è di ottima fattura e di gran classe, gli omicidi sono girati con classe e non lesina sconti. Lode sopratutto per non usare il fastidiosissimo fuori campo quando c'è un omicidio cruento, ma mostra tutta la crudeltà di esso (vedere ad esmepio la ragazza strozzata dove si vede la luce andarsene mano a magno dai suoi occhi, o l'uso efficace del rasoio di Makishima sulle sue vittime).

Le grosse pecche della serie sono essenzialmente due :

- I personaggi. Akane cambia improvvisamente e diventa seriosa in una puntata ma si può dire che la sua crescita c'è. Il punto dolente sono gli esecutori, Kagari non lo si calcola di striscio, la ragazza è l'unica approfondita, ma fondamentalmente è stato inutile vista la sua scarsa utilità narrativa, il padre di Ginoza poteva dare molto ed invece...Ginoza è un peso, la sua stupidità serve solo a far risaltare la brillantezza di Kougami facendo da contraltare. Makishima...si ok, lodevole e convincente il suo piano come obiettivo finale in sè, ma la sua realizzazione è contortissima.
- la filosofia esasperata. Urobuchi non ha la fluidità di un Kamamiyama o di un Oshii alla scrittura dei dialoghi e purtropp si sente, spesso sono pedanti, macchinosi e farraginosi. Un buon 50% della filosofia è inutile ai fini narrativi (vedere il discorso sugli ebook di Makishima che si scaglia contro il cartaceo, si ok interessante, ma l'utilità narrativa?

Il finale si appoggia troppo su una seconda serie e questo non va bene. Ottimo il pessimismo di fondo che sa tanto di Violent Cop di Kitano, dove cambia tutto per non cambiare niente, ma poteva essere gestito meglio.

La grafica è stupefacente, la fusione tra CGI e animazioni tradizionali è perfetta, la città quando è protagonista, da il suo meglio, la protesta sociale è forte, vibrante e colpisce nel segno. In sostanza, regia sublime, ottima fotografia urbana, soggetto interessante, storia ben narrata anche se presenta non poche falle di sceneggiatura in certi momenti.

Simone Corà ha detto...

Piacere mio :)

Guarda, tu parti dal presupposto che la serie comunque ti è piaciuta, io invece non posso essere dello stesso avviso, perché pur avendola seguita anche piacevolmente mi ha spesso annoiato o fatto sbuffare proprio per l'enorme ambizione giostrata malissimo, i continui richiami filosofici che sembrano copiati e buttati e lì giusto per gli intellettuali, e in generale proprio perché, per quanto ci provi, Urobuchi non è un Kamiyama o un Oshii, che in questa materia si trovano a meraviglia.

Poi, sì, ci sono molte cose buone, come certa crudeltà e ferocia nelle morti di alcuni personaggi o in alcuni sviluppi della trama, ma alla fine mi è sembrato tutto già visto e, per quanto animato e diretto in maniera brillante, poco personale.

Son comunque curioso per la seconda serie :)

aocchan ha detto...

Ciao, ho scoperto da poco questo blog e precedentemente ho commentato una recensione del tuo collega (:

6/10 secondo me è un voto troppo basso per questo anime, ma sicuramente hai evidenziato delle pecche esistenti. Sono d'accordissimo sulle lunghe tirate filosofiche - assolutamente inutili e insopportabili. Inoltre anche i personaggi oscillano fra piattezza e banalità. Secondo me invece è da apprezzare la trama e il setting, entrambi ben riusciti. Buono che abbiano fatto schiattare vari personaggi qua e là (nonostante Kagari fosse il mio preferito ; ^ ; ). Negli anime di oggi troppo spesso sembra che i personaggi siano immortali.

Simone Corà ha detto...

Scusa se rispondo solo adesso, appena tornato dalle ferie :-P

Guarda, detta in parole molto semplici, credo che Gen Urobuchi sia uno dei pochi autori che attualmente ha davvero qualcosa da dire ed è in grado di farlo con sceneggiature personali e diverse dalla quotidianità dell'animazione.

Certo, è discontinuo e soprattutto non ha ancora raggiunto quella maturità e profondità che gli permetta di creare quel capolavoro che un po' ormai gli si chiede, per adesso è sempre rimasto su un livello discreto, tanti ottimi spunti ma c'è sempre qualcosa che fa storcere il naso e vari difetti che impediscono alle sue opere di riuscire completamente (Madoka compreso).

Psycho Pass, così come anche Gargantia, hanno spunti fenomenali ma poi crollano su se stessi quando gli si chiede di rimanere sugli altissimi livelli che promettevano - adesso Aldnoah mi sembra regga benissimo ma sono comunque indietro di una manciata di episodi e temo il tracollo...

aocchan ha detto...

Bentornato (: Non sapevo che questo autore si fosse occupato anche delle opere che tu hai citato! PMMM sinceramente non mi è piaciuto per niente... non capisco come possa essere così apprezzato. Secondo me Psycho-Pass è di sicuro migliore. Gargantia non l'ho visto, mentre per adesso Aldnoah.Zero mi sta piacendo molto, anche se sotto alcuni aspetti (ad esempio i personaggi) lo trovo un po' piattino. Aspetto la tua recensione a riguardo (se ne farai una!).

Simone Corà ha detto...

Arriverà di sicuro. :)

Gargantia poteva essere una bomba, ha un primo episodio straordinario e una storia molto bella raccontata però molto molto male - Urobuchi ha scritto infatti solo il primo e l'ultimo episodio, nel mezzo c'è vuoto, noia e stupidaggini varie.

Per me vale comunque la pena guardarlo, eh :)

Anonimo ha detto...

Non so, sarà forse che quando ho trovato questo anime non ero a caccia di splatter non-sense oppure di un ncis/csi/(...) ma a me è piaciuto molto anche per i continui richiami filosofici.
Onestamente, non mi spingerei a dire che il 50% è inutile ai fini narrativi, per lo più sono tutte perle di Makishima che contribuiscono ad approfondirne la sensibilità e la personalità in generale, ma anche concedendo che il 50% non abbia assolutamente niente a che vedere con i fini narrativi, è bello vedere che non tutti gli anime di questo tipo sono zero-brain splatter.

Simone Corà ha detto...

Lo splatter per me è valore aggiunto, ci sono immagini forti che in una grossa produzione sarebbe invece più facile non mettere.

Il problema della filosofia usata è il suo derivare dal Ghost in the Shell di Oshii, se là era parte integrante della narrazione qui invece mi è sembrata solo una cosa aggiunta per dare sembianze "importanti" quando invece la solidità e la profondità della storia era comunque ben percepibile dalla buona scrittura di Urobuchi. :)

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