lunedì 22 novembre 2010

Dossier sull'animazione robotica: Macross e i suoi successori (1980-1989)

DOSSIER SULL'ANIMAZIONE ROBOTICA: MACROSS E I SUOI SUCCESSORI (1980-1989)

Il 1980 si contraddistingue per due titoli importantissimi e fondamentali, ma prima di ogni altra cosa l'inizio del nuovo decennio è tristemente aperto, il 14 gennaio, dalla drammatica morte per epatite, a soli 43 anni, del regista Tadao Nagahama, che in un tale clima di rinnovamento avrebbe sicuramente potuto ancora dire la sua sull'argomento (i suoi fan hanno modo di consolarsi con  Space Emperor God Sigma, sempre classe '80, e Golion che esce nell'81, a opera di quello staff  Saburo Yatsude a cui è stato a capo fino alla fine). In quell'anno si può citare tra le opere sorvolabili ma originali L'indistruttibile robot Trider G7, spiritosa commedia Sunrise che rimpiazza l'appena concluso e fallimentare Mobile Suit Gundam su TV Asahi, e il cui plot vede la Terra minacciata dall'immancabile invasione aliena, l'Impero dei Robot. L'originalità è rappresentata dall'approccio nel raccontare il solito conflitto: protagonista è una ditta di trasporti spaziali, la Takeo General, incaricata di volta in volta dal governo di effettuare consegne a domicilio alle colonie spaziali col suo super-robottone Trider G7, nel contempo affrontando anche il nemico. In ogni episodio Trider G7 dovrà perciò fare il facchino in mezzo allo spazio, affrontare gli alieni cercando di non subire troppo danni (visto che la ditta è spesso in bolletta e acquistare ricambi al robottone costa!), e anche scongiurare gli intrighi di ditte concorrenti (!). Tra numerosi inserti di slice of life, atmosfere energiche e scanzonate e nessun accenno "serioso" alla guerra, la serie sa farsi apprezzare sia da bambini che adulti rivelandosi un concentrato di freschezza.

 Un capolavoro dimenticato dell'animazione: Ideon (1980)

Si diceva però di due capolavori fondamentali in quell'anno. Il primo di essi, che inizia l'8 maggio, è ancora una volta realizzato da Yoshiyuki Tomino, ed è un altro cult che di fatto attesta la caratura di Sunrise, ormai lo studio animato per eccellenza nel genere. È il momento di Space Runaway Ideon, secondo storico mecha dalle origini divine (il primo, come già detto, è Reideen the Brave, sempre loro). Il suo è lo stesso destino infausto di Gundam (la bassa vendita di modellini lo porta a essere ridotto a soli 39 episodi contro i canonici 50 previsti), ma rappresenta la prima serie a mescolare attivamente fantascienza, robotico e misticismo. Di Super Robot si tratta, e di un robottone tanto esteticamente brutto da risultare quasi kitsch: un ciclopico mecha rosso componibile, formato da un aereo e due camion, che per arma usa solo i suoi pugni e calci e che all'occorrenza può disintegrare pianeti interi con uno speciale cannone. Ideon è il mecha protagonista di una serie cupa e nichilista, con uno svolgimento costellato di morti tragiche, dove quasi tutti i personaggi, eroi compresi, sono estremamente credibili nella loro diffidenza e razzismo. La storia si basa su problemi di comunicazione e comprensione (temi che Tomino affronta, con mille varianti, in quasi tutte le sue opere) tra un gruppo di coloni terrestri e una bellicosa razza aliena, il Buff Clan. L'Ideon, un mecha dissotterrato dai coloni durante alcuni scavi archeologici, è la reincarnazione fisica di una divinità extraterrestre da cui discende tutto l'universo, l'Ide, e al contempo una potenziale bomba a scoppio capace di annichilirlo, nel caso dovesse valutare che l'umanità è violenta, crudele e indegna di esistere. Il Buff Clan tenta in tutti i modi di impossessarsi del suo idolo, al punto tale che ai terrestri non rimane altro che la fuga nello spazio, dove sono costretti a combattere per difendersi. Il prezzo da pagare, però, è il dare sfogo alla propria aggressività, influenzando negativamente il giudizio del dio. Cupa parabola sulle incomprensioni umane che portano a fraintendimenti, odio e morte, stroncando i buoni propositi dei pochi idealisti, Ideon è una serie filosofica e avveniristica, la cui idea del protagonista/bomba a orologeria capace di distruggere il mondo, pur non essendo la prima nel genere (tale primato spetta al manga del 1976 Mars di Mitsuteru Yokoyama, ancora non trasposto), influenzerà numerose produzioni successive. È una serie che entra nella Storia con i due lungometraggi successivi fatti per chiudere degnamente la trama, in particolare il secondo, l'impressionante The Ideon: Be Invoked (1982), che si ricorda per un finale truce, sconvolgente e apocalittico, tra i più tragici di sempre nonostante una nota speranzosa nell'epilogo, impossibile rivelare altro (pena rovinare la sorpresa).

L'altro culto del 1980 è invece Baldios il guerriero dello spazio, prodotto da Ashi Productions, che replica ancora una volta il destino delle grandi opere incomprese: anche lui per colpa del flop di ascolti (inserito nello stesso orario in cui il canale rivale Nihon Television trasmette pezzi da novanta come la seconda serie di Lupin III e poi Rocky Joe 2, raccoglie uno share minimo dell'1%) finisce interrotto a 32 episodi sui 39 inizialmente previsti (più altre due puntate mai trasmesse), salvo trovare, grazie alle richieste dei fan e delle riviste specializzate, un degno finale nel lungometraggio del 1981 prodotto da Toei Animation, Baldios: The Movie. L'antefatto vede il lontano pianeta S-1 ritrovarsi sull'orlo del disastro ambientale per colpa delle radiazioni provocate dalle guerre. Figlio di uno scienziato che ha trovato una cura per quelle terre, Marin Reigan assiste impotente all'uccisione di suo padre e alla distruzione delle sue ricerche da parte della fazione militare che prende il potere, comandata dal tirannico Zeo Gattler, finendo poi in un buco spazio-temporale che lo trasporta sulla Terra. All'indomani dell'apparizione delle armate di Gattler che vogliono colonizzare il pianeta, il giovane non potrà far altro che entrare nell'organizzazione militare terrestre dei Blue Fixer e pilotare in guerra il potente robot Baldios. Con i suoi impressionanti moniti ecologisti e antimilitaristi, uno sconvolgente impianto drammatico usato per esprimerli, storie d'amore maledette capaci di tenere inchiodata l'attenzione anche delle ragazze e una puntata finale di incredibile bellezza (nonostante il cliffhanger senza prosieguo -almeno fino a quando le due puntate finali saranno ripristinate nelle edizioni home video), la serie televisiva di Baldios si ricorda, nonostante il basso budget, nonostante la classica formula tokusatsu e nonostante svariate ingenuità di fondo figlie dell'epoca, come una gran bella serie, che splende di luce propria senza avere debiti quasi con nessuno. Baldios meriterebbe la citazione anche solo per l'incredibile, avveniristirca smitizzazione operata al robottone che dà il titolo alla serie, "tradimento" ancora più forte di quello di Tomino in Gundam, visto che il Baldios, tanto potente e temibile, è usato pochissimo in ogni episodio: focalizzando tutto l'interesse della narrazione su storia e personaggi, gli sceneggiatori della Ashi Production riducono al minimo indispensabile le sue apparizioni, ridotte quasi sempre a poco più di uno o due minuti a puntata, tanto più che in svariate occasioni neppure apparirà (!). Insieme a Gundam e Ideon, decisamente, un'altra opera che, nonostante il basso target di partenza, nei fatti è adulta come pochi altri, attestando il profondo cambiamento che sta avvenendo nel genere, evoluzione che nell'arco di dieci anni renderà indistinguibile gli ingenui, adorabili robottoni settantini da quelli delle nuove generazioni.

Il biennio 1981-82 si ricorda, come precedentemente citato, per l'uscita nei cinema giapponesi della trilogia cinematografica di Gundam. Tre lunghi film da due ore e mezza ciascuno (!) che riassumono l'intera serie televisiva originale spogliandola da tutte le sue ingenuità e migliorandola sotto ogni aspetto, visivo e narrativo. È la versione definitiva del capolavoro del 1979. La proiezione del primo film, il 22 febbraio 1981, è pubblicizzata a Shinjuku da una manifestazione voluta dalla stessa Sunrise, la "Proclamazione della nuova era dell’animazione" (anime shinseiki sengen), alla quale si presentano, sbalordendo lo stesso studio, addirittura 15.000 persone da un'età minima di 16 anni, molti di essi facendo cosplay. Su un palco appositamente allestito, un giovanissimo (21 anni) Mamoru Nagano (noto ai più come il futuro autore di The Five Star Stories), vestito dal carismatico villain Char Aznable, legge il proclama ufficiale: in esso sono ribadite tutte le innovazioni dell'opera che inaugurano un nuovo modo di intendere le produzioni animate, storie non più espressamente dedicate a un pubblico infantile ma anche depositarie di contenuti esplicitamente adulti, character driven e dalla continuity serratissima. Un evento storico, trasmesso nelle televisioni, che rassicura tutti gli spettatori adulti sulla non elitarietà di queste visioni, facendo di riflesso conoscere il Mobile Suit bianco a tutto il Giappone. È l'inizio della rivoluzione: manco a dirlo i tre lungometraggi riscuotono un successo commerciale epocale, portando poi alla replica della serie tv che tocca finalmente grossi indici di ascolto. Gundam e i successivi titoli Sunrise, basati sul suo stile, faranno quindi da spartiacque influenzando l'intera industria dell'intrattenimento, che non potrà far altro che adeguarsi ai nuovi canoni da loro inaugurati, in particolare l'abbandono dello stile di racconto "a episodi autoconclusivi". Vista l'estrema importanza che rivestiranno i grandi titoli Sunrise in questo decennio, capaci di dare battesimo a uno stuolo di opere e artisti dall'importanza e influenza fondamentali, è inevitabile che buona parte del dossier verterà perlopiù su di loro, non potendo far altro che trattare con velocità quei pochi robotici "tradizionali" e non autorale, da parte di altri studi d'animazione, che continueranno a vedere la luce. Toei Animation ad esempio proverà a riprendere le redini del genere con la trilogia rappresentata da Galaxy Cyclone Braiger-Galactic Gale Baxinger-Galactic Whirlwind Sasuraiger, tre serie televisive trasmesse tra l'81 e l'83 che, nel tentativo di differenziarsi dalla massa, proveranno ad abbandonare il classico schema di invasioni extraterrestri imbroccando la nuova via dell' "ibrido", mescolando sprazzi di robotico (l'immancabile robottone che nel finale affronta quello nemico) con storie dalle tematiche e dall'azione prevalentemente di matrice occidentale, spesso team di ranger/tutori dell'ordine/professionisti che devono combattere in ogni episodio la criminalità e mantenere l'ordine nel mondo (o nell'universo) con tutti i mezzi. Questa trilogia, accumunata dai soggetti di Yu Yamamoto, è composta da titoli che, nonostante il loro successo di pubblico, sono più o meno dimenticabili, interessati a strizzare l'occhio ai bambini che stanno vivendo proprio ora, nel periodo "bubble", quell'omologazione giapponese dei costumi americani. Verranno alla luce diversi altri cloni (per esempio Super High Speed Galvion, Mission Outer Space Srungle e Star Musketeer Bismarck, questi ultimi due conosciuti in Italia come Capitan Gorilla e Sceriffi delle stelle), ma nulla di memorabile. Per quel che riguarda invece le classicissime serie Super Robotiche con invasori e Fortezza delle scienze, queste proseguiranno senza picchi (principalmente i nuovi titoli di Saburo Yatsude) fino al 1985, anno di uscita dell'esponente conclusivo del genere, Dancouga.

 Il tragico, sfortunatissimo Baldios (1980) 

Tornando a parlare di Sunrise, è il 23 ottobre 1981 che vede la luce su TV Tokyo la nuova opera fondamentale della loro scuderia, un titolo che marchia nella Storia il talento di un nuovo regista importantissimo: è l'anno di Ryousuke Takahashi e dei 75 memorabili episodi del suo Fang of the Sun Dougram. Il pianeta Deloyer, colonia della Federazione Terrestre, vuole l'indipendenza, ma in tutta risposta si ritrova occupato dall'esercito e posto sotto il controllo di un governo fantoccio. Il protagonista Crinn Cashin, figlio del governatore terrestre di Deloyer, si unisce ai ribelli per prendere parte alla guerriglia civile, trovandosi presto alla guida del prototipo Dougram costruito dagli insorti. Dougram è storicamente il primo, vero "figlio" di Gundam, spinto dal capolavoro di Tomino a raccontare una nuova guerra civile che presenta robottoni nuovamente prodotti in serie e dove gli episodi autoconclusivi spariscono ancora una volta del tutto per favorire una continuity serrata. Si torna anche allo schema "Super mascherato da Real", in cui il Dougram è invincibile e solo i mezzi avversari sono davvero realistici, ma il robottone protagonista è "smitizzato" come mai si è visto prima d'ora, spesso a corto di munizioni e fortemente dipendente dall'entusiasmo del suo pilota, che in più di un'occasione si ritrova così malconcio, come armamenti o carburante, da essere inutilizzabile o addirittura costretto a fuggire via dal campo di battaglia. Con Dougram, Ryousuke Takahashi fa conoscere a tutto l'ambiente il suo talento unico nel tratteggiare storie dai background militari/politici/geografici curati a livelli maniacali (non per nulla le uniche opere animate paragonabili alle sue sono le trasposizioni dei romanzi di Yoshiki Tanaka, Legend of the Galactic Heroes in testa), dove una regia distaccata, dialoghi profondi e filosofici, caratterizzazioni complesse e situazioni estremamente realistiche fanno respirare forti echi di quella Storia contemporanea a cui si ispira (in questo caso il pianeta Deloyeran è un Paese dell'America Latina che vuole emanciparsi dal giogo statunitense - l'immaginario stato di Medoul - durante la Guerra Fredda, e in esso si respirano atmosfere, anche per merito di divise, motivetti militari etc, di guerre civili spagnole e cubane). Il totale realismo di fondo in strategie di guerra, implicazioni del conflitto (economiche, politiche e sociali) e disegno dei personaggi (che siano eroi od odiose spie o tiranni) proietta meritatamente Dougram nell'Olimpo dei capolavori come prima storia robotica ambientata in un contesto narrativo realistico ed estremamente attendibile. Quella del regista è la volontà di "documentare" la guerra invece di "narrarla" in modo spettacolare, tanto che addirittura buona parte delle immancabili schermaglie tra il Dougram e i Soltic nemici avvengono sempre giusto negli ultimi tre minuti di episodio (come in Baldios), giusto per fornire l'obbligatorio contentino mecha  a Sunrise e sponsor. Non c'è infatti da stupirsi come il film che riassume Dougram e che esce nel 1983, Dougram: A Documentary of the Fang of the Sun, ad attestato della filosofia del regista si presta a riepilogare, come da titolo, il conflitto come un vero e proprio documentario in b/n, che ne riassume le fasi principali tramite una voce narrante in terza persona.

Il 13 marzo 1982, in piena trasmissione di Dougram, esce nei cinema il terzo lungometraggio riassuntivo di Gundam, Incontro nello spazio, ennesimo successone. Vista la totale, straordinaria riabilitazione del titolo, Sunrise inizia a realizzare le potenzialità commerciali dell'opera e decide così di darle un sontuoso seguito, che possa sfruttare le migliori tecnologie e animazioni del tempo nell'ottica di un kolossal televisivo. Deve però addestrare a tal proposito uno staff degno di questo obiettivo: ha numerosi artisti, sceneggiatori e animatori promettenti, che necessitano però di farsi le ossa in un mondo nuovo e in continua evoluzione come quello dell'animazione. È da queste premesse che tra l'81 e l'85, anno in cui esce finalmente l'agognato sequel, lo studio fa girare al regista Yoshiyuki Tomino e ai suoi uomini tre lunghe produzioni televisive per prepararli ad adempiere a tali ambizioni. Si tratta di serie chiaramente fatte "tanto per fare", senza intrecci particolarmente elaborati, ma che hanno la fortuna di risolversi in due ottimi titoli e solo uno mediocre, tutti particolarmente importanti . Il primo a uscire, il 6 febbraio 1982, è l'irresistibile Blu Gale Xabungle. Un western-fantascientifico di 50 episodi che, raccogliendo l'eredità di Daitarn 3, si propone come serie allegra e divertente, colma di prese in giro ai nuovi stereotipi dell'animazione robotica televisiva, pur non priva di un soggetto coinvolgente. Nel pianeta Zola spiccano due classi sociali: i Civilian, poveracci regrediti che vivono nell'ignoranza, e gli Innocent, potenti conoscitori delle antiche arti scientifiche e tecnologiche di un tempo ormai dimenticato, che comandano sui primi negando loro ogni tipo di conoscenza. Il vivacissimo protagonista cowboy Jiron Amos, preso possesso di una macchina da guerra, lo Xabungle appunto, e desideroso di vendicare la sua famiglia uccisa dal killer Timp, nella sua caccia finisce col girovagare per il mondo, unendosi a un gruppo di commercianti e fuorilegge e costringendoli tutti ad unirsi a lui nella sua guerra personale, che finisce presto con l'estendersi a un target ben più grande, gli stessi Innocent, rivelando la dimenticata origine dell'ordine sociale del pianeta. Quella di Xabungle è una storia che, nonostante la sua estrema semplicità e lentezza, basata quasi interamente su azione e lunghe battaglie, può vantarsi di un cast carismatico e divertente, protagonista di gag e tormentoni che a tutt'oggi riescono a strappare la risata rivelando la grande modernità del titolo. Non trascurabili neppure gli sviluppi narrativi, con le loro fasi finali che si rivelano molto suggestive quando i vari misteri iniziano ad avere una loro risposta. Bella serie insomma, che attesta come il regista Yoshiyuki Tomino sia a suo agio sia nelle storie più cupe e tragiche che in quelle spensierate. Da notare anche tre importanti innovazioni che Xabungle apporta al genere: la presenza di ben due modelli identici dello stesso robottone protagonista, lo Xabungle, guidati contemporaneamente da Jiron e da un suo compagno; il primo esempio di vascello mobile guidato dagli eroi che può trasformarsi in un gigantesco robottone, l'Iron Gear; e infine - e questa è l'innovazione più importante che verrà usata poi nella pressoché totalità dei robotici Sunrise - il rimpiazzo, a metà serie, del robottone protagonista con un nuovo modello più evoluto e potente, che ne prende ufficialmente il posto.

Il secondo titolo Sunrise/Tomino esce nel 1983, ma passa decisamente in secondo piano, per importanza, rispetto al cult fondamentale del 3 ottobre 1982, ovvero il secondo, epocale anime robotico che rivoluziona per sempre il genere: Fortezza super dimensionale Macross. Il relitto di una gigantesca nave aliena schiantatasi sull'isolotto di Sud Ataria, il Macross, viene lentamente ricostruito dai terrestri, e dopo dieci anni di riparazioni è pronto a essere collaudato. Peccato che la sua riattivazione non solo richiami sul pianeta una bellicosa razza di alieni, gli zentradi, ma teletrasporti pure la nave nei dintorni di Plutone insieme a tutti gli abitanti dell'isola. Inizia così, per loro, un lungo viaggio di ritorno verso la Terra, frammentato dai frequenti scontri con gli alieni che si incrociano con storie d'amore dell'eroe Hikaru Ichijo e misteri sul legame tra terrestri e zentradi. Creato da Studio Nue e dal suo membro Shoji Kawamori, ma animato in collaborazione con Anime Friend grazie all'imponente budget profuso dai produttori Tatsunoko e Big West, Macross è un originale mix di fantascienza robotica, romanticismo e musica, è la prima serie animata i cui tratti principali sono delineati da una nuova generazione di registi (la cosidetta "Seconda") che hanno maturano la loro esperienza e competenza non dal mondo del cinema ma da quello della stessa animazione, con cui sono cresciuti fin da piccoli e di cui conoscono i meccanismi. Shoji Kawamori e il regista Noboru Ishiguro hanno ben capito come pensi e cosa voglia il pubblico odierno: disegni non necessariamente realistici ma attraenti, occhi sbrilluccicosi, capigliature che vantano sfumature di colori riflessi, robot sfavillanti e pieni di dettagli sofisticati, orecchiabili stacchetti musicali, scene che mettano letteralmente a nudo le avvenenti e bellissime ragazze che gravitano intorno all'eroe... In Macross c'è questo e anche di più, partendo dal sensuale e caldo tratto dell'esordiente Haruhiko Mikimoto per arrivare alle splendide unità robotiche Valkyrie e ai numerosi inserti j-pop cantati da Mari Iijima, doppiattrice della cantante Lynn Minmay che grazie a questo ruolo è la prima idol a sbocciare attraverso l'industria animata. Kawamori e Studio Nue catturano l'attenzione del pubblico offrendo triangoli amorosi (tra l'eroe-pilota Hikaru Ichijyo, il suo superiore Misa Hayase e la già citata Minmay), battaglie galvanizzanti e animate in modo magistrale, mecha che si transformano in una versione umanoide attraverso una sequenza sofisticata che farò scuola, scene ecchi. Non manca neppure l'originalità di un eroe che è un semplice pilota di un normalissimo Valkyrie, non più quindi il principale salvatore della patria ma un semplice soldato, il cui contributo alla guerra vale tanto quanto quello dei suoi compagni. Varietà, questa, che garantisce a Macross una visione gratificante, anche a dispetto di cattivi abbastanza piatti e una sceneggiatura un po' dispersiva e in alcuni punti sconclusionata, più che altro per la volontà di allungare il brodo regalando alla storia altre nove episodi dopo i 27 previsti, immancabilmente mediocri e svogliati. La "ricetta Macross", basata sul rendere brillante ogni singolo aspetto grafico/tecnico di un anime per appagare i sensi del pubblico (gli embrioni del moderno concetto di fanservice), è salutata trionfalmente dal pubblico con la coniazione della parola "otaku" (per indicare i fan "fissati" morbosamente su una propria passione, in questo caso anime), ma solo dopo diversi anni anche recepita dall'industria. Rimane un calcio di inizio di tutto rispetto, che, anche se non subito compreso, ha il merito di far entrare nella Storia il nome di Shoji Kawamori, destinato, con i suoi spettacolari caccia militari-robotici Valkyrie, palesemente ispirati al Grumman F14 Tomcat,  a diventare una figura di primissimo piano tra i mecha designer, trovando poi una carriera carica di soddisfazioni sia in questo campo che in quello registico.

 Dougram (1981), l'indimenticabile ingresso di Ryousuke Takahashi nel firmamento animato

Il 1983 è culla di almeno tre titoli molto importanti, tutti e tre a opera dell'ormai immancabile studio Sunrise. Per il primo di essi si torna alle produzioni concepite per "addestrare" lo staff di Yoshiyuki Tomino. In quel periodo il regista ha appena iniziato a scrivere The Wings of Rean, il primo romanzo di quello che sarà un lungo ciclo letterario fantasy (24 volumi!) ambientato nel mistico mondo di Byston Well. Lo studio lo convince a rielaborarlo in animazione, aggiungendo come di consueto i mecha per compiacere il produttore Clover e trasformarlo in una produzione robotica. Il 5 febbraio 1983 viene trasmesso Aura Battler Dunbine, a rappresentare la prima, storica commistione tra mondi fantasy e robot. Il protagonista, Sho Zama, finisce a Byston Well e affronta, alleandosi ai ribelli capitanati da Nie Givun, il malvagio impero di re Drake che anela al dominio, forte delle avanzate conoscenze militari e tecnologiche portate sul pianeta da un altro terrestre, Shott Weapon. L'elemento robotico (impreziosito da un "bestiale" mecha design a cui prende parte il futuro grande artista Yutaka Izubuchi) risiede negli aura battler, insettoni alti 7 metri, assemblati con inserti organici e usati come unità di combattimento, la cui potenza fisica e magica deriva dalla forza spirituale di chi li pilota. Nonostante l'ottima fama di cui gode, Dunbine è, a mio parere, tendenzialmente troppo lento e scritto in molto altalenante nei suoi 49 episodi per dirsi completamente riuscito, ma ha dalla sua ottimi personaggi, riuscite parentesi sentimentali e un fortissimo, sentito messaggio contro la guerra e il progresso tecnologico: non c'è speranza di risolvere i conflitti sociali o salvaguardare le tradizioni del proprio Paese se si scelgono le tecnologie, strumenti freddi, impersonali e amorali che possono solo accrescere incomprensioni e distruggere identità dei luoghi. Lo ricorda allo spettatore il finale più crudele e tragico che il regista abbia mai filmato, di una potenza espressiva tale da meritare da sola la visione dell'intera serie. Per dovere di cronaca, Tomino e Sunrise torneranno anni dopo a esplorare il mondo di Byston Well con altre produzioni animate, ma di queste meno se ne parla, meglio è.

L'1 aprile torna invece nei palinsesti televisivi Ryousuke Takahashi, creando un'opera di culto che diventa di sicuro la più famosa e rappresentativa della carriera e della sua filosofia votata al realismo: Armored Trooper Votoms, il primo Real Robot veramente completo della Storia. In quest'opera abbiamo di nuovo un intreccio costruito su un poderoso background militare e forti influenze di Storia contemporanea (la guerra del Vietnam vissuta nell'arco narrativo del pianeta Kummen), ma nel genere viene compiuto un passo in avanti fondamentale: sparisce per la prima e unica volta il robottone protagonista. Le unità robotiche del mondo di Votoms, i verdissimi Scopedog, robot bipedi monoposto paragonabili a carri armati umanoidi, sono sì dotati di armi belliche notevoli, ma non hanno nulla di invincibile e possono essere distrutti anche da un banale colpo di arma da fuoco (come dimostra lo spin-off Armor Hunter Mellowlink scritto dallo stesso Takahashi nel 1988, dove il protagonista non usa nessun robot e anzi abbatte quelli nemici con tattiche di guerriglia, a mani nude). Inseguito dai sicari di due eserciti e dall'Organizzazione Segreta nata in seno ad entrambi per aver visto scoperto segreto militare, lo stoico eroe Chirico Cuvie avrà modo di pilotare un gran numero di unità, essendo giustamente armi prodotte in massa dall'esercito. Eccolo quindi vivere alla giornata in ogni episodio, cercando indizi per capire come sopravvivere e indagando sui misteriosi esperimenti militari e le finalità dell'Organizzazione, ed eccolo usare il primo Scopedog che gli capita di trovare per affrontare i suoi inseguitori o spostarsi da un luogo all'altro. Appena svolto il compito o persa l'unità (che può facilmente venire distrutta negli scontri), Chirico andrà subito a rimediarne un'altra, prima che i nemici lo trovino di nuovo. Si può quasi dire che il robotico non è più il genere principale, ma solo il condimento di quello che è in verità un lungo e complesso thriller militare di ambientazione fantascientifica. L'importanza di Votoms è palese, eppure è proprio il suo estremo realismo - corroborato da una regia nuovamente distaccata e dialoghi così fitti e meticolosi da trasmettere una certa freddezza - l'elemento capace di distruggere alla radice la filosofia su cui si basa il genere, spogliandolo di ogni residua connotazione epica o eroica, da ogni sense of wonder. Con Votoms e lavori successivi, infatti, Ryousuke Takahashi si guadagna l'appellativo di "sovrano del Real Robot" in primis per l'assenza di altri contendenti, l'unico regista a seguire un trend votato simbolicamente alla de-sacralizzazione del genere. Si tratta comunque di una serie, eretica o meno, eccezionale, estremamente autorale e animata/disegnata magistralmente nelle sue 52 puntate, degna dei fasti di Dougram, e che si evolverà negli anni successivi, come Gundam, in un lungo franchise di OVA che perdura tutt'oggi, che amplia notevolmente la sua storia.

Il 21 ottobre 1983, ancora una volta, Tomino - ma questa volta alla sola voce del soggetto - dice la sua con un altro titolo curioso e avveniristico, Round Vernian Vifam, a opera del regista Takeyuki Kanda, che, pur non raggiungendo mai la fama del suo blasonato collega e di Ryousuke Takahashi, è dietro buona parte delle varianti più originali del genere. Questa serie televisiva di 46 episodi rappresenta un esperimento curioso, quello di presentare l'immancabile conflitto - come ai vecchi tempi, la guerra tra la Federazione Terrestre e una minacciosa popolazione aliena - dal punto di vista di semplici bambini, che si trovano a sopravvivere da soli senza alcuna presenza adulta che li aiuti. È la storia di 11 ragazzi, di età poco più che scolare, il cui pianeta-colonia Creado diventa il campo di battaglia da cui si propagano poi le fiamme del conflitto. Riunitosi da soli sull'astronave Janus, iniziano una lunga odissea spaziale per provare a rintracciare i loro genitori, cercando al contempo di resistere agli attacchi nemici, auto-governandosi e imparando timidamente a manovrare i robot da guerra - i Round Vernian - per aumentare le speranze di sopravvivenza. Una serie, si diceva, molto particolare e ambiziosa, che vuole, ancor più di Gundam, tracciare un percorso di maturazione rivolgendolo questa volta a teneri bambini, che imparano molto prima del tempo lezioni importanti come prendersi le responsabilità per i propri errori e pensare agli altri nei momenti di difficoltà, o addirittura a iniziare a scoprire timidamente la propria sessualità. Robot che necessitano di oltre quindici episodi prima di essere utilizzati la prima volta, schermaglie robotiche ridotte al minimo sindacale (al punto che per interi episodi è possibile non ve ne sia neanche una), realistiche iterazioni e reazioni psicologiche e una splendida imprevedibilità della storia sono elementi di grande interesse che accrescono il valore dell'opera; caratterizzazioni interessanti, simpatiche e sensate a cui affezionarsi, nonostante l'età bassissima del cast, anche di più. Peccato per pochi ma decisi svarioni di credibilità nei momenti chiave che, se non gettano alle ortiche il tutto, quantomeno ridimensionano significativamente le ambizioni dell'opera, che si rivela così un semplice, piacevole precursore, non perfettamente riuscito, del capolavoro Infinite Ryvius (1999), che pur parlando dello stesso argomento evita parentesi robotiche e, pertanto, esula da questa trattazione.

L'avvento della "Seconda generazione di registi": Macross (1982)

La terza opera di preparazione per Yoshiyuki Tomino, l'ultima in attesa del sequel di Gundam, debutta su Nagoya Broadcasting Network il 4 febbraio 1984 e si merita un notevole approfondimento, pur a fronte di una qualità non certo elevata. Si parla di Heavy Metal L-Gaim, lunga serie di 54 episodi scritta e disegnata da Mamoru Nagano, il Char Aznable della "Proclamazione della nuova era dell’animazione" e futuro scrittore di The Five Star Stories, il più importante e acclamato manga sci-fi/fantasy mai partorito dal fumetto giapponese. Questo manga, che nell'arco dei suoi 12 densi volumi racconta i fatti salienti della Galassia Joker, lungo un arco immaginario di ben 20.000 anni (!), rappresenta ciò che doveva essere fin dal principio quest'opera animata sviluppata con non molta convinzione. Ambientato nel sistema stellare Pentagona, retto dalla tirannia del sovrano Oldna Posoidal, L-Gaim racconta di come Daba Myroad, principe dello scomparso regno di Mizum e pilota del potente Heavy Metal (mecha tipo) L-Gaim, guidi una rivolta stellare di liberazione, insieme al suo fidato amico Kyao e ai nuovi alleati che incontrerà nel suo cammino. Per com'è impostata, la serie è deludente: adagiata sulla stessa lentezza scanzonata di Xabungle (presentando anch'essa un abnorme numero di combattimenti ininfluenti), cerca di mascherarla nuovamente con una comicità sgangherata e zeppa di siparietti, ma, ingabbiata da personaggi noiosi e irritanti, non riesce mai a replicarne i fasti ilari. Si tratta di un'opera piuttosto tediosa e scritta svogliatamente - tanto da amareggiare gli stessi Tomino e Nagano - eppure importante per la cura riversata nei suoi elementi secondari. Gli splendidi disegni e le ottime animazioni denotano un aspetto tecnico e visivo di primo livello, impreziosito da una regia spettacolare, capace, da sola, di rendere guardabili interi episodi dove non accade niente e non muore mai nessuno. Interessante anche l'innovativa trovata di anticipare i temi degli episodi "chiave" nelle preview dei precedenti ("Next Mecha", "Next Character", "Next Drama", idea poi ripresa in Five Star Stories), ma è sopratutto il mecha design di Mamoru Nagano ad assurgere a epocale. L-Gaim enuncia per la prima volta la sua concezione sull'argomento nelle affascinanti vesti degli Heavy Metal, sorta di armature medievali fantascientifiche piene di placche e decorazioni dalle linee raffinate, ora curve, ora taglienti, ora spigolose, che creano bizzarre ed elegantissime fisionomie umanoidi, spettacolo di una bellezza assoluta che rappresenterà una fonte di influenza fortissima nell'ambiente, imprescindibile nell'ispirare il design dei robot più moderni come quelli di Xenogears, Zone of the Enders, Linebarrels of Iron etc. Ultima curiosità il fatto che, scontentato come già detto dal risultato, Nagano alla fine ricicli mecha e personaggi di L-Gaim proprio in The Five Star Stories che inizia a disegnare due anni dopo. Le origini animate del fumetto sono subito richiamate osservando personalità come Ladios Sopp (anagramma di Oldna Posoidal, e come lui ha una doppia identità), il giovane Chorus III (è praticamente Daba Myroad), il Mortar Headd Jünoon (il primo L-Gaim) e Mel Schacher (Full Flat), giusto per citare le influenze più note.

Il 7 luglio esce invece quello che è sicuramente il must dell'anno: Macross - Il Film (meglio noto al pubblico internazionale con il ben più evocativo titolo The Super Dimensional Fortress Macross: Do You Remember Love?), il punto di massima gloria raggiunto dalla poetica estetica di Shoji Wakamori e Studio Nue. Trattasi di un vero e proprio remake cinematografico di Macross fatto da zero (non, quindi, un film riassuntivo), comprensivo di numerosi, importanti cambiamenti strutturali e narrativi che trasformano di fatto l'intreccio originale in una vera e propria storia romantica dove le battaglie spaziali sono relegate a semplice contorno. Animazioni straordinarie e mai viste prima, nuove struggenti canzoni (che faranno la fortuna della doppiatrice Mari Iijima) e un chara design rinnovato e maestoso, molto più adulto, a opera di Haruhiko Mikimoto, migliorano la piacevole storia originale rendendola un capolavoro a suo modo epocale e avveniristico, che attesta nel modo più indimenticabile la bontà della rivoluzione grafica operata dal capostipite. Il suo è un successo che sembra preannunciare la nuova era televisiva dei registi della "Seconda Generazione", ma che ironicamente segna invece il loro allontanamento. Gli studios, forse spaventati dall'audacia di simili innovazioni e sperimentazioni, decidono di allontanare gli adepti "esiliandoli" nel mercato home video, lontano dal grosso pubblico. La loro è una mossa che sancisce, così, la nascita dell'elitario mercato degli OVA, dove si faranno le ossa tutti i vari "pionieri" che vogliono seguire la poetica visiva di Kawamori.

Un altro titolo da citare in quell'annata. Il 17 settembre Fight! Super Robot Lifeform Transformers simboleggia nel genere la seconda (dopo Mighty Orbots, che inizia giusto due giorni prima), storica serie animata di co-produzione internazionale, tra la nipponica industria di giocattoli Takara e la compagnia statunitense Hasbro. Scritto, diretto e disegnato dallo staff americano della Sunbow Productions, ma animato da uno giapponese che fornisce anche il mecha design (e tra gli artisti figura anche Shoji "Macross" Kawamori), Transformers è il primo titolo di quella che sarà una lunghissima e apprezzata saga-cult, capace di durare per decenni e trovare svariate timeline e stagioni, alcune realizzate da staff unicamente giapponesi e altre solo americani, fino al trionfo dei kolossal di Michael Bay. Segreto del successo di questa prima serie, poi mantenuto con mille variazioni nelle opere successive, è l'idea di guerre combattute tra potenti mecha trasformabili, senzienti e dotati dell'uso della parola, dotati ciascuno di personali armi avveniristiche. È la storia di un eroico esercito di robot, gli Autobots, le cui frequenti battaglie con i malvagi Decepticons finiscono con il coinvolgere anche il pianeta Terra e alcuni umani. Idea semplice ma d'effetto, che ben si presta a mille avventure e combattimenti, forti dell'attraente mecha design e della continua trasformazione - i bambini non aspettano altro - degli eroi di metallo in veicoli da strada, creature, aerei etc. Impossibile non citare questa parentesi produttiva, che, pur avendo svariati precedenti, fin dagli anni '70, è la prima a trovare un grossissimo successo di pubblico, tale da inaugurare una vera e propria moda di collaborazioni internazionali che darà poi luce a opere come Il fiuto di Sherlock Holmes (1984), Thundercats (1985), The Adventures of Galaxy Rangers (1986) etc.

Votoms (1984), il primo, inimitato Real Robot

È altrettanto fondamentale l'anno 1985, che presenta due capolavori e un titolo di grande importanza nel chiudere per sempre il capitolo "Super Robot" di nagaiana memoria. Dopo la "gavetta" di Xabungle, Dunbine ed L-Gaim, il 2 marzo Yoshiyuki Tomino e il suo staff sono pronti a dare, con Mobile Suit Z Gundam, finalmente seguito al capolavoro del 1979, con una produzione televisiva dove le più avanzate conoscenze tecnologiche e l'arte suprema della cel-animation partoriscono 50 episodi di una qualità tecnica e grafica da capogiro, con animazioni di elevatissima qualità, pittorici disegni (di nuovo Yoshikazu Yasuhiko) e uno splendido, dettagliatissimo mecha design a opera dei migliori artisti del settore (Kunio Okawara, Mamoru Nagano e Kazumi Fujita in primis). Ambientato alcuni anni dopo il termine della serie storica, Z Gundam prende vita in uno scenario ancora più drammatico: la Federazione Terrestre è ora governata dall'élite militare fascistoide dei Titans e un disilluso Amuro Ray si trova presto costretto ad allearsi coi suoi ex nemici, i reduci di Zeon, per combatterli. Interessante notare come il protagonista di Z Gundam sia in realtà un nuovo personaggio, Kamille Bidan, che pilota il robottone che dà il titolo all'anime, mentre Amuro e Char (ora camuffato nelle vesti del carismatico Quattro Bageena) sono comprimari che appaiono soltanto in alcune porzioni di storia. Tomino, noto solitamente per la sua regia funzionale, questa volta si distingue per una direzione spettacolare e avvincente, confezionando un prodotto registicamente superlativo. Con un cast mastodontico di una cinquantina di individui e altrettante (come minimo) unità robotiche, Z Gundam si ricorda come una storia dall'ambizione smisurata, che, con i suoi innumerevoli cambi di scenario (spazio, mare, terra, colonie etc) e la gestione di svariati, numerosi gruppi di personaggi e addirittura di fazioni in guerra, vuole raccontare la storia di Kamille, di Amuro e Char, ma anche di un impressionante numero di ulteriori personaggi, a formare un affresco corale. Il regista, però, esagera decisamente con la carne al fuoco, spesso e volentieri non riuscendo a reggere la mole esasperata di sottotrame e rapporti interpersonali. Nonostante l'alta qualità generale, infatti, la serie è diretta controvoglia, da un autore che fino a poco prima diceva che non avrebbe mai dato seguito a Mobile Suit Gundam e ora sente che sta ribadendo le stesse cose perché "costretto" da Sunrise. Rimane comunque ai posteri, nonostante uno spazio addirittura esiguo per raccontare tutto, una lunga serie tv che, epocale sotto il profilo tecnico, si imprime alla memoria per un gran numero di personaggi indimenticabili, evocativi momenti registici, un intreccio intricato, la cupa, tesa atmosfera che non viene mai meno e disegni di bellezza inaudita. Da non dimenticare neanche, poi, un avveniristico monito che il regista dà al nascente, tragico pubblico degli otaku che nasce in quegli anni con Macross, incarnando il loro modo di pensare nel suo protagonista Kamille (un po' come fatto in Amuro Ray cinque anni prima): devono aprirsi al mondo, integrarsi nella società, smettere di lambiccarsi su quesiti esistenziali o fuggire dal contatto con gli adulti, sennò finiranno, come l'eroe nel finale, a friggersi letteralmente il cervello. Al di là delle previsioni, però, Z Gundam non si rivela un successone come da pronostico: pur cavandosela discretamente, tanto da rendere di fatto il Mobile Suit bianco l'emblema di studio Sunrise, non riesce neanche minimamente ad avvicinarsi allo share delle repliche della prima serie. È per questo motivo che già dal seguito, realizzato l'anno dopo, Sunrise inizia a cercare di estendere il target delle produzioni gundamiche televisive a un pubblico più giovanile, rinnegando le atmosfere cupe e adulte di Z e capostipite. Negli anni a seguire nasce così uno sterminato franchise comprendente una ventina di ulteriori produzioni animate, a opera di registi spesso diversi, e centinaia di videogiochi, manga e romanzi, quasi a imitare lo stesso Expanded Universe di Star Wars: ulteriori seguiti, prequel, side-story e alternate universe che, in animazione, nonostante una qualità media accettabile, talvolta molto buona, sarà ovviamente impossibile trattare in dettaglio. Bisogna comunque puntualizzare che, al timone della regia di almeno altri otto titoli gundamici, pur con svariati pregi Tomino ribadirà spesso le stesse cose e anche abbastanza svogliatamente, frustrato dal fatto che il suo nome venga sempre e solo accostato a seguiti di Gundam che, fosse per lui, non sarebbero mai nati. Per questo, anche se conosciuto dal mondo sopratutto per la serie del Mobile Suit bianco, il regista ammetterà platealmente, in più di un'occasione, di detestarlo. Di queste sue nuove incursioni le più degne di nota sono il bel film Il contrattacco di Char (1988), che segna una simbolica conclusione alla saga e alle infinite guerre tra Federazione/Zeon e Amuro/Char (ma Sunrise gli imporrà di crearne altre nei sequel successivi), e un sontuoso titolo del 1999 che avrà il suo spazio quando ci arriveremo.

Il 5 aprile debutta invece in tv una nuova produzione Ashi Productions di 38 episodi, Dancouga, col gravoso compito di chiudere una volta per tutte il capitolo delle classiche, indimenticabili produzioni Super Robot di vecchia tradizione, quelle delle invasioni extraterrestri quella che hanno imperversato per tutti gli anni '70. Dancouga lo fa nel modo più spettacolare possibile, mettendo fine a un'epoca, ma, al contempo, dando il benvenuto a un'altra, quella opere televisive basate sulle rivoluzioni di Gundam e Macross e al contempo trovando, nel suo staff, un nuovo grande BIG: Masami Obari, mechanical designer di grande personalità, capace di diventare, insieme a Shoji Kawamori, Mamoru Nagano, Yutaka Izubuchi e il futuro Hajime Katoki, tra i più importanti e rinomati in questo campo. Il fascino della sua arte si nota nei tondeggianti e luccicanti robot spaziali, nelle mostruosità robotiche che mescolano artigli, tentacoli e fauci con corazze meccaniche, ma sopratutto nel possente, megalitico robottone protagonista, il Dancouga, colosso alto oltre 30 metri (!) nato dalla fusione tra mecha a forma di giaguari, aquile e mammuth (!!). Il titolo rappresenta l'ultimo esponente televisivo delle classiche tradizioni di "terrestri vs perfidi invasori" e "team di 3-5 piloti", pur non rinunciando alle innovazioni portate dai suoi "colleghi" altolocati, tra cui le immancabili puntate autoconclusive rette su una forte continuity, la prima apparizione del robottone protagonista quasi a metà serie (riprendendo l'idea dal classico Danguard Ace), e un uso di quest'ultimo estremamente discontinuo, tanto platealmente superiore è la sua forza rispetto a quella di qualsiasi altro nemico. Caratterizzazioni energiche e tamarre e cattivi pressoché monodimensionali riportano la mente a un passato ingenuo ma indimenticabile, mentre colorati disegni e BGM accattivanti condiscono una serie tanto volutamente banale nella trama quanto carismatica in tutti gli elementi di corollario, moderni e accattivanti per l'epoca e che, a tutt'oggi, fanno la loro figura. Un bel comparto musicale retto su svariate opening, ending e insert song j-pop, infine (segno che la rivoluzione musicale di Macross inizia a prendere piede), attesta l'accattivante piacevolezza dell'opera, nonostante un budget decisamente basso che è forse il motivo principale del suo originale insuccesso televisivo. Negli anni a seguire ci pensano i suoi seguiti, realizzati sottoforma di OVA (sopratutto God Bless Dancouga, 1987), a riabilitarlo facendogli trovare la giusta notorietà. Dancouga attesta, simbolicamente, la fine di un'epoca.

Il 3 ottobre, infine, su Nippon Television è trasmessa una delle più belle serie in assoluto di Ryousuke Takahashi, nonostante sia paradossalmente, come il precedente, innocuo Panzer World Galient (1984) dello stesso regista, ancorata a una tradizione robotica votata alla spettacolarità che al realismo, ben lontana dal rigore ostentato di Dougram e Votoms: la serie tv Blue Comet SPT Layzner. Durante un futuristico prosieguo della Guerra Fredda, un gruppo di ragazzi, residenti su una neutrale base ONU marziana, scopre, grazie all'amicizia con l'ibrido umano-extraterrestre Eiji, che la razza di quest'ultimo, i Grados, intende conquistare la Terra. Per mezzo del misterioso SPT (mecha tipo) da lui pilotato, il Layzner, i ragazzi iniziano così un viaggio spaziale per tornare sul loro pianeta ad avvisare i terrestri, cercando di sopravvivere sia agli attacchi alieni che a quelli, sospettosi, da parte delle due Superpotenze.  L'opera di Takahashi, oscura, drammatica e sicuramente debitrice come soggetto e temi al Baldios di Ashi Productions, pone al centro della vicenda il tema dell'incomprensione e della difficoltà di comunicazione, vissuto dal punto di vista del tragico eroe Eiji che, non creduto dai terresti visto che è un mezzosangue, ha estrema difficoltà a farsi accettare da loro, e questo avrà terribili conseguenze per la Terra. Come in Dougram e Votoms, Takahashi rivisita nella trama sprazzi di Storia contemporanea, con l'invasione aliena che, per le sue modalità barbare, intenzionate a cancellare ogni minima forma di civiltà e cultura dei terrestri, si rifà all'invasione nipponica della Corea durante la Seconda Guerra Mondiale, elemento che in patria lo renderà parecchio inviso all'opinione pubblica. I consueti dialoghi di ferro, le personalità estremamente delineate e vivide, uno spiazzante cambio di scenario a metà serie (che abbraccia il mondo post-apocalittico di Ken il guerriero) e una cornice tecnica portentosa, nuovamente a opera della "solita", grande Sunrise, attestano i punti di forza e carisma dell'opera. Peccato per il suo triste destino: l'insuccesso commerciale e, si vocifera, le polemiche politiche, lo portano a doversi chiudere con largo anticipo rispetto ai tempi previsti, con gli ultimi quattro episodi affrettatissimi come non mai: e così, come Gundam, Baldios e Ideon prima di lui, Layzner conosce una conclusione degna solo successivamente, nel mercato home video, quando nello stesso anno di conclusione di serie, il 1986, escono tre OVA di cui i primi due riepilogativi e il terzo, Seal 2000, a rappresentare una versione estesa del finale originale. Da segnalare come, oltre alla sua enorme qualità narrativa, l'opera si contraddistingue nel genere anche per essere il primo titolo a proporre un robottone protagonista (il Layzner) governato da una A.I. parlante, e anche per essere il primo a inventare la cosiddetta idea del "berserk mode" del mecha, riferito al momento in cui, negli scontri più terribili, l'eroe di metallo a un certo punto smette di rispondere ai comandi del pilota e "impazzisce" attaccando da solo i nemici, con una ferocia e una potenza smisurate.

Layzner (1985), l'ennesimo bel titolo sfortunato, rovinato dall'insuccesso commerciale

Della seconda metà degli anni '80, più che citare le diverse produzioni gundamiche nate da Z, bisogna invece amaramente constatare come il robotico televisivo sia destinato a decrescere fortemente in numero di serie annuali, anno dopo anno: nuove  mode (il majokko, gli adattamenti animati da shounen manga, il fantasy) stanno velocemente imponendosi ai gusti delle nuove generazioni di spettatori, e anche se il genere non sparirà mai ufficialmente dai palinsesti televisivi, è indubbio che la sua popolarità sta conoscendo il suo tramonto. Per questo l'attenzione del dossier verterà ora sugli OVA, le opere animate concepite per il mercato home video, create dagli adepti esiliati della "filosofia Macross" e inaugurate nel 1983 da Dallos a opera dell'acclamato regista Mamoru Oshii. Parliamo di un nuovo "mondo" rappresentato da quegli artisti della "Seconda generazione di registi" interessati a mostrare, in un formato privo di paletti di censura, narrazioni, generi e scene impossibili da mostrare nei circuiti televisivi: storie horror, erotiche, splatter o connubi vari che trovano budget spesso molto più corposi di quelli televisivi, esprimendosi spesso in animazioni sontuose, disegni e musiche di alto livello che ben giustificano l'esborso monetario per l'acquisto di VHS o laser disc da parte degli appassionati, non più bambini (quello che era il target principale del genere) ma lavoratori. È la filosofia della sperimentazione narrativa e tecnologica quella che anima i pionieri figli di Kawamori, ed è in questo nuovo formato che il genere robotico continuerà a sopravvivere trovando  nuova linfa.

Si parte, in quest'ambito, con la leggendaria e bizzarra trilogia robotica realizzata da studio AIC e dal suo regista/disegnatore Toshiki Hirano, il cui primo esponente, realizzato tra il 1985 e il 1989 in co-produzione insieme agli studi Artland e Artmic, è Megazone 23. Tre lunghi episodi, da un'ora e mezza ciascuno, che per volontà creativa ma anche problemi produttivi vedono alternarsi di volta in volta staff diversi, col risultato del totale cambio di disegni e regia da una puntata all'altra. Si tratta di un'opera ambiziosa, nata da un'abortita serie televisiva, che vede partecipare alla sua creazione un gran numero di artisti di primissimo livello (gli eccezionali chara designer Toshiki Hirano, Haruhiko Mikimoto, Yasuomi Umetsu e Hiroyuki Kitazume, il compositore Shiro Sagisu, il soggettista/mecha designer Shinji Aramaki e il regista Noboru "Macross" Ishiguro), e che si ricorda per una trama corposa capace di mescolare, in una saga generazionale lunga un centinaio d'anni, invasioni aliene, complotti militari, stacchetti musicali à la Macross, realtà fittizie create per ingannare l'uomo (tanto che si parla spesso di uno dei più noti precursori dei Matrix americani), scontri tra robottoni ed echi tominiani (nel raffronto tra pulsioni giovanili e cinismo del mondo degli adulti). Sicuramente un calderone carismatico che trabocca di inventiva e idee, e, anche se queste non sempre sono sempre all'altezza, quantomeno i disegni, le musiche e le animazioni, tutti di impressionante qualità, fedeli alla "ricetta Macross" diventano spesso i veri protagonisti, rubando la scena. Molto affine a Megazone 23 è il successivo Fight! Iczer-1 (1985), sempre di 3 episodi, questa volta ad opera del solo studio AIC, di Toshiki Hirano e del ritrovato mecha designer Masami Obari. La storia (guerra aliena tra l'androide femminile Iczer-1 e l'umana Nagisa contro la minacciosa razza femminile  extraterrestre delle Cthulhu) è un puro pretesto per una cornice tecnica e grafica di livelli, ancora una volta, pazzeschi, dove i caldissimi, splendidi e quasi infantili disegni di Hirano si accompagnano a intermezzi erotici/yuri, truci scene horror/splatter, robottoni, duelli di Beam Saber à la Star Wars e azione costante, sormontati da animazioni dalla fludità straordinaria. Un capolavoro di tecnica dove conta non tanto la storia, ma il modo in cui è raccontata, è il trionfo del fanservice e degli elementi di corollario. Atto conclusivo della trilogia è il fantastico Dangaioh (1987), nato dalle ceneri di un abortito remake dello storico Mazinger Z di Go Nagai. È un Super Robot di antica e ingenua tradizione, dove i quattro eroi piloti che pilotano l'omonimo mega-robottone devono in ognuna delle 3 immancabili puntate sconfiggere l'emissario di turno dei pirati spaziali Banker, ma l'opera è un'autentica meraviglia grafica, dove ancora una volta gli strabilianti disegni di Hirano, i mastodontici, splendidi robottoni di Masami Obari e Shoji Kawamori e animazioni di grande fluidità - key animation a cura di Hideaki Anno, destinato a diventare uno dei massimi BIG degli anni 90 - regalano un'estetica spettacolare destinata a fare Storia. Ricapitolando, tre miniserie OVA che diventano, grazie ai loro superbi aspetti tecnici/visivi/sonori, capaci di far soprassedere su trame complesse raccontate frettolosamente o incomplete, i massimi emblemi della filosofia di Shoji Kawamori.

A Kawamori è giusto dedicare ancora un riconoscimento: nel 1987 è regista dell'OVA The Super Dimensional Fortress Macross - Flash Back 2012, capitolo idealmente conclusivo della sua fortunatissima creazione. La sequenza finale scartata da Macross: Il Film, un lungo concerto finale dell'idol Lynn Minmay, è riutilizzata in un music video di circa 30 minuti, dove le scene della sua esibizione sono frammentate da inserti che rievocano i momenti migliori della serie tv e del lungometraggio. Il succo è una piacevole mezz'ora riepilogativa in cui sono ricantate tutte le amatissime canzoni dell'idol, a salutare la partenza di Lynn, Hikaru e Misa dalla Terra verso lo spazio, in cerca di nuovi pianeti da colonizzare. Le movenze strepitose della cantante, i disegni nuovamente sbalorditivi di Haruhiko Mikimoto e il riciclo di brani musicali immortali come Ai, Oboeteimasu ka rendono Flash Back 2012, di fatto, l'OVA musicale più celebre della Storia, che pur non essendone il capostipite (il primato spetta a Love, Live, Alive del 1985, epilogo al pessimo Genesis Climber Mospeada di studio Tatsunoko) è di certo quello più rappresentativo: uscito sotto l'egida di Shoji Kawamori che ha inaugurato la tradizione degli stacchi musicali, chiude simbolicamente il cerchio. Passeranno ben sette anni prima che il regista/mecha designer torni a ideare, scrivere e dirigere incarnazioni di Macross, ma queste, pur viaggiano mediamente su una qualità discreta, presenteranno bene o male sempre gli stessi ingredienti riciclati all'infinito e senza particolare varietà, fotocopie senz'anima della fortunata trilogia degli anni '80 che rimane, sicuramente, l'incarnazione migliore dello sterminato franchise. Da menzionare, quantomeno, l'evoluzione artistica e professionale di Shoji Kawamori, destinato non solo a lavorare come mecha designer in molte delle produzioni robotiche più famose della Storia, ma anche, finendo tra i vertici dello studio SATELIGHT, a diventare tra i massimi sperimentatori, ancora una volta, delle possibilità tecniche dell'animazione, pioniere e poi maestro delle integrazioni 3D e CG.

 
 Dangaio (1987), l'apice della "filosofia Macross"

Nel 1988 è importante ricordare, sempre nell'home video, l'acclamato Punta al top! GunBuster (1988), diretto da un ancora sconosciuto Hideaki Anno. GunBuster è sia uno dei vari figli di Macross che il secondo grande cult (dopo Le ali di Honneamise) del neonato studio GAINAX, rappresentando, a testimonianza della filosofia otaku dello studio, un'attenta, sensibile rielaborazione degli stilemi e delle tendenze assimilati, in vent'anni, da ogni più disparata opera animata. Ecco quindi un titolo originale, Top o Nerae! GunBuster, che strizza l'occhio al classico Ace wo Nerae! (Jenny la tennista in Italia) e ne ripresenta una sorta di remake nel primo episodio introduttivo; ecco robottoni giganteschi ed "esagerati" oltre ogni limite di credibilità, ecco una fisica di estremo realismo nel ballonzolamento dei seni, che rende labile il confine tra malizia e classe autorale; ecco personaggi volutamente adagiati sugli stereotipi per celebrarli; riecco lo splendido chara design di un ritrovato, amatissimo Haruhiko Mikimoto, e autorali tocchi di classe come eyecatch e scene varie che strizzano l'occhio a Ideon... La trama, decisamente evocativa, pone in essere le missioni spaziali di Noriko Takaya e della sua senpai Kazumi Amano, in un minaccioso futuro dove le due rappresentano l'ultima speranza del genere umano di sconfiggere la solita, bellicosa minaccia aliena, in quanto prescelte per pilotare il gigantesco GunBuster. Grande elemento di originalità della storia, raramente sfruttato in serie successive, è la teoria einesteniana della relatività che ne muove il mondo, fatto di viaggi nell'iperspazio che hanno ripercussioni sulle leggi temporali della Terra e perciò, di riflesso, nei rapporto sociali delle eroine con i loro cari. Un finale evocativo, girato in un geniale b/n, già attesta l'importanza che avrà la regia di Hideaki Anno nel contraddistinguere i suoi futuri, affermati lavori.

Gli anni '80, ancora, si distinguono per i 7 episodi che caratterizzano la serie pilota di OVA Patlabor (1988), destinata a splendere fino a metà anni '90 grazie a diverse, accalamatissime incarnazioni. Ideato come progetto multimediale (anime e manga) dall'ambizioso gruppo all-star Headgear, formato dal regista Mamoru Oshii, la chara designer Akemi Takeda, il mecha designer Yutaka Izubuchi, lo sceneggiatore Kazunori Ito e il mangaka Masamu Yuki (quasi tutti conosciutosi nell'ambito della lunga serie tv comica Lamù la ragazza dello spazio), Patlabor è il primo, unico e inimitato slice of life robotico. In un vicino futuro l'industria nipponica inizia a produrre robot per l'edilizia, i Labor, ma spesso e volentieri la criminalità organizzata se ne impossessa per usarli a scopi illeciti. La polizia decide quindi di istituire un corpo specializzato nel pilotare mecha militari, i Patrol Labor, per affrontare le varie minacce che quotidianamente mettono in pericolo l'ordine a Tokyo. Patlabor si configura come riuscitissimo mix di vita quotidiana, poliziesco e commedia, basata su episodi solitamente autoconclusivi dove l'esilarante e caratterizzatissimo Secondo Plotone della Seconda Sezione Veicoli Speciali deve far fronte al caso della giornata, che può essere di combattimento metropolitano ma anche di divertissement scanzonati, come falciare i campi di grano, intrattenere superiori con la puzza sotto al naso, stanare coccodrilli dispersi nelle fogne etc, sempre sotto gli occhi implacabili di giornalisti e opinione pubblica. Quelli della serie OVA sono sette episodi divertenti, nati per sondare l'interesse del pubblico in vista di un'eventuale serie televisiva e che presentano, nell'arco della loro durata, già tutti i personaggi e le atmosfere che si ritroveranno in futuro, tra puntate di registro comico e intermezzi seriosi che sconfinano nel thriller urbano. Il 15 luglio 1989, un mese dopo la fine della serie, esce ai cinema Patlabor: The Movie, che si configura tranquillamente come uno dei grandi film di Mamoru Oshii. Headgear decide che il pubblico già conosce e ama i personaggi introdotti dalla miniserie, seppur ancora embrionali, ed è già pronto a rivederli insieme. Prima ancora della versione tv concepisce così, con l'apporto alle animazioni del neonato studio Production I.G, un primo, ambizioso film celebrativo, centrando decisamente il bersaglio. Animazioni stupefacenti e un mecha design dettagliatissimo di Yutaka Izubuchi proiettano nella Storia un thriller coinvolgente e ben realizzato, che vede la Seconda Sezione indagare su uno spaventoso virus informatico che mira a distruggere Tokyo. Non si può davvero parlare male di un lungo film che traccia una vincenda cupa e avvincente senza mai far venire meno le divertenti caratterizzazioni dei personaggi, destinati, coi loro tormentoni, a diventare quasi di famiglia per lo spettatore. Si parla di un ottimo lungometraggio che, in virtù del meritato successo, attesta il carisma della serie che esplode, l'11 ottobre dello stesso anno, con il primo episodio della serie televisiva, 47 episodi prodotti da Sunrise che ripresentano tutti i grandi punti di forza di pilot e film, attestando tranquillamente come la migliore incarnazione della saga, nonostante l'ottima qualità del manga, è quella animata, dove puntate stravaganti e demenziali, alternate con altre seriose, simboleggiano la cifra stilistica e autorale impartita da Ito e Oshii, ripetendo i fasti e il mood di Lamù. Qualità ulteriormente ribadite e affinate nella seconda serie OVA che esce dal 1990 fino al 1992, conosciuta in Italia come Patlabor: NEW OAV e animata da Sunrise e Studio DEEN, nata per chiudere, tra le varie cose, l'unica sottotrama televisiva. Sedici episodi di qualità eccelsa, che nel mondo dell'home video vedono il ritorno a regista titolare di Oshii (mancante nell'incarnazione televisiva) che si sbizzarrisce, insieme al fidato Ito, nello scrivere le avventure più riuscite della Seconda Sezione Veicoli Speciali. Questa si può definire senza dubbio la miglior incarnazione dell'intero franchise, dove suggestioni registiche, avventure tra le più bizzarre ed esilaranti e sontuosi approfondimenti del cast raggiungono i più felici risultati.

Insieme a film e serie tv/OVA di Patlabor, infine, il biennio conclusivo degli anni '80 dà i natali ad altre due opere acclamate, di cui una, di sicuro, immeritatamente. L'11 marzo esce ai cinema The Five Star Stories, ambizioso lungometraggio Sunrise che si prefigge lo scopo di sintetizzare, nell'arco di poco più di un'oretta, il primo volume dell'omonima, già citata space opera cartacea di Mamoru Nagano, iniziata nel 1986 e divenuta subito uno tra i più grandi capisaldi del fumetto giapponese fantasy/sci-fi. Si tratta di un lungometraggio graficamente e tecnicamente clamoroso, capace, con i bellissimi disegni di Nobuteru Yuki, la splendente imponenza dei robotici Mortar Headd e le animazioni stratosferiche, di regalare indelebili suggestioni visive facendo pregustare l'epicità dell'originale, diffondendo ancor più di Heavy Metal L-Gaim il rivoluzionario mecha design dell'autore. Peccato, appunto, che si tratti di un antipasto senza utilità, che già in partenza fallisce nel suo impossibile compito di rendere decentemente l'affresco di personaggi, terminologie, date, geografie e riferimenti che costellano il fumetto rendendolo unico nella sua strabiliante complessità.  Il film è un puro esercizio grafico, non per nulla realizzato contro il volere dello stesso Nagano, che troverà fama nel mondo giusto per la straordinaria confezione. L'ultimo vero ruggito da leone degli Eighties è la prima serie OVA realizzata per il decimo anniversario del franchise Gundam, da parte del regista Fumihiko Takayama: il commovente Mobile Suit Gundam 0080: War in the Pocket, il cui primo episodio esce giusto pochi giorni dopo il film di Five Star Stories, il 25 marzo. Nulla di particolarmente avveniristico o epocale, ma di sicuro una produzione di alto livello. L'artista dell'acquarello Haruhiko Mikimoto torna ancora una volta a tratteggiare una storia commovente, una side-story ambientata durante la Guerra Di Un Anno narrata nella serie tv del 1979. War in the Pocket vede protagonista un tenero bambino della colonia Side 6, Alfred, stringere amicizia con una spia zeoniana, Bernie, e aiutarla nelle sue attività clandestine così, per divertimento, come se la guerra fosse un eroico gioco. Un'amicizia sincera, la loro, destinata ovviamente a strazianti conseguenze. Con i suoi splendidi dialoghi, una regia sensibile, disegni meravigliosi e un finale toccante e poetico, nel corso dei suoi 6 episodi l'opera si propone come un commovente inno alla pace. Pecca forse di qualche ingenuità nel suo pretesto, ma il messaggio che trasmette è fortissimo e sentito, impossibile non rimanerne colpiti. Un capolavoro drammatico dove paradossalmente gli scontri tra robot sono ridotti al minimo indispensabile e spesso neanche ci sono, per favorire il grande, rinomato punto di forza della filosofia gundamica: il racconto di storie di uomini.

Prima parte del dossier: Gli anni d'oro del Super Robot e le prime evoluzioni del genere (1963-1979)
Terza parte del dossier: Gli anni '90 di Imagawa e Anno (1990-1999)

3 commenti:

Sara ha detto...

Devo complimentarmi per la bellissima idea avuta. Questo dossier costituisce un interessante guida agli anime robotici e riesce a trasmettere curiosità anche a chi, come la sottoscritta, si è affacciato da poco al mondo del genere robotico. Attendo il seguito.

Jacopo Mistè ha detto...

Tu sì che mi dai soddisfazioni, altro che la Parise ;(

Alessandra Parise ha detto...

Uè!!!

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