venerdì 30 aprile 2010

Recensione: Ergo Proxy

ERGO PROXY
Titolo originale: Ergo Proxy
Regia: Shukou Murase
Soggetto: Manglobe, Dai Sato
Sceneggiatura: Dai Sato
Character Design: Naoyuki Onda
Mechanical Design: Yutaka Izubuchi, Michiaki Sato, Yoshinori Sayama, Kimitoshi Yamane
Musiche: Yoshihiro Ike
Studio: Manglobe
Formato: serie televisiva di 23 episodi (durata 25 min. circa)
Anno di trasmissione: 2006
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Panini Video

 
In un futuro prossimo, sull’arido suolo del pianeta devastato da un conflitto nucleare, sorge Romdo, città-cupola ipertecnologica dove vivono, assieme ad automi chiamati autorev, i pochi esseri umani sopravvissuti. All’esterno, invece, alla mercé di un terribile virus, arrancano in una baraccopoli pochi disgraziati. L’apparizione di una creatura spaventosa, sotto la cupola, sconvolge i cittadini, ignare vittime di una furia animale incontrollabile, e fa incrociare le vite di Vincent Law, ragazzo sfortunato che campa di stenti, e Real Mayer, bellissima investigatrice decisa a far luce su un caso che sembra nascondere fin troppi segreti.

Atmosfere desolanti e scenari apocalittici si scontrano con architetture e innovazioni figlie della sci-fi più avveniristica e ingegnosa. Cyborg e incredibili tecnologie sono divise, per mezzo di una semplice cupola trasparente, da pezzenti che rischiano di morire per colpa di un virus di cui tutti hanno paura. E poi, un mostro, un deforme gigante di tre metri che appare in città e comincia a uccidere chiunque gli capiti sotto le grinfie.

Impossibile non pensare alle amarezze futuristiche di un Blade Runner (1982), pellicola a capo di un certo sottogenere di fantascienza a cui Ergo Proxy è palesemente ispirata per clima generale, e altrettanto impossibile è non osservare con curiosità questa serie del 2006 che, partendo da spunti indubbiamente classici, mette nel calderone horror, enormi porzioni oniriche e annichilenti deliri mistici. Perché, se i primi episodi servono per presentare i due protagonisti, Vincent e Real, attraverso i quali Shukou Murase suddividerà equamente i punti di vista con cui raccontare la storia e a spargere misteri che nulla sembrano avere in comune (semidivinità che governano Romdo, esperimenti scientifici, complotti e raggiri che si intuiscono ogni dove), gran parte di Ergo Proxy si svolge all’esterno, in un’immensa landa deserta, dalle sabbie scure e dai cieli perennemente tenebrosi, scenario tanto cupo e meraviglioso quanto ideale per creare quella giusta atmosfera onirica a cui la serie si affida in più punti. Tra follie, comportamenti inspiegabili, luoghi misteriosi e personaggi apparentemente farneticanti, Vincent e Real si trovano invischiati in una complessa vicenda che affonda le sue radici in un certo spiritualismo, una storia che viene svelata in contorte sessioni di puro delirio visivo (l’episodio sul quiz televisivo a cui partecipa Vincent) che lascia spiazzati più di una volta per via di una fittizia mancanza di logicità, coerenza che verrà comunque ritrovata nella parte finale dove ogni tassello troverà il suo posto in un mosaico che si mostrerà lontano anni luce anche dalla più fantasiosa previsione.


Incantevole anche se discontinuo il chara design: le fattezze e i volti dei personaggi di Ergo Proxy appaiono mediamente splendidi (impossibile, per noi maschietti, resistere al fascino di Real, tra l’altro spesso furbescamente inquadrata in pose sexy e provocanti) ma rovinati saltuariamente da tratti veloci e grossolani, a loro modo caratteristici ma che, inutile negarlo, imbruttiscono i disegni. Ottime invece le animazioni che, nonostante forse le eccessive staticità nei momenti di stasi, raggiungono vertici d’eccellenza durante le sequenze action: i combattimenti sono golosamente spettacolari e girati con gusto, e il sangue sprizza in abbondanza. Molto interessante infine l’OST, per la maggior parte dell’opera sintonizzata su sonorità elettroniche minimali, ma capace di esplodere nei momenti più drammatici con solenni sinfonie di grande impatto.

Ergo Proxy forse non è un anime adatto a tutti i palati, ma è opera di indubbio valore. Non ci sono occasioni di reale stupore, né momenti di innovazione narrativa capaci di far ricordare a lungo, negli anni a venire, la serie di Shukou Murase, ma abbiamo una storia robusta e insolita, raccontata con un certo estro onirico, che sarebbe davvero ingiusto non lodare.

Voto: 7 su 10

lunedì 26 aprile 2010

Recensione: First Squad

FIRST SQUAD
Titolo originale: Первый отряд
Regia: Yoshiharu Ashino
Soggetto e sceneggiatura: Molot Entertainement (Aljosha Klimov, Misha Shprits)
Character Design: Hirofumi Nakata
Musiche: DJ Crush
Studio: Studio 4°C
Formato: film cinematografico (durata 72 min. circa)
Anno di uscita: 2009
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Sony

 
1942, Seconda Guerra Mondiale, Stalingrado. L'armata rossa resiste con fatica agli attacchi degli invasori tedeschi. All'ombra del conflitto si muove però un altro scenario di battaglia, quello tra i leggendari templari del barone von Wolff, evocati dai medium dell'esercito nazista, e una speciale unità russa dedita a ricerche sul paranormale. In quest'ultima entra presto a far parte la bella Nadja, dotata di intensi poteri spirituali, che per il bene della patria compie un pericoloso viaggio nell'aldilà...

First Squad è il classico film tanto ambizioso nelle intenzioni quanto deludente nella resa. Famoso per essere, più che altro, la prima, storica co-produzione animata nippo-russa, il lavoro del rinomato Studio 4°C si presenta inizialmente benissimo allo spettatore, con una confezione suggestiva, salvo scadere notevolmente sul piano contenutistico. Mediante un soggetto scritto dalla russa Molot Entertainment e con la consueta, eccellente cura nelle animazioni, lo studio ambienta nei campi di battaglia russi, ricostruiti con un gran gusto estetico e mirabilmente risaltati dalla fotografia, un'oscura storia di fantasmi, traendo spunto dal conosciuto e documentato interesse di nazisti e russi per riti pagani e ricerche sul paranormale (noti al grande pubblico sopratutto attraverso la saga cinematografica di Indiana Jones). Per dare risalto alla natura produttiva del progetto la lingua parlata è il russo e, addirittura, come chicca finale, la vicenda è spesso frammentata, quasi a suggerirne una natura semi-documentaristica, da inserti reali con storici e veterani che ricordano i tratti salienti della guerra, alla stregua di un mockumentary. Di un certo interesse storico per l'ambientazione e visivo per le evocative, fredde ambientazioni della tundra sovietica, First Squad trova però, all'infuori degli aspetti di originalità, un risultato abbastanza anonimo. La storia portante, già potenzialmente causa di storcere di nasi per il suo mescolare guerra, Storia e fantastico filtrato da estetica e sensibilità pienamente giapponesi - non mancano intermezzi di arti marziali e una protagonista che va in giro equipaggiata con una katana-, non è semplicemente convincente lungo il suo dipanarsi.

Se già l'idea della protagonista medium usata dall'Armata Rossa per richiamare spiriti di "compagni" in chiave anti-tedesca è ridicola nelle premesse - e le cosa peggiora quando partono le battaglie tra loro e i cavalieri templari nazisti -, non soddisfa le aspettative neppure la loro caratterizzazione: troppi per la breve durata dell'opera, personalità appena abozzate e poco interessanti, tanto che i vari decessi che si consumano non dicono niente. Non soddisfano poi ingenuità e sottigliezze varie, con una la lingua russa - inizialmente elemento di un certo stile - che perde tutto il suo carisma quando è usata per dare voce anche ai tedeschi, e gli intermezzi live coi reduci di guerra presenti in numero così elevato da spezzettare troppo l'azione divenendo presto snervanti. Ma il peggior problema di First Squad non può che essere l'incompletezza narrativa.


Non si pretende una storia meticolosamente chiusa in ogni aspetto, questo è chiaro, ma se si scomodano super villain, sicari carismatici e sopratutto spiriti e mostri, che senso ha dimenticarseli per strada nello svolgimento dell'intreccio? Tutto questo si nota nel finale improvviso che chiude il film quasi di punto in bianco e che non ha alcun interesse nel far venire al pettine la moltitudine di nodi evocati durante lo svolgimento della trama. Probabile fosse previsto un seguito, ma in assenza di questo la storia rimane chiaramente tronca e piena di sottotrame e personaggi non sviluppati. Ragione, questa, per cui in definitiva First Squad si ricorda unicamente come un intrigante progetto più per meriti visivi, storici e sonori che per vere ambizioni narrative. Facile farsi rapire dalla meraviglia grafica dei titoli d'apertura, dagli splendidi e innevati paesaggi russi, da treni, abbigliamenti, tecnologie, armi e architetture della Russia di metà 900 che vivono una seconda giovinezza grazie alla sontuosa ricostruzione visiva di Studio  4°C, ma è giusto un'oretta di meraviglia con cui rivivere la Seconda Grande Guerra attraverso gli inediti occhi dei comunisti, poco altro. Temo che in ambito cinematografico Il nemico alle porte, da solo e pure mancante del parlato sovietico, ha dato molto di più.

Voto: 6 su 10

venerdì 23 aprile 2010

Recensione: Futari H

FUTARI H
Titolo originale: Futari H
Regia: Yuji Moriyama, Hiroshi Ishiodori
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Katsu Aki)
Sceneggiatura: Chiaki J. Konaka
Musiche: Jun Watanabe
Studio: Chaos Project
Formato: serie OVA di 4 episodi (durata ep. 28 min. circa)
Anni di uscita: 2002 - 2004

 
Due venticinquenni, Makoto e Yura, dopo essersi incontrati per mezzo di un’agenzia matrimoniale, si piacciono e decidono di sposarsi. Durante la prima notte di nozze si scoprono entrambi vergini, ma l’inesperienza sessuale, per quanto problematica all’inizio, sarà solo uno stimolo per rafforzare il loro amore.

Inutile antipasto di un monumentale manga, l’opera di Yuji Moriyama e Hiroshi Ishiodori si prefigge l’assurdo compito di dare un assaggio dei ben oltre 50 volumi del fumetto omonimo di Katsu Aki, considerato, da critica e pubblico, un passo importante, se non fondamentale, dell’erotismo nipponico, per il suo non essere una semplice storia a luci rosse, ma bensì anche una sorta di manuale del sesso, che insegni e aiuti le coppie in vari problemi di tipo sessuale. In questi 4 insulsi episodi si può assistere, infatti, sempre a costo di riuscire a tenere aperti gli occhi e non preferire, che so, passatempi molto più stimolanti e soprattutto sessualmente eccitanti come contare i fili d’erba del giardino di casa, a un insignificante cumulo di banalità così sciatte, piatte e incolori da faticare, e molto, a reggere fino in fondo alle due ore complessive di durata.

Non c’è NIENTE che impedisca di sbadigliare, anzi, ogni singolo avvenimento sembra costruito apposta, o almeno lo spero, con il solo scopo di dire “Ehi, stiamo facendo l’opera più scontata del mondo, e se ci guardi sei un rincoglionito!” Mortificante, addirittura offensivo nel mostrare il solito, identico, insopportabile rapporto di coppia tra un lui timido e imbranato e una lei ancora peggio, rapporto che si identifica in disavventure sotto le coperte fatte di titubanze, imbarazzi e soprattutto eiaculazioni precoci, il tutto dipinto con uno spento carattere ironico che non farebbe ridere nemmeno a bastonate.


Si potrebbe dire che Futari H non è propriamente un'opera a luci rosse, dato che, per quanto le scene di nudo e di sesso siano esplicite, non si arriva mai laddove spunterebbero la censura e i pixel atti a nascondere le vergogne, ma non per questo, anzi, tutt’altro, è un’opera erotica che stuzzichi, che sorrida con malizia e che mostri velatamente una certa sensualità. Perché Futari H è, semplicemente, un porno monco delle sequenze hot e il tutto si risolve in lunghi, ripetitivi, infiniti amplessi, che infastidiscono per la banalità delle situazioni (la sorella che si masturba nella stanza accanto mentre sente i due protagonisti si danno da fare, oh oh oh, che scena intrigante!) e per la cerebrolesa mancanza di qualsiasi sensuale ispirazione narrativa. Inguardabile.

Voto: 3 su 10

mercoledì 21 aprile 2010

Recensione: Il poema del vento e degli alberi

IL POEMA DEL VENTO E DEGLI ALBERI
Titolo originale: Kaze to Ki Uta SANCTUS - Sei naru kana
Regia: Yoshikazu Yasuhiko
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Keiko Takemiya)
Sceneggiatura: Yoshikazu Yasuhiko
Musiche: Nobuyuki Nakamura
Studio: Herald Enterprise
Formato: OVA (durata 60 min. circa)
Anno di uscita: 1987
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Yamato Video

 
Francia, 1880, Provenza: in un vecchio collegio in decadenza fa ritorno, dopo molti anni di lontananza, lo studente ormai adulto Serge Batouille. Preso dai ricordi, inizia a rammentare la sua adolescenza in quelle mura, sopratutto il particolare rapporto d'amicizia/amore con l'allora diciasettente Gilbert Cocteau, bellissimo e quasi efebico ragazzino biondo che, odiato ed emarginato dai suoi compagni per il suo anticonformismo, sfogava i suoi dispiaceri nella turpidine e nel sesso con gli uomini...

Kaze to Ki Uta, o Il poema del vento e degli alberi, è lo Yoshikazu Yasuhiko che non ci si aspetta. Dopo la fantascienza avventurosa e il fantasy puro, senza dimenticare i contributi alla saga di Gundam, nell'85 l'artista fornisce sceneggiatura e regia all'adattamento di un celebre manga non suo. Opera di riferimento è appunto il popolarissimo fumetto di Keiko Takemiya, autrice quasi del tutto snobbata in occidente ma dall'importanza storica fondamentale in Giappone, dove oltre a dare i natali al commovente shonen fantascientifico Toward the Terra (conosciuto internazionalmente grazie agli adattamenti filmici e televisivi) è anche creatrice del primo shonen-ai della Storia dei manga, ossia le storie d'amore tra uomini. Quella di Kaze to Ki Uta è una genesi travagliata, considerato inizialmente scabrosissimo visti gli argomenti trattati e che costerà ben nove anni di accese discussioni tra l'artista e la casa editrice per riuscire a pubblicarlo, salvo conoscere una grande rivalutazione negli anni da venire accompagnata da importanti riconoscimenti. Con l'adattamento animato Yoshikazu Yasuhiko rende omaggio alla creatura della Takemiya (già sua collaboratrice come guest star character designer su Crusher Joe), dirigendo una sorta di sintesi/manifesto dell'altrimenti lungo manga. Il nome famosissimo del regista non basterà comunque come garanzia di vendita, tanto che, ironicamente, l'OVA conoscerà una distribuzione internazionale unicamente qui, in quest'Italia dal semi-inesistente e snobbato mercato anime.

Questo è sinceramente un peccato, perché dietro i suoi temi la produzione merita la visione, anche da chi non è avvezzo o interessato a simili tematiche. Il poema del vento e degli alberi, per quanto vistosamente "incompiuto" nelle sue strade narrative, convince in buona parte della sua durata. Merito dell'ottima caratterizzazione del background storico e dei protagonisti Serge e Ghilbert, interessanti nella contrapposizione dei loro animi moralisti/trasgressivi, e convincenti nell'evolversi del loro particolare rapporto.

 

Quello che però rende davvero interessante l'OVA è la cura deliziosa nella sua confezione, eccellente nel rendere tangibile l'aria di colpevolezza e paura che non abbandona mai il protagonista Serge. Animazioni di ottimo livello si intrecciano con una colonna sonora al pianoforte di grande lirismo, capace di abbracciare liriche suite di Nobuyuki Nakamura e rileggere celebri composizioni di Chopin e Bach, e la visione delicata di Yas sull'argomento si nota nelle atmosfere decadenti e nel poetico aspetto visivo, dato da soluzioni grafiche particolari utilizzate nelle scene "scabrose" (per quanto non si sconfini nell'erotismo e nella volgarità, sequenze di sesso ci sono), uso di colori caldi e minacciosi come metafora della crescita, momenti di ottimo impatto registico... In quest'opera "minore" di Yasuhiko si respira tutta la sua professionalità di regista e il suo intimismo di uomo nel tratteggiare una sentita ma maledetta storia d'amore, poeticizzandola al massimo grazie a riusciti dialoghi estetizzanti perfettamente in tema (supportati, nell'edizione italiana, da un buon doppiaggio).

Unici difetti, inevitabilmente, vanno ricercati nel chara design tipicamente shoujo, e nel fatto, già preannunciato, che la storia si rivela solo un vago sunto di pochi volumi del manga originale, lasciando mille dubbi in sospeso e personaggi che non si capisce qual è il loro scopo. Rimane comunque una visione di qualità, sconsigliata unicamente a chi non pensa di poter sopportare scene di amore e di sesso tra uomini e ha poca affinità con gli shonen-ai.

Voto: 7 su 10

venerdì 16 aprile 2010

Recensione: Mobile Suit Gundam - Il contrattacco di Char (Char's Counterattack)

MOBILE SUIT GUNDAM: IL CONTRATTACCO DI CHAR
Titolo originale: Kidō Senshi Gundam - Gyakushuu no Char
Regia: Yoshiyuki Tomino
Soggetto: Hajime Yatate, Yoshiyuki Tomino
Sceneggiatura: Yoshiyuki Tomino
Character Design: Hiroyuki Kitazume
Mechanical Design: GAINAX (Hideaki Anno), Yoshinori Sayama, Yutaka Izubuchi
Musiche: Shigeaki Saegusa
Studio: Sunrise
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 124 min. circa)
Anno di uscita: 1988
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Dynit



Era Spaziale, anno 0093: Char Aznable è tornato alla ribalta. Le sue tracce si smarriscono nella battaglia di Gryps 2, ma ora è ricomparso sulle scene e ha rimesso in riga l'esercito di Neo Zeon sopravissuto, e, dopo aver scagliato l'asteroide Luna 5 su una base federale in Tibet, provocando milioni di morti, dichiara ufficialmente una nuova guerra contro la Terra. Alla guida del potente Mobile Suit MSN-04 Sazabi e con l'aiuto di alcuni Newtype artificiali, la Cometa Rossa, ormai disillusa dagli uomini, abbraccia in modo radicale le vecchie idee del padre e decide che, per far evolvere la razza umana, liberandola dalla sua culla terrestre, dovrà stimolarne un'emigrazione spaziale, lanciando l'asteroide Axis contro il pianeta per provocare un'eterna glaciazione che costringerebbe tutti ad andarsene. A cercare di contrastare Neo Zeon scende in campo un ritrovato Amuro Ray, che dopo il crollo dei Titans si è unito al capitano Bright in una nuova organizzazione federale anti-zeoniana, la Londo Bell.

Amuro Ray e Char Aznable: se nell'affresco dell'Era Spaziale dovessero spiccare i due nomi più rappresentativi, non potrebbero che essere i loro. L'eterno rapporto di amicizia/odio tra i due protagonisti-simbolo di Gundam conosce più fasi, tra rivalità (prima serie del 1979) ed effettiva pace fatta (Mobile Suit Z Gundam, 1985), e gli appassionati, sul finire degli Ottanta dello scorso secolo,  di sicuro auspicavano una nuova storia dove i due potessero collaborare insieme contro un nemico comune (in Z Gundam, Amuro svolge giusto il ruolo di guest-star). Invece nel 1988 Yoshiyuki Tomino coglie tutti di sorpresa: nel lungometraggio Il contrattacco di Char trasforma quest'ultimo in un mostro psicopatico, lasciando solo intendere - e senza spiegare nulla - che dopo i fallimenti dei suoi ideali abbia abbandonato ogni speranza di pacifica coesistenza tra terrestri e spazionoidi, e ora pensi solo agli interessi della sua parte (in Mobile Suit Gundam ZZ , ultima serie televisiva prima di questo film, viene anche detto che si è isolato dal mondo per riflettere sugli scopi della vita, per la coerenza del percorso del personaggio si può definire la cosa come un timido indizio). La rinata Cometa Rossa torna a incarnare quindi il sogno di indipendenza dei zeoniani, ed è lei a guidare il suo esercito verso una nuova guerra distruttiva contro la Federazione, come se la sua caratterizzazione in Z Gundam fosse rinnegata, e come se lei e il suo odiato rivale Amuro non si fossero mai chiariti su Lalah Sune (per far quadrare i conti, Char deve essersi autoimposto di rivedere le proprie posizioni, per ritrovare rabbia e fermezza adatti ai propri scopi, ma questa è giusto una supposizione da fan e nulla viene detto ufficialmente, banalmente al regista non interessava nulla della della continuity). Di fatto, Tomino riprende il loro rapporto com'era sul finire di Mobile Suit Gundam, facendoli combattere in quello che sarà l'epico scontro finale.

Duplici i motivi che portano Il contrattacco di Char a essere ricordato: la vistosa involuzione del personaggio di Char, che porta i fan a dividersi fra chi spera che l'opera venga un giorno estromessa dalla continuity e chi la ritiene il vero seguito della prima serie (nonostante qualcosa delle serie precedenti sia comunque accennato, lo è in modo essenziale, dato che mentre il film veniva prodotto Gundam ZZ era in pieno corso di trasmissione e il regista sapeva solo quale sarebbe stato il destino di Haman Karn1); e specialmente per essere, da parte di Bandai, Sunrise e Tomino, il tentativo di chiudere in modo davvero definitivo la saga in quegli anni2, mettendo la parola The End ai conflitti tra Federazione Terrestre e Zeon e a una storia che, con il flop di Gundam ZZ, sembrava davvero essere arrivata al capolinea (ma niente da fare, il film riscuoterà buoni incassi3 e Bandai si sentirà poi giustificata a riprendere in mano il franchise). Non sono completamente in torto i detrattori dell'opera, quando la considerano una celebrazione altisonante a principale consumo dei fan delle due superstar (sia per il fattore coolness dei mecha e l'immensa quantità di battaglie, sia degli Amuro e Char mai così ammiccanti dal punto di vista estetico), ma il risultato non è così spudoratamente commerciale come lo dipingono: Il contrattacco di Char si fa ricordare per tante cose interessanti, nonostante si tratti, come spesso avviene, di un titolo ben distante dalla forma finale che avrebbe voluto dargli il regista.


È giusto, a questo proposito, per capire il senso finale di quest'opera, partire dagli inizi, ricordando i vari retroscena dietro la sua creazione: a trasmissione appena iniziata di Gundam ZZ, Sunrise impone a Tomino l'ennesimo Gundam, ma questa volta da realizzarsi come film dal soggetto originale (non un mero rimontaggio, come nel caso della trilogia cinematografica del 1981). Nonostante tutto, il regista è stavolta interessato a realizzare il lungometraggio, perché l'ambientazione temporale, cronologicamente posta svariati anni dopo i fatti delle serie precedenti, gli permette di raccontare com'è avvenuta la crescita dei suoi personaggi, in parallelo con quella degli spettatori nati con il capostipite del 1979: fa addirittura sposare Amuro con la sua fidanzata, Irma Beltorchika (apparsa in Z Gundam), facendogli avvere da lei dei figli, e preventiva una storia complessa che richiederebbe almeno due lunghe pellicole. Accade però che Sunrise è categorica: il film sarà uno solo e questo matrimonio non s'ha da fare (perché il pubblico degli anime robotici troverebbe spiazzante ed eretico un eroe maritato e con prole), arrivando a vietare tassativamente l'uso della ragazza nella storia. Inizia una lunghissima polemica tra autore e studio, che occuperà un sacco di tempo (distogliendo, come sappiamo, Tomino dal curare Gundam ZZ per oltre metà della sua durata) e toccando anche colpi bassi (a un certo punto, Sunrise fa addirittura dirigere il trailer del film a un altro staff). Adirato come mai prima con i suoi datori di lavoro e i gusti dello stesso pubblico di otaku, il papà di Gundam decide per questo di punire entrambi trasformando l'opera in una cosa personale e allegorica, un atto di accusa verso gli adulti che non vogliono crescere, e per questo involve, fino a renderli personaggi tristi e penosi, per nulla maturi, insomma degli autentici falliti, gli eroi per eccellenza della saga. Nella nuova storia che ne esce fuori, Char, da romantico antieroe dalle vocazioni hippy, si trasforma in un figuro patetico, cinico e manipolatore, che sceglie la strada più facile per la sua gente, che non esita a flirtare con una ragazzina Newtype invaghita di lui pur di farla combattere dalla propria parte e sta con una nuova donna pensando sempre e solo a Lalah, mentre Amuro tratta in modo freddo e insensibile la sua nuova ragazza (la bella Chan, sostituto di Irma che è finita chissà dove), approfittando della sua pazienza in più occasioni e dimostrando tutta la sua incapacità di rapportarsi con il gentil sesso. Questa è la fisionomia definitiva che prenderà Il contrattacco di Char nella sua forma finale, pur al prezzo di nuove sforbiciate a un intreccio reputato sempre troppo intricato da Sunrise e che porterà Tomino, per disperazione, a pubblicare nel tempo ben due romanzi che narrano la storia come l'avrebbe voluta lui: Beltorchika's Children, rilasciato un mese prima dell'uscita nelle sale e basato sulla prima versione della storia, e High Streamer, versione "estesa" della seconda4. Facile, a questo punto, con tutti questi veleni, capire perché alla fine Tomino non sarà molto soddisfatto della pellicola finale, che, con tutte le imposizioni Bandai/Sunrise, si limita abbastanza stancamente a riciclare i soliti stereotipi di Z/ZZ Gundam, senza accompagnarli, per limiti di tempo, a un decente approfondimento dei personaggi.

Il problema del Contrattacco di Char filmico è proprio questo: troppo dipendente dalla celebrazione dei due protagonisti (primi piani, combattimenti lunghissimi tra Mobile Suit scintillanti, sequenze inutili inserite per esaltare il loro pensiero nei riguardi del nemico) per riuscire a caratterizzarli in modo degno e a far passare nitidamente il suo messaggio anti-otaku. Qua e là poche frasi-chiave, mirate e precise, ricordano lo spirito originario della storia, umiliando i due eroi che si rinfacciano le ipocrisie, le ideologie e i pensieri egoisti con cui hanno giustificato le loro uccisioni (tra chi stermina milioni di uomini e parla di grandi aspirazioni per l'umanità, facendo tutto questo, in verità, solo per nascondere il suo astio per la morte della fidanzata, e chi non è minimamente interessato a cogliere le ragioni del risentimento degli spazionoidi verso i terrestri), ma queste questioni non occupano chissà quanto spazio, sicuramente non abbasttanza per colpire a fondo.  Il resto del tempo è tutto occupato da battaglie, ammiccamenti cool dei due eroi, disegni complessivamente belli e colorati ma molto patinati e per questo troppo freddi (Tomino insulterà il chara designer Hiroyuki Kitazume per la sua incapacità di rendere conturbante il personaggio di Nanai Miguel, per questo la userà poche volte nella storia, togliendole quello spazio importante che serviva a rendere meglio la grettezza di Char che la vede come semplice rimpiazzo di Lalah5; in effetti il chara designer confermerà tempo dopo che il film era un progetto troppo grande per lui6), dialoghi esageratamente estetizzanti, retorici e ridondanti e un contorno di personaggi-macchietta messi lì solo per essere uccisi gratuitamente (aumentando teoricamente il pathos, ma giusto teoricamente) o proseguire la tradizione di cliché (gli ennesimi Cyber Newtype, un paventato golpe nella fazione nemica, difficoltà di comunicazione tra giovani e adulti, cotterelle adolescenziali, giovani soldati facilmente malleabili...  insomma rivivono sotto fattezze diverse Elpeo Ple, Glamy Toto e Katz Kobayashi, siamo davvero all'apice del déjà vu su déjà vu). In sintesi: non si sapessero questi retroscena, sarebbe difficile accorgersi dello spirito polemico e satirico che anima la trama.

Nonostante tutto, non si può neanche definire Il contrattacco di Char un film proprio mediocre o appena sufficiente. Pur con le banalità, quella di Tomino è una storia piacevole, che, anche se ambientata per buona parte del tempo su anonimi campi di battaglia siderali, sa catturare occhi e interesse in più riprese, ad esempio con una pittoresca resa di Neo Zeon (che tra canti patriottici e colori richiama vistosamente l'URSS) e con la curatissima confezione dell'opera, e in più di un colpo scena crudele capace ancora di stupire chi pensava di aver visto tutta la cattiveria possibile nelle stragi di Space Runaway Ideon (1980), Aura Battler Dunbine (1983) e Z Gundam. Classica ciliegina sulla torta è rappresentata dal duello finale tra Char e Amuro, lungo e spettacolare come si conviene, in cui i rivali, come accennato, si distruggono nel vero senso della parola, non solo sparandosi con bazooka e beam rifle a bordo dei loro Mobile Suit ma anche rinfacciandosi il proprio odio e le proprie reciproche impressioni - e questi scambi di veleno rappresentano davvero l'unico, grande momento cinematografico dell'opera. Da brividi, così come la celeberrima, apocalittica e visionaria sequenza conclusiva che chiude (temporaneamente) le ostilità fra i due eserciti (almeno fino a Mobile Suit Gundam Unicorn del 2010, con cui Tomino non c'entra nulla) e come pure il mecha design straordinario di Yutaka Izubuchi, realizzatore di quell'RX-93 v Gundam e del Sazabi destinati a essere tra i Gunpla più amati e gettonati di sempre presso gli appassionati di collezionismo (e pensare che l'unica indicazione che l'artista ricevette da Tomino, dopo che soffiò all'ultimo istante il posto a Mamoru Nagano7, fu "non me ne frega niente, fa come vuoi"8). Ciò che, tuttavia, rappresenta allo stesso tempo il maggior pregio e il maggior difetto di questo film è il suo essere registicamente tominiano al massimo, con tutti i pro e i contro che ne derivano.

La direzione del regista è più asettica del solito, filma le battaglie fra centinaia di Mobile Suit con ampie panoramiche ma è stranamente disinteressata a renderle coinvolgenti. Pur con l'approccio generale di ricercato fanservice visivo nei riguardi dei due protagonisti, Il contrattacco di Char si distingue per scontri curiosamente aridi, quasi documentaristici, anche per la voluta scelta di un accompagnamento sonoro dato più da effetti di rumoristica che dalle tracce musicali della flebile, a tratti insignificante, colonna sonora. Il tutto si riconduce, probabilmente, al classico artificio del regista di donare alle battaglie un impianto freddo e realistico che comunichi maggiormente le sensazioni di spaesamento e paura provate dai piloti, ma personalmente non mi sembra una mossa saggia ricercare queste aspirazioni in un film nato con notevoli mire commerciali (che peraltro palesa per quasi tutto il tempo).


Il contrattacco di Char è un film con un eccessivo spazio dato a personaggi mal riusciti e dialoghi inutili, addirittura non montato benissimo (tanti sono i bruschi stacchi presenti nella parte iniziale del film). Ciononostante merita la visione: è un'opera controversa, a tratti pesante, a tratti molto irritante, ma che splende in quei rari - eppure grandiosi - momenti  in cui brilla la poetica del regista, che con pochi dialoghi, densi di sottotesti, dona ai personaggi sfumature e una umanità che li rendono più veri che mai, uomini che mettono in gioco fino all'ultimo una vita fallimentare e destinata all'autodistruzione, attestando la morte degli ideali e la loro personale immaturità, ma anche la grande maturità raggiunta dalla saga. Da vedere almeno una volta, preferibilmente nei DVD/BD Dynit e in lingua giapponese con sottotitoli (il doppiaggio italiano, seppur adattato benissimo a livello di fedeltà, pecca di voci messe a casaccio). Per chi vuole vedere tutti i Gundam "che contano" nella continuity, questa è l'ultima visione fondamentale.

Curiosità: Il contrattacco di Char è originariamente proiettato al cinema insieme a Mobile Suit SD Gundam, trilogia di corti animati che parodizzano la saga nell'ottica della dissacrazione citazionista, data da personaggi e robot parlanti visualizzati con sembianze caricaturali (da qui il Super Deformed del titolo) che rileggono in modo comico le situazioni più famose della storia. Questi tre episodi troveranno una grande popolarità, tanto che negli anni seguenti, segnati dall'assenza di nuove incarnazioni televisive del Mobile Suit bianco, la popolarità di Gundam presso le nuove generazioni sarà data proprio dai successivi OVA e videogiochi di questa saga comica "parallela", e dalle linee di modellini a essa ispirate9.

Voto: 7 su 10

PREQUEL
Mobile Suit Gundam: The Origin (2015-2016; serie OVA)
Mobile Suit Gundam (1979-1980; TV)
Mobile Suit Gundam The Movie I (1981; film)
Mobile Suit Gundam The Movie II: Soldati del dolore (1981; film)
Mobile Suit Gundam The Movie III: Incontro nello spazio (1982; film)
Mobile Suit Gundam MS IGLOO 2: The Gravity Front (2008-2009; serie OVA)
Mobile Suit Gundam MS IGLOO: The Hidden One-Year War (2004; corti)
Gundam Evolve../ 01 RX-78-2 Gundam (2001; OVA)
Mobile Suit Gundam Thunderbolt (2015-2016; serie ONA)
Mobile Suit Gundam Thunderbolt: December Sky (2016; film)
Mobile Suit Gundam MS IGLOO: Apocalypse 0079 (2006; serie OVA)
Mobile Suit Gundam 0080: War in the Pocket (1989; serie OVA) 
Mobile Suit Gundam: The 08TH MS Team (1996-1999; serie OVA)
Gundam Evolve../ 11 RB-79 Ball (2005; OVA)
Gundam Evolve../ 12 RMS-099 Rick Dias (2005; OVA)
Gundam Neo Experience 0087: Green Divers (2001; corto)
Mobile Suit Gundam ZZ (1986-1987; TV)

SEQUEL
Mobile Suit Gundam Unicorn (2010-2014; serie OVA)
Mobile Suit Gundam Unicorn RE:0096 (2016; TV)
Mobile Suit Gundam Unicorn: One of Seventy Two (2013; corto)
Mobile Suit Gundam F91 (1991; film)
Mobile Suit Victory Gundam (1993-1994; TV)
∀ Gundam Called Turn "A" Gundam (1999-2000; TV)
∀ Gundam I: Earth Light (2002; film)
∀ Gundam II: Moonlight Butterfly (2002; film)
Gundam: Reconguista in G (2014-2015; TV)
Gundam: Reconguista in G - From the Past to the Future (2016; corto)

ALTRO
Gundam Evolve../ 05 RX-93 v Gundam (2002; OVA)


FONTI
1 Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)
2 Kappa Magazine n. 21, Star Comics, 1994, pag. 123
3 Lo confermano sia pag. 192 di "Storia dell'animazione giapponese" (Guido Tavassi, Tunuè, 2012), sia pag. 134 di "Anime al cinema" (Francesco Prandoni, Yamato Video, 1999)
4 Questi retroscena provengono dal booklet allegato alla Limited Edition DVD del film "Il contrattacco di Char" ("Il contrattacco di Char: che la saga abbia fine?", Dynit, 2011, pag. 5. Si ringrazia Zechs di GundamCore). Le integrazioni me le ha fornite Garion-Oh, peraltro autore proprio di quel pezzo
5 Per un'adeguata disamina dei contenuti del film, consiglio la lettura dei vari interventi scritti nel 2010 da Yuichiro Oguro, ex redattore della rivista citica giapponese Animage (specializzata in animazione giapponese), che in questo contesto ha rievocato le sensazioni e le impressioni che la visione del film ha suscitato in lui all'epoca, integrandoli con interviste storiche a Yoshiyuki Tomino e Hideaki Anno. Tali interventi sono stati tradotti da Garion-Oh e messi a disposizione per la lettura nel forum Pluschan, alla pagina http://www.pluschan.com/index.php?/topic/4746-memorie-di-animage-il-contrattacco-di-char/
6 Intervista a Hiroyuki Kitazume apparsa in "Anime Interviews: The First Five Years of Animerica Anime & Manga Monthly (1992-1997)" (Cadence Books, 1997, pag. 106)
7 Intervista a Yutaka Izubuchi effettuata all'Anime Expo 2006 e pubblicata sul sito "Anime News Network", alla pagina http://www.animenewsnetwork.com/convention/2006/anime-expo/11
8 Come sopra
9 Mangazine n. 22, Granata Press, 1993, pag. 54. Vedere anche pag. 158 di "Anime in TV" (Saburo Murakami, Yamato Video, 1998)

lunedì 12 aprile 2010

Recensione: Eureka Seven - The Movie

EUREKA SEVEN: THE MOVIE
Titolo originale: Kōkyō Shihen Eureka Seven: Pocket ga Niji de Ippai
Regia: Tomoki Kyoda
Soggetto: BONES
Sceneggiatura: Kenichi Yoshida
Character Design: Kenichi Yoshida
Mechanical Design: Shoji Kawamori, Hiroyuki Yanagise
Musiche: Naoki Sato
Studio: BONES
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 115 min. circa)
Anno di uscita: 2009
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Kaze 

 

Anno 2054: l'umanità è sconvolta da una terribile guerra con gli Image, misteriosi e aggressivi alieni apparsi dal nulla anni prima e che stanno lentamente estinguendo la razza umana. Renton Thurston, di soli 14 anni ma con un talento incredibile come pilota (a bordo del suo Nirvash, potente robot da guerra), si unisce quindi alla 303ª Divisione Indipendente di Combattimento militare guidata da Holland Novak. Renton cerca da anni di ritrovare Eureka, sua amica d'infanzia rapita dagli alieni, e durante una missione riesce finalmente a salvarla. Scoprirà non solo che lei è vista dall'esercito come la chiave per cambiare le sorti della guerra, ma anche che Holland e il resto della crew della Gekko Go, nave di guerra in cui lavora, sono custodi di un terribile segreto che riguarda sia lei che lui...

Il parere del Mistè

In moltissimi, all'annuncio del film di Eureka Seven (2005), nel 2008 si saranno domandati sconsolati il senso del consueto riassuntone cinematografico. Dubbi presto dissipati da successivi annunci di BONES, che senza girarci attorno lo presentarono come una nuova incarnazione della storia, composta per metà di scene riciclate e per l'altra animata da zero. Una trovata originale che, in anni di Special Edition inutili, suonava a ragione come una ventata d'aria fresca che faceva onore allo studio. Ma il destino sarà beffardo: se l'originale televisivo, narrativamente forse fin troppo derivativo, se la cavava discretamente bene, il lungometraggio, basato su un soggetto interessante e mai visto, alla sua uscita deluderà non solo i fan, ma anche gli spettatori occasionali a cui è dedicato. La trama sopra riportata anticipa giusta la mole smisurata di avvenimenti in un film complesso e pesante da seguire dal primo all'ultimo fotogramma, una storia gigantesca raccontata in velocità e con verbosismo in lunghissime, letargiche sequenze dialogiche. Non vi è traccia delle atmosfere fresche e spensierate della serie tv, Tasca piena di arcobaleni (titolo originale del banale The Movie italiano) ne è la perfetta antitesi, noioso, meccanico e per nulla stimolanti.

Esemplari i primi minuti, in cui si viene buttati di peso in un intreccio già corposissimo di terminologie tecniche e militari dove manca un protagonista di riferimento in cui immedesimarsi. Il giovane Renton dovrebbe ricoprire quel ruolo ma, come il resto del cast, è solo un banale attore che fa freddamente quello che deve, senza che ci sia il minimo tentativo di instaurare empatia. Difettando di un'adeguata presentazione già in partenza il lungometraggio non decolla e non ingrana mai, riconducendosi a un monologo di due ore, diretto con distacco, dove numerosi personaggi non fanno altro che parlare, discutere e fare quello che devono infischiandosene che chi guarda è spaesato e/o in letargo. Probabilmente lo sceneggiatore Kenichi Yoshida -  proveniente dalla serie tv - pensa che le caratterizzazioni sono già conosciute ed è inutile riproporle, ma questo è paradossale visto non solo che il film nasce per ispirare lo spettatore a guardare l'originale, ma sopratutto perché saranno proprio i fan a storcere maggiormente il naso.


Alcuni di essi potrebbero apprezzare l'idea di un un Eureka Seven "stravolto" dove cambiano i ruoli di buona parte dei personaggi: l'idea di una dimensione alternativa creata da uno degli Scub Coral della serie TV è intrigante nelle premesse (tanto che viene utilizzata anche nel successivo seguito, Eureka Seven - Astral Ocean, 2012), e permette di dissacrare in modo innocuo le fondamenta della storia, trasformando in villain quelli che prima erano eroi e fornendo una versione alternativa del Nirvash (qui un esserino kawaii che si trasforma nel mecha). È purtroppo nella cura di contorno che fallisce il tentativo BONES di ristupire i fan. Si può sapere perché la meravigliosa colonna sonora di Naoki Sato è usata poco e male? E perché la realizzazione tecnica è così deludente, con animazioni identiche alla serie TV (invero ottime, ma da un filmone ci si aspetta molto di più)? Il film di Eureka Seven di potenzialità ne aveva molte e va dato atto a BONES di essersi sforzato di presentare qualcosa di nuovo, ma una sceneggiatura mal sviluppata rovina un soggetto potenzialmente ottimo ma fin troppo carismatico, del tipo che non sfigurerebbe neanche in una lunga serie televisiva. Solo gli appassionati più sfegatati apprezzeranno un film martoriato da un didascalismo eccessivo.

Voto: 5 su 10

Il parere del Corà

Prodotto insolito e curioso, il film ispirato alla serie tv Eureka Seven non è né un riassunto della lunga saga episodica né un remake più o meno fedele, ma bensì una storia completamente inedita, che non ha nulla a che vedere con l’opera originale se non per il chara design e i nomi dei protagonisti.

Pellicola lunga (quasi due ore) e ambiziosamente complessa, Eureka Seven: The Movie mette a dura prova la tenacia mentale di qualsiasi spettatore data una quantità sproporzionata di personaggi, eventi, flashback, doppi giochi e colpi di scena variopinti che formano un’architettura spaventosamente intricata, nella quale è facile smarrirsi e boccheggiare. Un simile calderone di idee avrebbe potuto tranquillamente sorreggere una serie tv di 13 o anche 26 episodi, ed è facile quindi immaginare quanto la compressione a volte rischi di far esplodere l’intera opera. Tuttavia, tentare di appigliarsi all’intuito e seguire un plot così arzigolato è soddisfazione appagante quando i primi nodi cominciano a venire al pettine, preparando a una mezz’ora finale di grande stravaganza visiva e narrativa. La complessità spaesante non deve infatti spaventare perché piace, e molto, la genuitità degli spunti di cui il lungometraggio è colmo, sintomo di un lavoro creativo accurato che richiede sì massima attenzione per essere svelato, ma da cui deriva estrema gratificazione man mano che il film volge al termine. Le sequenze dialogiche, di cui il film è zeppo, sono infatti lunghe e ispirate, forse troppo didascaliche ma comunque sempre interessanti, perché mai si avverte la sensazione di artificiosità o di spiegone narrativo stopposo e necessario a far proseguire la trama. E si può così notare che, nella sua devastante molteplicità di trame, il lungometraggio è innegabilmente ben costruito.


Trattandosi di un film cinematografico la qualità delle animazioni, ancorate a requisiti monetari tipici delle serie TV, non è così soddisfacente come ci si potrebbe aspettare, come non lo sono i parziali riciclaggi di scene originali (poche, e comunque riadattate alla nuova storia). Malgrado ciò, il lungometraggio presenta momenti di straordinaria magnificienza visiva, sui quali lo staff deve aver puntato ogni yen: i combattimenti tra Nirvash sono infatti di una bellezza grafica e soprattutto registica da rimanere a bocca spalancata per le incredibili acrobazie aeree e i virtuosismi di camera. Leggermente meno bene sul versante musicale, dove le splendide musiche originali vengono utilizzate solo in parte lasciando una certa amarezza per la solenne epicità sinfonica di cui, a tratti, si sente la mancanza.

Difficile ma appagante, non imprescindibile ma efficacemente piacevole, il film di Eureka Seven richiede non pochi sforzi cerebrali per essere compreso in ogni sua parentesi, ma, per quanto sicuramente inferiore alla serie da cui deriva, sarebbe un delitto sottrarsi alla visione e privarsi di due ore di sofisticate ma attraenti elucubrazioni mentali.

Voto: 8 su 10

PREQUEL
Eureka Seven (2005-2006; TV)

SEQUEL
Eureka Seven: Astral Ocean (2012; TV)
Eureka Seven AO : The Flowers of Jungfrau (2012; OVA)

giovedì 8 aprile 2010

Recensione: Eureka Seven

EUREKA SEVEN
Titolo originale: Kōkyōshihen Eureka Seven
Regia: Tomoki Kyoda
Soggetto: BONES, Dai Sato
Sceneggiatura: Dai Sato
Character Design: Kenichi Yoshida
Mechanical Design: Shoji Kawamori
Musiche: Naoki Sato
Studio: BONES
Formato: serie televisiva di 50 episodi (durata ep. 22 min. circa)
Anni di trasmissione: 2005 - 2006
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Dynit


Renton Thurston è uno spavaldo ragazzino che sogna di diventare campione dello sport più in voga del pianeta, il reffing, spettacolare, pericoloso surf aereo. Il suo idolo è il campione Holland Novak che, assieme ad alcuni compagni, è anche il leader di un movimento anti-governativo in guerra per rovesciare la monarchia tirannica che opprime il pianeta. A causa di una serie di coincidenze Renton si ritroverà proprio nella ciurma dell'aereonave guidata da Holland, la Gekko Go, e con lui c’è Eureka, una misteriosa ragazza che sa comunicare con Nirvash, un LFO, una creatura umanoide partorita dal pianeta stesso e usata come mecha da combattimento. Mentre Renton si innamora della fragile Eureka, l’impero sembra iniziare ad architettare qualcosa di terribile per garantirsi la vittoria...


Il parere del Mistè

Come in molti altri ambiti, anche in quello dell'animazione appaiono ogni tanto opere il cui successone è già scritto in virtù di uno staff stratosferico. Il mecha designer Shoji Kawamori, coadiuvato da veterani come Yutaka Izubuchi e Kazutaka Miyatake, chara designer e animatori di Overman King Gainer (2002) e un gran numero di sceneggiatori provenienti dalle più celebri serie Sunrise e Production I.G (Shotaro Suga, Chiaki J. Konaka, Hiroshi Ohnogi) a supporto di quello principale, Dai Sato, creatore della storia, nel 2005 sono tutti riuniti in una lunga, costosa serie televisiva di 50 episodi a tentare di bissare il successo di quell'ottimo RahXephon (id.) che ha fatto la fortuna del neonato studio BONES. Tanto fumo ma poco arrosto? Spesso succede, non è questo il caso. Non è però, a dispetto di un successo impressionante (pubblico e sopratutto critica, con un'icetta di premi vinti come miglior serie televisiva), un arrosto particolarmente succulento a mio modo di vedere.

Forte del suo enorme budget, sulle prime Eureka Seven ammalia. Non un stonatura, con il suo design tondeggiante, solare e colorato che dipinge splendidi ambienti e personaggi; la soundtrack orchestrale di alto livello capace di spaziare in mille sfumature melodiche (il primo capolavoro del compositore Naoki Sato), opening/ending che tra rap, dance e punk celebra la sottocultura musicale giovanile, una briosa regia che nelle scene di battaglia aeree è spettacolare da cardiopalma (Tomoki Kyoda, alla sua prima esperienza televisiva dopo lo special televisivo del 2003 Rahxephon The Motion Picture: Pluralitas Concentio)... Trovare difetti nelle animazioni, nell'estetica o nella perizia tecnica con cui Eureka Seven è girato è impossibile perché, banalmente, non se ne può parlarne male. La storia poi, al di là dell'apparente ridicolaggine di guerre combattute tra mecha "surfisti" che si sparano in acrobazie aeree, inizialmente cattura subito l'attenzione grazie alla progressione lenta e lineare di una trama interessata molto a caratterizzare i simpatici componenti del cast, in questo caso la crew della Gekko Go, in quindici puntate autoconclusive di eccellente qualità. La quotidianità delle situazioni è coinvolgente al punto che presto l'equipaggio della nave viene inquadrato, da Renton come dallo spettatore, come una vera e propria famiglia e le loro simpatiche, a tratti esilaranti avventure quotidiane potrebbero pure far pensare al prodotto come di genere slice of life. Abbandonate le presentazioni inizia la storia portante, delle battaglie tra la Gekko Go e l'esercito e il mistero dei poteri di Eureka, e anche qui tutto sembra andare bene vista l'estrema qualità narrativa. Si sentono estremamente vicini e tridimensionali i personaggi (in questo senso l'unico difetto di RahXephon, la difficoltà a far affezionare lo spettatore agli eroi, sembra limato), la storia è appassionante e le prospettive per il capolavoro aumentano... fino a metà serie, fino a quella che poi diventa involuzione narrativa di una certa amarezza.

Più o meno dopo la chisura dell'arco narrativo si accumulano problemi su problemi, a significare la difficoltà incontrate dai sceneggiatori di gestire i mille misteri della storia. Per colpa di mille dialoghi inutili, puntate riempitive che non servono a nulla e molti episodi mal scritti, la trama di Eureka Seven prosegue diluita col contagocce, indebolendo quelle eccezionali fondamenta con tanta cura prima edificate. Il cattivo principale, carismatico sulla carta, si rivela una macchietta; numerosi e affascinati spunti narrativi sono liquidati con approssimazione e soluzioni narrative/registiche opinabili; personaggi potenzialmente molto interessanti (come il governativo Dominic) vengono mal sfruttati o lasciati in disparte rendendo vano l'eccellente lavoro di caratterizzazione precedente, e addirittura le strepitose musiche, altro grande punto di forza della serie, iniziano a essere male utilizzate. Cos'è successo? Come se non bastasse, mano a mano che si snocciola l'ossatura dell'intreccio, iniziano a risaltare un pò troppo le idee riciclate da opere del passato: in Eureka Seven si rinviene il concept di After War Gundam X (1996), personaggi rubati da Mobile Suit Gundam (1979) e King Gainer (Anemone è la copia sputata di Cynthia Lane, anche nell'aspetto fisico), e sopratutto l'intero soggetto si rivela, anche a mio parere, un remake commerciale dell'autorale Brain Powerd (1998). Pure RahXephon è sentitamente tominiano, ma pur con le sue influenze da Reideen il coraggioso (1975) e lo spunto iniziale di Neon Genesis Evangelion (1995) la sua trama è originale: in Eureka Seven si riciclano i soliti temi del regista (amore che non conosce i confini tra razze e religione, solo la comprensione può portare alla vera pace, racconto di formazione di un ragazzo immaturo che diventa uomo e impara a prendersi le responsabilità etc) integrandoli in una storia di molto simile a quella dell'elitaria televisiva del 1998. Cambiano i personaggi ma la solfa è quella, non particolarmente originale, e la conclusione, di un buonismo eccessivo e quasi fastidioso, ricorda nei fatti quella dello stesso RahXephon.


Un aspetto tenico strabiliante e una meravigliosa costruzione della suspance e dei personaggi scemano così, in modo non gravissimo ma sentito, in soli 25 episodi: è incredibile come Eureka Seven dopo una partenza finisca così ridimensionato per colpa di uno script discontinuo, sopratutto perchè non sono molte le serie che per metà mirano all'eccellenza e per l'altra commettono un simile seppuku qualitativo (sopratutto tenendo conto delle celebrità dietro la sua realizzazione), eppure la serie esiste e il risultato è, come monito, sotto gli occhi di tutti. Mega-milionario giocattolo dalle molte potenzialità inespresse e mai come in questo senso capolavoro mancato, il cult di Dai Sato sarà probabilmente apprezzato da chi è facilmente suscettibile di coinvolgimento emotivo vivendo di ricordi del simpaticissimo cast, inizialmente sfruttato benissimo, o pensand alla memorabile colonna sonora o alle animazioni mozzafiato. Per gli altri, temo una minoranza, sarà da ascrivere nella triste categoria delle grandi occasioni mancate venendo ricordato per il suo unico, vero aspetto memorabile, gli splendidi protagonisti Renton e Holland.

Voto: 7 su 10

Il parere del Corà

Eureka Seven è meraviglia. Meraviglia grafica, narrativa e soprattutto affettiva. Abbiamo infatti a che fare con un’opera che punta molto, moltissimo sulla caratterizzazione dei personaggi, costruendo personalità forti, carismatiche e semplicemente irresistibili, ai quali ci si affeziona subito, in modo sincero e sentito, nel giro di qualche episodio. La goffaggine amororsa di Renton e i suoi tentativi di redenzione coraggiosa, la tenera gracilità di Eureka, il severo vigore di Holland contrapposto alla sua demenziale pigrizia, l’ironia buffa e tragicomica dei suoi colleghi di sport e battaglia, e la straordinaria, straordinaria, straordinaria credibilità espressiva dei tre bambini che Holland &a Co. si ritrovano forzatamente a crescere. E questo solo per citare i protagonisti, dato che Eureka Seven brilla in ogni singolo personaggio, anche il più emarginato e poco importante. Unica nota negativa, in questo magnifico aspetto, è la caratterizzazione di un villain fin troppo simile a tanti altri, perso nel suo fascino diabolico che non esprime niente che non si sia già visto mille altre volte.

Eureka Seven è ben strutturato in due parti, da circa 25 episodi ciascuna. La prima, più scanzonata e divertente, è incentrata quasi esclusivamente sui personaggi, sulle loro vicissitudini, sulle gag di cui si rendono protagonisti, e mostra avanzamenti minimi della trama generale. Tali momenti, ovvero spunti, enigmi e situazioni in apparenza incomprensibli, verrano poi ampiamente spiegati nella seconda, complessa metà, più seria, triste, drammatica, nella quale la componente fantascientifica e robotica prende fortemente il sopravvento. La trama è arzigolata, ricca di eventi e twist narrativi, che, soprattutto nella parte finale, crescono a dismisura, in un'inarrestabile vortice di spiegazioni e controspiegazioni, che accumulano di puntata in puntata tanto di quel materiale cerebrale da far traboccare di idee ogni episodio. Creature che suggono sfere di realtà, spaventose entità aliene, universi paralleli, esseri nati e allevati dal pianeta stesso, simbiosi mutaforma con l’ambiente e molto, molto altro ancora. Se una certa derivazione (un certo personaggio fin troppo uguale a uno dei protagonisti di Overman King Gainer, serie tominiana, tra l’altro, disegnata dallo stesso chara designer di Eureka Seven) potrebbe inzialmente seccare gli appassionati, bisogna comunque dare atto a Dai Sato di aver elaborato un canovaccio esponenzialmente imprevedibile, solido e fantasioso nel suo concatenarsi di vicende davvero coinvolgenti.



Sia lode all’alto budget a disposizione, fattore che ha permesso allo Studio BONES di realizzare, sulla base di disegni armoniosi, curati e colorati in maniera splendida, ottime animazioni, addirittura superlative nelle numerose surfate battagliere nei cieli. Citazione infine per le bellissime musiche, composte da brani per piano e orchestra epici, solenni, esaltanti e commoventi, nonché da alcune spiazzanti intrusioni dance forse troppo insistite. E tra le tante sigle (tra opening ed ending sono presenti otto canzoni, come da tradizione per le unghe serie high budget) è impossibile non parlare del terzo brano d’apertura Taiyo no Mannaka he, un concentratico adrenalinico e memorabile di punk sinfonico che, calato in questo universo e accompagnato da animazioni originali, diventa addirittura toccante nella poesia espressa.

Tra le serie più graficamente accattivanti ed emozionalmente seducenti di questi ultimi anni, Eureka Seven, se non fosse per certe derivazioni e ammiccamenti ad altre opere (oltre al già citato King Gainer, anche Brain Powerd e Gundam X), potrebbe essere inserita nell’olimpo dell’animazione nipponica. Ma pur concedendo qualche dubbio all’effettiva ispirazione di Sato, l’odissea di Renton ed Eureka è visione caldamente consigliata a chiunque non bruci d’indignazione quando i pilastri dell’originalità tendono a crollare.

Voto: 9 su 10

SEQUEL
Eureka Seven: The Movie (2009; film)
Eureka Seven: Astral Ocean (2012; TV)
Eureka Seven AO : The Flowers of Jungfrau (2012; OVA)

Una piccola novità

Niente di che, sia chiaro.
Ma quel piccolissimo zoccolo duro che ci segue, e a cui va tutta la nostra riconoscenza, sarà interessato a sapere che d'ora in poi, per rendere sempre più utile il blog al suo scopo, cercheremo di aggiornarvi con puntualità sulle novità animate i cui diritti vengono acquistati nel nostro paesee.

Iniziamo col farlo proprio oggi, anticipandovi che stasera su Rai4 andrà in onda il primo episodio di Eureka Seven, costosa produzione BONES del 2006 che in molti mai si sarebbero aspettati di veder arrivare qui.
Una produzione mecha/sci-fi molto amata e criticata allo stesso tempo, che merita così, per questa volta, una veloce e pronta recensione per farvela conoscere :)
In ogni caso, il consiglio vale per tutti: GUARDATELO. Anche se non dovesse piacere, diamo un segno alla Rai che a noi produzioni di questo livello interessano,

martedì 6 aprile 2010

Recensione: Mobile Suit Gundam ZZ

MOBILE SUIT GUNDAM ZZ
Titolo originale: Kidō Senshi Gundam ZZ
Regia: Yoshiyuki Tomino
Soggetto: Hajime Yatate, Yoshiyuki Tomino
Sceneggiatura: Ken Terasawa, Akinori Endo, Hidemi Kamata, Yumiko Suzuki
Character Design: Hiroyuki Kitazume
Mechanical Design: Makoto Kobayashi, Mamoru Nagano, Kazumi Fujita, Mika Akitaka, Yutaka Izubuchi
Musiche: Shigeaki Saegusa
Studio: Sunrise
Formato: serie televisiva di 47 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anni di trasmissione: 1986 - 1987


Era Spaziale, anno 0088. La minaccia dei Titans è stata debellata, ma ancora non è giunto il momento della pace. Ciò che rimane dell'A.E.U.G. ingaggia una lotta contro la carismatica Haman Karn, che, assieme alla piccola Mineva Zabi, ultima superstite dei fondatori del Principato di Zeon, sogna di restaurare quest'ultimo e, per questo, guida dall'asteroide Axis la rivolta di Neo Zeon contro la Federazione Terrestre, ormai militarmente stremata. Al posto di Kamille, impossibilitato a combattere visti i danni celebrali riportati nella battaglia finale di Gryps, alla guida dello MSZ-006 Z Gundam subentra Judau Ashta, giovane scavezzacollo proveniente della colonia di Shangri-la (Side 1), che, insieme ai suoi amici, si unisce alla flotta dell'Argama, sperando di poter mantenere la sorellina con lo stipendio militare.

Dopo due serie televisive che si ergono tra le grandi produzioni robotiche degli anni '70 e '80, l'1 marzo 1986, esattamente una settimana dopo la conclusione di Mobile Suit Z Gundam (1985), debutta sullo stesso canale la terza serie televisiva del Mobile Suit bianco. Anche se di grande qualità, Z Gundam non ha convinto come doveva negli ascolti: il grosso del pubblico adulto lo ha trascurato, il poco che lo ha seguito lo ha pure criticato, e, non fosse stato per le soddisfacenti vendite di modellini, sappiamo che sarebbe stato pure accorciato e interrotto anzitempo. La serie è stata insomma, commercialmente parlando, una delusione, ma nonostante tutto, all'ultimo istante e contro le previsioni, nell'ottobre del 1985 Bandai decide invece che la storia proseguirà con una nuova stagione1, e la produzione televisiva che avrebbe dovuto prendere il suo posto viene abbandonata (ad agosto di quello stesso anno ne erano pure già pronti i bozzetti di chara design2). Un brainstorming tra Sunrise e uno sconsolato Yoshiyuki Tomino arriva quindi alla conclusione che forse il target di Z Gundam era sbagliato; il titolo che seguirà dovrà essere stavolta allegro e solare, rivolto al pubblico - potenzialmente molto più grosso - dei bambini3. Inizia così la storia di Mobile Suit Gundam ZZ, primo titolo della saga (ormai lo è) destinato a entrare nel mito negativamente, una "pecora nera" che registrerà uno share ancora più basso del predecessore e che negli anni successivi subirà più di un tentativo, da parte dei suoi creatori, di venire estromessa dalla continuity (innanzitutto non facendo più apparire i robot di questa serie in nessun altro titolo animato gundamico4, come a suggerire che la loro esistenza non sia mai avvenuta, e nel 2004 con la trilogia cinematografica Mobile Suit Z Gundam A New Translation, che col suo finale rende impossibile l'avverarsi dei suoi avvenimenti). Fortunatamente, quello che era impresentabile ieri non lo è per forza di cose anche oggi, e, "grazie" a ben altro tipo di pattume animato uscito negli anni successivi sotto lo sguardo rassegnato del Mobile Suit bianco, pattume di livello davvero ben peggiore, Gundam ZZ ha avuto modo di trovare una tardiva, seppur non eclatante riabilitazione - testimoniata, infine, da come il titolo venga reincastonato negli avvenimenti ufficiali della timeline con la fortunatissima serie OVA Mobile Suit Gundam Unicorn del 2010, che tiene conto dei suoi fatti.

Quello che spiazzò negativamente gli spettatori del 1986 - una stoccata che sortisce lo stesso effetto anche alle nuove generazioni - è lo stravolgimento delle atmosfere del prequel: se Z Gundam coinvolgeva con il suo nichilismo e le atmosfere tetre, nel bizzarro seguito i toni oscuri spariscono completamente per favorire un mood demenziale e infantile, dato dal nuovo cast di giovanissimi e ridanciani piloti dei Gundam, Judau e la sua insopportabile banda di teppistelli Newtype. Basta anche solo ascoltare la giocosa opening, Anime ja nai (letteralmente, "non è un anime"), per capire lo stravolgimento operato alla storia per l'assurda volontà del suo creatore, atta a inserire in Gundam gli stessi toni comici e scanzonati di Blue Gale Xabungle (1982) e Heavy Metal L-Gaim (1984). È una scelta per molti versi indifendibile, anche considerando l'ambientazione temporale immediatamente successiva a Z Gundam (la vicenda ha inizio, nel mondo immaginario, pochi giorni dopo la battaglia di Gryps). Nonostante tutto, anche se sotto una luce incompatibile con la cupezza precedente, Gundam ZZ, a suo modo, sa farsi apprezzare come visione leggera: alcune gag sono carine, così come alcuni dei nuovi personaggi, considerati ovviamente nella loro sola accezione buffonesca (tra cui un demente generale di Neo Zeon e un altro ufficiale zeoniano femmina dall'improponibile acconciatura glam bicolore). Le vecchie glorie, in compenso, stravolte per adeguarsi alla nuova concezione comica (come il malvagio Yazan, superstite di Z Gundam, e l'onnipresente capitano Bright), diventano inguardabili, protagoniste di siparietti puerili che le ridicolizzano; l'unica eccezione è data dall'antagonista della serie, l'affascinante Haman Karn, che mantiene inalterata la sua storica caratterizzazione cinica ed eroica, tanto azzeccata e carismatica da primeggiare sulla totalità del cast, diventando l'unico, grande personaggio della serie (anche per effetto della mancanza di un protagonista all'altezza, ridotto a un ragazzino anonimo come Judau).


Pur riuscendo, si diceva, ad apprezzare -  almeno a tratti - la serie nella sua forma infantile, in più momenti ci si domanda se avrà mai una storia degna di essere raccontata, visto che l'attenzione continua a essere posta su bambini petulanti e irritanti, l'Argama messa quotidianamente in pericolo dai loro dispetti che finiscono col metterli in difficoltà col nemico, un eroe conteso da mille ragazze come in un anime harem, disciplina militare che non esiste e ufficiali nemici puntualmente sconfitti e scherniti come il mitico Trio Doronbo. La trama, in aggiunta a questo, procede lentissima, ripetitiva (le prime dieci puntate) e in alcuni casi addirittura trash (l'avventura in due parti sulla colonia Moon Moon), reiterando con noia un po' tutte le idee di Z Gundam ma senza un adeguato corrispettivo serioso. Tomino, anche se ha voluto lui questo, pur formalmente adibito alla regia non lavorerà sull'opera per oltre metà della sua durata, preferendo focalizzare le sue energie sulla produzione del film Mobile Suit Gundam: Il contrattacco di Char (serioso lungometraggio che Sunrise gli ha appena commissionato); affida tutto nelle mani del suo staff, limitandosi a una quasi inesistente supervisione del progetto5.

Le cose cambieranno più avanti, quando, visti gli ascolti davvero pessimi (i bambini, per forza di cose, non sono interessati a ideologie politiche e guerre civili), Bandai e Sunrise decidono per un cambio di rotta in corsa, un tentativo disperato di tornare alle atmosfere originali per interessare lo zoccolo duro degli appassionati6, anche se al costo di rinnegare gli sviluppi previsti della loro storia7. Questo ripensamento si concretizza ufficialmente con l'episodio 25, il primo curato da Tomino che, richiamato dallo studio, inizia a dirigere davvero la serie8 (scegliendo comunque, fino alla fine, di non scriverne neppure un episodio, e neanche di farne una versione romanzata). Da questo momento iniziano ad apparire personaggi "seri", altri cominciano a morire, le personalità demenziali precedenti subiscono un'abissale evoluzione (passando da cretini divertenti a militari tutti d'un pezzo) e Gundam ZZ inizia a tingersi, timidamente, di dramma. Si fanno strada intrighi politici, rapimenti, morti, e anche la ridicola sigla d'apertura iniziale viene finalmente abbandonata a favore di una più consona e seria. I temi e le idee rimangono derivativi e riciclati senza fantasia da Z Gundam, è innegabile (Newtype, Cyber Newtype, variegati cambi di scenario, colpi di stato che si consumano in una delle fazioni, colonie che si schiantano, donne appena conosciute che diventano fidanzate e poi muoiono, etc.), ma fedele alla filosofia del "squadra che vince non si cambia", la serie si fa guardare con più interesse e, soprattutto, stavolta è scritta in modo decente e lineare, senza il caos del predecessore. Sembra che tutto incominci a ingranare, ma ecco che, di punto in bianco, verso gli ultimi episodi si torna alle atmosfere iniziali di scherno puro, per poi giungere a una fase conclusiva dove serio e faceto si rincorrono continuamente anche nel (teoricamente) drammatico finale, come se Tomino continuasse a non avere idee chiare sul registro che intende adottare (basti pensare a come viene gestito male un personaggio tragico sulla carta come la piccola Elpeo Ple, Newtype artificiale creato per andare in guerra e potenzialmente inquietante, per la sua purezza innocente da bambina nel suo compiere crudeltà, ma alla fine destinato a commettere gesti sempre più incoerenti e assurdi per la sua età). Pur con tutti questi rimaneggiamenti, gli ascolti rimarranno (giustamente) deludenti, inferiori anche a quelli di Z Gundam (un 6.12% medio9 contro il 6,60%), pur con soddisfacentii vendite di modellini che ancora una volta convinceranno Bandai a non chiudere in anticipo la serie10.

Gundam ZZ è una serie atipica, molto altalenante, inizialmente molto antipatica per la sua  infantilità (sempre Tomino ammetterà che, come si è lasciato prendere la mano col dramma col predecessore, all'opposto qui ha esagerato con la comicità11), ma, a lungo andare, inizia a mostrare delle qualità che le fanno meritare la visione, seppure il risultato non sia mai qualcosa di più di un "usato sicuro" senz'arte né parte. Non si può minimamente definirlo riuscito visti gli schizofrenici cambi di atmosfere e un numero davvero eccessivo di riempitivi scritti svogliatamente, ma Gundam ZZ sa anche raccontare alcuni rari aneddoti davvero riusciti, toccanti o apocalittici (tra cui il miglior schianto di colonia dell'intera saga), recando in sé diversi degli elementi di successo che hanno fatto grandi le prime due serie. Questi elementi sono da ricercare nel soggetto principale, che, scevro da gag e personaggi puerili sarebbe sufficientemente drammatico, nel comparto tecnico nuovamente all'avanguardia, e in mecha ancora una volta accattivanti ed estremamente dettagliati. Non ci si può dimenticare neanche delle musiche, anonime nelle nuove tracce ma basate per la maggiore su pezzi vecchi riciclati dall'indimenticabile colonna sonora del predecessore. Il design dei personaggi, infine, è splendido: al lavoro sul film Arion che uscirà quello stesso anno, lo storico Yoshikazu Yasuhiko cede il posto di chara designer al subentrato Hiroyuki Kitazume, uno dei direttori dell'animazione che meglio aveva reso il suo stile in Z Gundam12. Kitazume, quindi, trova nella serie un debutto folgorante: tira fuori un tratto molto personale e per nulla derivativo, che riaggiorna quello di Yas rendendolo più pulito, sobrio e perfettino, ma anche più colorato e vivace senza perderci in espressività ed eleganza - non per nulla, infatti, con questa prova l'artista ricaverà una certa fama che lo porrà tra i più significativi artisti grafici negli OVA degli anni '80.


Chi non vuole saperne di "rovinarsi" il ricordo di Z Gundam con il suo contraddittorio seguito può tranquillamente saltarlo e godersi Il Contrattacco di Char (col senno di poi, la Cometa Rossa doveva apparire anche in Gundam ZZ come ben si evince dalla prima sigla d'apertura, ma alla fine non se ne farà più niente vista l'importanza che rivestirà nel film), cosciente però che, pur con i suoi tanti limiti, tale visione mette i puntini sulle i a molte delle questioni lasciate irrisolte dal prequel: chi ne farà a meno sappia che si perderà rivelazioni di un certo interesse per la continuity (in special modo le sorti di Haman Karn, di Kamille Bidan e di diversi eroi storici delle due serie precedenti).

Voto: 6,5 su 10

PREQUEL
Mobile Suit Gundam: The Origin (2015-2016; serie OVA)
Mobile Suit Gundam (1979-1980; TV)
Mobile Suit Gundam The Movie I (1981; film)
Mobile Suit Gundam The Movie II: Soldati del dolore (1981; film)
Mobile Suit Gundam The Movie III: Incontro nello spazio (1982; film)
Mobile Suit Gundam MS IGLOO 2: The Gravity Front (2008-2009; serie OVA)
Mobile Suit Gundam MS IGLOO: The Hidden One-Year War (2004; corti)
Gundam Evolve../ 01 RX-78-2 Gundam (2001; OVA)
Mobile Suit Gundam Thunderbolt (2015-2016; serie ONA)
Mobile Suit Gundam: The 08TH MS Team (1996-1999; serie OVA)
Gundam Evolve../ 12 RMS-099 Rick Dias (2005; OVA)
Gundam Neo Experience 0087: Green Divers (2001; corto)

SIDE-STORY
Mobile Suit Gundam Unicorn (2010-2014; serie OVA)
Mobile Suit Gundam Unicorn RE:0096 (2016; TV)
Mobile Suit Gundam Unicorn: One of Seventy Two (2013; corto)
Mobile Suit Gundam F91 (1991; film)
Gundam: Reconguista in G (2014-2015; TV)
Gundam: Reconguista in G - From the Past to the Future (2016; corto)


FONTI
1 Intervista a Hiroyuki Kitazume apparsa in "Anime Interviews: The First Five Years of Animerica Anime & Manga Monthly (1992-1997)" (Cadence Books, 1997, pag. 104)
2 Come sopra
3 Guido Tavassi, "Storia dell'animazione giapponese", Tunuè, 2012, pag. 184. In aggiunta a questo, vedere l'intervista a Yoshiyuki Tomino (in inglese) riportata nel forum americano Neoseeker, alla pagina web http://www.neoseeker.com/forums/42/t110743-yasuhiro-imagawa-speaks-so-does-yoshiyuki-tomino-yoko-kanno-tashihiro-kawamotu/2.htm#m1263958
4 Kappa Magazine n. 21, Star Comics, 1994, pag. 122
5 Booklet allegato alla Limited Edition DVD del film "Il contrattacco di Char", "Il contrattacco di Char: che la saga abbia fine?", Dynit, 2011, pag. 5. Si ringrazia Zechs di GundamCore
"Storia dell'animazione giapponese", pag. 184
7 Intervista a Yoshiyuki Tomino (in inglese) riportata nel forum americano Neoseeker
8 Post di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit) apparso nel forum Pluschan (http://www.pluschan.com/index.php?/topic/984-z-gundam/?p=137703). La cosa è confermata anche dal dossier "The Day the Earth Stood Still" apparso sul volume 4 di "Record of the Venus Wars" (Magic Press, 2010)
9 Sito web (in giapponese), http://toro.2ch.net/test/read.cgi/shar/1336141685/
10 Vedere punto 6
11 Mangazine n. 31, Granata Press, 1994, pag. 26
12 Kappa Magazine n. 6, 1992, pag. 124

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