venerdì 30 luglio 2010

Recensione: A-Kite

A-KITE
Titolo originale: Kite
Regia: Yasuomi Umetsu
Soggetto e sceneggiatura: Yasuomi Umetsu
Character Design: Yasuomi Umetsu
Musiche: An Fu
Studio: ARMS
Formato: serie OVA di 2 episodi (durata ep. 26 min. circa)
Anno di uscita: 1998
Disponibilità: edizione italiana in dvd a cura di Yamato Video


Sawa è una bellissima studentessa delle superiori. Dietro il suo ammaliante aspetto nasconde, però, un inquietante segreto: è una spietata assassina ai comandi di Akai, corrotto ispettore della polizia, che l'ha istruita a tal scopo dopo aver assassinato i genitori e averla violentata da bambina, rendendola così personale sicario e oggetto di piacere. Le cose cambiano quando la ragazza si innamora di un altro giovane killer come lei, Oburi, decidendo insieme a lui di ribellarsi alla sua vita...

Troppo poco, anche con l'aiuto di internet, si sa su Yasuomi Umetsu. Un peccato capitale, perché dietro il suo nome risiede uno dei massimi interpreti della poetica tarantiniana; tra i pochissimi, forse l'unico, a esprimerla attraverso il mezzo dell'animazione. È una personalità poco conosciuta, sia per lo sparuto numero di titoli realizzati, che per i suoi lavori di character design in produzioni importanti ma non certo note al grande pubblico. Sappiamo solo che fu uno dei tanti adepti della "Macross Generation" che costruirono la loro fama nell'home video, debuttando con il suo tratto sexy nel secondo episodio di Megazone 23 e poi proseguendo, sempre in quel format, in Robot Carnival, nei revival Tatsunoko (Kyashan: Il mito, Tecno Ninja Gatchaman e Hurricane Polymar: Holy Blood) e nelle produzioni erotiche Cool Devices e Hen. Sale per davvero alla ribalta solo nel 1998, scioccando la critica di tutto il mondo con lo scomodo A-Kite.

Anarchico cocktail-director di generi, in A-Kite Umetsu realizza, disegnandola, scrivendola e dirigendola, una perla nera di grandissima forza espressiva, noir nero come la pece affogato in violenza estrema, temi perversi e scene talmente hot da venire spesso etichettato come produzione erotica. Nulla di più sbagliato visto che l'artista, sicuramente debitore a Tarantino e al contemporaneo (in quegli anni) Takashi Miike per il mix di violenza e ironia (più marcati nel successivo Mezzo Forte), elabora le sue storie frullando in esse ogni contaminazione possibile. Ha così origine una delle opere animate più controverse e politicamente scorrette di sempre. A-Kite è una cupa, sanguigna, perversa e poetica storia d'amore tra due assassini, con contorni di stupri pedofili e sanguinosi omicidi.


Scandito da un'impressionante patina gore (gli effetti dei proiettili esplosivi e delle altre taglienti armi usate da Sawa nei suoi "lavori"), l'opera di Umetsu trascina l'ignaro spettatore in un mondo di sporcizia dove l'unico modo di tirare avanti, per sventurati reietti, è uccidere. Un realtà di degrado morale, ambientata in quartieri fatiscenti, dove l'amore tra due bestie simili fiorisce quasi per caso, portandole per la prima volta a ipotizzare un futuro migliore. Innamoramento reso da raffinati intermezzi psicologichi basati su un gran gusto registico in fatto di giochi di sguardi, lunghi silenzi e dialoghi spontanei, poesia che fornisce caratterizzazione esemplare ai due antieroi nel corso di sole due puntate. Numerosi pugni allo stomaco nel mentre frammentano la vicenda: A-Kite significa omicidi truculenti e viscerali (la lunghissima, interminabile e meravigliosa sequenza del combattimento della ragazza contro i gorilla della star hollywoodiana), scene di sesso rese in modo quasi pornografico, atmosfere di opprimente sadismo e cattiveria. Nulla è lasciato all'immaginazione in questi due episodi espliciti, tanto che l'opera è tutt'ora dichiarata illegale in tre Paesi e censurata in diversi altri. Ridicolo si sia voluto porre l'accento sul semplice lato trucido della storia dimenticandosi della grande perizia con cui questo è scritta e confezionata, perché parliamo di una produzione che atterrisce ma all'occorrenza anche commuovere, ammaliando nel suo splendido aspetto grafico.

Ben diretto (anche se frenetica regia di Umetsu è ancora acerba e necessiterà di più anni per trovare la sua forma migliore, quella degli affascinanti piani-sequenza di Mezzo Forte e Kite Liberator), A-Kite si avvale anche di una scopiettante colonna sonora jazz, efficacissima nell'accompagnare l'azione; di ottime animazioni e sopratutto di un chara design di personalità, ombreggiato, sensualissimo e di chiara ispirazione erotica. Troppo riduttivo davvero definire questi due episodi un semplice thriller pruriginoso pieno di fanservice: A-Kite rifugge qualsiasi categorizzazione, è solo un ottimo esempio di come dev'essere scritta una storia. Basta un soggetto semplice per realizzare un buon lavoro, l'importante è che la trama sia avvincente e i personaggi caratterizzati.


Perla underground da riscoprire, A-Kite è un must di autorialità e ingegno. Chiaramente, visti i temi espliciti, non è per tutti, ma chiunque ama il cinema di Miike, Tarantino e Kitano ha il dovere di recuperare una delle pochissime opere animate che rende loro pienamente giustizia. Poi, con una durata così breve, come si può non guardarlo? Da dimenticare in fretta il mediocre, a tratti imbarazzante seguito, realizzato dieci anni dopo,  e sopratutto l'edizione italiana in dvd a cura di Yamato Video, che inserisce la traccia audio nipponica senza dotarla però di sottotitoli.

Voto: 9 su 10

SEQUEL
Kite Liberator (2008; ova)

mercoledì 28 luglio 2010

Recensione: Mezzo Forte

MEZZO FORTE
Titolo originale: Mezzo Forte
Regia: Yasuomi Umetsu
Soggetto e sceneggiatura: Yasuomi Umetsu
Character Design: Yasuomi Umetsu
Musiche: Toru Shura
Studio: ARMS
Formato: serie OVA di 2 episodi (durata ep. 30 min. circa)
Anno di uscita: 2000 - 2001

 
La sensuale Mikura, esperta di arti marziali, guida assieme a due compagni, Kenichi e Tomohisa, la Danger Service Agency, agenzia specializzata in rapimenti, uccisioni e ogni genere di lavoro sporco. Recentemente i tre sono ingaggiati per catturare il boss mafioso Momokichi Momoi, ma dovranno sconfiggere la sua psicopatica e bellissima figlia, Momomi...

Si può definire Yasuomi Umetsu il Quentin Tarantino dell'animazione? Difficile dirlo, visto che in ormai trent'anni di lavori ha realizzato fin troppe poche opere da regista per inquadrarlo nella giusta prospettiva, ma certo è che buona parte di loro sono legate da diverse affinità, tematiche e stilistiche, con quelle del famoso regista italo-americano, o con film di suoi colleghi altrettanto geniali e "controversi" come Takeshi Kitano o Takashi Miike. L'opera di debutto registico del 1998, A-Kite, grande noir, con gusto perverso sviluppa una malata e commovente storia d'amore tra una letale assassina e un suo collega. Un capolavoro, grazie anche a una regia raffinata e atmosfere decadenti. Due anni dopo Umetsu crea il secondo cult che lo proietta nel gotcha, Mezzo Forte, che rimane indelebile alla memoria presentandosi quasi come aggiornamento di A-Kite. Di nuovo una fortissima e fascinosa ragazza assassina, ancora scene kitsch di sesso esplicito e gratuito, ancora un gusto sadico per la truculenza, ancora uno sporco background criminale... ma con l'aggiunta di umorismo politicamente scorretto al massimo.

Condito da dialoghi irresistibili e comicità nera per stemperare impressionanti intermezzi gore, Mezzo Forte è ritrovato, micidiale mix di generi, da sequenze action alla John Woo allo splatter eccessivo alla Miike, da dialoghi tarantiniani a pornografia brutale e volgarissima, senza che nessuna delle componenti prenda il sopravvento sulle altre, il tutto sempre retto da un'adorabile vena oltraggiosa. Ed è una grande opera Mezzo Forte, forse inferiore ad A-Kite per l'assenza di intimismo nei protagonisti e per il mood scanzonato e strafottente, ma ancora una volta di grande originalità, vivacissimo, retto su animazioni di un realismo e una fluidità impressionanti. Due episodi per un'ora totale di girato che scorrono velocissimi grazie, ancora una volta, alla cura riversata dallo stesso Umetsu in ogni aspetto della confezione: tutto è farina del suo sacco e del suo talento, partendo dalla sceneggiatura briosa per arrivare alla regia frizzante e dinamica, dispensatrice di scene action freneticissime e intriganti soluzioni visive (vedere il titolo del secondo episodio). Senza contare il solito, adorabile chara design ultra-sexy che scolpisce bellezze mozzafiato - sopratutto l'affascinante villain Momomi -.

 
Fra teste spappolate, fiotti di sangue, copulazioni violente, sparatorie, personalità psicopatiche, cyborg (!) e ogni altro genere di follia, Mezzo Forte diverte per tutta la sua durata, rendendo degnamente epica e fuori dalle righe la guerra personale tra Mikura e Momomi, traghettando in animazione il mood del miglior Pulp Fiction/Kill Bill. Come A-Kite, Mezzo Forte è assolutamente da riscoprire: ilare, disgustoso, violento, volgare, diseducativo, irresistibile. Una nuova grande prova, che troverà addirittura un sequel in una successiva serie televisiva. Monca, però, delle scene hard.

Voto: 8 su 10

SEQUEL
Mezzo D.S.A. (2004; tv)

lunedì 26 luglio 2010

Recensione: Higurashi no naku koro ni Kai

HIGURASHI NO NAKU KORO NI KAI
Titolo originale: Higurashi no naku koro ni Kai
Regia: Chiaki Kon
Soggetto: (basato sul videogioco originale di 07th Expansion)
Sceneggiatura: Toshifumi Kawase
Character Design: Kyuta Sakai
Musiche: Kenji Kawai
Studio: Studio DEEN
Formato: serie televisiva di 24 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2007


Hinamizawa, giugno 1983. Al Festival del Watanagashi continuano a sparire persone, prede della terribile maledizione del monaco Oyashiro, e allo stesso tempo Keiichi e le sue amiche continuano a morire tentando di risolvere il caso. Presto però alcuni misteri iniziano a venire lentamente svelati: uno di loro è dotato di un particolare potere con cui modificare il corso del tempo, e ogni volta che viene uccisa lo usa per ritornare indietro e riprovare a risolvere il mistero. Finalmente, dopo nuovi tentativi, i nostri eroi scoprono chi sono i misteriosi uomini che agiscono nell'ombra, chi è il loro capo, chi è l'assassino del Watanagashi e sopratutto cos'è la terribile e misteriosa Hinamizawa Syndrome...

Non si possono negare le potenzialità di Kai, sequel dell'inquietante Higurashi no naku koro ni che nasce con il compito, nel 2007, di concluderne la storia lasciata in sospeso. Del predecessore rinnova completamente il chara design, abbandonando le fisionomie deformed a favore di corporature più proporzionate e adulte, e finalmente dà tutte le spiegazioni ai misteri della serie, compreso il meccanismo che regge il restart degli archi narrativi. Chi non ha giocato alle visual novel di 07th Expansion può finalmente apprezzare nella sua interezza un riuscito horror a tratti davvero agghiacciante, forte di un soggetto suggestivo e intricatissimo che lega tra loro, senza scadere nel ridicolo, maledizioni, esperimenti governativi criminali, rapimenti, omicidi, massacri, inquietanti comunità montanare, terrificanti scheletri nell'armadio da parte di persone sorridenti e la premessa, un po' kitch, dei viaggi nel tempo e delle dimensioni alternative. La stessa serie si presenta nel miglior dei modi con il primo episodio, un originale epilogo ambientato svariati anni dopo gli avvenimenti della prima stagione, già pronto a snocciolare indizi e retroscena che aiutano a ricomporre alcune future tessere del mosaico. Poi con la puntata 2 si torna al "solito" presente dove i personaggi sono vivi e pronti a indagare, ed è solo in questo momento che lo spettatore prende nota, incredulo, dei sensibili peggioramenti che pescano alcuni dei più criticati nei della prima serie.

L'adattamento animato delle ultime due "Question Arcs" del videogioco non potrebbe essere realizzato in modo peggiore. L'unico suo merito è di dare compiutezza al predecessore, enunciando al pubblico la bellezza della sua storia. Al costo, però, di tediare come non mai. Colpa gravissima da ricondursi a regia e sceneggiatura, a opera, assurdo pensarlo, degli stessi artefici del riuscito prequel: riescono da sole nel poco invidiabile compito di rendere pesantissimo oltre ogni limite un horror altresì suggestivo. A chi scrive non è dato sapere quanto sia fedele lo script di Toshifumi Kawase all'originale videoludico, ma anche a fronte di una trasposizione carta carbone non ci sarebbe alibi che tenga: una regia pachidermica e priva della minima personalità, e dialoghi fitti, fittissimi, lunghi e micidiali, che spesso non servono a nulla, fanno passare in secondo i meriti narrativi. E questo è imperdonabile, perché teoricamente Kai dovrebbe rappresentare il climax dell'intera storia, la risoluzione dei misteri. E si finisce col guardarlo solo per questo, pentendosi di aver iniziato la saga col bel prequel.


In ambito pauroso, poi, neanche a parlarne: le scene sinistre spariscono del tutto, il poco che c'è di horror si riconduce a qualche momento isolato, uno sguardo sinistro qua e là e qualche sporadica scena splatter, filmati con quest'annoiata regia della regista Chiaki Kon che ha rovinato tutto, senza gli eccessi di crudeltà e sadismo che hanno reso brutale Higurashi. Tutto patinato, statico, verboso, interminabile e privo di reale tensione, al punto che è insanamente difficile anche solo ricordare qualche momento degno di nota, qualche pezzo musicale di Kenji Kawai capace di provocare il sussulto. E che dire delle scenette comico-demenziali? Anche qui presenti in gran quantità, ma se nella prima stagione hanno senso nel frammentare le atmosfere opprimenti e trucide, in assenza di queste diventano intervalli ridaciani irritanti e completamente fuori contesto. Chi ha visto il prequel non può in nessun caso esimersi dal guardare Kai (assurdo fermarsi a quello che è un semplice incipit della storia portante, Higurashi visto da solo è senza senso, esige, purtroppo, la visione del seguito), ma l'unico suo vero aspetto agghiacciante, mi si perdoni la banale ironia, è di essere borioso come pochissimi.

Voto: 6 su 10

PREQUEL
Higurashi no naku koro ni (2006; tv)

SEQUEL
Higurashi no naku koro ni Rei (2009; ova)
Higurashi no naku koro ni Kira (2011-2012; ova)

venerdì 23 luglio 2010

Recensione: Higurashi no naku koro ni

HIGURASHI NO NAKU KORO NI
Titolo originale: Higurashi no naku koro ni
Regia: Chiaki Kon
Soggetto: (basato sul videogioco originale di 07th Expansion)
Sceneggiatura: Toshifumi Kawase
Character Design: Kyuta Sakai
Musiche: Kenji Kawai
Studio: Studio DEEN
Formato: serie televisiva di 26 episodi (durata ep. 24 min. circa)
Anno di trasmissione: 2006


Si sa, quella dello spaventare è indubbiamente un'arte che riesce a pochi. Questo il motivo per cui, negli ultimi trent'anni, i cali di idee a riguardo - in campo cinematografico almeno -- non hanno potuto che trovare espressione in una maggiore spettacolarizzazione della morte, nell'uso efferrato di grand guignol per inorridire. La cosa risalta sopratutto in quel Giappone che, si sa, prima del fenomeno Ringu è sempre stato ricordato per film così malati, morbosi e ultra-gore da diventare patria dell'horror underground (la saga di Guinea Pig ne è un buon esempio). Eppure, molto raramente, si fa notare qualche serio esponente del genere più evocativo e ancestrale del mondo. E nel 2006, nel pieno della neonata corrente J-Horror inaugurata dai film di Shimizu e Nakata, arriva nei circuiti televisivi la serie animata Higurashi no naku koro ni (Quando piangono le cicale).

Le sue origini risalgono alla lunga saga di videogiochi creata nel 2002 da 07th Expansion per il mercato delle visual novel, le avventure di interfaccia testuale. Definita dai suoi stessi creatori "sound novel" per la grande importanza rivestita dall'aspetto sonoro, la saga di Higurashi no naku koro ni è una complessa storia dell'orrore ambientata nel 1983 in un piccolo paesino di campagna, Hinamizawa, teatro di spaventosi omicidi che avvengono ogni anno durante la festa del Watanagashi. Keiichi Maebara, il giovane protagonista, e le sue amiche Rena, Mion, Satoko e Rika indagano su questi sanguinosi fatti, sia per far luce sulla misteriosa maledizione del monaco Oyashiro, che su un'altrettanto inquietante organizzazione che agisce nell'ombra all'interno della cittadina. Originale particolarità degli episodi videoludici, e probabile chiave del loro successo, è la trovata di snocciolare la storia attraverso numerosi archi narrativi, uno per videogioco, in cui, in ogni finale, buona parte del cast dei protagonisti perde la vita avvicinandosi sempre più alla risoluzione del mistero: l'arco successivo riparte, curiosamente, da capo con tutti i personaggi ancora vivi e che non ricordano nulla di quello che è successo nell' "altra vita". Una struttura narrativa che potrebbe sembrare bizzarra ma che ha un suo perché, visto che i numerosi archi si riveleranno, in un momento chiave, legati da un elemento "mistico" che porta alla risoluzione finale del mistero. La saga conosce in madepatria un successo eccezionale che si traduce in ben cinque saghe di videogiochi, che a loro volta danno il via a un lungo merchandising comprendente manga, trasposizioni letterarie (le cosidette light novel), film cinematografici e audio drama, spesso ampliando la storia con ulteriori archi narrativi. Arriva così, e finalmente ci siamo, anche l'adattamento animato. Passato un pò in sordina perché animato dal mediocre Studio DEEN e presto salito alle cronache, in madrepatria, per un inquietante omicidio simile a uno di quelli che appaiono nella sua storia, Higurashi no naku koro ni è uno dei pochi horror d'animazione seriale realmente riusciti e angoscianti.

 

Merito, questo, della sua fantastica atmosfera. Higurashi non è il classico horror "occidentale" che trova interesse in forti salti sulla sedia e urla improvvise, ma è pienamente figlio della concezione nipponica sull'argomento, dove l'orrore è insidioso e nascosto, lovecraftiano, l'inquietudine è sottile e continua a tracciare inesorabilmente il cammino di ragazzi innocenti che scoprono, con raccapriccio, come l'oasi rurale dove vivono, di apparente pace e armonia con la natura, nasconde segreti, odio e scheletri nell'armadio a lungo sopiti e in procinto di esplodere di nuovo. Siamo dalle parti di un orrore psicologico più che viscerale, pur non mancando, ovviamente, all'occorrenza sequenze di forte esplicità. Questa prima serie televisiva, rappresentante i quattro "Question Arcs" dell'omonimo videogioco e i primi due "Answer Arcs" del successivo Kai (trasposto in animazione l'anno successivo), coinvolge immediatamente nella sua storia di mistero. La verità dietro alla maledizione del monaco di Hinamizawa affascina, attraverso i pochi indizi abilmente disseminati in ogni arco narrativo, grazie sopratutto alla lenta, angosciosa progressione di ogni arco narrativo, che stupisce ripetutamente nell'alternarsi tra serio e faceto, comico e psicologico.

Se in più momenti gli scanzonati battibecchi, le infantili discussioni e la caratterizzazione buffonesca del delineato gruppo di ragazzini protagonisti sono così odiosi da rendere la visione quasi una presa in giro (merito o demerito, questo, anche del chara design deformed e kawaii, artifizio voluto per sottolineare maggiormente l'effetto shock di teneri bambini al centro di una spirale di violenza), quando la trama sconfina nel serio e nell'horror, quando Keiichi inizia ad apprendere informazioni importanti, non ce n'è più per nessuno. La velocità con cui si passa da atmosfere ilari a orrore puro è quasi scioccante nella sua brutalità: da un momento all'altro, vigliaccamente, la telecamera inquadrerà il volto di una persona che prima sorrideva beata e ora ha un ghigno malefico; lentamente si è calati in un crescendo di inquietudine data da tanti, piccoli indizi che possono dire tutto o niente (aghi finiti dentro una polpetta che il protagonista Keiichi sta per addentare: errore o volontà di farlo?); le litanie del rinomato Kenji Kawai esplodono fragorosamente nelle scene di silenzio e, sopratutto, dal regista non è risparmiato nessun dettaglio nelle scene trucide e realistiche dove i protagonisti muoiono nei modi più efferrati, dopo essere impazziti dalla paura o avvicinati alla risoluzione del mistero. Il continuo alternarsi tra scene buffonesche e momenti da brividi, con frugaci ma sentite sferzate splatter, è il grande pregio di quella che è una brillante serie televisiva, che intriga con una intricata mystery story in più riprese agghiacciante, dispensatrice di almeno 5/6 momenti realmente spaventosi capaci di inquietare anche il più navigato spettatore horror. Un'atmosfera così cupa da far passare tranquillamente in secondo piano le purtroppo numerose deficienze tecniche che attanagliano l'opera, tra disegni per nulla attraenti, semplici e grezzi, sproporzioni imbarazzanti dei corpi, fondali ridotti all'essenziale e una regia patinata e banale. Fortunatamente il ritmo è così teso e avvincente, con una magistrale conoscenza dei meccanismi della suspense, da tenere incollati alla visione. Questo è Higurashi no naku koro ni, una delle poche storie d'orrore televisive realmente riuscite dell'animazione nipponica.


Bisogna però avvisare il lettore che la serie non spiega nulla degli innumerevoli misteri, sul perché degli archi narrativi e sui motivi che fanno tornare in vita i protagonisti alla fine di ciascuno di essi. Per avere tutte le risposte e sapere la vera conclusione della storia bisogna armarsi di coraggio e guardarsi, ahimè, il lentissimo, noioso ma purtroppo indispensabile seguito che chiude l'intreccio, Kai. Questi è così mal fatto e pesante che potrebbe far addirittura rimpiangere di aver visto la prima serie. Indispensabile fare quattro conti e provare a pensare quanto si è disposti a soffrire per giustificare una grande, spaventosa prima stagione.  Sorvolabile lo special allegato in omaggio al dvd nipponico finale, (Higurashi no naku koro ni Gaiden: Nekogoroshi-hen), mortalmente noioso e narrante una side-story per nulla interessante.

Voto: 8 su 10

SEQUEL
Higurashi no naku koro ni Kai (2007; tv)
Higurashi no naku koro ni Rei (2009; ova)
Higurashi no naku koro ni Kira (2011-2012; ova)

mercoledì 21 luglio 2010

Recensione: Appleseed (2004)

APPLESEED
Titolo originale: Appleseed
Regia: Shinji Aramaki
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Masamune Shirow)
Sceneggiatura: Haruka Handa, Tsutomu Kamishiro
Character Design: Masaki Yamada
Mechanical Design: Takeshi Takakura
Musiche: Boom Boom Satellites
Studio: Digital Frontier
Formato: film cinematografico (durata 107 min. circa)
Anni di uscita: 2004
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Panini Video


Vagabondi in un mondo devastato dall’ennesimo conflitto mondiale, l’agguerrita Deunan e il cyborg Briareos vengono tratti in salvo dalle forze armate di Olympus, città ipertecnologica dove uomini e organismi artificiali convivono inseguendo il sogno di una pace utopica sotto il controllo della potentissima I.A. Gaia. In realtà, c’è un motivo se Deunan è giunta a Olympus, un perché nascosto nel suo passato, una serie di avvenimenti che potrebbero dare spiegazione ai misteriosi attacchi terroristici che minano la stabilità chimerica della città. Perché l’esercito umano odia così tanto i robot? E qual è il vero scopo dei saggi che dialogano con Gaia?

Ci avevano già provato nel 1988, ottenendo un’omonima opera scarsa e tutt’altro che convincente, ma Appleseed, tra i capolavori del mangaka Masamune Shirow, con la sua densa, intricata messinscena cyberpunk ha continuato a stuzzicare l’industria anime fino a quando, nel 2004, esce questo nuovo lungometraggio, realizzato stavolta in cel-shading. Poco ci voleva per superare qualitativamente l’OVA prodotto da Bandai quasi vent’anni prima, del resto trama e personaggi erano pallida ispirazione alla sconcertante mole di elementi che compongono il fumetto, e Shinji Aramaki, pur non riuscendoci, perlomeno tenta la carta di una costruzione narrativa altrettanto complessa, lavorando su una storia che si scosta per buona parte dall’opera originaria ma che ne conserva protagonisti, intuizioni, atmosfere.

L’impatto visivo è devastante. La commistione tra CG e disegni, con questi ultimi che ricoprono i modelli poligonali come vestiti, è impressionante, e le animazioni strappano diottrie secondo dopo secondo. La lunghissima sparatoria iniziale toglie il fiato, così come la spaventosa battaglia finale, e di altissimo livello è ogni singolo fotogramma della pellicola. Siamo di fronte, pur con ormai sei anni sul groppone, a una tra le più sbalorditive realizzazioni grafiche mai sfornate dal Giappone. Tutto ciò non è comunque sufficiente se il meccanismo narrativo si inceppa dopo pochi minuti, lasciando largo spazio a confusione e toppe sgangherate per contenere le falle. Chi si è avventurato nel manga, e in generale conosce l’operato di Shirow, ha ben presente la difficoltà di lettura, dovuta a scelte narrative che necessitano di attentissimi processi mentali per poter decifrare tonnellate e tonnellate di avvenimenti descritti con terminologia esageratamente tecnica. Shinji Aramaki tenta così di replicare lo spirito contorto dell’opera originaria, gettando nel calderone elementi su elementi, molti dei quali poco più che cliché, atti a contestualizzare la storia con un background fantascientifico credibile e adeguato, ma non è poi in grado di tenere a bada la bestia che ha generato.


Si potrebbe riassumere dicendo che questo Appleseed è un lunghissimo, lunghissimo spiegone, altri modi infatti Aramaki non ha trovato per dare chiarimento delle questioni sollevate. Non c’è una costruzione progressiva di eventi, non c’è un crescendo adeguato, semplicemente, di fronte agli snodi centrali di questo pachiderma cibernetico, i personaggi si lasciano andare a irritanti monologhi che spiegano freddamente i segmenti più importanti della trama. È come se, ogni quindici minuti di domande confusionarie e misteriose, intervenisse il regista stesso dicendo: «Non fate quelle facce, mettete in pausa che ora vi spiego io cos’è successo». Non si fa così, non c’è immedesimazione, l’opera perde di realismo, e il morale fatica a risollevarsi nonostante gli splendidi, davvero splendidi momenti action, capaci di sciogliere gli occhi grazie a tanta meraviglia visiva, nonché unici, effettivi motivi per vedere, e probabilmente rivedere, tanto è lo sfarzo grafico, l’Appleseed di Shinji Aramaki. Colonna sonora assolutamente da dimenticare, un fastidioso insieme di terribili, banalissimi brani elettronici, e inascoltabile, come tradizione vuole, il doppiaggio italiano, una serie di voci piatte e incolori che raggiunge esilaranti, ahimè ridicoli vertici con il personaggio di Hitomi.

Voto: 6 su 10

SEQUEL
Appleseed: Ex Machina (2007; film)

lunedì 19 luglio 2010

Recensione: Mobile Suit Gundam F91

MOBILE SUIT GUNDAM F91
Titolo originale: Kidō Senshi Gundam F91
Regia: Yoshiyuki Tomino
Soggetto: Hajime Yatate, Yoshiyuki Tomino
Sceneggiatura: Tsunehisa Ito, Yoshiyuki Tomino
Character Design: Yoshikazu Yasuhiko
Mechanical Design: Kunio Okawara
Musiche: Satoshi Kadokura
Studio: Sunrise
Formato: lungometraggio cinematografico (durata 115 min. circa)
Anno di uscita: 1991
Disponibilità: edizione italiana in DVD & Blu-ray a cura di Dynit



Era Spaziale, anno 123. La milizia militare privata dei Crossbone Vanguard attacca e conquista la colonia spaziale Frontier IV e la trasforma in Cosmo Babilonia, facendone la capitale del futuro regno della famiglia nobiliare dei Ronah. Colta di sorpresa, la Federazione Terrestre, per non dare risalto all'avvenimento, decide di lasciar fare segretamente al suo esercito, forte di nuove conoscenze tecnologiche che permettono la creazione di un nuovo potentissimo Gundam, il modello F91. A guidarlo sarà Seabook Arno, giovane ragazzo scampato alla conquista di Frontier IV e in cerca della sua ragazza Cecily...

A inizio anni '90 del Novecento, gli enormi incassi di Mobile Suit Gundam 0080: War in the Pocket (1989) convincono definitivamente Bandai che sarebbe una follia chiudere per davvero Gundam con Il contrattacco di Char (1988). Dopo essersi rimangiata la parola ordina quindi, con poca fantasia, a Sunrise di fare l'ennesimo Gundam, ma questa volta da inquadrarsi come un bel reboot, per calamitare nuove generazioni di appassionati e, nelle intenzioni del produttore Eiji Yamaura1, rappresentare un punto di partenza per almeno un nuovo decennio di storie collegate. Tra il 1989 e il 1990 molto lentamente si delinea il progetto, volutamente affidato agli stessi uomini-chiave che hanno reso indimenticabile la prima serie del 1979, nella speranza che possano tirare fuori una nuova hit epocale che dia lustro al Mobile Suit bianco: il sempre più frustrato regista Yoshiyuki Tomino, il mecha designer Kunio Okawara e il chara designer Yoshikazu Yasuhiko. Nel nuovo Mobile Suit Gundam F91 ("Formula 91") che ne esce, anche se le vicende sono in continuity con i fatti precedenti (vi è un gap immaginario di 30 anni dalla battaglia finale tra Amuro e Char), zeoniani, personaggi classici e fatti storici sono ignorati per dare enfasi a un cast nuovo di zecca e a un rinnovamento del background economico-tecnologico, con Mobile Suit ora prodotti in dimensioni più piccole, una Federazione Terrestre che sta conoscendo il declino politico e militare e nuovi temibili avversari apparentemente fortissimi (la famiglia dei Ronah, immancabile potenza spazionoide che vuole conquistare Terra e spazio, stavolta in virtù dell'ideologia aristocratica del "Principio della nobiltà del cosmo", in contrapposizione con i deliri evolutivi del Principato di Zeon). Succede però che fino a settembre 1990 (sei mesi prima dell'effettiva uscita) le idee non sono ancora affatto chiare, nè sullo sviluppo della sceneggiatura, nè se l'opera sarà una serie TV (molto probabile, di 50 episodi di cui già 30 sceneggiati) o un film. Tutto procede molto a rilento e con idee contradditorie. Solo dal mese successivo si deciderà definitivamente: F91 sarà un lungometraggio cinematografico, col compito di riassumere il primo arco narrativo della storia corrispondente ai primi 12 episodi inizialmente pensati per la TV. In caso di buoni incassi, seguirà poi un anime televisivo che trasponga il resto della storia. F91 viene perciò effettivamente "realizzato" nell'arco di appena quattro mesi (lo staff si lamenterà che erano ancora in pieno regime di lavoro a febbraio, cioè a un mese dall'uscita), con velocità inaudita e sceneggiato in tutta fretta, e questo spiega davvero benissimo tutti i suoi problemi che ben vedremo2.

Impostato come un filmone pirotecnico e spettacolare realizzato con tutti i crismi, l'opera debutta nei cinema giapponesi il 16 marzo 1991, carichissima di aspettative commerciali e forte di una realizzazione eccellente che la pongono meritatamente tra i grandi capolavori tecnici e grafici degli anni '90 (e non solo). Peccato che, nonostante lo sbrodolamento, in verità F91 si risolverà di fatto in un (inaspettato?) fiasco commerciale3, uccidendo malamente il progetto a lungo termine di una nuova saga con quel setting e lasciando aperti, narrativamente parlando, diversi nodi che non arriveranno al pettine (non in animazione, almeno), trasmettendo la gran brutta impressione di una storia tecnicamente sontuosa ma narrativamente sconclusionata.


Col senno di poi,  è addirittura facilissimo capire la causa del fallimento: la trama di Gundam F91, ben distante dalle classiche tematiche umane viste nelle incarnazioni precedenti del Mobile Suit bianco, si configura questa volta come un epico fumettone di battaglie, mecha fighissimi e Gundam dai poteri e dall'estetica sempre più cool (il design del robottone titolare, il Gundam F91, dato dalle linee delle moderne automobili4), il tutto mai fino a quel momento così affine a Star Wars (1977) come spirito di spettacolarità (l'antagonista Carozzo, leader dei Crossbone Vanguard, col suo elmo-mascherone che fa il verso a Darth Vader, e certi brani strumentali quasi copiati da John Williams non possono essere solo coincidenze). Quest'impianto, così lontano dal capostipite, deve comunque fare i conti con un intreccio articolato e per nulla lineare, un impressionante nugolo di attori e caratterizzazioni, e, per non farsi mancare nulla, anche immancabili momenti di "tominianità", quelle diatribe giovani/adulti tanto care al regista (in questo caso rappresentate dal rapporto dei due eroi, Seabook e Cecily, con i loro genitori, che hanno già deciso il futuro per i propri insofferenti figli). In parole povere, la storia si risolve in un caos di mille e più avvenimenti e tematiche trattati in velocità o lasciati al semplice intuito, di stacchi impietosi, crudeli e ripetitivi da una sequenza all'altra, di attori che spariscono dalle scene (o addirittura muoiono!) senza spiegazione e di approfondimenti psicologici molto blandi, perché non c'è abbastanza tempo per sviscerarli a fondo.

Non sono raccontate per niente bene le avventure del freddissimo protagonista Seabook Arno, perché è arduo sintetizzare 12 ipotetiche puntate televisive in poco meno di 2 ore senza rimetterci pesantemente nella presentazione della storia. Questo è un peccato, perché la pellicola vive di momenti registicamente molto efficaci, come il lungo, memorabile attacco dei Crossbone Vanguard di apertura (in cui il panico dei civili, gli effetti dei combattimenti e le reazioni psicologiche sono resi in modo straordinariamente realistico), l'esaltante combattimento finale o la poetica sequenza di chiusura. Alcune idee, poi, come il puzzle da risolvere per attivare il nuovo Gundam, l'evoluto background politico e le mostruose armi da guerra Genocide Bugs, sono da applausi. Questi rimangono tuttavia spunti intriganti ma isolati, che non bastano a vivacizzare una storia che sembra monca, è raccontata in modo frettoloso e pecca di protagonisticon cui è impossibile empatizzare e di comprimari-macchietta. Anni dopo, Tomino si scuserà del risultato adducendo che intendeva mettere tutto sé stesso nella paventata serie televisiva che sarebbe dovuta seguire, dando per scontato il successo della pellicola e perciò rinunciando a caratterizzarla in chissà che modo memorabile o drammatico5 (e per questo motivo, con un po' di cattiveria, è assai probabile ritenere che all'epoca il pubblico avesse apprezzato di più il primo episodio della nuovissima serie OVA Mobile Suit Gundam 0083: Stardust Memory, regalato in abbinamento al biglietto del cinema6, o i cortometraggi, proiettati insieme, di Musha Knight Command, spin-off della saga parallela SD Gundam), ma queste parole hanno il solo risultato di rendere ancora più irritante quel "This Is Only The Beginning", nella conclusione, che ancora oggi schernisce.

Ci si può consolare, oggi, giusto con la straordinaria realizzazione tecnica del lungometraggio. Gundam F91 appartiene a quel novero di 4/5 film di cel animation più fluidi e curati di sempre, frutto di un budget inimmaginabile riversato in animazioni sbalorditive. I disegni vivono letteralmente di vita propria: vestiti e capelli dei personaggi si flettono e ondeggiano realisticamente, mossi da agenti atmosferici, esplosioni e sollecitazioni, e i Mobile Suit volano e camminano influenzati dall'ambiente e dalla personale stabilità del mezzo. Guardare F91 significa stare due ore a fissare lo schermo con la mascella aperta dallo stupore, sconvolti da un indimenticabile sfarzo visivo. Sugli stessi picchi qualitativi il bellissimo chara design di Yoshikazu Yasuhiko, di ritorno al timone dopo la parentesi di Hiroyuki Kitazume e dal consueto gusto pittorico e espressivo, e il sontuoso mecha design di Kunio Okawara, che, ispirato dalle sculture della civiltà babilonese7, nelle unità dei Crossbone Vanguard si inventa mostruosità bellissime e minacciose come i vari Berga Dalas, Berga Giros, Ebirhu-S, Den'an-Zon e Den'an-Gei. Gundam F91 vanta, insomma, una confezione maniacale e sopraffina, e proprio per questo è uno di quei titoli che, per gli appassionati, merita senza dubbio la scintillante edizione in Blu-ray che in Italia Dynit ha voluto tributargli.


In definitiva, se fosse stato concluso, Gundam F91 avrebbe avuto tutte le carte in regola per imporsi come reboot riuscito, che inventa un nuovo punto di partenza per narrare nuove vicende e personaggi interessanti, con un approccio nuovo e libero dai vecchi stereotipi (sebbene neanche stavolta manchi il solito pilota Newtype, la cosa è appena accennata e subito dimenticata, e mancano del tutto colonie lanciate contro la Terra, Cyber Newtype, etc.). Così com'è uscito, privo di seguito animato e i cui fatti sono addirittura trascurati dal successivo Mobile Suit Victory Gundam (1993), cronologicamente ambientato dopo di esso e che torna stancamente ai soliti cliché, Gundam F91 può solo rimpiangere le sue oggettive colpe produttive che hanno portato a quello che hanno portato.

Curiosità: a discolpa di Tomino, bisogna comunque dire che negli anni l'autore si prenderà una piccola rivincita personale, dando un seguito e un finale ufficiali a Gundam F91. Totalmente libero da pressioni, da diktat Bandai, da diktat dei Gunota (gli otaku di Gundam) assetati di realismo etc., realizzerà tra il 1994 e il 1997, con spirito libero, il manga Mobile Suit Crossbone Gundam, scrivendone interamente la sceneggiatura e facendolo disegnare con tratto loliconeggiante e quasi deformed (!) da Yuichi Hasegawa. In questo portentoso, spiazzante fumetto di 6 volumi, ancora criminalmente inedito in Italia, Gundam abbraccia il filone Super Robot di Go Nagai e rivive in un'avventura dissacrante e spettacolare, con Gundam "pirateschi" (con tanto di mantello, Jolly Roger disegnato sul petto e Beam Saber a forma di moschetto!), cattivi macchiettistici e cattivissimi e battaglie tra le più assurde ed esagerate che si siano mai viste nel brand, senza comunque rinunciare a caratterizzare, col consueto spirito d'autore di Tomino, certe tematiche care al regista come il paradosso del pacifismo o i rapporti tra uomo e donna. In queste vicende, finalmente, Seabook e Cecily, in veste di co-protagonisti (l'eroe è Tobia Arronax, ennesimo Newtype), trovano quella caratterizzazione che è mancata nel film, e sempre in quest'opera giungono a compimento i punti lasciati in sospeso dalla pellicola (il destino del progetto Cosmo Babilonia e il ruolo dell'ambiguo Zabine Chareux). Consiglio caldamente il recupero di quest'ottimo lavoro, apprezzatissimo anche in madrepatria (tanto da essere stato citato e omaggiato in videogiochi, anime, modellini e svariati seguiti manga, al punto che ancora oggi in molti sperano che venga trasposto in animazione), che da solo riscatta ampiamente il progetto F91. Per dovere di cronaca, urge segnalare che sempre Tomino, come nel caso dei suoi Gundam precedenti, ha rilasciato nello stesso periodo di uscita del film ben 2 romanzi (inediti in occidente come quasi tutti gli altri) che rinarrano in modo alternativo la storia, intitolati Mobile Suit Gundam F91 - Crossbone Vanguard.

Voto: 6,5 su 10

PREQUEL
Mobile Suit Gundam: The Origin (2015-2016; serie OVA)
Mobile Suit Gundam (1979-1980; TV)
Mobile Suit Gundam The Movie I (1981; film)
Mobile Suit Gundam The Movie II: Soldati del dolore (1981; film)
Mobile Suit Gundam The Movie III: Incontro nello spazio (1982; film)
Mobile Suit Gundam MS IGLOO 2: The Gravity Front (2008-2009; serie OVA)
Mobile Suit Gundam Thunderbolt (2015-2016; serie ONA)
Mobile Suit Gundam Thunderbolt: December Sky (2016; film)
Mobile Suit Gundam MS IGLOO: Apocalypse 0079 (2006; serie OVA)
Mobile Suit Gundam 0080: War in the Pocket (1989; serie OVA)
Mobile Suit Gundam: The 08TH MS Team (1996-1999; serie OVA)
Gundam Evolve../ 11 RB-79 Ball (2005; OVA)
Mobile Suit Gundam 0083: L'ultima scintilla di Zeon (1992; film)
Mobile Suit Z Gundam (1985-1986; TV)
Gundam Evolve../ 12 RMS-099 Rick Dias (2005; OVA)
Gundam Neo Experience 0087: Green Divers (2001; corto)
Mobile Suit Gundam ZZ (1986-1987; TV)
Mobile Suit Gundam: Il contrattacco di Char (1988; film)
Mobile Suit Gundam Unicorn (2010-2014; serie OVA)
Mobile Suit Gundam Unicorn RE:0096 (2016; TV)
Mobile Suit Gundam Unicorn: One of Seventy Two (2013; corto)

SEQUEL
Mobile Suit Victory Gundam (1993-1994; TV)
∀ Gundam Called Turn "A" Gundam (1999-2000; TV)
∀ Gundam I: Earth Light (2002; film)
∀ Gundam II: Moonlight Butterfly (2002; film)
Gundam: Reconguista in G (2014-2015; TV)
Gundam: Reconguista in G - From the Past to the Future (2016; corto)


FONTI
1 B-Club Special: "Mobile Suit Gundam F91: The Official Edition" (Bandai, 1991), note di produzione. Parti salienti dell'intervista ai membri dello staff sono tradotte in inglese nel sito ZeonicScanlations alla pagina http://www.zeonic-republic.net/?page_id=4377
2 Questi retroscena vengono dal booklet allegato al Blu-ray di "Mobile Suit Gundam F91" ("F91: La rinascita di Gundam", Dynit, 2012) e da "Mobile Suit Gundam F91: The Official Edition" del punto 1
3 Booklet allegato al Blu-ray di "Mobile Suit Gundam F91" del punto 2
4 Vedere punto 1
5 Booklet allegato al Blu-ray di "Mobile Suit Gundam F91" ("Intervista a Yoshiyuki Tomino")
6 Kappa Magazine n. 21, Star Comics, 1994, pag. 124
7 Booklet allegato al Blu-ray di "Mobile Suit Gundam F91" ("Intervista a Kunio Okawara")

giovedì 15 luglio 2010

Recensione: Mobile Suit Gundam 0083 - Stardust Memory

MOBILE SUIT GUNDAM 0083: STARDUST MEMORY
Titolo originale: Kidō Senshi Gundam 0083 - Stardust Memory
Regia: Mitsuko Kase (ep.1-7), Takashi Imanishi (ep.8-13)
Soggetto: Hajime Yatate
Sceneggiatura: Yoshitake Suzuki (ep.1-7), Akinori Endo (ep.1-7), Takashi Imanishi (ep.8-13), Ryousuke Takahashi (ep.8-13)
Character Design: Toshihiro Kawamoto
Mechanical Design: Hajime Katoki, Shoji Kawamori, Mika Akitaka, Yasushi Ishizu
Musiche: Mitsuo Hagita
Studio: Sunrise
Formato: serie OVA di 13 episodi (durata ep. 30 min. circa)
Anni di uscita: 1991 - 1992
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Dynit



Era Spaziale, anno 0083. Tre anni dopo la Guerra Di Un Anno, regna finalmente la pace. La Federazione Terrestre però, contravvenendo al Trattato dell'Antartico che prevede la cessazione della proliferazione di armi nucleari, in segreto sta facendo costruire, in una base militare australiana, due nuovi prototipi di Gundam tra cui il massiccio RX-78-GP02A, armato di un bazooka capace di sparare testate atomiche. I reduci dell'esercito di Zeon non se ne stanno a guardare e, con un raid perpetrato da Anavel Gato, asso del Principato noto ai tempi come L'Incubo di Solomon, lo rubano, portandolo successivamente nello spazio nella flotta Delaz, pronti a utilizzarlo per l'apocalittica operazione Polvere di Stelle. Tocca a Kou Uraki, giovane tenente della Federazione, e all'equipaggio della nave federale Albion tentare di recuperarlo.

Penso sia impossibile formulare un giudizio coerente e univoco nei riguardi di Mobile Suit Gundam 0083: Stardust Memory, acclamatissima serie OVA grazie al quale, nel biennio 1991-1992, Sunrise vendeva nel suolo giapponese, tra VHS e Laserdisc, addirittura un milione di copie1, facendo di quest'opera uno dei più grandi successi di sempre della saga e dell'home video in generale. Le perplessità non derivano tanto dalla forza realizzativa e narrativa dell'opera, quanto dal suo essere il primo Gundam lontanissimo, come spirito, dalla mente che ha creato la saga, quel Yoshiyuki Tomino che, paradossalmente,  ha concepito e diretto molti dei titoli robotici più belli e originali della Storia pur non avendo mai apprezzato il genere2, sopperendo a mecha, spettacolo e sboroneria così tipici con un'impronta d'autore nel delineamento della psicologia dei personaggi, nei rapporti interpersonali e in tematiche filosofiche come la difficoltà di comunicazione e il rapporto tra figli e genitori. Questo doveroso preambolo trova spiegazione nella premessa dietro la creazione di questa serie: soddisfatissima dalle trionfali vendite di Mobile Suit Gundam 0080: War in the Pocket (1989) e di Gunpla (che nel 1990 raggiungevano, secondo un'indagine di mercato del tempo, la quota sbalorditiva di ben 100 milioni3), Bandai non ha dubbi nell'ordinare un nuovo Gundam destinato all'home video. Sunrise, vedendo l'ottimo risultato raggiunto dall'aver affidato quella miniserie a uno staff nuovo di zecca, decide di confermare la linea guida e affida, a un inedito team ancora, ennesima carta bianca per realizzare l'opera come vuole lui, per vedere cos'ha recepito della prima serie del 19794. Se Gundam 0080, pur al prezzo della retorica pacifista, otteneva un risultato non troppo distante dagli intenti del capostipite, Gundam 0083 invece rappresentava quanto di più "traditore" potesse esistere, dimostrando che gli uomini dietro la sua realizzazione erano proprio quegli "adulti non cresciuti" e maniaci del modellismo che Tomino detestava, che di Gundam e dei suoi seguiti ammiravano il mecha design, il contesto sci-fi e le battaglie. Impossibile pensarla diversamente, visionando 13 episodi stracolmi di epicità, virilità, esaltazione dell'onore e Mobile Suit fra i più belli e dettagliati che si siano mai visti, il tutto sintetizzato dalle trionfali pubblicità dell'epoca che promettevano il primo, grande scontro tra Gundam5, due potenti modelli (l'RX-78-GP01 e l'RX-78-GP02A) guidati da parti inverse.

Dei conflitti generazionali, delle storie di formazione e dell'analisi dei rapporti interpersonali non c'è quasi più traccia: Gundam 0083, con il suo obiettivo di colmare il gap tra la prima serie e Mobile Suit Z Gundam (1985), svelando come la fazione militare fascistoide dei Titans abbia assoggettato la Federazione Terrestre, prendendo il potere sulla Terra, narra uno spettacolare thriller politico-militare colmo di fazioni, doppiogiochisti, burattinai che agiscono dietro le quinte e battaglie tra splendenti Mobile Suit, innaffiando il tutto con l'esaltazione retorica di un manipolo di soldati zeoniani, che, nonostante la sconfitta della loro patria, continuano con coraggio e sacrificio a combattere per la loro causa, non immaginando di essere pedine di un gioco molto più grande di loro. La rivalutazione dei "cattivi" della serie classica avviene con le figure dell'orgoglioso ammiraglio Aguille Delaz, a capo del piano Polvere di Stelle, e del romantico antieroe Anavel Gato, pilota-asso zeoniano (clone abbastanza palese e sbiadito di Char Aznable) che rispetta i suoi nemici ed è sempre pronto a sacrificare la vita per la sua gente, entrambi fedelissimi ai loro ideali e sprezzanti della morte. Se Tomino non prendeva posizione nella sua storia, limitandosi a raccontare come entrambe le parti avessero le loro ragioni per combattere (ben dimostrando che la ragione raramente sta da una parte sola), Gundam 0083, forse influenzato dalla classica retorica giapponese di ammirare il samurai che sacrifica la vita per la sua patria (o il suo padrone) anche quando non serve ormai più a niente, arriva quindi a parteggiare apertamente per una delle due, coprendo con gloria e rispetto i comportamenti, l'intransigenza e la volontà dei "perdenti" zeoniani di portare avanti la propria battaglia fino alle più estreme conseguenze. Viene da pensare che lo staff voluto da Sunrise abbia fatto apposta a creare, a fare da inguardabile contralto, un protagonista federale umanamente fallito e insignificante, tale Kou Uraki, pilota sfigato sia nel lavoro (eterno perdente per le finalità di trama) che con il gentil sesso, incapace di fare il primo passo con la donna che lo ama, senza spina dorsale e senza una forte ragione che lo costringa a combattere, e che proprio per queste ragioni finirà messo in ombra e umiliato dal trascinante carisma e dalla virile "rispettabilità morale" di Gato.


Non c'è dubbio che Gundam 0083 sia una serie ben confezionata e molto riuscita nel genere tipicamente robotico. È molto avvincente fin dal primo episodio e, retta su antagonisti affascinanti, scontri galvanizzati tra Gundam più belli e potenti che mai (decisamente troppo, tanto da generare la contraddizione dell'essere molto più temibili dei Mobile Suit che appaiono nei titoli ambientati temporalmente dopo, è quasi ironico che in piena serializzazione degli OVA Tomino dirà che per lui ogni Gundam è a sè stante, non v'è alcun universo unificato e coerente6) e un'atmosfera epica-apocalittica tra le più scenografiche e indimenticabili, non c'è dubbio che piacerà molto a chi non conosce bene il franchise. Il problema è che questo non è un Gundam "vero", o meglio, getterà le basi per quella "degenerazione" del brand interessata a celebrare quegli scenici elementi di corollario che, nelle intenzioni originali della storia, dovevano stare adagiati sullo sfondo, alla stregua di un contentino per gli sponsor. In poche parole, da questo titolo in poi la saga si scinderà in tre tronconi: i Gundam di Tomino, sempre d'autore e interessati a raccontare storie di personaggi a discapito dei robot (e che per prendere le distanze dagli altri vedranno questi ultimi "abbruttirsi" sempre di più); quelli "ipocriti" di Bandai, nati con questo lavoro, interessati più all'azione e ai combattimenti fini a sé stessi che al resto (al punto che sembra quasi un paradosso il loro condannare formalmente la guerra mostrando armi e mezzi tecnologici sempre più fighi); e infine le vie di mezzo, che non rinunceranno a personaggi caratterizzati e tematiche adulte pur sfruttando anche loro mecha fin troppo scintillanti. Da queste considerazioni deriva lo scarso feeling di chi scrive verso una serie come Gundam 0083, che, diciamoci la verità, regge buona parte della sua enorme popolarità sul solo fattore estetico dovuto all'enorme budget profuso da Bandai.

A tale riguardo, la miniserie segna il debutto nell'animazione gundamica dei mecha designer Shoji "Fortezza Super Dimensionale Macross" Kawamori e Hajime Katoki (quest'ultimo venuto alla ribalta nel 1987 grazie ai meticolosi disegni dell'acclamatissimo romanzo illustrato Gundam Sentinel). Il loro lavoro congiunto rappresenta l'apice supremo del fanservice "tecnologico": Gundam 0083 grazie a loro significa veicoli e mezzi di un realismo sovrumano. Ammirare i minacciosi Gundam (tutti e tre a opera di Kawamori), il massiccio Neue Ziel, le tecnologie e le astronavi che costellano le forze militari dei due eserciti è una vera e propria esperienza, tanto sono maestosi nella loro maniacalità grafica, nei colori realistici (con l'uso di filtri per trasmettere realmente l'impressione di ruggine e usura), nelle ombreggiature intimidatorie e in dettagli (tasti, schermi, leve, mirini) di estrema complessità. Questo risultato straordinario si deve alla minuzia dei due artisti, ma anche al direttore delle animazioni meccaniche Hirotoshi Sano, che infonde vita a questa meraviglia con movenze spettacolari. Stessi risultati eccellenti vanno al grintoso chara design di Toshihiro Kawamoto, anche adibito al ruolo di direttore dell'animazione per trasporre al meglio il suo tratto: sempre un debuttante, e sempre autore di un lavoro incredibile che tratteggia personaggi dall'aspetto iper-realistico, ancor più enfatizzato, come i mecha, da una cura estrema in ombreggiature, pieghe dei vestiti, gocce di sudore e ogni genere di raffinatezza visiva. Si può dire tranquillamente che è grazie a questi quattro uomini se il risultato che ne esce, beneficiando di animazioni sontuose che permettono di farlo splendere al massimo, sarà così acclamato.

Nonostante tutto, se ci si impone di dimenticare Tomino e la sua poetica, si riesce sicuramente ad apprezzare molto meglio questo titolo. A cosa mira il progetto Polvere di Stelle? Perché la Federazione non sembra particolarmente interessata a recuperare il Gundam rubato dalla flotta Delaz? Qual è il vero scopo dell'inquietante Cima Garahau? Gundam 0083 è una storia di misteri, indagini, colpi di scena e morti drammatiche, caratterizzata, anche grazie all'apporto del "Re del Real Robot" Ryousuke Takahashi (al suo primo e ultimo apporto a Gundam), da un comparto dialogico di elegante realismo, con personaggi verosimili e una cura certosina nel fare combaciare perfettamente la storia nel quadro politico-storico della linea temporale. La valutazione finale, non troppo elevata, è dovuta alle soggettive difficoltà  nel contestualizzare questo lavoro nella poetica della saga portata avanti fino a quel momento da Tomino, ma anche e soprattutto a un noto, vistoso buco di sceneggiatura (un certo personaggio ha con un altro un legame fortissimo, ma la prima volta che lo vede, nelle fasi iniziali della trama, non lo riconosce), a una singola ingenuità che stona col ricercato impianto realistico (disciplina militare che di fatto non esiste per il protagonista) e una certa confusione che colpisce la storia verso le parti finali, sia per un didascalismo eccessivo, che per un altrettanto eccessivo citazionismo verso personalità "ingrombranti" di Z Gundam (chi non ha visto la serie non capirà il loro senso ai fini della storia, visto che non sono stati mai presentati e hanno comunque peso nella vicenda). Questi problemi (specialmente il plot hole) sono dovuti per la maggiore al fatto che Gundam 0083 è nato senza una pianificazione ufficiale, mettendo insieme, volta per volta, più menti (a metà della serializzazione della serie vi è un totale cambio di staff7, enunciato dalla nuova sigla d'apertura), e quindi senza sapere fin da subito che sviluppi avrebbero avuto fatti e attori.


Realisticamente, Gundam 0083 aggiunge poco o niente alla storyline (si sa già che terminerà con la presa del potere dei Titans, non cambia di una virgola lo status quo), ha un senso solamente per chi ha già visto Z Gundam e soprattutto dimostra chiaramente il fallimento delle nuove generazioni di animatori Sunrise nel "capire" il Gundam storico di Tomino, ma dopotutto rimane, per la sua fantastica confezione e la trama piacevolmente intricata, una delle più spettacolari produzioni "puramente" robotiche del periodo. Anche se doppiato in italiano in modo non irresistibile, è una produzione che merita il recupero nella splendida edizione Dynit: peccato solo per l'assenza, nel DVD Box, del cortometraggio The Mayfly of Space, realizzato nel 1993 e uscito nell'edizione giapponese in Laserdisc della serie. È di un certo interesse in quanto narra retroscena che forniscono maggiore background al personaggio di Cima.

Voto: 7 su 10

PREQUEL
Mobile Suit Gundam: The Origin (2015-2016; serie OVA)
Mobile Suit Gundam (1979-1980; TV)
Mobile Suit Gundam The Movie I (1981; film)
Mobile Suit Gundam The Movie II: Soldati del dolore (1981; film)
Mobile Suit Gundam The Movie III: Incontro nello spazio (1982; film)
Mobile Suit Gundam MS IGLOO 2: The Gravity Front (2008-2009; serie OVA)
Mobile Suit Gundam MS IGLOO: The Hidden One-Year War (2004; corti)
Gundam Evolve../ 01 RX-78-2 Gundam (2001; OVA)
Mobile Suit Gundam Thunderbolt (2015-2016; serie ONA)
Mobile Suit Gundam Thunderbolt: December Sky (2016; film)
Mobile Suit Gundam MS IGLOO: Apocalypse 0079 (2006; serie OVA)
Mobile Suit Gundam 0080: War in the Pocket (1989; serie OVA)
Mobile Suit Gundam: The 08TH MS Team (1996-1999; serie OVA)

SEQUEL
Mobile Suit Gundam 0083: L'ultima scintilla di Zeon (1992; film)
Mobile Suit Z Gundam (1985-1986; TV)
Gundam Evolve../ 12 RMS-099 Rick Dias (2005; OVA)
Gundam Neo Experience 0087: Green Divers (2001; corto)
Mobile Suit Gundam ZZ (1986-1987; TV)
Mobile Suit Gundam: Il contrattacco di Char (1988; film)
Mobile Suit Gundam Unicorn (2010-2014; serie OVA)
Mobile Suit Gundam Unicorn RE:0096 (2016; TV)
Mobile Suit Gundam Unicorn: One of Seventy Two (2013; corto)
Mobile Suit Gundam F91 (1991; film)
Mobile Suit Victory Gundam (1993-1994; TV)
∀ Gundam Called Turn "A" Gundam (1999-2000; TV)
∀ Gundam I: Earth Light (2002; film)
∀ Gundam II: Moonlight Butterfly (2002; film)
Gundam: Reconguista in G (2014-2015; TV)
Gundam: Reconguista in G - From the Past to the Future (2016; corto)


FONTI
1 Consulenza di Garion-Oh (Cristian Giorgi, traduttore GP Publishing/J-Pop/Magic Press e articolista Dynit)
2 Lo dice lo stesso regista, in una intervista pubblicata su Mangazine n. 31 (Granata Press, 1994, pag.28)
3 Kappa Magazine n. 21, Star Comics, 1994, pag. 116
4 Vedere punto 2, a pag. 21
5 Vedere punto 3, a pag. 119
6 Intervista a Yoshiyuki Tomino pubblicata su "Anime Interviews: The First Five Years of Animerica Anime & Manga Monthly (1992-97)" (Cadence Books, 1997, pag. 10)
7 Consulenza di Garion-Oh. Il cambio di staff è confermato dallo sceneggiatore Ryousuke Takahashi in un'intervista sempre pubblicata su "Anime Interviews: The First Five Years of Animerica Anime & Manga Monthly (1992-97)" (pag. 166)

martedì 13 luglio 2010

Recensione: Maison Ikkoku (Cara dolce Kyoko)

MAISON IKKOKU
Titolo originale: Maison Ikkoku
Regia: Kazuo Yamazaki (ep.1-26), Takashi Anno (ep.27-52), Naoyuki Yoshinaga (ep.53-96)
Soggetto: (basato sul fumetto originale di Rumiko Takahashi)
Sceneggiatura: Tokio Tsuchiya (ep.1-26), Kazunori Ito (ep.27-52), Hideo Takayashiki (ep.53-96)
Character Design: Yuji Moriyama (ep.1-26), Akemi Takada (ep.27-96)
Musiche: Takao Sujiyama (ep.1-26/38-96), Kenji Kawai (ep.27-96)
Studio: Studio DEEN
Formato: serie televisiva di 96 episodi (durata ep. 25 min. circa)
Anni di trasmissione: 1986 - 1988
Disponibilità: edizione italiana in DVD a cura di Yamato Video

 
Yusaku Godai è un ronin, uno studente bocciato all'esame di ammissione all'università, che studia come un matto per riuscire a farsi ammettere l'anno dopo. Vive in un condominio Ikkoku, ma il suo studio è funestato dai suoi casinari inquilini: la signora Ichinose, grassona alcolizzata; Akemi, bevitrice scostumata; Yotsuya, voyeur compositore di haiku, scroccone e ricattatore. Perennemente incapace di concentrarsi per colpa dei loro festini, Yusaku cerca più volte di andarsene, fino al giorno in cui deciderà di rimanere definitivamente lì quando vi si trasferisce a vivere la bellissima amministratrice, Kyoko Otonashi. Innamoratosi istantaneamente di lei, Yusaku cerca di corteggiarla, ma presto scopre che, pur avendo solo 22 anni, la ragazza è già vedova. Riuscirà a superare il suo esame, a trovare un lavoro, a fare breccia nel cuore di Kyoko e a sopravvivere agli scherzi degli altri?

Recensione, questa, che sarà ricordata dal sottoscritto come tra le più difficili di sempre, perché rendere a parole la bellezza di Maison Ikkoku e convincere qualsiasi lettore a guardarlo, senza scadere nelle banalità, è un'impresa vana. Tutti conoscono Rumiko Takahashi, la Principessa dei manga, così soprannominata per aver creato opere spassose come Lamù la ragazza del futuro (1978), Ranma ½ (1987) e, in tempi più recenti (1996), l'avventuroso Inuyasha (su cui è meglio stendere un velo pietoso), tutti titoli che nella sola madrepatria hanno venduto ciascuno qualche decina di milioni di copie. L'autrice ha un'abilità immensa: con un disegno semplicissimo ma non banale e una fantasia senza pari, è stata ripetutamente capace di regalare al pubblico di tutto il globo, maschile e femminile, incontrollabili risate, reinventandosi in ogni occasione con sterminati eserciti di personaggi sempre nuovi e geniali e una vena umoristica praticamente inesauribile, che esaspera in modo spassoso gli stili di vita delle classi sociali nipponiche. La leggenda dell'autrice inizia con Lamù la ragazza dello spazio, opera prima (che diverrà famosissima grazie alla trasposizione animata televisiva, diretta nel 1981 da Mamoru Oshii e Kazuo Yamazaki), e diventa totale con Ranma ½ (1987), entrambi manga che esprimono la sua vena comica. Non bisogna però dimenticare che in mezzo ai due l'autrice ha realizzato un fumetto profondamente diverso, Maison Ikkoku: apparentemente un'altra commedia dai personaggi esilaranti, ma che poco dopo rivela la sua vera indole, quella di una commedia romantica dalle venature drammatiche, dove risate da mal di pancia, battiti di cuore e drammi toccanti sono perfettamente amalgamati senza scadere né nella farsa, né tanto meno nello sdolcinato, mantenendo sempre un equilibrio memorabile. Con quest'opera l'autrice dimostra un grande talento nel trattare, con poesia e divertimento, anche tematiche adulte e serie (e lo confermerà con le sue eccellenti antologie di racconti brevi), e infatti, se possibile, chi scrive reputa Maison Ikkoku il vero, unico capolavoro imprescindibile da lei mai disegnato, quello da raccomandare a ogni costo a chi domanda qual è il suo lavoro migliore.

Maison Ikkoku è una delicata e realistica storia d'amore tra uno studente universitario, Yusaku Godai, e la bellissima vedova Kyoko Otonashi che vorrebbe sposare (si legge spesso in giro che l'autrice si sia ispirata per loro due ai fidanzati Ozuno Tsubame e Sakura di Lamù, effettivamente quasi identici a livello grafico). Per fare questo il povero ragazzo dovrà non solo laurearsi e trovare un lavoro, cose già di per sé difficilissime visti i suoi frequenti insuccessi scolastici e le sue difficoltà nello studio, ma anche sperare che in tutto questo tempo la sua bella riesca a farsi una ragione della morte del marito Soichiro e sappia ricambiarne i sentimenti. Durissime saranno le prove che il nostro eroe dovrà affrontare, frequentissimi i flop, e se a questo aggiungiamo spasimanti distruggi-coppia, rivali in amore, micidiali gag e fraintendimenti tipici da commedia degli equivoci, nel miglior stile della Takahashi, più gli scherzi e le cattiverie con cui gli inquilini del condominio si divertiranno un mondo a mettere in cattiva luce il ragazzo, capiremo bene come il suo lungo cammino verso l'amore sarà sempre più vicino all'assomigliare a un girone infernale.


Quello che differenzia Maison Ikkoku dalla totalità degli altri manga di Rumiko Takahashi, sempre comici e a struttura episodica, va ricercato nelle realistiche reazioni psicologiche dei due protagonisti a tutti i guai, ora demenziali ora seri, che metteranno a dura prova la relazione. I due sono talmente ben caratterizzati che si arriva quasi istantaneamente a identificarsi con loro, soffrendo ogniqualvolta arrivano ai ferri corti, gioendo quando si avvicinano di più. Kyoko è il prototipo di donna ideale per ogni uomo: giovane, di bellezza semplice, dolce e sensibile. Yusaku è un ragazzo dal cuore d'oro, ma goffo, imbranato, perennemente capace di sbagliare ogni mossa possibile per conquistare la sua donna. Le loro vicende, inizialmente leggere e divertenti nei momenti del primo approccio, diventano via via sempre più malinconiche e sofferte quando iniziano a rendersi conto dei loro sentimenti, ritrovandosi più volte sull'orlo del baratro per problemi di immaturità da parte di entrambi nel gestire il rapporto che sta nascendo. La vicenda, umana e poetica, fa ampio uso, ancor più del solito, del background storico e culturale: molto più che in Lamù e Ranma ½, Maison Ikkoku sfrutta il suo contesto Eighties, ambientando nella Tokyo di quegli anni, con ampissimo riferimento a usanze, usi e costumi, una storia che parla di quotidianità, uno slice of life con, come protagonisti, persone semplici alle prese con l'affitto da pagare a fine mese, il trovare lavoro, le cene tra colleghi... Non ci si può dimenticare, certo, che per larghi tratti la storia è una commedia brillante che ha lo scopo di far ridere: il tipico condominio Ikkoku, edificio dotato di mini stanze e spazi da gestire in comune, diffusissimo in Giappone negli anni '60-70, è protagonista quasi centrale della narrazione; potessero parlare, le sue pareti rivelerebbero di scherzi, voyeurismo, cattiverie, urla disumane, ricatti e feste alcoliche che avvengono quasi quotidianamente ai danni di Yusaku da parte degli eccentrici inquilini dello stabile (la stessa autrice rivela che l'ispirazione della storia le è venuta quando, da studentessa delle superiori, vide bizzarri inquilini che vivevano nello stesso Ikkoku comunicare dalla casa alla strada con una ricetrasmittente invece che parlarsi direttamente a voce1) e con gran divertimento del lettore. Nonostante questo, pur con tonnellate di gag esilaranti, le relazioni umane tra i due protagonisti sono trattate in modo misurato, con dialoghi e reazioni psicologiche molto realistici, si avverte la voglia dell'autrice di raccontare una storia d'amore a tratti molto seria e che abbia un culmine indimenticabile (e infatti Maison Ikkoku sarà, forse anche per questo, una delle pochissime sue storie lunghe degnate di un finale chiuso).

Scontato che una simile opera non poteva mancare in animazione: a incaricarsi del compito, nel marzo 1986, è il produttore Kitty Films, che, dopo aver chiuso con successo la serie televisiva di Lamù, ne ricicla staff e studio d'animazione già la settimana dopo, allo stesso orario e sullo stesso canale, per adattare il nuovo campione d'incassi di Rumiko Takahashi. Ne esce inevitabilmente un paradigma dell'animazione tutta, un cartone animato fedele al fumetto e alle sue atmosfere, che per 96 memorabili episodi caratterizzati, nel complesso, da indici di ascolto vicini a un altro 20%2 come per Lamù (pur al prezzo di numerosi cambi di registi, sceneggiatori, compositori e chara designer, per sistemare il tiro visto che lo share inizialmente non era eclatante3) e che traspongono interamente il manga, terrà incollati allo schermo non solo bambini e adolescenti, ma anche giovani e adulti, tutti stretti intorno alla più bella storia d'amore mai raccontata in televisione.

Novantasei puntate sono tante, inutile girarci intorno, e prevedono anche un corposo numero di filler inseriti lì, immancabilmente, per permettere all'autrice di portarsi avanti, all'epoca, col manga (lo terminerà l'anno dopo, nel 1987), ma, forse classica eccezione alla regola, Maison Ikkoku anime non ci perde assolutamente in nulla contro la versione cartacea. Pur con lievi modifiche (l'assenza dell'inquilino Nozomu Nikaido, abbastanza marginale in origine, e la soppressione o modifica di alcuni capitoli della storia), racconta nuovamente una storia d'amore subito coinvolgente, e, nelle frontiere del technicolor, delle animazioni e della musica, eguaglia e - a volte - addirittura supera gli stessi apici poetici del fumetto. Riesce in questo sfruttando al 100% le preziose risorse del suo media: addolcisce il tratto originale di Rumiko Takahashi con una nuova, DAVVERO indimenticabile prova grafica di Akemi Takada, che subentra dall'episodio 27 e rende Kyoko e Godai più esteticamente belli e adulti che mai; trova una colonna sonora delicata e romantica (per la maggior parte a opera dell'esordiente Kenji Kawai, che diviene poco a poco uno dei più importanti compositori musicali nipponici); può permettersi animazioni di tutto rispetto per quegli anni, un doppiaggio ancora una volta di livello STRATOSFERICO (sfido a dimenticare le voci di di Yusaku, di Kyoko, di Ichinose, Yotsuya o Sakamoto), e una delicatissima direzione. Maison Ikkoku è una storia bellissima che va seguita con trepidazione, facendosi trasportare dai mille sentimenti che riesce a evocare: emozioni continuamente trasmesse da puntate esilaranti o toccanti, da preview che invogliano a divorare subito l'episodio successivo, dalle sigle di apertura e chiusura che trovano musicalità tra le più energiche, malinconiche e commoventi di sempre, dagli sguardi o sorrisi d'intesa tra Kyoko e Yusaku presenti in ogni puntata, e dai frequenti gesti di quotidianità e umanità dati dal caratterizzatissimo cast di personaggi.


In quell'irresistibile microcosmo che è la Maison Ikkoku, si impara presto a riconoscerne ogni singola stanza, ogni scala, ogni telefono, come fosse casa propria. È veramente un senso di grande familiarità quello che trasmette il capolavoro animato da Studio DEEN, il cui grandissimo pregio, come nel fumetto, è far sentire vicinissimi a sé tutti i personaggi che abitano il condominio. Infine Maison Ikkoku, come tutte le grandi storie d'amore, è insegnamento di vita, che può essere dolorosissima, può distruggere o logorare i nervi, ma insegna che se si tiene a qualcosa bisogna continuare a soffrire, fin quando non si trova la felicità. La serie è un tale concentrato di risate e commozione che è inopportuno stare a considerare i difetti, che ci sono (l'assurda sparizione a metà serie di un personaggio importantissimo, ripreso solo nelle puntate conclusive; e il finale un pochino meno intenso rispetto a quello del manga), ma cadono nel dimenticatoio rispetto alla dose di emozioni indescrivibili evocate da una delle qualsiasi 96 puntate che compongono la serie. Visione fondamentale, da vedere e (addirittura) rivedere, una di quelle opere che a qualsiasi età non mancherà di riservare emozioni che un'intera vita non basterà a cancellare (anche se sono trascurabili, in compenso, tutte le altre incarnazioni animate della storia, perlopiù retelling di poco conto). Per ora, ineguagliata, la più intensa e, banalmente, migliore love story attualmente esistente in animazione, ancora oggi.

Nota finale: la serie è disponibile in DVD a cura da Yamato Video, che una volta tanto ha degnato i fan di sottotitoli fedeli ai dialoghi originali. Il doppiaggio storico italiano, per quanto non sia malaccio e sia stato pure adattato con standard più elevati del solito e nomi originali (ma pronuncie sbagliate), perde MOLTISSIMO in intensità rispetto alla controparte nipponica, anche per la rimozione dei suffissi nei nomi che rappresentano anch'essi, in più di un'occasione, grande motivo di comicità.

Voto: 10 su 10

PREQUEL
Maison Ikkoku Prelude: When the Cherry Blossoms in the Springtime Return (1992; special TV)

SIDE-STORY
Maison Ikkoku: Naufragio sull'isola Ikkoku (1991; OVA)

SEQUEL
Maison Ikkoku: Through the Passing of the Seasons (1988; special TV)

ALTRO


FONTI
1 Kappa Magazine n. 5, Star Comics, 1992, pag. 120
2 Francesco Prandoni, "Anime al cinema", Yamato Video, 1999, pag. 136 
3 Wikipedia giapponese di "Maison Ikkoku anime"

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